Classe Oyashio

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Classe Oyashio
Il capoclasse Oyashio (SS-590), in visita a Pearl Harbor
Descrizione generale
Tiposottomarino diesel-elettrico
Numero unità11
Proprietà Kaijō Jieitai
Entrata in servizio1998
Caratteristiche generali
Dislocamento
  • emersione: 2750 t
  • immersione: 4000 t
Lunghezza81,7 m
Larghezza8,9 m
Propulsione2 motori diesel Kawasaki 12V25S

2 alternatori Kawasaki
2 motori elettrici Toshiba
3,400 hp (2,500 kW) in emersione
7,750 hp (5,780 kW) in immersione

Velocità
Equipaggio70, di cui 10 ufficiali
Equipaggiamento
Sensori di bordo1 radar scoperta in superficie JRC ZPS 6 in banda I, 1 sonar a scafo Hughes/Oki ZQQ-6 , 1 trainato a bassissima frequenza, un sonar ad array laterale
Armamento
Siluri6 tubi di lancio HU-605 da 533 mm con 20 armi tra siluri Type 89 e missili Harpoon
fonti citate nel corpo del testo
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La classe Oyashio è una classe di sottomarini diesel-elettrici entrati in servizio con la Kaijō Jieitai, la Forza di autodifesa marittima giapponese, a partire dal 1998.[1] Questi sottomarini sono immediatamente successivi ai precedenti della classe Harushio.

I sottomarini di questa classe incorporano oltre al sonar a scafo di prua e quello trainato, anche un sonar ad array di tipo conforme, cioè con sensori che coprono i fianchi dello scafo.[2]

Caratteristiche costruttive

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Rispetto ai precedenti sottomarini giapponesi, gli Oyashio introducono diverse innovazioni, fra le quali la forma e la struttura dello scafo, accuratamente ridisegnato per contribuire a una sostanziale riduzione della traccia sonar. I pannelli laterali sono inclinati per diminuire i riflessi delle onde sonore, e lo scafo è ricoperto di materiale fonoassorbente.


A differenza dei precedenti Uzushio, che avevano uno scafo a doppio guscio e a forma di lacrima, gli Oyashio hanno adottato uno scafo a forma di sigaro, con una struttura parzialmente a guscio singolo.[1] Nella parte anteriore e posteriore lo scafo è costituito da un guscio composto che utilizza un telaio esterno, mentre al centro è formato da un guscio singolo che usa un telaio interno.

Equipaggiamento

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La caratteristica più importante è l'installazione del sonar ZQQ-6.[2] Si tratta di un sonar integrato composto da un array cilindrico a prua, un array sui fianchi, e un sonar array trainato (TAS).[2] Questa soluzione che combina diversi sonar permette di ridurre le ambiguità prodotte dal segnale ricevuto, garantendo una migliore identificazione del bersaglio.

Il sottomarino Kuroshio (SS-596) in navigazione.

L'impianto radar di ricerca di superficie è un JRC ZPS-6 con una portata di circa 110 km, mentre i sistemi di guerra elettronica sono costituiti da un impianto ESM ZLR-3-6 e dagli apparati di lancio dei dispositivi per l'inganno dei siluri ADC (Acoustic Device Countermeasures).[2]

Il sottomarino Isoshio (SS-594) in emersione ad alta velocità.

Impiego operativo

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Secondo la cosiddetta strategia dell'imboscata si prevedeva che i sottomarini giapponesi stazionassero in punti critici come le aree portuali e gli stretti (per esempio Miyako, Tsushima, Shimonoseki e Tsugaru), per essere pronti a difenderli da eventuali attacchi nemici.[3] A partire dagli anni 2000 si è cambiata strategia, passando a un'impostazione più offensiva, e inviando i sottomarini nel Mar Cinese Meridionale. Si prevede così, che in caso di conflitto con la Cina, i sottomarini giapponesi possano dare la caccia ai sottomarini avversari, creando le condizioni per impegnare il nemico lontano dal Giappone. Infatti le navi cinesi sarebbero costrette a cercare i sottomarini giapponesi, per impegnarli in combattimento. Questa strategia è stata chiamata logoramento dispersivo della potenza navale (kaigun ryoku no sanshōmō), e si basa sulla penetrazione in profondità dei sottomarini d'attacco, fino all'isola di Hainan e a ovest della penisola di Malacca.[3] Ciò è stato reso possibile dai nuovi sottomarini, a partire dalla classe Oyashio, che garantiscono migliori prestazioni e capacità accresciute, e soprattutto i successivi Soryu e Taigei, appositamente progettati per tale compito..[3]

L'arrivo del sottomarino Yaeshio (SS-598) a Pearl Harbor.

La classe è composta da un totale di 11 battelli[4], con l'ultimo entrato in servizio nel 2008. Oyashio, Michishio e Kuroshio riprendono nomi da tre cacciatorpediniere che hanno combattuto nella seconda guerra mondiale mentre il Takashio prende il nome da un cacciatorpediniere della progettata classe Yugumo, della quale nessuno venne costruito.

N. progetto N. costruzione Pennant Nome impostato Varato In servizio Cantiere
S130 8105 SS-590 Oyashio (おやしお?) 26 gennaio 1994 15 ottobre 1996 16 marzo 1998 Kawasaki, Kobe[5]
8106 SS-591 Michishio (みちしお?) 16 febbraio 1995 18 settembre 1997 10 marzo 1999 Mitsubishi, Kobe
8107 SS-592 Uzushio (うずしお?) 6 marzo 1996 26 novembre 1998 9 marzo 2000 Kawasaki, Kobe
8108 SS-593 Makishio (まきしお?) 26 marzo 1997 22 settembre 1999 29 marzo 2001 Mitsubishi, Kobe
8109 SS-594 Isoshio (いそしお?) 9 marzo 1998 27 novembre 2000 14 marzo 2002 Kawasaki, Kobe
8110 SS-595 Narushio (なるしお?) 2 aprile 1999 4 ottobre 2001 3 marzo 2003 Mitsubishi, Kobe
8111 SS-596 Kuroshio (くろしお?) 27 marzo 2000 23 ottobre 2002 8 marzo 2004 Kawasaki, Kobe
8112 SS-597 Takashio (たかしお?) 30 gennaio 2001 1º ottobre 2003 9 marzo 2005 Mitsubishi, Kobe
8113 SS-598 Yaeshio (やえしお?) 15 gennaio 2002 4 novembre 2004 9 marzo 2006 Kawasaki, Kobe
8114 SS-599 Setoshio (せとしお?) 23 gennaio 2003 5 ottobre 2005 28 febbraio 2007 Mitsubishi, Kobe
8115 SS-600 Mochishio (もちしお?) 23 febbraio 2004 6 novembre 2006 6 marzo 2008 Kawasaki, Kobe
  1. ^ a b Gambelli 2013, p.57.
  2. ^ a b c d Gambelli 2013, p.58.
  3. ^ a b c Martorella 2020, p. 59.
  4. ^ http://www.naval-technology.com/projects/oyashio-class/ Oyashio Class Submarines, Japan
  5. ^ Stephen Saunders, Jane's Fighting Ships 2004-2005, Jane's Information Group, 2004, p. 384, ISBN 0-7106-2623-1.
Periodici
  • Jani Gambelli, La forza subacquea del Giappone, in Panorama Difesa, n. 319, Firenze, Ed.A.I. s.r.l., maggio 2013, pp. 56-61.
  • Cristiano Martorella, La guerra sottomarina secondo Tokyo, in Panorama Difesa, n. 401, Firenze, Ed.A.I. s.r.l., novembre 2020, pp. 54-61.

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