Rino Daus

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Rino Daus

Rino Daus (Perugia, 1º novembre 1900Grosseto, 29 giugno 1921) è stato uno squadrista italiano appartenente ai Fasci italiani di combattimento. Morì durante una spedizione punitiva contro i socialisti a Grosseto, divenendo una figura simbolo della propaganda fascista, che lo celebrò come martire.

Biografia[modifica | modifica wikitesto]

Nato nel 1900 a Perugia, con la madre e la sorella Flora lasciò Roma dopo la morte del padre. Nel 1907 si stabilì a Siena, in Via Lizza 5, dove la madre prese in gestione un albergo. Affascinato dagli aspetti patriottici della prima guerra mondiale, svolse gli studi in Marina prima di rientrare a Siena nel 1919 dove, giovanissimo, diventò uno squadrista del neonato movimento fascista. Aderì ai Fasci italiani di combattimento nel 1920 e collaborò attivamente alle azioni guidate da Giorgio Alberto Chiurco.

L'azione di Grosseto e la morte[modifica | modifica wikitesto]

Nella città di Grosseto la tensione tra fascisti e antifascisti si acuì dopo che il 27 febbraio 1921 il sindacalista comunista Spartaco Lavagnini fu freddato con quattro colpi di pistola a Firenze[1]. Dopo quell'assassinio iniziarono scioperi in tutta la Toscana, e a Grosseto vi aderì il personale ferroviario, delle industrie e del commercio, il Partito repubblicano e il gruppo anarchico locale. Nonostante la tensione, gli scioperi si svolsero senza registrare scontri e il 2 marzo, quando gli scioperi finirono, il prefetto Antonio Boragno segnalò al Ministero dell'Interno la scarsa disponibilità di forza pubblica, composta da 23 carabinieri, di cui 8 dislocati presso la Corte d’Assise, 6 agenti investigativi, 4 finanzieri e una trentina di soldati, che non avrebbero potuto contrapporsi efficacemente in caso di incidenti[2].

Nel frattempo le squadre fasciste qualche giorno dopo entrarono a Monterotondo Marittimo in provincia di Pisa, dove 12 fascisti armati di fucili e pistole, devastarono i locali della sezione socialista e del gruppo anarchico e ne incendiarono il mobilio in mezzo alla strada. Il 13 maggio venne assaltata la sede socialista di Montieri, mentre il giorno 12 nelle frazioni di Gerfalco e Travale si erano verificati incidenti a danno dei socialisti, con devastazione della sede del loro partito. Ai primi di giugno la città di Grosseto appariva ancora relativamente tranquilla, ma nella seconda metà di giugno del 1921 i fascisti fecero la loro comparsa anche nel capoluogo maremmano, perché in città era nata una sezione socialista ai primi di maggio ad opera di Giuseppe Saletti e Ivo Andreani[2]. Il 20 giugno 1921 il segretario politico regionale fascista Dino Perrone Compagni, avviò una campagna di penetrazione nella città di Grosseto che insieme alla Maremma restava saldamente nelle mani dei socialisti[3] e inviò alcuni attivisti incaricati di verificare la situazione che dovettero però ricorrere alla protezione della pubblica sicurezza per lasciare la città[4]. Tra il 27 e il 28 giugno Grosseto fu teatro di furiosi scontri: fu ferito il fascista capitano Petri e gli squadristi uccisero l'operaio edile Cesare Savelli, che dal tetto di una scuola si stava difendendo dagli squadristi lanciando mattoni su di loro. Dopo l'uccisione vennero identificati 27 fascisti e imposto loro di lasciare la zona, mentre in città e nelle campagne circostanti gli antifascisti attuarono rappresaglie verso individui ritenuti nemici[2].

Mentre si consumavano tali violenze, due dipendenti della Fattoria Ricasoli si recarono a Siena per ottenere il sostegno del fascio di quella città, e il 28 giugno 1921 il commissario provinciale fascista di Siena Giorgio Alberto Chiurco dette ordine di mobilitazione ai fasci della provincia affinché si concentrassero sulla città maremmana. Oltre ai senesi erano presenti alcuni squadristi de La Disperata di Firenze e fascisti da Cecina, Orvieto e Bracciano. Il prefetto Boragno telegrafò quindi ai suoi colleghi toscani per chiedere loro di impedire la partenza dei fascisti verso la Maremma, ma gli fu comunicato che ormai la partenza era avvenuta, sia da Siena che da altre località[2].

Alle 2 del pomeriggio del 29 giugno circa 150 fascisti amati di moschetti e armi da fuoco, si accamparono fuori le mura cittadine in attesa dei rinforzi che avrebbero consentito di passare all'azione; Grosseto era infatti presidiata dalle forze dell'ordine e dai militari e non era assolutamente consentito l'accesso. Fu in questo momento di stasi che alcuni antifascisti scavalcarono le mura presso Porta Nuova, cantando inni fascisti, e riuscirono ad avvicinarsi a un gruppo di squadristi senesi. Costoro si accorsero del tranello solo dopo che un colpo d'arma da fuoco aveva ucciso Rino Daus[5].

Seguirono scontri fra antifascisti e forze dell'ordine con vari feriti, nel mentre il numero dei fascisti fuori le mura andò aumentando fino a 300 unità, in attesa di ulteriori nuovi arrivi. Dei rinforzi richiesti dal prefetto invece, arrivarono solamente 50 carabinieri reali, mentre, secondo la prefettura, ne erano necessari almeno altri 100[2].

L'occupazione di Grosseto[modifica | modifica wikitesto]

Chiurco, che si trovava a Cetona, appena appresa la notizia si mobilitò con circa 200 uomini per raggiungere Grosseto. Lì comandò un'azione di forza che verso le due di notte entrò in Grosseto, vincendo la blanda resistenza dei carabinieri posti a difesa delle porte della città[5].

La premeditata aggressione alla città di Grosseto, rafforzata dalla sete di vendetta per l'uccisione di Rino Daus, si consumò nella notte fra il 29 e il 30. Secondo la versione del prefetto Boragno, dopo un colloquio che si rivelò inutile, intorno alle 3 di notte, almeno 600 fascisti entrarono nel capoluogo maremmano divisi in squadre devastando la Camera del Lavoro, la sede del giornale socialista Il Risveglio e un locale frequentato abitualmente dai comunisti. Stessa sorte toccò al Circolo Ferrovieri, che fu completamente distrutto, così come la sede della Cooperativa dei badilanti e a quella dei terrazzieri. Secondo quanto riferisce Boragno, la forza pubblica non riuscì a impedire le violenze, né a identificare i responsabili, a causa dell'oscurità e per la rapidità delle azioni. I fascisti violarono poi le abitazioni dei più noti esponenti socialisti e comunisti distruggendole. In particolare era stata invasa e derubata l'abitazione del deputato Umberto Grilli, devastato il suo studio legale e quello dell'avvocato Saracinelli, con asportazione di libri e documenti incendiati nella strada[2].

Secondo il prefetto di Grosseto, negli scontri ci fu un morto e 10 feriti e il giorno successivo altre 7 persone colpite da corpi contundenti si erano recate in ospedale. Uno dei feriti era morto, mentre dell'uccisione del senese Rino Daus venne accusato il fabbro Sante Ceccaroli sulla base di deboli prove, che poi si rivelarono infondate. Ceccaroli fu catturato, picchiato brutalmente e incarcerato. Rimesso in libertà qualche tempo dopo morì, innocente, per le conseguenze delle percosse subite[2].

Tra le vittime della violenza squadrista ci furono Arcadio Diani[6], Angelo Francini, Giovanni Neri oltre ad una trentina di feriti[7]. L'ispettore di Pubblica Sicurezza Alfredo Paolella relazionò che la maggioranza dei carabinieri dopo l'ingresso dei fascisti in città fraternizzarono con questi e che "quando la mattina del 30 si diede la scalata al municipio per esporvi la bandiera, i fascisti erano accompagnati da un brigadiere e due carabinieri"[8].

Prima di lasciare la città gli squadristi riaprirono la sede del Fascio che secondo la relazione di Paolella arrivò immediatamente a contare oltre 400 iscritti. Sedi del Fascio aprirono rapidamente in tutta la provincia[5].

Il 1º luglio 1921 la salma di Daus fu traslata da Grosseto a Siena, nella sala dell'Accademia dei Rozzi, locale sede del Fascio in piazza Indipendenza. Il funerale ebbe luogo il 2 luglio. Il corteo funebre partì dalla sede del Fascio alle ore 10.30 giungendo al cimitero della Misericordia alle 13. Alle esequie parteciparono tutte le principali autorità civili e religiose, tutte le associazioni cittadine, rappresentanze dei fasci della provincia e della regione, e secondo lo stesso Chiurco - l'organizzatore della spedizione punitiva contro Grosseto - parteciparono oltre diecimila persone (pur durante il giorno del Palio) comprese tutte le bandiere delle Contrade listate a lutto[9].

Pochi giorni dopo, il 6 luglio 1921, gli squadristi grossetani attaccarono il paesino di Roccastrada nell'ambito delle iniziative di rappresaglia successive alla morte di Rino Daus. Durante le devastazioni gli squadristi uccisero 10 cittadini di Roccastrada. I responsabili furono amnistiati.

Nascita e declino del mito e sua interpretazione[modifica | modifica wikitesto]

Durante le sue esequie, nella piazza del Carmine dove si trovava la sede del Fascio di Combattimento, Dino Perrone salutò la salma con queste parole:

«Tutti noi desideriamo di morire così, tutti noi vorremmo essere come oggi tu sei nel cuore della Patria. Tu sei veramente l'eletto.»

Pur non essendo un personaggio di spessore intellettuale o politico, data anche la sua morte prematura, Rino Daus divenne il martire fascista di Siena. L'eroe a cui tributare tutti gli onori, potente icona del martirologio fascista. L'albergo della famiglia, ove abitava, si trasformò in una sorta di luogo di pellegrinaggio, ove terminavano le manifestazioni fasciste senesi durante il ventennio.[10] A lui furono intitolati lo stadio comunale (oggi "Stadio Artemio Franchi") e un grande viale (oggi viale Trento).

«Lo stadio, che era stato intitolato a un giovane fascista ucciso, Rino Daus, tornò a essere Stadio Comunale (in realtà nel parlato popolare non aveva mai smesso – né ha smesso in seguito - di chiamarsi affettuosamente “il Rastrello” dal nome del podere sul cui terreno era sorto). I due viali Trento e Trieste cancellarono le intitolazioni, ancora una volta, a Rino Daus e al XXVIII Ottobre giorno della Marcia su Roma del 1922.[11]»

Il suo nome trovò posto nelle antologie usate nelle scuole elementari italiane[12] e nella Mostra della Rivoluzione Fascista del 1932.

Il corpo di Rino Daus fu traslato il 27 novembre 1938, insieme ad altre nove salme di fascisti dell'epoca[13], nella cripta della chiesa di San Domenico che divenne il Sacrario Fascista della città. La salma e il suo busto in bronzo, opera di Ezio Trapassi, rimasero nella cripta fino al 1945 quando, su iniziativa delle autorità, le tombe in marmo furono svuotate e i corpi inumati nei cimiteri della città e ogni suo riferimento venne rimosso nel rifacimento della toponomastica cittadina.

La traslazione di queste salme nella chiesa è stata recentemente interpretata dallo storico Gerald Parsons come un esempio da manuale della collaborazione fra fascismo e Chiesa e del tentativo fascista di connotarsi con una mistica sincretista legata al culto dei suoi morti[14].

È sepolto presso il cimitero della Misericordia di Siena in una tomba che porta il suo nome, decorata dal busto di Trapassi.

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ Segretario regionale del sindacato ferrovieri e direttore del periodico fiorentino Azione comunista, Lavagnini fu ucciso dagli squadristi fascisti come ritorsione per l'attentato anarchico contro un corteo formatosi il 27 febbraio 1921 per l'inaugurazione dei Fasci d'avanguardia in cui avevano trovato la morte lo studente Carlo Menabuoni e il carabiniere Antonio Petrucci. In risposta i fascisti quello stesso giorno freddarono il ferroviere socialista Gino Mugnai, colpevole di non essersi tolto il cappello al passaggio della vettura che trasportava il carabiniere all'ospedale, e lo stesso Lavagnini - del tutto estraneo ai fatti - che venne ucciso a colpi di pistola. Vedi: Mimmo Franzinelli, Squadristi, p. 306
  2. ^ a b c d e f g Franco Dominci, Giulietto Betti, Maremma in FEZ. La conquista fascista della città di Grosseto, su nctufo.it, Il nuovo corriere del Tufo. URL consultato il 5 giugno 2021.
  3. ^ Roberto Vivarelli, Storia delle origini del fascismo, volume III, Il Mulino, 2012, pp. 245-247
  4. ^ Roberto Vivarelli, Storia delle origini del fascismo, volume III, Il Mulino, 2012, pag 246
  5. ^ a b c Roberto Vivarelli, Storia delle origini del fascismo, volume III, Il Mulino, 2012, pag 247: "«...le cose precipitarono dopo che, con un inganno, i socialisti uccisero uno dei fascisti senesi, il ventenne Rino Daus»
  6. ^ In Gli antifascisti grossetani nella guerra civile spagnola di Fausto Bucci, Simonetta Carolini, Andrea Tozzi e Rodolfo Bugiani - Follonica 2000, secondo quanto riportato da Mimmo Franzinelli in Squadristi. Protagonisti e tecniche della violenza fascista. 1919-1922 la vittima si chiamava Angelo
  7. ^ Squadristi. Protagonisti e tecniche della violenza fascista. 1919-1922 - Mimmo Franzinelli - Mondadori 2003 - p.341
  8. ^ Roberto Vivarelli, Storia delle origini del fascismo, volume III, Il Mulino, 2012, pag 254
  9. ^ Giorgio Alberto Chiurco Storia della Rivoluzione Fascista, Vallecchi editore, Firenze
  10. ^ Bullettino Senese di Storia Patria - CIV, Accademia Senese degli Intronati, Siena, 1998, pag.475
  11. ^ Duccio Balestracci, La caduta del fascismo e la toponomastica [collegamento interrotto], su sienafree.it, 1-3-2009. URL consultato il 22-4-2010.
  12. ^ Patria. Letture per la terza classe dei centri urbani, p.125 di Adele e Maria Zanetti - Istituto Poligrafico dello Stato 1940
  13. ^ Alessandra Staderini, La "Marcia dei Martiri": la traslazione nella cripta di Santa Croce dei caduti fascisti (PDF) [collegamento interrotto], su eprints.unifi.it, unifi.it, p. 196. URL consultato il 7-6-2010.
  14. ^ (EN) Gerald Parsons, Fascism and Catholicism: A Case Study of the Sacrario dei Caduti Fascisti in the Crypt of San Domenico, Siena (abstract), in Journal of Contemporary History, vol. 42, n. 3, 2007, pp. 469-484, DOI:10.1177/0022009407078332. URL consultato il 7-6-2010.

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

  • Luca Luchini, Siena 1940-1944. Il dramma della guerra e della liberazione, Siena, edizioni il Leccio, 2008.
  • Mimmo Franzinelli, Squadristi. Protagonisti e tecniche della violenza fascista. 1919-1922 - Mondadori, 2003.
  • Fausto Bucci, Simonetta Carolini, Andrea Tozzi e Rodolfo Bugiani - Gli antifascisti grossetani nella guerra civile spagnola - Follonica - La Ginestra, 2000.
  • Roberto Cresti, Maura Martellucci. Stradario. Curiosità e stranezze nei toponimi di Siena - Siena, Betti editrice, 2004.
  • Gerald Parsons, "Fascism and Catholicism: A Case Study of the Sacrario dei Caduti Fascisti in the Crypt of San Domenico", Journal of Contemporary History, Vol. 42, No. 3, 469-484, 2007.
  • Ernesto Sestan, Memorie di un uomo senza qualità, Le Lettere, Firenze, 1997.
  • Bruna Talluri, Le origini del fascismo e il giornalismo senese 1919-1922, Editrice La Pietra, Sesto San Giovanni, 1994.
  • Ernesto Zucconi, I caduti dimenticati: 1919-1924, Novantico Editore, Pinerolo, 2002.
  • Nicola Gallerano, Luigi Ganapini, Massimo Legnani, L'Italia dei quarantacinque giorni, Istituto Nazionale per la Storia del Movimento di Liberazione, Milano, 1969.
  • Alessandra Staderini, La «Marcia dei martiri»: la traslazione nella cripta di Santa Croce dei caduti fascisti, Annali di Storia di Firenze, III, 2008.
  • Roberto Vivarelli, Storia delle origini del fascismo, volume III, Il Mulino, 2012

Quotidiani e riviste[modifica | modifica wikitesto]

  • Andrea Bianchi Sugarelli, "Senesi protagonisti della Marcia su Roma", Corriere di Siena, 30 ottobre 2002.
  • Andrea Bianchi Sugarelli, "È morto il podestà Socini Guelfi", Corriere di Siena, 19 agosto 2008.
  • "Rino Daus", Il Carroccio di Siena, numero 136.

Voci correlate[modifica | modifica wikitesto]

Collegamenti esterni[modifica | modifica wikitesto]