Physalis peruviana

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Physalis peruviana
Physalis peruviana
Stato di conservazione
Specie non valutata
Classificazione APG IV
Dominio Eukaryota
Regno Plantae
(clade) Angiosperme
(clade) Mesangiosperme
(clade) Eudicotiledoni
(clade) Eudicotiledoni centrali
(clade) Superasteridi
(clade) Asteridi
(clade) Euasteridi
(clade) Lamiidi
Ordine Solanales
Famiglia Solanaceae
Sottofamiglia Solanoideae
Tribù Physaleae
Genere Physalis
Specie P. peruviana
Classificazione Cronquist
Dominio Eukaryota
Regno Plantae
Divisione Magnoliophyta
Classe Magnoliopsida
Ordine Solanales
Famiglia Solanaceae
Genere Physalis
Specie P. peruviana
Nomenclatura binomiale
Physalis peruviana
L.
Nomi comuni

Frutto della passione

Physalis peruviana L. è una pianta arbustiva della famiglia delle Solanacee[1].

Il nome italiano del frutto è alchechengio peruviano[2] o uciuva (traslitterazione italiana dallo spagnolo andino uchuva). Viene anche chiamato alchechengio giallo, ribes del Capo (dall'inglese Cape gooseberry) o erroneamente frutto della passione, confondendolo con i frutti del genere Passiflora, a cui non appartiene. Si può chiamare anche fisaglia, ma questo termine include generalmente anche i frutti di altre specie di genere Physalis.

Descrizione[modifica | modifica wikitesto]

Frutto

Il frutto presenta una forma rotondeggiante, di colore giallo, dolce e piccolo (tra 1,25 e 2 cm di diametro), il cui aroma può essere descritto come un pomodoro dolce con retrogusto di ananas e vaniglia. Si può mangiare sia da solo che sotto forma di conserva mediante sciroppo, nei preparati dolciari e assieme ad altri frutti dolci.

L'arbusto di Physalis peruviana si caratterizza per possedere un tipo di ramificazione a foglie "pendenti", e normalmente cresce fino a un metro d'altezza, anche se esistono casi in cui la potatura, il rinvaso e la buona cura possono farle raggiungere fino a due metri d'altezza. Per quanto riguarda i fiori, essi risultano essere gialli e con forma a campana, questo è molto importante perché permette una più facile impollinazione da parte degli insetti e dal vento.

Distribuzione e habitat[modifica | modifica wikitesto]

La specie è diffusa in Bolivia e Brasile occidentale[1].

Usi[modifica | modifica wikitesto]

Nonostante la sua conoscenza risalga al periodo precolombiano (soprattutto nelle zone andine ove era un alimento tradizionale), è stato descritto soltanto in tempi recenti. Oggigiorno ha conquistato molti mercati nell'Unione Europea e negli Stati Uniti. I principali Paesi consumatori sono l'Inghilterra e la Germania. Attualmente si coltiva in Perù, Colombia, Ecuador, California, Sudafrica, Australia, Kenya, Egitto, India, Caraibi, Asia e Hawaii. La pianta è anche coltivata e consumata in Turchia, ove è conosciuta con il nome di altın çilek cioè "fragola d'oro", anche se assomiglia più ad una ciliegia. È molto usata per fare il tè, marmellate e per guarnire torte; viene consumata come frutta.

In Italia i frutti dell'alchechengio si possono trovare in alcune farmacie e parafarmacie sotto forma di bacche disidratate e in qualche supermercato. Sono di importazione e provengono generalmente dalla Colombia. Raramente l'alchechengio viene coltivato in Italia, ma esistono tentativi locali di diffusione su piccola scala.

Si può consumare da sola o nelle insalate, fornendo così un gusto agrodolce ai cibi. In alcuni Paesi come Colombia e Perù si stanno già sviluppando industrie per ricavare prodotti quali marmellate, yogurt, dolci, gelati, liquori. Inoltre servono anche da elemento decorativo (ha la stessa forma delle ciliegie) nelle torte e nei dolci. Possiede un medio contenuto di proteine, vitamine e sali minerali.

Inoltre l'arbusto di Physalis peruviana viene utilizzato per proteggere il suolo dall'erosione: infatti, grazie alla sua crescita robusta ed espansiva, tende a ricoprire vaste zone di terreno.

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ a b (EN) Physalis peruviana, su Plants of the World Online, Royal Botanic Gardens, Kew. URL consultato il 24/4/2024.
  2. ^ (EN) T.K. Lim, Physalis peruviana, in Edible Medicinal and Non-Medicinal Plants, vol. 6, Dordrecht, Springer, 2013, pp. 300-309, DOI:10.1007/978-94-007-5628-1, ISBN 978-94-007-5627-4.

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