Vele di Scampia

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Vele di Scampia
Veduta d'insieme
Localizzazione
StatoBandiera dell'Italia Italia
LocalitàNapoli
Coordinate40°53′56.18″N 14°14′22.02″E / 40.898938°N 14.23945°E40.898938; 14.23945
Informazioni generali
Condizioniin fase di demolizione
Costruzione1962-1975
Inaugurazione1975
DemolizioneVela F 1997,
Vela G 2000,
Vela H 2003,
Vela A 2020
UsoAbitazioni private
Realizzazione
ArchitettoFrancesco Di Salvo
ProprietarioComune di Napoli

Le vele di Scampia sono un complesso residenziale costruito nell'omonimo quartiere di Napoli tra il 1962 e il 1975.[1] Prendono il nome dalla loro forma triangolare, che ricorda quella di una vela: ogni costruzione, larga alla base, va restringendosi man mano che si sale verso i piani superiori.

Il complesso venne progettato dall'architetto Francesco Di Salvo ed era originariamente composto da 7 edifici su un'area di 115 ettari; quattro di questi edifici sono stati demoliti nel 1997, 2000, 2003 e 2020;[2][1] dei tre rimasti, due saranno demoliti mentre l'ultimo verrà riqualificato.[3] Il quartiere e le aree comuni del complesso divennero nel tempo luoghi malfamati, sedi di traffici illeciti e le vele stesse divennero simbolo del degrado del quartiere di Napoli.[3][1]

Storia[modifica | modifica wikitesto]

Nate a seguito della legge n. 167 del 1962, facevano parte di un progetto abitativo di larghe vedute che prevedeva anche uno sviluppo della città di Napoli nella zona est, ossia Ponticelli. Esse restano, nonostante tutto, l'opera realizzata che meglio rappresenta la poetica architettonica del progettista.[4] L'esordio di Di Salvo nell'ambito della progettazione per l'edilizia economica e popolare risale al 1945 con la realizzazione, in collaborazione con altri architetti, del Rione Cesare Battisti a Poggioreale, che rappresentò all'epoca il paradigma di una «nuova maniera di pensare» la residenza sociale.[4] Dopo anni di continue sperimentazioni progettuali, si vide affidare dalla Cassa del Mezzogiorno l'incarico di realizzare a Scampìa un grande complesso residenziale.[5]

Furono costruite tra il 1962 e il 1975 su un progetto ispirato all'Existenzminimum, una corrente architettonica per la quale l'unità abitativa del singolo nucleo familiare avrebbe dovuto essere ridotta al minimo indispensabile, con quindi una spesa costruttiva contenuta, ma con spazi comuni dove la collettività si integrava; Di Salvo realizzò il progetto ispirandosi ai vicoli del centro storico di Napoli che, nelle sue intenzioni, sarebbero dovuti essere ricreati in un condominio.

Ispirandosi ai princìpi delle unités d’habitation di Le Corbusier, alle strutture «a cavalletto» proposte da Kenzo Tange e più in generale ai modelli macrostrutturali,[6] Di Salvo articolò l'impianto del rione su due tipi edilizi: a «torre» e a «tenda». Quest'ultimo tipo, che imprime l'immagine predominante del complesso delle Vele, è contraddistinto dall'accostamento in sezione di due corpi di fabbrica lamellari inclinati, separati da un grande vuoto centrale e attraversato da lunghi ballatoi sospesi a un'altezza intermedia rispetto alle quote degli alloggi. Nel progetto erano inoltre previsti centri aggregativi e spazi comuni, uno spazio di gioco per bambini e altre attrezzature collettive. La mancata realizzazione di questo «nucleo di socializzazione» è stata certamente una concausa del suo clamoroso fallimento.[7] Il progetto è analogo - ma solo nella forma a piani digradanti - a quello degli edifici progettati nel 1960 da André Minangoy per la Baie des Anges[8] di Villeneuve-Loubet, nel Sud della Francia, che hanno avuto ben altro sviluppo e riscosso un notevole successo. Altre edifici simili sono presenti nel villaggio olimpico di Montreal.

Se da un lato alcuni, sostenitori del brutalismo, affermano che la qualità tecnica ed estetica delle Vele possa essere quantomeno apprezzabile, resta innegabile la «inabitabilità» delle stesse, anche per ragioni che vanno al di là dell'architettura.[9]

L'area in cui le Vele sorsero ricadeva in due lotti contigui, separati da uno dei rami del reticolo viario (l'intero territorio di Scampia fu diviso in vari lotti da edificare). Nel lotto M furono costruite quattro Vele, indicate alfabeticamente con le lettere A, B, C, D. Nel lotto L furono costruite le restanti tre, indicate dalle lettere F, G e H. Accanto alla classificazione alfabetica se ne aggiunse, alle vele rimaste in piedi dopo il 2003, una cromatica cosicché ogni Vela venne denominata da parte della popolazione del quartiere attraverso un colore: vela rossa, vela celeste, vela gialla, vela verde.

Scorcio di una vela, nel 2015

Le vele di Scampia versano in un grave stato di degrado.[10] L'idea del progetto prevedeva grandi unità abitative dove centinaia di famiglie avrebbero dovuto integrarsi e creare una comunità, grandi vie di scorrimento e aree verdi tra le varie vele; una vera e propria città modello, ma varie cause hanno portato a quello che venne poi definito un ghetto,[11] in primis il terremoto dell'Irpinia del 1980, che portò molte famiglie, rimaste senzatetto, a occupare anche abusivamente gli alloggi delle vele.[12][13] A questo intreccio di eventi negativi si è associata la mancanza totale di presidi dello Stato: il primo commissariato di Polizia fu insediato solo nel 1987, a quindici anni dalla consegna degli alloggi. La situazione ha allontanato sempre di più una parte della popolazione, lasciando il campo libero alla delinquenza. I giardini sono divenuti luogo di raccolta degli spacciatori, i viali sono piste per corse clandestine, gli androni dei palazzi luogo di incontro di ladri e ricettatori.

Tra il 1997 e il 2003 sono state abbattute tre delle sette strutture iniziali, lasciando in piedi le restanti quattro.[14] La decisione di agire su una situazione di forte degrado fu presa sul finire degli anni ottanta, sostenuta e ventilata dalla popolazione che denunciava le gravi condizioni delle Vele. La prima a cadere fu la Vela F, demolita con le ruspe nell'agosto 1998, dopo un primo tentativo con esplosivi fallito nel dicembre 1997 (ne cadde solo una parte, lasciando i piani più alti praticamente intatti e in bilico sulle macerie sottostanti). La seconda fu la Vela G, la cui demolizione tramite esplosivi fu eseguita con successo nel febbraio 2000[15] sotto la direzione dell'esplosivista Danilo Coppe. Allo stesso modo, la Vela H, inizialmente esclusa dalle demolizioni in quanto da riqualificare e rifunzionalizzare, venne invece anch'essa abbattuta nell'aprile 2003.[16] I primi due interventi furono promossi dalla giunta comunale guidata dal sindaco Antonio Bassolino, il terzo da quella presieduta da Rosa Russo Iervolino.

Il 29 agosto 2016 una delibera comunale ha previsto l'abbattimento di tre vele e la riqualificazione della quarta, la vela celeste. Il Comune ha inviato il progetto al governo per ottenerne l'approvazione per lo stanziamento di diciotto milioni di euro, fondi necessari per procedere con l'intervento.[17] Il 3 marzo 2017 è stata ufficializzata dal sindaco Luigi de Magistris l'approvazione dello stanziamento dei finanziamenti necessari per la demolizione di tre delle quattro vele rimanenti. Nel 2019 Il Comune ha lanciato il nuovo step di Restart Scampia, il progetto finanziato con 27 milioni di euro che prevede l'abbattimento di tre vele e la riqualificazione del quartiere, ristrutturando la vela celeste, che ospiterà gli uffici della Città Metropolitana.

Il 20 febbraio 2020 è iniziata l'opera di demolizione della vela verde, conclusasi nel luglio dello stesso anno.[18]

Influenza culturale[modifica | modifica wikitesto]

Cinema[modifica | modifica wikitesto]

Il film Le occasioni di Rosa di Salvatore Piscicelli del 1981 fu il primo a essere ambientato presso le Vele che in quel momento si mostravano ancora integre, seguirà poi Diario napoletano di Francesco Rosi nel 1992.

Il film Gomorra di Matteo Garrone è stato in parte girato presso le Vele, mostrandone sia gli esterni sia gli interni delle abitazioni e dei corridoi tra i vari pianerottoli, allo scopo di consegnare al pubblico la visione di uno spaccato sociale spesso sconosciuto e ignorato. Gli edifici compaiono spesso anche in Gomorra - La serie. Alcune scene del film Ammore e malavita (2017) dei Manetti Bros. sono state girate alle Vele.

Saggi[modifica | modifica wikitesto]

Le vele di Scampia sono citate in numerosi libri, tra i quali alcune opere saggistiche di Antonio Bassolino,[12] Giorgio Bocca,[19] Davide Cerullo[20][21] e Roberto Saviano.[22]

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ a b c Scampia, cade la Vela verde. Ma non basta per abbattere Gomorra, su la Repubblica, 20 febbraio 2020. URL consultato il 21 febbraio 2020.
  2. ^ Vela verde di Scampia, è iniziata la demolizione: colpi nel silenzio e applausi dopo 40 anni di lotta, su la Repubblica, 20 febbraio 2020. URL consultato il 21 febbraio 2020.
  3. ^ a b È iniziato l'abbattimento della Vela A di Scampia, a Napoli, su Il Post, 20 febbraio 2020. URL consultato il 21 febbraio 2020.
  4. ^ a b Benedetto Gravagnuolo, Le Vele, il naufragio di un’utopia, su architettiroma.it, 29 maggio 2003 (archiviato dall'url originale il 29 ottobre 2013).
  5. ^ Sergio Betti, La società civile a Scampia scende in campo per ridare fiducia e speranza al Sud (PDF), Lavoro. URL consultato il 9 aprile 2012 (archiviato dall'url originale il 4 marzo 2016).
  6. ^ Gerardo Ausiello, Addio alle Vele di Scampia; i «mostri» saranno abbattuti, Il Mattino. URL consultato il 9 aprile 2012 (archiviato dall'url originale il 14 marzo 2012).
  7. ^ Pietro Pagliardini, Diversi pareri sulle vele di Scampia, su de-architectura.com, 11 aprile 2011. URL consultato il 9 aprile 2012 (archiviato dall'url originale il 12 settembre 2011).
  8. ^ patrizia, Villeneuve Loubet, Marina Baie des Anges: scempio o poesia?, su fashionfortravel.com, 31 luglio 2013. URL consultato il 20 febbraio 2020.
  9. ^ Francesca Cicatelli, Napoli. Scampia, le vele della discordia, su patrimoniosos.it, PatrimonioSOS, 6 ottobre 2010.
  10. ^ Isabella Guarini, Le case a vela di Scampia-Napoli, su terpress.blogspot.it, TerPress.
  11. ^ Agata Marianna Giannino, Tra le vele di Scampia prima dell’abbattimento, in il Giornale, 20 aprile 2019. URL consultato il 14 maggio 2019.
    «Nel vuoto istituzionale, con l’assenza di servizi di prossimità, il sovraffollamento e l’abbandono, è nato un ghetto dove ha trovato spazio quella criminalità che, soprattutto per lo spaccio di stupefacenti, ha reso le vele un simbolo negativo del quartiere e di Napoli.»
  12. ^ a b Bassolino, p. 50.
  13. ^ Enrico Fierro, Napoli, da Scampia arriva una lezione: la periferia può rinascere senza guerre tra poveri, in il Fatto Quotidiano, 14 maggio 2019. URL consultato il 14 maggio 2019.
  14. ^ Giulia Tesauro, Scampia, crollano le vele. Il documentario di Gunpania, su caffenews.it, CafféNews.
  15. ^ Scampia, ore 16 salta la Vela G quartiere in festa, su ricerca.repubblica.it, Repubblica.it.
  16. ^ Ore 15, addio alla Vela H, su ricerca.repubblica.it, Repubblica.it.
  17. ^ Napoli, diciotto milioni di euro per abbattere tre Vele di Scampia, su napoli.repubblica.it, Repubblica.it.
  18. ^ ANSA, A Scampia al via la demolizione delle Vele 'Gomorra'.
  19. ^ Bocca, p. 20.
  20. ^ Cerullo, Davide, 1974-, Visages de Scampia : les justes de Gomorra, Éditions Gallimard, 2018, ISBN 978-2-07-278156-8, OCLC 1039525547. URL consultato il 24 gennaio 2020.
  21. ^ Davide Cerullo, Diario di un "buono a nulla": Scampia, dove la parola diventa riscatto, Società Editrice Fiorentina, 2016, ISBN 978-88-6032-390-3, OCLC 1045991779. URL consultato il 24 gennaio 2020.
  22. ^ Gerhard Wild, Saviano, Roberto, J.B. Metzler, 22 novembre 2020, pp. 1–1, ISBN 978-3-476-05728-0. URL consultato il 2 agosto 2023.

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

Voci correlate[modifica | modifica wikitesto]

Altri progetti[modifica | modifica wikitesto]

Collegamenti esterni[modifica | modifica wikitesto]