Harpagornis moorei

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Aquila di Haast
Illustrazione e ricostruzione del cranio di Harpagornis
Stato di conservazione
Estinto
Classificazione scientifica
Dominio Eukaryota
Regno Animalia
Phylum Chordata
Classe Aves
Sottoclasse Neornithes
Ordine Accipitriformes
Famiglia Accipitridae
Genere Harpagornis
Haast, 1872
Nomenclatura binomiale
† Harpagornis moorei
Haast, 1872

L'aquila di Haast o aquila gigante della Nuova Zelanda (Harpagornis moorei, Julius von Haast, 1872) è una specie estinta di aquila di grandi dimensioni, nativa dell'Isola del Sud, in Nuova Zelanda, che compare anche nelle leggende dei popoli Maori sotto il nome di Pouākai.[1] Questo uccello è attualmente la più grande aquila mai esistita. Si pensa che le sue dimensioni siano una risposta evolutiva alle dimensioni delle sue prede abituali, ossia i giganteschi uccelli non volanti moa (di cui l'esemplare più grande ritrovato avrebbe raggiunto un peso pari a 230 kg)[2], che abitavano le sue stesse isole. L'aquila di Haast si estinse intorno al 1400, a seguito dell'estinzione dei moa, anch'essi cacciati fino all'estinzione quando i primi maori arrivarono sulle isole.[3]

Descrizione[modifica | modifica wikitesto]

Ricostruzione artistica di un'aquila di Haast mentre attacca una coppia di moa, al pascolo.[2]

L'Aquila di Haast, attualmente detiene il record come aquila più grande mai esistita. Sebbene vi siano stati uccelli ben più grandi di essa, come Argentavis e Teratornis, si pensa essi fossero in realtà avvoltoi. Un'altra aquila gigante fossile, che potrebbe rivaleggiare in dimensioni con l'aquila di Haast è l'aquila di Woodward (Amplibuteo woodwardi), più recente e conosciuta per resti ben più scarsi.[4] Come nella maggior parte delle aquile, le femmine erano significativamente più grandi dei maschi. Secondo la maggior parte delle stime, un'aquila di Haast femmina avrebbe raggiunto i 10–15 kg di peso, mentre i maschi circa 9–12 kg.[5] Usando come paragone le aquile dell'Australasia, le stime parlano di un peso di 11,5 kg per i maschi e di 14 kg per le femmine.[5] Secondo altre stime le femmine avrebbero potuto raggiungere addirittura i 16,5 kg di peso.[6] Tuttavia, nessuna aquila esistente oggi supera i 9 kg di peso, allo stato selvaggio, pur essendo circa il 40% più piccole di un'aquila di Haast.[7]

La morfologia delle ossa della zampa dell'aquila di Haast, a confronto con il suo parente più prossimo, l'aquila minore australiana

Nonostante il suo peso, questo uccello aveva un corpo relativamente breve se comparato all'apertura alare. Si stima che gli esemplari femmine avessero un'apertura alare di ben 2,6 metri, e forse anche di 3 metri, in alcuni casi.[8][9] Questa apertura alare è sostanzialmente simile alla media delle dimensioni nel sesso femminile in alcune aquile esistenti: uccelli come le aquile cuneate (Aquila audax), le aquile reali (A. chrysaetos), le aquile marziali (Polemaetus bellicosus) e le aquile di mare di Steller (Haliaeetus pelagicus), possono anche superare i 2,5 metri di apertura alare, così come molti dei più grandi avvoltoi esistenti del Vecchio Mondo; sebbene non superino l'aquila di Haast in peso, la raggiungono in apertura alare.[7][10]

Tuttavia, un'apertura alare ridotta potrebbe aver aiutato l'aquila di Haast a cacciare nelle foreste più fitte e nelle macchie d'alberi della Nuova Zelanda, dove un'apertura ala più voluminosa avrebbe impedito rapidi movimenti essenziali per la caccia. La ridotta apertura alare dell'aquila di Haast è stata talvolta interpretata, in modo erroneo, come un'evoluzione biologica verso la perdita della capacità del volo, ma non è così; piuttosto essa rappresenta un allontanamento dalla modalità dei suoi antenati del volo veleggiato, verso un volo più adatto al carico alare, avendo probabilmente ali molto più ampie.[11]

Sebbene la maggior parte delle ossa studiate fossero interne, alcuni resti dell'aquila di Haast hanno permesso agli scienziati di fare dei confronti con le altre aquile che vivono ai nostri giorni. L'aquila arpia (Harpia harpyja) e l'aquila delle Filippine (Pithecophaga jefferyi) sono tra le più grandi e potenti aquile in vita, insieme all'aquila di mare di Steller, che come l'aquila di Haast ha ridotto l'apertura alare per adattarsi meglio a vivere nelle foreste più fitte.[7] La mandibola dell'aquila di Haast misurava circa 11,4 cm e il tarso, in diversi fossili, misurava dai 22,7 ai 24,9 cm.[12] In confronto, il più grande becco delle aquile moderne (dall'aquila delle Filippine all'aquila di mare di Steller) raggiunge poco più di 7 cm; e il più grande tarso delle aquile moderne (dall'aquila delle Filippine all'aquila Papua) raggiunge i 14 centimetri.[10][13][14] Gli artigli dell'aquila di Haast erano simili in lunghezza a quelli dell'aquila arpia, con una lunghezza da 4,9 cm a 6,15 cm e un alluce-artiglio che forse poteva raggiungere gli 11 cm.[6] L'aquila delle Filippine è probabilmente la specie vivente più simile all'aquila di Haast, poiché anch'essa si è evoluta in un ambiente insulare da antenati più piccoli (apparentemente da primitivi bianconi) aumentando le dimensioni per effetto del gigantismo insulare, a causa dell'assenza di grandi mammiferi carnivori e altri predatori concorrenti.[15] Le zampe e le gambe dell'animale erano molto forti e probabilmente permettevano all'aquila di spiccare il volo da terra, con un iniziale salto, per poi battere le ali per sostenere il grande peso. La coda era quasi certamente lunga, superando i 50 cm negli esemplari femmine, ed era molto ampia. Questa caratteristica potrebbe compensare la riduzione della superficie alare, fornendo ulteriore portanza.[5] La lunghezza totale dell'animale è stimata a 1,40 metri nelle femmine, con un'altezza in piedi di circa 90 cm, o forse leggermente maggiore.[6]

Classificazione[modifica | modifica wikitesto]

L'Aquila di Haast fu descritta da Julius von Haast, nel 1871, da alcuni resti fossili scoperti da F. Fuller, in quella che era un'antica palude.[16] Haast ribattezzo la sua aquila con il nome scientifico Harpagornis moorei, insieme a George Henry Moore, il proprietario della Tenuta Glenmark, dove furono ritrovate le ossa dell'uccello.[17] Il nome generico, Harpagornis, deriva dal greco antico "harpax ", che significa "rampino" o "catapulta", e il suffisso "ornis", che significa "uccello".[16]

Evoluzione[modifica | modifica wikitesto]

L'analisi del DNA ha dimostrato che questo rapace è strettamente legato alle moderne aquila minore australiana e all'aquila minore, e non alla grande aquila cuneata, come si pensava in passato.[18] Se così fosse, l'Harpagornis moorei può eventualmente essere riclassificato come Hieraaetus moorei. Comunque, l'aquila di Haast si distaccò da queste aquile minori solo recentemente, tra i 1,8 milioni e i 700.000 anni fa. Se questa stima è corretta, il suo aumento di peso da dieci a quindici volte è stato incredibilmente rapido. Ciò è stato reso possibile in parte dalla presenza di grandi prede e dall'assenza di concorrenza con altri grandi predatori.[19]

Paleobiologia[modifica | modifica wikitesto]

Ricostruzione museale di un'aquila di Haast mentre attacca un moa, al Museum of New Zealand Te Papa Tongarewa

L'aquila di Haast si era perfettamente evoluta per dare la caccia ai grandi moa, giganteschi uccelli incapaci di volare che potevano pesare anche quindici volte il peso della stessa aquila.[5] Probabilmente l'animale scrutava dall'alto le sue possibili prede dopodiché si lanciava in picchiata su di esse schiacciandole con il suo stesso peso. Se i moa sfuggivano nella foresta, la stessa aquila poteva inseguirli tra gli alberi. Si stima che in picchiata l'animale potesse attaccare ad una velocità pari a 80 km/h,[20] arpionando il bacino delle sue prede con i suoi lunghi artigli, per poi ucciderli con micidiali colpi d'artigli o di becco alla testa o al collo. Se le prede erano abbastanza piccole probabilmente morivano sul colpo. Le dimensioni e il peso dell'animale indicano che la forza fisica impiegata dall'animale mentre era in picchiata sulle prede era equivalente ad un blocchetto di cemento lasciato cadere da un palazzo di otto piani.[21] Il grande becco dell'animale era perfetto per sventrare la preda e anche per colpire quest'ultima a morte una volta immobilizzata, causando la morte per dissanguamento. In assenza di altri grandi predatori o grandi spazzini, l'Harpagornis moorei monopolizzò facilmente queste categorie diventando un predatore attivo di moa, pappagalli, tuatara, pipistrelli e forse anche pesci, oltre che uno spazzino per le carogne, e monopolizzando una singola preda per giorni.[1]

Estinzione[modifica | modifica wikitesto]

Crani di due esemplari di Harpagornis moorei, al Museo di Canterbury

Fino alla recente colonizzazione umana che ha introdotto roditori e gatti, gli unici mammiferi autoctoni delle isole della Nuova Zelanda, erano tre specie di pipistrelli. Senza la concorrenza di grandi mammiferi terrestri e minacce di predatori, gli uccelli occuparono tutte le nicchie ecologiche presenti sulle isole, poiché non vi era alcuna minaccia alle proprie uova o ai pulcini da parte di piccoli animali terrestri. I grandi moa erano erbivori, sostituendo animali come cervi e bestiame in altri habitat, mentre l'aquila di Haast era il superpredatore dell'isola, sostituendo animali predatori come tigri e leoni in altri habitat.

I primi coloni in Nuova Zelanda (i Maori arrivati intorno all'anno 1280) cominciarono a dare una caccia indiscriminata agli uccelli atteri, tra cui tutte le specie di moa, che vennero cacciate fino alla loro completa estinzione, avvenuta circa nel 1400.[3] Con la perdita della sua principale preda e prima fonte di sostentamento, di conseguenza anche l'aquila di Haast, divenne sempre più rara fino ad estinguersi, circa nello stesso periodo. I Maori velocizzarono la sua estinzione, in quanto essi ne depredavano i nidi, uccidendo gli uccelli per le piume o perché li ritenevano pericolosi (un umano poteva essere un'ottima preda alternativa per un rapace in grado di abbattere un moa di 180 kg).[22]

Probabilmente durante il 1870, il celebre esploratore Charles Edward Douglas, sostiene nei suoi diari di aver avuto un incontro con due rapaci di dimensioni immense, mentre si trovava nella valle di Landsborough River. L'esploratore sparò ai due uccelli e li mangiò;[23] tuttavia è più probabile che si trattassero di falchi di palude di Eyles.

Nella cultura Maori[modifica | modifica wikitesto]

Statua dell'aquila di Haast, su Macraes Flat

Si ritiene che questi uccelli facessero parte delle credenze e delle leggende dei primi Maori, sotto i nomi di Pouakai, Hokioi o Hakawai.[20] Tuttavia, è stato accertato che il "Hakawai" e il "Hokioi" si riferiscono alla Coenocorypha, in particolare ad una sottospecie estinta dell'Isola del Sud.[24] Secondo un resoconto dato a Sir George Grey, gli Hokioi erano enormi predatori alati bianchi e neri con una cresta rossa e con la punta delle ali giallo-verde. In alcune leggende Maori, il Pouakai uccideva gli esseri umani, il che secondo gli scienziati sarebbe stato possibile se l'animale fosse proprio l'aquila di Haast, date le dimensioni, la massa e la forza dell'animale.[20] Anche le più piccole aquile reali sono in grado di uccidere prede grandi come il cervo Sika e cuccioli d'orso.[25]

Una statua in acciaio raffigurante l'aquila di Haast, è oggi esposta all'OceanaGold's Heritage and Art Park, a MacRaes, Otago, Nuova Zelanda. La scultura, del peso di circa 750 kg, è alta 7,5 metri, e ha un'apertura alare di 11,5 metri. La scultura è realizzato in tubo di acciaio inox e lamiera ed è stata progettata e costruita da Mark Hill, scultore di Arrowtown, in Nuova Zelanda.[26]

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ a b Giant eagle (Aquila moorei), Haast's eagle, or Pouakai. Museum of New Zealand: Te Papa Tongarewa. Retrieved 27 October 2010.
  2. ^ a b Davies, S. J. J. F. (2003)
  3. ^ a b George L.W. Perry, Andrew B. Wheeler, Jamie R. Wood e Janet M. Wilmshurst, A high-precision chronology for the rapid extinction of New Zealand moa (Aves, Dinornithiformes), in Quaternary Science Reviews, 1º dicembre 2014, DOI:10.1016/j.quascirev.2014.09.025. URL consultato il 22 dicembre 2014.
  4. ^ Suarez, W. (2004). The identity of the fossil raptor of the genus Amplibuteo (Aves: Accipitridae) from the Quaternary of Cuba. Caribbean Journal of Science, 40(1), 120-125.
  5. ^ a b c d D. H. Brathwaite, Notes on the weight, flying ability, habitat, and prey of Haast's Eagle (Harpagornis moorei) (PDF), in Notornis, vol. 39, n. 4, Ornithological Society of New Zealand, dicembre 1992, pp. 239–247. URL consultato il 26 gennaio 2014 (archiviato dall'url originale il 19 gennaio 2012).
  6. ^ a b c Worthy, T. & Holdaway, R., The Lost World of the Moa: Prehistoric Life of New Zealand. Indiana University Press (2003), ISBN 978-0253340344
  7. ^ a b c Wood, Gerald, The Guinness Book of Animal Facts and Feats, 1983, ISBN 978-0-85112-235-9.
  8. ^ Maas, P., Recently Extinct Animals - Species Info - Haast's Eagle, su petermaas.nl, The Sixth Extinction. URL consultato il 19 aprile 2013 (archiviato dall'url originale il 20 gennaio 2013).
  9. ^ Haast's Eagle, su palaeo.gly.bris.ac.uk, Paleobiology and Biodiversity Research Group. URL consultato il 19 aprile 2013 (archiviato dall'url originale il 5 maggio 2014).
  10. ^ a b Ferguson-Lees, J. e Christie, D., Raptors of the World, London, Christopher Helm, 2001, ISBN 0-7136-8026-1.
  11. ^ Haast's eagle, New Zealand giant eagle, su BBC. URL consultato il 30 settembre 2014 (archiviato dall'url originale il 28 febbraio 2009).
  12. ^ Hamilton, A. 1888. On Avian Remains in Southland. Transactions, The New Zealand Institute.
  13. ^ Ladyguin, Alexander (2000). The morphology of the bill apparatus in the Steller's Sea Eagle. First Symposium on Steller's and White-tailed Sea Eagles in East Asia pp. 1–10; Ueta, M. & McGrady, M.J. (eds.) Wild Bird Society of Japan
  14. ^ Blas R. Tabaranza Jr., Haribon – Ha ring mga Ibon, King of Birds, su haringibon2011.wordpress.com, Haring Ibon's Flight…. URL consultato il 2013.
  15. ^ Lerner, H. R., & Mindell, D. P. (2005). Phylogeny of eagles, Old World vultures, and other Accipitridae based on nuclear and mitochondrial DNA. Molecular phylogenetics and evolution, 37(2), 327-346.
  16. ^ a b Colin Tudge, The Secret Life of Birds: Who they are and what they do, Penguin Books Limited, 6 agosto 2009, p. 117, ISBN 978-0-14-196210-8.
  17. ^ Julius Haast, Notes on Harpagornis Moorei, an Extinct Gigantic Bird of Prey, containing Discussion of Femur, Ungual Phalanges and Rib, in Transactions and Proceedings of the New Zealand Institute, vol. 4, New Zealand Institute., 1872, pp. 193–196. URL consultato il 29 settembre 2014.
  18. ^ M. Bunce, Marta Szulkin, Heather R. L. Lerner, Ian Barnes, Beth Shapiro, Alan Cooper e Richard N. Holdaway, Ancient DNA Provides New Insights into the Evolutionary History of New Zealand's Extinct Giant Eagle, in PLoS Biology, vol. 3, n. 1, 2005, pp. e9, DOI:10.1371/journal.pbio.0030009, PMC 539324, PMID 15660162.
  19. ^ Ancient DNA Tells Story of Giant Eagle Evolution, in PLoS Biology, vol. 3, n. 1, 4 gennaio 2005, DOI:10.1371/journal.pbio.0030020. URL consultato il 1º dicembre 2015.
  20. ^ a b c Paul Rodgers, Maori legend of man-eating bird is true, su independent.ie, The Independent, 14 settembre 2009. URL consultato il 14 settembre 2009.
  21. ^ Kennedy Warne. Hotspot: New Zealand, National Geographic Magazine, October 2002. Retrieved 27 October 2010.
  22. ^ A. Tennyson e P. Martinson, Extinct Birds of New Zealand, Wellington, New Zealand, Te Papa Press, 2006, ISBN 978-0-909010-21-8.
  23. ^ T. H. Worthy e R. N. Holdaway, The lost world of the Moa: Prehistoric Life of New Zealand, Bloomington, Indiana University Press, 2002, ISBN 0-253-34034-9.
  24. ^ C. M. Miskelly, The identity of the hakawai (PDF), in Notornis, vol. 34, n. 2, 1987, pp. 95–116. URL consultato il 2 ottobre 2016 (archiviato dall'url originale il 18 gennaio 2012).
  25. ^ Golden eagle attacks deer in rare camera trap footage, su zsl.org, ZSL Conservation, 26 settembre 2013. URL consultato il 2 agosto 2014.
  26. ^ Giant art sculptures pop up in Otago, su 3news.co.nz, New Zealand, 3 News, 20 dicembre 2008. URL consultato il 2 ottobre 2016 (archiviato dall'url originale il 18 maggio 2014).
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    text version Archiviato il 24 marzo 2012 in Internet Archive.

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