Deinotheriidae

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Deinotheriidae

Scheletro di Prodeinotherium bavaricum

Ricostruzione artistica di Deinotherium bozasi
Stato di conservazione
Fossile
Classificazione scientifica
Dominio Eukaryota
Regno Animalia
Phylum Chordata
Classe Mammalia
Ordine Proboscidea
Sottordine †Plesielephantiformes
Famiglia Deinotheriidae
Kaup, 1829
Nomenclatura binomiale
†Deinotherium giganteum
Kaup, 1829
Sottogruppi

Areale dedotto di Deinotheriidae

Deinotheriidae (il cui nome significa "bestie terribili") è una famiglia estinta di mammiferi proboscidati simili a elefanti vissuti durante il Cenozoico, apparsi per la prima volta in Africa, per poi diffondendosi nell'Asia meridionale (Indo-Pakistan) e in Europa. Durante la loro evoluzione cambiarono relativamente poco nella loro morfologia, se non nelle dimensioni, le quali crebbero considerevolmente durante fino a divenire gli animali terrestri più grandi del loro tempo nel Miocene superiore. La caratteristica più distintiva erano le curiose zanne che puntavano verso il basso e all'indietro, e che inoltre spuntavano dalla mandibola anziché dalla mascella.

I deinotherii non erano molto diversi tra di loro; gli unici tre generi conosciuti, Chilgatherium, Prodeinotherium e Deinotherium, sono molto simili morfologicamente tra di loro. Questi tre generi formano una successione evolutiva, in cui ogni nuovo genere sostituisce il precedente. A differenza dei vari lignaggi di mammut e mastodonti, i deinotherii si estinsero all'inizio del Pleistocene, anziché prosperare nell'ultima era glaciale.

Descrizione[modifica | modifica wikitesto]

Illustrazioni scheletriche di D. "thraceiensis", due esemplari di D. giganteum, e D. proavum (da sinistra a destra)

La morfologia e le proporzioni corporee dei deinotherii erano molto simili a quelle degli elefanti moderni. Tuttavia, gli arti erano più lunghi di quelli degli elefanti moderni e presentavano diversi adattamenti per uno stile di vita cursorio. Il cranio era piuttosto più piatto e la mascella era priva di incisivi e canini, ma possedeva cinque molari a corona bassa su ciascun lato, con lo stesso numero nella mandibola. I deinotherii usavano i denti anteriori per schiacciare il cibo e i denti posteriori per tagliare (affettare) il materiale vegetale.[1] La parte anteriore della mandibola era rivolta verso il basso e da lì eruttavano i due grandi incisivi che formavano le zanne dell'animale. Questi si curvavano verso il basso e all'indietro in una sorta di enorme uncino e costituivano la caratteristica più distintiva dei deinotherii. Si pensa che queste zanne venissero utilizzate per spogliare la vegetazione o spostarla, piuttosto che per scavare.[1]

Ecologia[modifica | modifica wikitesto]

I deinotherii erano "brucatori tosatori" adattati per nutrirsi di piante sopra il livello del suolo.[1] Il modo in cui masticavano il cibo era probabilmente simile a quello dei moderni tapiri, con i denti anteriori utilizzati per schiacciare il cibo, mentre il secondo e il terzo molare hanno una forte azione di taglio verticale, con poca azione laterale (da lato a lato). Questa azione masticatoria differisce sia da quella dei gomphotheri (macinazione laterale) che da quella degli elefanti moderni (tosatura orizzontale). I molari dei deinotherii mostrano poca usura, indicando una dieta di vegetazione forestale morbida, non granulosa, con le zanne inferiori rivolte verso il basso utilizzate per rimuovere la corteccia o altra vegetazione.[1]

La specie Deinotherium giganteum presenta un avambraccio più allungato rispetto a Prodeinotherium del Miocene inferiore e medio, indicando un'andatura più efficiente come adattamento alla diffusione delle savane in Europa durante il tardo Miocene. I deinotherii probabilmente migrarono di foresta in foresta, attraversando le vaste praterie in cui non erano in grado di trovare cibo.[1]

Storia evolutiva[modifica | modifica wikitesto]

Modello museale di Deinotherium giganteum al Museo di storia naturale di Magonza

L'ascendenza e le relazioni evolutive dei deinotherii rimangono tuttora poco chiare. Si pensa che siano imparentati con i barytheriidi, a causa delle somiglianze nella struttura dei denti, tuttavia si differenziarono chiaramente dal resto dei proboscidati molto presto. Negli anni '70 diversi ricercatori li collocarono in un ordine separato dai Proboscidea, ma oggigiorno questa visione non è più considerata valida. Il più antico deinotheriio conosciuto è rappresentato dalla specie Chilgatherium harrisi dell'Oligocene superiore. I suoi resti fossili sono stati rinvenuti nel distretto di Chilga, in Etiopia (da cui il nome). Ciò indica che, come altri proboscidati, i deinotherii si evolvettero in Africa.

Chilgatherium era piuttosto piccolo se paragonato ai suoi discendenti, con dimensioni a metà strada tra quelle di un grosso maiale e un piccolo ippopotamo. All'inizio del Miocene, i deinotherii crebbero in grandezza, fino a raggiungere le dimensioni di un piccolo elefante, e migrarono in Eurasia a seguito dello spostamento della placca africana che causò il Proboscidean Datum Event,[2] evento durante il quale i proboscidati si diversificarono e si diffusero in Eurasia. Dall'Europa si conoscono diverse specie, tutte appartenenti al genere Prodeinotherium.

Durante il tardo Miocene medio, questi proboscidati di dimensioni modeste furono sostituiti da forme molto più grandi in tutta l'Eurasia. In Europa, Prodeinotherium bavaricum apparve nella zona faunistica dei mammiferi del Miocene inferiore MN 4, ma fu presto sostituito da Deinotherium giganteum nel Miocene medio. Allo stesso modo in Asia, Prodeinotherium è conosciuto dagli strati del Miocene inferiore nelle colline Bugti, e continuò ad esistere nella Formazione Chinji del Miocene medio, dove fu infine sostituito da D. indicum. Sebbene questi deinotherii del Miocene fossero ampiamente dispersi e si siano evoluti fino a raggiungere le dimensioni di enormi elefanti, non erano così comuni come i loro contemporanei (ma più piccoli) Elephantoidea. Resti fossili di questa epoca sono conosciuti dalla Francia, Germania, Grecia, Malta, India settentrionale e Pakistan. Questi resti sono costituiti principalmente da denti e ossa del cranio.

Sirenia

Proboscidea

Eritherium

Numidotherium

Barytherium

Deinotheriidae

Elephantiformes

Phiomia

Elephantoidea

Mammut

Gomphotherium

Elephantidae

A seguito dell'estinzione dei paraceratheri durante la transizione Oligocene-Miocene, i deinotherii divennero gli animali terrestri più grandi della loro era. Il tardo Miocene fu il periodo di massimo splendore per i deinotherii giganti. D. giganteum era comune nelle località vallesiane e turoliane dell'Europa. A Prodeinotherium, che era ragionevolmente ben rappresentato nel Miocene inferiore dell'Africa, successe D. bozasi all'inizio del Miocene superiore. E in Asia, D. indicum era più comune nella formazione Dhok Pathan del Miocene superiore. Denti fossili di D. giganteum, dalla formazione Sinap datati al Miocene superiore nel sito turco di Kayadibi, sono più grandi di quelli di località più antiche, come Eppelsheim, Wissberg e Montredon, indicando una tendenza all'aumento delle dimensioni dei membri della specie nel tempo. Questi erano gli animali più grandi del loro tempo, protetti sia dai predatori che dagli erbivori rivali in virtù della loro enorme mole. I mammut più grandi non si sarebbero avvicinati alle loro dimensioni fino al Pleistocene.

Con la fine del Miocene la fortuna cambiò il suo corso per questi animali. D. indicum si estinse circa 7 milioni di anni fa, forse portato all'estinzione dallo stesso processo di cambiamento climatico che aveva precedentemente eliminato l'ancor più enorme Paraceratherium, mentre in Europa fu la specie D. giganteum a prosperare, seppure con numeri in diminuzione, fino al Pliocene medio; l'esemplare più recente proviene dalla Romania. Tuttavia, nella sua terra d'origine africana, Deinotherium continuò a prosperare per tutto il Pliocene, con i suoi resti rinvenuti in diversi siti fossiliferi africani insieme a quelli dei primi ominidi. L'ultima specie ad estinguersi fu la specie africana D. bozasi.[3] Gli esemplari più recenti di questa specie provengono dalla Formazione Kanjera, in Kenya, risalente a circa 1 milione di anni fa (Pleistocene inferiore). Le cause dell'estinzione di un animale così longevo e di successo non sono note, sebbene in questo periodo si siano estinti anche un piccolo numero di altre specie di megafauna africana. Si suppone che la continua aridificazione del suo habitat abbia portato alla completa scomparsa delle foreste da cui questo animale dipendeva.

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ a b c d e Harris, J.M., Evolution of feeding mechanisms in the family Deinotheriidae (Mammalia: Proboscidea), n. 56, 1975, pp. 331–362.
  2. ^ Pascal Tessy, The 'Proboscidean Datum Event': How Many Proboscideans and How Many Events?, in European Neogene Mammal Chronology, NATO ASI Series (Series A: Life Sciences), vol. 180, Springer, 1990, pp. 237–252, DOI:10.1007/978-1-4899-2513-8_16, ISBN 978-1-4899-2513-8.
  3. ^ J. M. Harris, Cranial and dental remains of Deinotherium bozasi (Mammalia: Proboscidea) from East Rudolf, Kenya, in Journal of Zoology, vol. 178, n. 1, 2009, pp. 57–75, DOI:10.1111/j.1469-7998.1976.tb02263.x.

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

  • Carroll, R.L., Vertebrate Paleontology and Evolution, WH Freeman & Co., 1988.
  • Colbert, E. H., Evolution of the Vertebrates, 2nd, John Wiley & Sons Inc, 1969.
  • Gugliotta, Guy, Six New Species of Prehistoric Mammals Discovered in Africa Find Proves Elephants Originated on Continent, Scientist Says, Washington Post, 4 dicembre 2003, pp. A02.
  • J.M. Harris, Deinotherioidea and Barytherioidea, in Maglio, V. J. & Cooke, H. B. S., (eds.) 1978: Evolution of African mammals, Cambridge & London, Harvard University Press, 1978, pp. 315–332.
  • J.M. Harris, Family Deinotheriidae, in J. M. Harris, ed., Koobi Fora research project, Volume 2: The fossil ungulates: Proboscidea, Perissodactyla, and Suidae, Oxford, Clarendon Press, 1983, pp. 22–39.
  • Sanders, W.J., Proboscidea, in Mikael Fortelius (ed) Geology and paleontology of the Miocene Sinap Formation, Turkey, New York, Columbia University Press, 2003.
  • W. J. Sanders, J. Kappelman e D. T. Rasmussen, New large-bodied mammals from the late Oligocene site of Chilga, Ethiopia. (PDF), in Acta Palaeontologica Polonica, vol. 49, n. 3, 2004, pp. 365–392 (archiviato dall'url originale il 24 ottobre 2004).
  • "Dinotherium", 1911 Encyclopædia Britannica

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