Utente:Zanekost/Sandbox/Gerolamo Mengozzi-Colonna

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Giambattista Tiepolo, Banchetto di Cleopatra, particolare, Venezia, palazzo Labia: sotto al volto del moro è un presunto autoritratto di Tiepolo accompagnato da Gerolamo Mengozzi-Colonna

Gerolamo Mengozzi, detto il Colonna, talvolta citato come Girolamo Mingozzi-Colonna (Ferrara, 1686Venezia, 27 ottobre 1774 [1]), è stato un pittore italiano.

Biografia[modifica | modifica wikitesto]

La sua data di nascita è stata desunta dal certificato di morte, dove è detto «di anni 88». Secondo Antonio Maria Zanetti proveniva da una famiglia originaria di Tivoli, mentre Stefano Ticozzi lo diceva nato a Ferrara da una famiglia tirolese[2]. Il secondo cognome è un omaggio ai principi Colonna, per i quale lavorò durante il soggiorno romano.

Formazione Ferrara ed esordi in Veneto (ante 1696-1720[modifica | modifica wikitesto]

A Ferrara, ancora bambino, fu allievo di Francesco Scala e, dopo la sua scomparsa nel 1698, passò all'apprendistato presso Antonio Felice Ferrari che poi seguì nella Serenissima. Aiutando il maestro nei lavori al palazzo Basadonna di Este, a villa Widmann di Bagnoli, al palazzo Cavalli di Padova e a ca' Dolfìn di Venezia ebbe inizio il percorso che lo porto ad eleggere la sua nuova principale residenza in laguna.

Prima della morte del Ferrari nel 1920, collaborò in autonomia con Mattia Bortoloni nella villa Cornaro a Piombino Dese e con Giambattista Tiepolo nella villa Baglioni di Massanzago. A Piombino lavorò come prospettico dipingendo diverse architetture e forse fu anche progettista degli stucchi realizzati da Bortolo Cabianca; a Massanzago ebbe invece modo di dimostrare la sua abilità come quadraturista[3].

Accademico di San Luca a Roma (1722-1726)[modifica | modifica wikitesto]

Dopo queste esperienze si trasferì a Roma dove fu a servizio dei Colonna nel palazzo di piazza Santi Apostoli. Non ci restano tracce dei lavori lì eseguiti se non l'attribuzione del secondo cognome. Come Girolamo Colonna l'11 giugno 1724 fu infatti ammesso come Accademico di Merito all'Accademia di San Luca e il 3 giugno 1725 gli fu affidato l'incarico, assieme all'altro protegé dei Colonna Gasparo Vanvitelli, di tenere il nuovo corso di prospettiva. Il 1º gennaio 1726 i due furono anche incaricati del ruolo di «Assistenti de Forastieri». Tuttavia improvvisamente nel marzo dello stesso anno Mengozzi Colonna abbandonò Roma per tornare a Venezia[4].

Tolentini e Palazzo Zen???

Ritorno a Venezia con brevi diversioni (1726-1742)[modifica | modifica wikitesto]

Fu l'occasione per un nuovo incontro con Tiepolo con cui condivide l'incarico della decorazione della galleria del palazzo patriarcale di Udine dove si distinse per l'abilità nell'anamorfosi volta a correggere le irregolarità delle pianta del salone – abilità guadagnata nello studio del lavoro di Andrea Pozzo all Casa Professa romana – e nella dimestichezza con gli effetti di finto rilievo[5].

Nello stesso periodo, forte delle sue conoscenze prospettiche e per questo ricercato, iniziò una lunga e proficua attività come scenografo soprattutto nei due teatri d'opera dei Grimani, il San Samuele e il San Giovanni Grisostomo, attività che proseguirà anche fuori Venezia. Soltanto dell'allestimento torinese del Siroe di Giuseppe Scarlatti e Pietro Metastasio nel 1749 ci rimane un elaborato grafico, a quattro mani con Giambattista Crosato come figurista[6].

Verso il 1730 collaborò nuovamente con Tiepolo nella cappella di Santa Teresa[7] agli Scalzi e nel 1733 in quell del Crocifisso nella stessa chiesa, Non era ancora il rapporto quasi esclusivo che seguirà, in quegli anni infatti lavorò con Gaetano Zompini nella finta cupola dei Tolentini e nuovamente con Mattia Bortoloni nelle ville Albrizzi (poi Franchetti) a San Trovaso di Preganziol e Morosini Vendramin Calergi a Fiesso Umbertiano. Un ruolo pressoché svincolato dai figuristi lo ebbe nella decorazione di ca' Pesaro dove si incontrò con Giambattista Crosato. Probabilmente fu questi ad introdurlo a Filippo Juvarra che nel 1733 lo incaricò della decorazione dell'anticappella della palazzina di Stupinigi. Un brevissimo viaggio fuori Venezia per degli affreschi dove le figure (probabilmente di Crosato) sembrano elementi secondari funzionali ad ornare e ravvivare la quadratura, come a ca' Pesaro[8].

Non è improbabile che nel 1739 Mengozzi abbia coadiuvato Tiepolo per lo scomparto centrale del soffitto dei Gesuati: per quanto non esista una documentazione la differenza nella resa delle scale tra i primi due bozzetti (un terzo pare più una copia esatta del lavoro finito) e la puntigliosità esecutiva dello scalone contrapposta alla tecnica più evocativa, per questi dettagli, di Giambattista portano a confermare questa ipotesi. Un'altra presunta collaborazione potrebbe essere quella del 1740 a palazzo Clerici a Milano avvalorata dal fatto che Mengozzi si trovava già vicino in Lombardia, intento con altri quadratutristi nell'ornamentazione del palazzo Martinengo a Brescia. Certo è invece il nuovo incontro tra i due al palazzo Berbarigo di Santa Maria Zobenigo a Venezia nel 1742, dove Mengozzi, oltre ad incorniciare il soffitto e i sovraporta dell'altro, si occupò anche della decorazione a finti marmi delle pareti e degli ornati aggiunti a pittura sul pavimento in pastellone del salone ma di cui oggi poco resta[9].

Il periodo di maggiore collaborazione con Tiepolo (1743-1757)[modifica | modifica wikitesto]

L'apice della collaborazione tra Mengozzi-Colonna e Tiepolo lo abbiamo per la perduta decorazione del soffitto degli Scalzi, il più grande soffitto a fresco fino ad allora realizzato nel veneziano. A riprova del rilievo professionale del Mengozzi-Colonna in un primo contratto, una sorta di un atto preliminare, i frati vincolarono Tiepolo a servirsi di questo quadraturista. In un secondo contratto furono stabiliti i compensi: 3.000 ducati il figurista e 1.500 per il prospettico. Un ulteriore contratto con i carpentieri stabilivano che fosse il Colonna a dirigere l'adattamento del soffitto alle necessità dell'opera concepita, lavoro che durò ben due anni[10]. Un'ulteriore clausola raccomandava il Colonna di adattarsi alla policromia dei marmi dell'allestimento effettivo della chiesa concepito da Giuseppe Pozzo, non gradendo particolarmente forse l'effetto da bianco marmo di Carrara già eseguito nella cappella del Crocifisso[11]. L'ispirazione di questa leggera volta rococò era un traduzione di una fonte barocca romana, ancora una volta – la Gloria Santissimo nome di Gesù del Baciccio nella Chiesa del Gesù – e rivela la capacità di interazione nella coppia dei due maestri in caso di rapporti con dell'uno o dell'altro artisti diversi mai raggiunta[12].

Nulla ci resta delle ornamentazioni ricordate da Anton Maria Zanetti per la demolita chiesetta delle Cappuccine di Castello solo la tela centrale del Tiepolo (1744-1745) si è salvata, ricoverata all'Accademia. Invece sono stati rimossi e portati a Parigi nella collezione Jacquemard-André (ore museo) gli affreschi della villa Contarini Pisani dei Leoni dei Leoni a Mira, peraltro disponendoli piuttosto che in un unico ambiente, come in origine, e mutilando parte delle quadrature. Il complesso era dedicato a celebrare il Ricevimento di Enrico III, re di Francia (estate-autunno 1745?), proprio in quella dimora e programmaticamente trattava le immagini non come dipinti aggiunti e ridondanti ma come parte integrante dell'edificio stesso. Francesco Algarotti ebbe a sottolineare, come esempio da seguire ma scarsamente da altri raggiunto, la capacità di armonizzarsi dei due pittori che qui sapientemente duettavano come basso e soprano. E non dimenticava di vantarsi di esser stato come «maestro di cappella, che entrasse come terzo a compor le liti che ebbero in altre operazioni quei due valenti pittori». Certo è che grazie alla presenza in Venezia tra il 1744 ed il 1746 di Algarotti il rapporto saltuariamente professionale tra i due si trasformò in vera amicizia[13]. È rilevante che dell'affresco soffitto, esattemente quello mutilato di parte della quadratura, ci si giunto un bozzetto del Mengozzi che propone in due metà una coppia di ipotesi per la decorazione del soffitto: una di semplice incorniciatura ed l'altra con un preciso intento illusionistico, quella effettivamente utilizzata e decisamente più adatta alla soluzione tiepolesca dei personaggi affacciati[14].

Gaimbattista Tiepolo e Gerolamo Mengozzi-Colonna, Banchetto di Cleopatra, Venezia, palazzo Labia.

Un'altra opera affidta ai due fu la decorazione della sala di Palazzo Labia. Qui i pittori si trovarono perfettamente complici nel creare più che una rievocazione storica una rappresentazione teatrale con figuranti travestiti, come gli ospiti viventi nelle feste che lì si svolgevano. La sperimentata abilità scenografica del Mengozzi è particolarmente rappresentata nel Banchetto di Cleopatra con il colonnato aperto sul paesaggio del porto e il ballatoio per i musici che sorregge ma nche nei trompe l'oeil di tutto il resto della sala con architetture possibili solo dipinte. Viene da notare il supposto omaggio di Tiepolo all'amico quadraturista nel ritratto che accompagna il suo autoritratto ai margine sinistro del Banchetto. Un altro presunto ritratto del Mengozzi si trova sulla sinistra della tela col Banchetto di Cleopatra (1747?) ora a palazzo Archangelskoye vicino a Mosca per cui è lecito supporre una collaborazione del prospettico anche qui e viene supposta nche per la versione dello stesso soggetto della National Gallery of Victoria a Melbourne (1744)[15].

A tutti gli effetti è possibile supporre che il Colonna abbia collaborato col Tiepolo anche in opere di dimensioni minori dei cicli a fresco, magari talvolta soltanto come mero esecutore di architetture già concepite, ad osservare i bozzetti sopravvissuti. È il caso, oltre ai Banchetti, già citati delle pale San Clemente papa adora la Trinità (1739, Monaco, Alte Pinakothek) o Apparizione della Vergine col Bambino a San Filippo Neri (1740, Camerino, Museo diocesano)[16].

Un incarico della Congregazione dell'Arca di Sant'Antonio nel gennaio 1748 vedeva coinvolti Giorgio Massari, Tiepolo ed il Mengozzi «li più esperti de tempi nostri» per il rinnovo della cappella del Santissimo Sacramento del Santo di Padova, affinché «degno fusse il recinto di quella capella in coerenza alla dignità dell'altare ed alla magnificenza di quell'antico insigne tempio della costruttione di una nuova cupola adornata di piltture e finti marmi». Disgraziatamente la subentrata mancanza di fondi, esauriti prima per riparare i danni dell'inondazione nel giugno dello stesso anno nelle proprietà della Congregazione ad Anguillara e poi quelli arrecati dal grave incendio del 1749, rinviò i lavori sine die e alla fine no vi si rinunciò[17].

Anni di Tiepol a Würtzburg ? Con Crosato a Ca' Rezzonico?

Un particolare degli affreschi nel coro della chiesa dei Santi Faustino e Giovita a Brescia

Con Giandomenico Tiepolo a Brescia (1754) cupola in piena autonomia

Con GB e GD Tiepolo a Villa Valmarana (1757)

Idem palazzo Trento-Valmarana (1757) distrutto bombardamento 18/3/1945

Villa Soderini distrutta 26 novembre 1917

Ca' Rezzonico con Tiepolo (1757-?)

Gli ultimi anni[modifica | modifica wikitesto]

dovette rinunxiare a Stra, ultrasettentenne

san geremia???

chiesetta palazzo ducale con figlio Agostino (firmati) e guarana figurista (1766) [problemi Ottocento][18]

TENTATIVI NON RIUSCITI di entrare all'Accademia Ultima sua notizia di attività pubblica fu la sua nomina tra i sindaci del collegio dei pittori di Venezia il 28 dicembre 1769[19].

Notizie personali[modifica | modifica wikitesto]

Fra le scarsissime notizie sulla vita privata del pittore emerge quella di un censimento del 1750, affidato dal Magistrato alle Pompe ai parroci, in cui risulta vivere in calle della chiesa a Santa Sofia assieme a «4 putte e 3 putti», cioè sette figli giovani e molto probabilmente vedovo. Solo il figlio Agostino seguì la carriera del padre riuscendo aa essere nominato maestro di architettura all'Accademia veneziana nel 1990. Dalle informazioni del censimento sappiamo che pagava un affitto di 50 ducati, importo allineato a quanto versato da altri colleghi pittori e indice di una vita agiata[20].

vecchia redazione residua[modifica | modifica wikitesto]

Collaborò anche con il figlio del Tiepolo, Giandomenico nell'Apoteosi dei santi Faustino, Giovita, Benedetto e Scolastica, dipinta tra il 1754 e il 1755 per la chiesa dei Santi Faustino e Giovita a Brescia. Qui il Colonna dipinse le pareti dell'intero coro con la realizzazione di quadrature che raffigurano persone affacciate da finte ringhiere e false nicchie contenenti statue circondate da nubi[21].

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ Manadarano 2009
  2. ^ Domenichini 2004, p. 199 n. 1; Mandarano 2009.
  3. ^ Domenichini 2004, pp. 169-170, 210-212.
  4. ^ Domenichini 2004, pp. 171-173.
  5. ^ Domenichini 2004, pp. 173, 222-226.
  6. ^ Domenichini 2004, pp. 173-174, 185-186, 267, 269.
  7. ^ Gli affreschi cappella venivano comunemente assegnati agli anni '20 o addirittura il 1715, comunque prima della partenza per Roma, Michael Levey (1988) la suppose invece verso il 1730 e in ogni caso contemporanea agli affreschi udinesi cfr. Pedrocco-Gemin, p. 233 sch. 46; Frank 1998, pp. 105, 108 n. 1; Domenichini 2004, pp. 176, 245.
  8. ^ Domenichini 2004, pp. 176-177, 209-210, 218-222, 226-228, 241-243, 245-247.
  9. ^ Domenichini 2004, pp. 179, 214, 233, 243-245, 276.
  10. ^ Bercham 1979, p. 340 n. 1.
  11. ^ Frank 1998, p. 107.
  12. ^ Domenichini 2004, pp. 179-181, 245-247.
  13. ^ Domenichini 2004, pp. 181-182, 215-218, 278.
  14. ^ Pavanello 1979, pp. 52-59.
  15. ^ Pedrocco-Gemin, pp. 268 sch. 308, 400 sch. 380; Domenichini 2004, pp. 182-185, 206, 212, 234-239.
  16. ^ Pedrocco-Gemin, pp. 323 sch. 224, 335 sch. 238; Domenichini 2004, pp. 185, 208, 214.
  17. ^ La citazione è tratta dalla supplica della Congregazione al Consiglio dei Dieci (13 luglio 1748) per la concessione del rinvio dei lavori, Domenichini 2004, pp. 185, 203 n. 67, 277; per le ulteriori cause della sospensione vedi anche: Antonio Massari, Giorgio Massari architetto veneziano del Settecento, Vicenza, Neri Pozza, 1971, pp. 123-124.
  18. ^ Delorenzi 2014, pp- 34-36, 42-43.
  19. ^ Domenichini 2004, p. 169.
  20. ^ Federico Montecuccoli degli Erri,, Venezia 1745-1750. Case (e botteghe) di pittori, mercanti di quadri, incisori, scultori, architetti, stampatori e altri personaggi veneziani, in Atti e memorie dell'Ateneo Veneto, Venezia, Ateneo Veneto, 1998, pp. 63-140. citato in Domenichini 2004, pp. 186, 203 n. 74.
  21. ^ Begni Redona 1999, p. 127.

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

  • Pier Virgilio Begni Redona, Pitture e sculture in San Faustino, Brescia, Gruppo banca lombarda), 1999, SBN IT\ICCU\UBO\4203424.
  • Giovanni Treccani degli Alfieri, Enciclopedia Italiana di scienze, lettere ed arti
  • Riccardo Domenichini, Girolamo Mengozzi Colonna, in Saggi e Memorie di storia dell'arte, vol. 28, Fondazione Giorgio Cini Onlus, 2004, pp. 169-291.
  • (EN) William Barcham, Giambattista Tiepolo's Ceiling for S. Maria di Nazareth in Venice: Legend, Traditions, and Devotions, in The Art Bulletin, vol. 61, n. 3, New York, CAA, 1979, pp. 430-447.
  • Martina Frank, Appunti sul rapporto tra Giambattista Tiepolo e Gerolamo Mengozzi, in Lionello Puppi (a cura di), Giambattista Tiepolo nel terzo centenario della nascita, Padova, Il Poligrafo, 1998, pp. 105-110.
  • (EN) Keith Christiansen, Tiepolo, Theater, and the Notion of Theatricality, in The Art Bulletin, vol. 81, n. 4, New York, CAA, 1999, pp. 665-692.
  • Filippo Pedrocco e Massimo Gemin, Giambattista Tiepolo – i dipinti, opera completa, Venezia, Arsenale, 1993.
  • Nicolette Mandarano, Mengozzi, Girolamo, in Dizionario biografico degli italiani, vol. 73, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 2009. URL consultato il 22 gennaio 2018.
  • Adriano Mariuz, Le storie di Antonio e Cleopatra – Giambattista Tiepolo e Girolamo Mengozzi Colonna a Palazzo Labia, Venezia, Marsili, 2004.
  • Marina Magrini, Il testamento di Girolamo Mingozzi Colonna, in Arte documento. Rivista di storia e tutela dei beni culturali, n. 14, 2000, pp. 191-195.
  • Giuseppe Pavanello, Un progetto di Gerolamo Mengozzi Colonna per Giambattista Tiepolo: «La Salla per il N. H. Vicenza Pisani alla Mira», in Bollettino dei Musei Civici Veneziani, n. 1-4, Venezia, 1979, pp. 52-59. URL consultato il 28 febbraio 2021.
  • Paolo Delorenzi, Devozione, potere e segreti a Palazzo Ducale: la Chiesetta del Collegio tra storia e arte, in Camillo Tonini e Cristina Crisafulli (a cura di), La Chiesetta del Doge a Palazzo Ducale di Venezia, Crocetta del Montello/Venezia, Antiga/Muve, 2014, pp. 21-53.
  • Enrico Lucchese, Dalla figura alla quadratura. Nuovi esempi di decorazione profana pittorica del Settecento veneziano, in AFAT, Verona-Trieste, Scripta, 2013, pp. 73-88.