Utente:Melancholia~itwiki/Sandbox1

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La facciata
StatoBandiera dell'Italia Italia
Regione  Lombardia
LocalitàMilano
ReligioneCristiana cattolica di rito ambrosiano
TitolareSant'Alessandro martire
ArchitettoFrancesco Maria Richini, Lorenzo Binago
Stile architettonicoBarocco
Inizio costruzione1601
CompletamentoXVIII secolo

La chiesa di Sant'Alessandro in Zebedia è una chiesa parrocchiale di Milano situata nell'omonima piazza cittadina. Costruita sul tradizionale luogo di prigionia di sant'Alessandro martire, la chiesa è caratterizzata da una pianta a croce greca inscritta in una pianta rettangolare con volte poggianti su colonne isolate e interni completamente affrescati. Se per le caratteristiche architettoniche l'edificio rappresenta il punto di congiunzione tra il tardo manierismo e il barocco, la decorazione pittorica e scultoria eseguita a cavallo di tutto il secolo è uno dei cicli più completi del Seicento lombardo.

Storia[modifica | modifica wikitesto]

Fondazione e origine del nome[modifica | modifica wikitesto]

L'area della chiesa rispettivamente nella mappa dell'ing. Clarici del 1579 (a sinistra) e del Catasto Teresiano del 1751 (a destra)

La fondazione dell'attuale edificio della chiesa di Sant'Alessandro in Zebedia risale ai primissimi anni del XVII secolo. L'area su cui sorge il complesso era situata in epoca romana alla periferia di Mediolanum, non lontano dalle mura repubblicane: in particolare l'area era all'epoca occupata da un carcere, indicato come "di Zebedia" o "Zebedeo", da cui la futura chiesa avrebbe preso il nome[1].

Secondo l'archeologo ed epigrafista Giovanni Labus, la prima notizia della presenza di un carcere sull'area è attestata da una pergamena del Codice diplomatico Sant'Ambrosiano risalente all'863; successivamente da un'iscrizione risalente al 1085 ed altre due pergamene risalenti al 1128 e al 1217[2]. Secondo l'agiografia cristiana in questo carcere sarebbe stato imprigionato sant'Alessandro martire assieme ad altri soldati della legione tebana: finite quindi le persecuzioni il carcere, simbolo delle persecuzioni contro i cristiani, fu demolito e sulle sue rovine innalzata una primitiva chiesa dedicata al martire, di cui si ha traccia dal V secolo[3]. A testimonianza della presenza del carcere, lo storico milanese Serviliano Latuada cita gli scritti coevi alla costruzione dell'attuale chiesa redatti dall'arciprete del duomo di Monza Pietro Paolo Bosca, che testimoniano il ritrovamento di fondamenta antiche con anelli e catene durante gli scavi per le fondazioni dell'edificio[4].

L'antica chiesa di Sant'Alessandro[modifica | modifica wikitesto]

Chiesa e collegio di Sant'Alessandro in un'incisione di Marcantonio Dal Re (ca. 1745)

Sull'area dell'attuale chiesa era quindi presente fin dal V secolo una chiesa sempre dedicata al martire molto più piccola dell'attuale: il Latuada dà questa informazione citando la testimonianza del Beroldo, cronista milanese del XII secolo che descrive la chiesa nel percorso cittadino delle rogazioni[5]: questa chiesa presentava una pianta quadrata divisa in tre navate con cappelle laterali. Assieme alla primitiva chiesa di Sant'Alessandro, sull'area erano presenti altri due edifici religiosi: l'oratorio di San Pancrazio, presente anche sulla pianta della città di Milano del 1579, e l'oratorio della Pace, di cui è nota solo la posizione a nord della chiesa di Sant'Alessandro[6]. Già sede parrocchiale almeno dal XIV secolo, l'antica Sant'Alessandro fu affidata a chierici secolari fino al 1589 quando fu ceduta, in cambio di una pensione di cento scudi annui al parroco rimasto, ai chierici regolari di San Paolo o Barnabiti bisognosi di una sede più centrale rispetto a quella casa madre, situata al di fuori delle mura medievali[7][8].

La primitiva Sant'Alessandro si dimostrò sin da subito inadeguata alle esigenze dell'ordine, sia per la sua angustia, sia per il logoro stato di conservazione:

«Aedes autem vetusta Alexandri, quam ego, cum nondum ex ephebis excessissem, incolumem spectavi, angusta erat, subobscura ac fatiscenti pariete[9]»

Furono quindi iniziate nello stesso anno le trattative per l'acquisizione dell'oratorio di San Pancrazio con l'obiettivo di costruire un tempio adeguato alle necessità del nuovo ordine che aveva lo scopo di diffondere i dettami della chiesa controriformata Tridentina[10], acquisizione che si sarebbe conclusa solo sei anni dopo, con la clausola che nelle nuova chiesa fosse costruita una cappella dedicata a San Pancrazio come compensazione della demolizione dell'oratorio[11]. L'ambizioso progetto dell'ordine si scontrò tuttavia con i numerosi ordini religiosi presenti nella zona, in particolare coi Carmelitani della retrostante chiesa di San Giovanni in Conca che arrivarono a scrivere al futuro arcivescovo Federico Borromeo, lamentandosi della già eccessiva presenza di ordini religiosi e chiese nella zona. Sebbene inizialmente categoricamente contrari, i carmelitani dovettero scontrarsi con l'ingombrante influenza, seppur postuma, del cardinale e futuro santo Carlo Borromeo che fu il principale fautore del progetto: dopo due anni di complesse trattative si giunse a un accordo tra le parti, con la sola promessa che la nuova chiesa non avrebbe avuto la facciata rivolta verso la chiesa di San Giovanni in Conca[12][13].

La costruzione della chiesa[modifica | modifica wikitesto]

Incisione anonima della chiesa di Sant'Alessandro verso la prima metà del XIX secolo

Un primo progetto per la nuova chiesa fu redatto nel 1596 dal barnabita Giovanni Ambrogio Mazenta, già attivo a Bologna e Napoli, che propose un grandioso progetto per cui si resero necessarie ulteriori acquisizioni di stabili circostanti[11]: il progetto prevedeva una pianta longitudinale che andasse ad occupare l'area acquistata fino all'odierna piazza Missori, dove tuttavia la congregazione voleva lasciare dello spazio per erigere l'edificio del collegio[14]. Nel 1601 il progetto fu infine affidato a Lorenzo Binago, anch'egli barnabita e profondo conoscitore dell'architettura di Roma, dove soggiornò prima del suo ritorno a Milano per la committenza del nuovo Sant'Alessandro[15][16]: l'architetto barnabita pensò per la chiesa una particolare pianta formata da una croce greca iscritta in una pianta centrale quadrata, ovvero una croce greca con quattro spazi posti agli "angoli" della pianta, di chiara derivazione bramantesca, a cui veniva aggiunto un ulteriore spazio retrostante occupato dal coro e dalla sacrestia, formando quindi una pianta nel complesso longitudinale. Sebbene il Binago abbia pubblicato molte versioni del progetto della chiesa, questo impianto rimase sempre invariato, risultando di fondo come il tema centrale della costruzione[17].

I primi progetti per la facciata risalgono invece al 1606 ad opera del varesotto Onorio Longhi, allora attivo a Roma, con una facciata ad edicola con paraste a scandire la facciata e portale fiancheggiato da semicolonne binate ispirato alla romana chiesa di santa Maria Valicella; con tuttavia alcune variazioni per l'ordine superiore. Diversi disegni invece furono effettuati dal Binago e dall'allievo Francesco Maria Richini, dove il tema della facciata ad edicola fu sempre ripresa[18].

I lavori partirono ufficialmente nel marzo del 1602 con una cerimonia officiata dall'arcivescovo di Milano Federico Borromeo[6], tuttavia i lavori procedettero molto lentamente fino al 1607, quando in meno due anni furono completate la sacrestia e la Cappella di Tutti i Santi. Nel 1613 fu abbattuto l'oratorio di San Pancrazio e furono iniziati i lavori strutturali per la cupola maggiore centrale[17]. Non vi sono al contrario documenti circa l'abbattimento dell'antica Sant'Alessandro: ipotesi più probabile è che buona parte delle mura perimetrali e fondazioni siano state inglobate dal nuovo edificio, il che rende ancor più interessante l'impianto a croce greca combinata, in tal caso sovrapposta al precedente edificio[19]. Dal 1610 le fonti coeve iniziano invece ad essere contrastanti sullo stato di avanzamento dei lavori: in alcuni atti i lavori dell'edificio vengono descritti in stato avanzato nel 1620, mentre in altri la chiesa era quasi completata nel 1613; è tuttavia certo che nel 1611 venne celebrata nella chiesa la ricorrenza della canonizzazione di San Carlo Borromeo[1].

Nel 1626 i lavori risultavano in uno stato piuttosto avanzato: le mura perimetrali e le volte erano pronte, comprese quelle delle cappelle, le cui decorazioni erano iniziate a partire dal 1623, così come la parte inferiore della facciata. Nello stesso anno le colonne giganti angolari erano già poggiate e la cupola appena terminata quando, durante il disarmo della centina, emersero delle crepe sulla struttura[20]. Si propose quindi dapprima di rafforzare con armature le strutture già esistenti, tuttavia dopo vari dibattiti si decise di abbattere la cupola e ricostruirla da capo. La ricostruzione fu affidata a Gerolamo Quadrio, che la disegnò meno slanciata della precedente versione, andando così a sopperire la sospetta inadeguatezza delle fondazioni della struttura[1].

Nonostate la decorazione delle cappelle iniziò oltre 60 anni prima, l'esecuzione della decorazione interna degli spazi pubblici iniziò solamente nel 1683, anche per i problemi statici della cupola, a partire dal coro (1683-1686); seguirono presbiterio (1683-1686), cupola maggiore (1693-1697), volte (1695-1697), cupole laterali (1696-1698) ed infine la controfacciata nel 1699, con cui si concluse il ciclo di decorazioni pittoriche della chiesa[21].

Solo nei primi anni del XVIII secolo la facciata fu finalmente portata a compimento dall'architetto barnabita Marcello Zucca: nel 1704 il cantiere venne riaperto per essere concluso nel 1711 con il completamente del campanile sinistro; nel 1717 fu infine terminata la scalinata[22].

Architettura[modifica | modifica wikitesto]

Facciata e decorazione esterna[modifica | modifica wikitesto]

Particolare del frontone e della cupola

Come già chiarito la facciata fu ideata e costruita in due momenti differenti. La parte inferiore, disegnata dal Binago, è più tardo manierista che barocca: divisa in cinque partizioni mediante l'uso di paraste di ordine corinzio, nella partizione centrale è inserita una nicchia ad arco ribassato retta da due colonne sempre di ordine corinzio; nella nicchia il portale decorato da una cornice ed una modanatura rettilinea è sormontato dal bassorilievo della Visione di Sant'Alessandro dello scultore comasco Stefano Sampietro. Nelle altre quattro partiture troviamo, simmetricamente, nicchie racchiuse in una cornice sormontata da timpano triangolare con statue di San Pietro e San Paolo sempre del Sampietro, mentre nelle due partiture esterne vi sono i due portali laterali decorati con timpano curvilineo e sormontati da finestre rettangolari decorate con volute[23].

La parte superiore della facciata fu realizzata solo in un secondo momento quasi un secolo dopo l'inizio del cantiere: sebbene segua il progetto originale del Binago ispirato a Santa Maria in Carignano a Genova, si nota immediatamente l'architettura decisamente più barocca rispetto all'ordine inferiore. Sempre rispetto al progetto originale il corpo superiore fu notevolmente abbassato dallo Zucca, in modo da rendere ben visibile sulla piazza la cupola monumentale. L'ordine superiore riprende le partiture verticali della base, con cui è unita con delle volute, ed è decorato con un finestrone e nicchie: la cornice superiore mistilinea è ulteriormente decorata da sette Angeli, sempre del Sampietro. Perdute sono invece le statue attestate fino al XVIII secolo della Fede, della Speranza e di Sant'Alessandro, visibili tuttavia nelle incisioni dell'epoca. Il corpo centrale della facciata è quindi fiancheggiato da due campanili settecenteschi[22].

Secondo una consuetudine introdotta nell'architettura lombarda da Pellegrino Tibaldi, il fianco della chiesa su via Zebedia è interamente scandito da paraste di ordine corinzio che riprendono la decorazione della facciata. Perno dell'edificio è la cupola centrale, per la quale fu realizzata una facciata ribassata rispetto al progetto originale proprio per permetterne la vista dalla piazza: la cupola fu realizzata con un alto tamburo scandito da paraste binate di ordine ionico inframezzate da finestroni con frontoni mistilinei[24]

Interni[modifica | modifica wikitesto]

Gran parte della decorazione fu eseguita da personaggi vicini all'accademia Ambrosiana e all'accademia di San Luca di Corconio[25].

Crociera e cupola[modifica | modifica wikitesto]

Decorazione della cupola

Lo spazio della crociera è il perno dello spazio interno: centro della croce greca della pianta, è perno per la direzionalità data dall'aggiunta del presbiterio che rompe l'unità della pianta centrale. Lo spazio è dominato dalle otto colonne in granito rosa di Baveno di ordine corinzio inserite nel taglio degli angoli dei piloni: assieme a questi, le colonne reggono le volte a tutto sesto riccamente decorate da marmi, pietre preziose e stucchi[24].

La decorazione del complesso della cupola (1693-1697) fu eseguita dai pittori milanesi Filippo Abbiati e Federico Bianchi. A partire dalla base della cupola si hanno Virtù oratorie sui pennacchi, in linea con la commissione barnabitica della chiesa: sono raffigurate rispettivamente la Sottigliezza, l'Agilità, l'Impassibilità e la Chiarezza. Sul tamburo la decorazione prosegue con quattro raffigurazioni alternate del vecchio e del nuovo testamento: sono rispettivamente dipinte l'Incontro di Salomone e della regina di Saba, la Parabola del banchetto delle nozze, la Danza di Maria e Mosè e la Parabola dei lavoratori della vigna. La decorazione termina col grandioso affresco sulla cupola con la Gloria dei Santi: il lavoro, da alcuni studiosi attribuito al solo Abbiati, per la sua impetuosità e scenografia anticipa le tematiche e lo stile dell'arte rococò[26].

Battistero[modifica | modifica wikitesto]

Il battistero affrescato

Situato a sinistra del portone d'ingresso, ricavato da uno spazio della controfacciata, il battistero fu ultimato alla fine del XVII secolo. Gli affreschi, terminati nel 1695, furono realizzati dal pittore detto il Romagnolo: sulla sinistra è presente Il ritrovamento di Mosè nel Nilo, alla destra Samuele unge Re Davide, mentre nella parete frontale è raffigurato Il battesimo di Gesù, dove San Giovanni Battista somministra il battesimo a Gesù mentre tiene un bastone con la mano sinistra. Sulla volta, che sembra retta dai quattro putti in stucco presenti sui pennacchi, è rappresentato il Padreterno circondato da angeli che reggono un cartiglio recante la scritta HIC EST FILIUS MEUS DILECTUS. Al centro, il fonte battesimale in marmo è protetto da un ciborio in noce decorato con volute e teste d'angelo[27].

Cappella dei Cittadini o dell'Assunta[modifica | modifica wikitesto]

Decorata nel 1683 dai fratelli Giacinto e Agostino Santagostino[28].

Cappella dei Balbi o di San Giuseppe[modifica | modifica wikitesto]

Cappella dei Marliani o del Corpus Domini[modifica | modifica wikitesto]

Cappella di San Pancrazio[modifica | modifica wikitesto]

Influenze e sviluppi successivi[modifica | modifica wikitesto]

Secondo lo storico dell'arte Rudolf Wittkower, consapevole dell'evidente l'ispirazione al San Pietro bramantesco, inserisce Sant'Alessandro in un gruppo di chiese dell'epoca per "eredi" della pianta centrale bramantesca, tra cui la Chiesa del Gesù Nuovo di Napoli (1584), Sant'Ambrogio (1587) a Genova, Santa Maria della Sanità a Napoli (1602), il duomo Nuovo di Brescia (1604) e la Chiesa di San Carlo ai Catinari a Roma (1612): tutte chiese caratterizzate da un impianto principale a croce greca inscritta in un quadrato con qualche piccola modifica[29].

Il Wittkower è peraltro uno dei più più grandi estimatori della chiesa di Sant'Alessandro, che considera come il gradino intermedio tra le chiese manieristiche a pianta mista centrale/longitudinale e le chiese barocche a pianta longitudinale[30]:

«Sant'Alessandro, perciò, è in un certo senso la piú interessante di questa serie di grandi chiese. Essa contiene un’altra importante caratteristica: gli archi delle crociere poggiano su colonne isolate [...] L’unione di due piante centrali in un solo progetto aveva una lunga genealogia [...] ma fu solo nell'ambiente bramantesco dell’Italia settentrionale che il tipo completamente elaborato emerse in forma di un coordinamento di due spazi coperti da cupola di dimensioni diverse, a pianta centrale e perfettamente omogenei; una sistemazione, tra l’altro, che aveva l’autorevole sostegno della classicità»

La novità quindi secondo Wittkower fu non il semplice sovrapporre due piante centrali, bensì la giustapposizione di più spazi prima separati[31]:

«Il Sant'Alessandro, del Binago, rappresenta un passo importante verso la fusione di due unità precedentemente separate: ora il braccio lontano della grande unità a croce greca appartiene anche al più piccolo spazio coperto da cupola. In più, la spaziosa volta fra i due gruppi a pianta centrale ne rende la separazione impossibile. Così l’unificazione di due gruppi a pianta centrale dà come risultato un disegno longitudinale di carattere riccamente variato»

Secondo lo storico dell'arte tedesco il Sant'Alessandro fu quindi il passaggio fondamentale che permise al Richini, allievo del Binago ed attivo nel cantiere, di realizzare la pianta longitudinale della chiesa di San Giuseppe realizzata dalla combinazione, questa volta senza sovrapposizione, di due piante a croce greca che aprì la stagione barocca milanese[32].

Lo storico dell'arte Cesare Brandi individua nella pianta del Sant'Alessandro, oltre alla nota basilica di San Pietro del Bramante, l'influenza della chiesa di Santa Maria in Carignano dell'Alessi, attivo a Milano nel tardo Cinquecento. In particolare lo schema così modificato assieme all'uso delle colonne libere a reggere le volte fu riproposto dal Lantana nel Duomo Nuovo e successivamente nella cappella Reale dell'Hôtel des Invalides a Parigi di Jules Hardouin Mansart[33]. Sempre per la pianta a croce greca "allungata" e per la facciata "a tabernacolo" il Brandi riconosce nella romana chiesa di Santa Maria in Campitelli di Carlo Rainaldi un'importante citazione del modello del Binago[34].

Jorge Stabenow inserisce in primo luogo la chiesa di Sant'Alessandro in Zebedia come il culmine del lavoro del Binago e parte di un percorso di formazione e crescita dello stesso architetto: punto di partenza del lavoro dell'architetto barnabita fu la chiesa di San Paolo di Casale Monferrato, a pianta centrale e un lungo abside, forse ispirata alla non lontana bramantesca chiesa di Santa Maria Annunziata di Roccaverano. In questa prima fase lo storico dell'arte propone anche l'influenza del progetto bramantesco, mai realizzato, per la chiesa dei Santi Celso e Giuliano di Roma; per poi evolvere nei già citati modelli di San Pietro e Santa Maria in Carignano[35].

Tra le influenze del Sant'Alessandro si può citare inoltre la struttura del San Carlino del Borromini, possibilmente studiata durante il suo apprendistato presso il Richini: a partire da una pianta rettangolare, il Borromini ne smussa gli angoli, non più a 45 gradi ma a 30, andando ad aggiungere delle otto colonne che reggono la cupola[36].

Dedica e reliquie[modifica | modifica wikitesto]

Circa le reliquie conservate nella chiesa scriveva nel 1666 il Priorato[37]:

«Vi si riverisce gran numero di reliquie, in particolare di Sant'Alessandro Alfiere Thebeo che fu quivi carcerato, di Santo Biagio, di Santa Maria Maddalena. Il corpo di San Modesto Martire, il corpo di un altro Sant'Alessandro pur Martire, la testa di una compagna di Sant'Osola & altre. Ma segnalatamente si riverisce un pezzo della canna ch'hebbe nelle mani il Redentore quando fu mostrato al popolo coronato di spine»

Nel 1737 il Latuada scriveva sempre[38]:

«Si onorano in questa Chiesa molte Sante Reliquie, cioè di Santo Alessandro titolare, San Biagio, Santa Maria Maddalena, il Corpo di San Modesto Martire e di un altro Sant'Alessandro pur martire, il capo di una delle compagne di Sant'Orosola ed un pezzo della canna data per ischerno in mano al nostro redentore donata da San Carlo al Collegio de' Padri Barnabiti di San Barnaba»

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ a b c Mezzanotte, p. 93
  2. ^ Labus, p. 29
  3. ^ Barelli, p. 3
  4. ^ Latuada, p. 95
  5. ^ Latuada, p. 94
  6. ^ a b Repishti, p. 167
  7. ^ Latuada, p. 97
  8. ^ Cagni, p. 10
  9. ^ Dagli scritti dell'arciprete di Monza Paolo Pietro Bosca, citato in Latuada, p. 98
  10. ^ Repishti, p. 161
  11. ^ a b Repishti, p. 163
  12. ^ Repishti, p. 162
  13. ^ Cagni, p. 9
  14. ^ Stabenow, p. 28
  15. ^ Repishti, p. 158
  16. ^ Denti, p. 110
  17. ^ a b Repishti, p. 160
  18. ^ Stabenow, p. 31
  19. ^ Repishti, p. 169
  20. ^ Repishti, p. 172
  21. ^ Spiriti, 2003, pp. 178-179
  22. ^ a b Spiriti, 2002, p. 37
  23. ^ Bianchi, p. 25
  24. ^ a b Mezzanotte, p. 94
  25. ^ Spiriti, 2003, p. 186
  26. ^ Spiriti, 2003, p. 182-183
  27. ^ Regesto documentario, p. 306
  28. ^ Regesto documentario, p. 305
  29. ^ Wittkower, p. 198
  30. ^ Wittkower, p. 199
  31. ^ Wittkower, p. 200
  32. ^ Wittkower, p. 201
  33. ^ Brandi, p. 293
  34. ^ Brandi, p. 354
  35. ^ Stabenow, p. 26-27
  36. ^ Raspe, p. 204
  37. ^ Priorato, p. 65
  38. ^ Latuada, p. 106

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

Fonti antiche[modifica | modifica wikitesto]

Fonti moderne[modifica | modifica wikitesto]

  • Eugenia Bianchi, Stefania Buganza, Il Seicento e il Settecento - Itinerari di Milano e provincia, Milano, NodoLibri, 1999.
  • Cesare Brandi, Disegno dell'architettura italiana, Roma, Castelvecchi, 2013, ISBN 978-88-7615-918-3.
  • Giuseppe Cagni, L'arrivo dei Barnabiti nella parrocchia di Sant'Alessandro, in Francesco Repishti e Giuseppe Cagni (a cura di), La pianta centrale nella Controriforma e la chiesa di Sant'Alessandro in Milano: Atti del convegno, Roma, Centro Studi Storici Padri Barnabiti, 2003, SBN IT\ICCU\LO1\0797106.
  • Giovanni Denti, Architettura a Milano tra controriforma e barocco, Firenze, Alinea Editrice, 1988.
  • Paolo Mezzanotte, Giacomo Bascapè, Milano nell'arte e nella storia, a cura di Gianni Mezzanotte, Milano, Bestetti, 1968, SBN IT\ICCU\SBL\0090392.
  • Nicoletta Onida, La cura di Sant'Alessandro tra fine Cinquecento e inizio Seicento, in Francesco Repishti e Giuseppe Cagni (a cura di), La pianta centrale nella Controriforma e la chiesa di Sant'Alessandro in Milano: Atti del convegno, Roma, Centro Studi Storici Padri Barnabiti, 2003, SBN IT\ICCU\LO1\0797106.
  • Francesco Repishti, La chiesa di Sant'Alessandro in Zebedia a Milano, in Francesco Repishti e Giuseppe Cagni (a cura di), La pianta centrale nella Controriforma e la chiesa di Sant'Alessandro in Milano: Atti del convegno, Roma, Centro Studi Storici Padri Barnabiti, 2003, SBN IT\ICCU\LO1\0797106.
  • Francesco Repishti, Giuseppe Cagni, La fabbrica di Sant'Alessandro: regesto documentario, in Francesco Repishti e Giuseppe Cagni (a cura di), La pianta centrale nella Controriforma e la chiesa di Sant'Alessandro in Milano: Atti del convegno, Roma, Centro Studi Storici Padri Barnabiti, 2003, SBN IT\ICCU\LO1\0797106.
  • Andrea Spiriti, Rileggere Binago: Marcello Zucca e il problema della facciata di Sant'Alessandro in Zebedia, in Arte Lombarda, n. 134, Milano, Vita e Pensiero, 2002.
  • Andrea Spiriti, La decorazione di Sant'Alessandro: contributo ad una lettura iconografica unitaria, in Francesco Repishti e Giuseppe Cagni (a cura di), La pianta centrale nella Controriforma e la chiesa di Sant'Alessandro in Milano: Atti del convegno, Roma, Centro Studi Storici Padri Barnabiti, 2003, SBN IT\ICCU\LO1\0797106.
  • Jorg Stabenow, Sant'Alessandro in Zebedia: la chiesa e i disegni, in Arte Lombarda, n. 134, Milano, Vita e Pensiero, 2002.