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Antonio Beccadelli[modifica | modifica wikitesto]

Disambiguazione – Se stai cercando l'omonimo nobile, noto per una sfortunata storia d'amore con Giovanna d'Aragona, vedi Antonio Beccadelli di Bologna.

Disambiguazione – Se stai cercando l'omonimo pittore, noto pure come Panormita, vedi Antonello da Palermo.


Antonio Beccadelli, detto Il Panormita dal nome della sua città natale Panormum (Palermo, 1394Napoli, 19 gennaio 1471), è stato un poeta, storico e scrittore italiano, esponente di spicco dell'Umanesimo, noto soprattutto per i carmi dell'Hermaphroditus e per la fondazione dell' accademia Pontaniana (Napoli, 1458), una delle primissime accademie fondate in Europa, la prima del Regno di Napoli e la più antica d'Italia tuttora esistente.

Biografia[modifica | modifica wikitesto]

Gli anni giovanili e il periodo lombardo[modifica | modifica wikitesto]

Discendente della nobile famiglia bolognese dei Beccadelli, il Panormita nacque a Palermo nel 1394. I primi anni della sua giovinezza, trascorsi nella nativa Sicilia, lo videro avviato dal padre alla mercatura, ma ben presto egli manifestò il proprio interesse per gli studi letterari. A partire dal 1419 il Panormita partì alla ricerca di un impiego altolocato. Si recò inizialmente a Firenze, raccomandato dall'Aurispa a Martino V, poi a Padova, dove studiò con Gasparino Barzizza, infine, a Siena per seguire le lezioni del famoso giurista Nicola Tudisco. Qui egli intraprese la composizione del primo libro dell'Hermaphroditus (Bologna, 1425). Al 1427 risale il fallito tentativo di trovare una sistemazione presso la corte estense, dietro raccomandazione di Guarino Veronese. Dopo un secondo soggiorno fiorentino, nel 1428 il Panormita andò a Roma, dove conobbe Poggio Bracciolini e Lorenzo Valla. Di questo periodo trascorso a Roma si hanno poche e incerte notizie, molte delle quali sono maldicenze e calunnie, diffuse dagli umanisti Lorenzo Valla, Pier Candido Decembrio e il francescano Antonio da Rho con i quali il Panormita era entrato in conflitto. Nel 1429, dopo una breve sosta a Genova presso l'arcivescovo e umanista milanese Bartolomeo della Capra, si spostò a Pavia con la segreta speranza di entrare come poeta ufficiale alla corte dei Visconti.

Grazie alla mediazione del Capra, nel 1429 egli fu nominato poeta aulico, con il lauto stipendio di 400 fiorini d'oro l'anno, e, nel 1432, ottenne l'ambita incoronazione d'alloro a Parma da parte dell'imperatore Sigismondo. Ottenne, inoltre, un incarico di insegnamento allo Studio per gli anni 1410 e 1431. In questo periodo, a causa della peste che imperversava in città, il Panormita fu costretto ad un breve e misero soggiorno a Stradella. Nel biennio successivo fu ancora a Pavia come professore, ma con lo stipendio ridotto a 30 fiorini. Gli anni trascorsi presso la corte viscontea sono caratterizzati da un'intensa attività di studio e di scrittura; a questo, infatti, periodo risalgono infatti il Poematum et prosarum liber (una raccolta di epistole e carmi), molte delle lettere che poi confluiranno nella silloge delle Epistolae familiares e gli studi condotti sulle commedie di Plauto, che tuttavia non furono portati a termine.

Nel 1434 termina il periodo pavese del Panormita, la cui posizione presso la corte viscontea si era indebolita.[1]

Il periodo campano[modifica | modifica wikitesto]

Si trasferì alla corte aragonese ponendo fine a un periodo inquieto caratterizzato da spostamenti continui e difficoltà economiche. Nel 1434, infatti, entrava al servizio di Alfonso V d'Aragona, che gli conferì subito la carica di consigliere regio e, successivamente, quella di "gaito" della Secrezia della città, per l'amministrazione territoriale. Grazie alla posizione di rilievo presso la corte aragonese il Panormita svolse un'importante funzione nella diffusione della cultura umanistica nel Mezzogiorno. Seguì Alfonso a Messina, poi si spostò a Gaeta dove assistette all'assedio e fu incaricato delle trattative di resa coi difensori di quella piazzaforte. Svolse per un lungo periodo periodo di attività di ambasceria e mansioni amministrative: dapprima fu inviato come ambasciatore presso le repubbliche di Firenze e di Siena, onde impedire una loro alleanza con quella di Genova; nel 1437, già nominato luogotenente del protonotaro e presidente della Camera della Sommaria, continuò la sua attività d'ufficio a Gaeta dove, trasferitosi con la moglie Filippa, che aveva sposato durante la sua residenza in Lombardia, assolse anche le funzioni di commissario regio. Dopo la conquista da parte di Alfonso, nel 1442 andò a Napoli e il successivo 26 febbraio 1443 partecipò al trionfale ingresso del sovrano nella capitale. In occasione della celebrazione del trionfo del sovrano, compose l'Alphonsi Regis triumphus, a esaltazione del sovrano quale erede degli antichi imperatori romani.[2]


Alla nuova corte napoletana del Magnanimo egli ottenne, dunque, quella posizione di rilievo e quegli onori che invano aveva sperato di conseguire in Lombardia e si legò ai più importanti umanisti dell'epoca, tra cui il Pontano; quest'ultimo partecipò col Panormita alla fondazione dell'Accademia (1458), nata inizialmente sotto il nome di Porticus Antonianus. Per quanto riguarda la vita privata, nel 1455 il Panormita, dopo la morte della prima moglie Filippa, passò a nuove nozze con una giovane nobildonna napoletana, Laura Arcella. Nel 1450 ottenne da Alfonso la nomina a "oriundum et naturalem civem Neapolitanum tota sua vita durante" (cittadino onorario della capitale). In questo periodo il Panormita assolse certamente molti altri incarichi per conto del suo sovrano e mecenate: nel 1451 compì un'ambasceria presso Firenze, per distaccare la città dall'alleanza con Francesco Sforza; poi a Venezia, ove pronunciò una famosa orazione latina; scrisse un'orazione in onore di Federico III, in occasione della sua venuta in Italia per essere incoronato imperatore; nel 1453 andò ambasciatore a Genova per persuadere quella Repubblica ad aderire ad una alleanza generale italiana contro i Turchi. Per i suoi meriti fu nominato a vita notaro della Camera della Sommaria con il privilegio di un alto stipendio. Spinto da molti a comporre in onore di Alfonso un poema glorificatorio, nel 1455 compose il De dictis et factis Alphonsi regis, un vero monumento a esaltazione e trionfo del sovrano aragonese. Per mostrare la propria gratitudine, Alfonso non solo concesse al Panormita il privilegio di fregiare il proprio stemma gentilizio con le armi aragonesi, ma gli diede in dono anche il castello palermitano della Zisa, un tempo dimora degli emiri musulmani e dei sovrani normanni.

Dopo la morte di Alfonso (1457) e la conseguente ascesa al trono di Ferdinando I, il Panormita mantenne la propria posizione di preminenza alla corte aragonese e negli anni successivi compì per conto del nuovo sovrano ambascerie e operazioni diplomatiche. Nel 1458 si recò come ambasciatore a Milano presso Francesco Sforza; nel 1459 partecipò al consiglio di Andria, ma la sua proposta di un deciso intervento contro il ribelle principe di Taranto non fu ascoltata dal re, permettendo così l'attuarsi della congiura dei baroni; infine, tornato alla sua funzione di segretario della Cancelleria napoletana, scriveva per conto del re al doge di Venezia, a Pio II, a Francesco Sforza, a Carlo di Navarra, chiedendo aiuti per il Regno di Napoli. Dopo questo primo periodo, tuttavia, i rapporti col sovrano si incrinarono per alcune incomprensioni e la riduzione degli assegni, a causa del grave dissesto dell'economia del Regno. Nonostante alcune generose elargizioni di Ferrante e la serenità ritrovata fra i due, le difficili condizioni economiche del poeta (aggravate dalla costituzione della dote per la figlia Caterina) non migliorarono.


Gli ultimi anni di vita trascorsero serenamente tra la raccolta delle proprie lettere, le dotte discussioni all'Accademia e la composizione di una biografia di Ferrante, il Liber rerum gestarum

Ferdinandi Aragoniae (1469), opera rimasta incompiuta. Il Panormita morì a Napoli il 15 gennaio del 1471 a causa di un'infezione urinaria. [1][3]


Opere[modifica | modifica wikitesto]

Il Panormita è stato un raffinato poeta, un prolifico epistolografo e prosatore; anche se la sua fama dai contemporanei fu associata soprattutto allo scandaloso Hermaphroditus, fu autore anche di numerose poesie, epigrammi, epitaffi, elegie (noti sono i componimenti Laus Elisiae e Laus Ambrosiae). Le opere di maggior rilievo sono l'Hermaphroditus, il Poematum et prosarum liber e il consistente epistolario. [1][4]

Hermaphroditus[modifica | modifica wikitesto]

L'Hermaphroditus è una raccolta di ottanta epigrammi latini articolati in due libri, composta durante il soggiorno fiorentino e senese (1419-1426). Il titolo si riferisce a Ermafrodito, il giovane che ha sia il pene sia la vagina, rimandando così alla bisessualità delle pratiche che sono descritte nell'opera. L'opera è dedicata a Cosimo de' Medici, come indicato nel primo libro (Hermaphroditi libellus primus incipit. Ad Cosmum florentinum ex illustri progenie Medicorum virus clarissimum), con la speranza di essere accolto nella sua corte. L'opera, tuttavia, nonostante la rapida e vasta diffusione, sortì l'effetto contrario e divenne oggetto di aspre condanne a causa della sua immoralità ed esplicita oscenità. L'autore, infatti, fu duramente condannato da Roberto da Sartiano, Roberto da Lecce e dal predicatore francescano San Bernardino da Siena; quest'ultimo è ricordato per le roventi parole pronunciate in occasione di roghi in piazza dell'opera e, servendosi di un ritratto sostitutivo, perfino dell'autore stesso. Nonostante le polemiche, grazie al consenso di noti umanisti, quali Guarino Veronese e Poggio Bracciolini, l'opera accrebbe la fama e la rinomanza del Panormita.[5]

L'opera, frutto della smania giovanile più che di una profonda cultura o di una vera vocazione poetica, riprende i modelli classici greci e latini. Per l'individuazione dei tipi umani il modello sono gli Epigrammi (Epigrammaton libri XII) di Marziale; per la vena sorridente Orazio; mentre, la comicità e il lessico osceno rimandano alle commedie di Plauto; infine, anche i Carmina Priapea dello pseudo Virgilio e le nugae di Catullo.[1][5]

Negli epigrammi rivivono l'ambiente degli studi di Siena e di Bologna, attraverso figure e volti, tratti spesso da esperienze quotidiane, rivissuti nel rapporto tra esperienza reale e divertissement letterario. La caratteristica principale dell'opera è, infatti, sollevare al dettato umanistico latino un fondo concreto e, per così dire, boccaccesco di vicende filtrate attraverso echi letterari, approdando così a raffinati esiti letterari.[1]

Poematum et prosarum liber[modifica | modifica wikitesto]

Composta durante il periodo pavese, l'opera si presenta come un'antologia di prosa e di versi e offre un primo esempio di "antologia" umanistica. L'opera rappresenta la volontà dell'autore di offrire un saggio della propria cultura e attività letteraria, come presentazione al futuro mecenate, Alfonso d'Aragona. Le epistole e le prose incluse nella raccolta furono profondamente rimaneggiate per l'occasione, assumendo la forma del trattato, della digressione sentimentale o erudita su temi universali, quali l'amore, il dolore e l'amicizia. Non mancano, tuttavia, anche prose di grande impegno: elogi, polemiche, apologie, orazioni.

L'Epistolario[modifica | modifica wikitesto]

Il ricco Epistolario del Panormita, alla cui sistemazione l'autore lavorò per molti anni fino alla morte (1471), si compone di cinque differenti raccolte: Familiarium liber (Epistolae Gallicae), Campanarum epistolarum liber, le due raccolte scritte su commissione Alphonsi regis epistolae et orationes per Antonium Panormitam e Ferdinandi regis epistolae et legationes per Antonium Panormitam, Quintum epistolarum volumen. Le cinque raccolte sono testimonianza dell'inquieta e singolare vita del Panormita, ma soprattutto un documento fondamentale per la storia della cultura umanistica italiana della prima metà del Quattrocento e dell'Umanesimo meridionale.

Panormita copiò e ordinò di propria mano le Epistolae Familiares, le Epistolae Campanae e il Quintum volumen nel manoscritto autografo Vat. Lat. 3371 , conservato oggi presso la Biblioteca Apostolica Vaticana. Le Familiari e le Campane furono edite la prima volta a Napoli nel 1475 e ristampate, insieme all'Hermaphroditus nell'edizione Antonii Bononiae Beccatelli cognomento Panhormitae Epistolarum libri V; eiusdem orationes II; carmina praeterea quaedam quae ex multis ab eo scriptis adhuc colligi potuere (Venezia, 1553). Questa edizione, tuttavia, è frutto di un'opera di censura letteraria, realizzata del discendente del Panormita, Ludovico Beccadelli; sia gli epigrammi sia le lettere subiscono tagli ed emendazioni che investono l'aspetto contenutistico e linguistico, oltre a una significativa riduzione del numero dei brani presenti nelle redazioni originarie[6][7][8]. Questa edizione censurata, con l'aggiunta di poche lettere inedite, fu poi ristampata nel vol. III del Thesaurus criticus del Grutero (Lucca, 1747 e Palermo, 1747). Il Quintum Epistolarum volumen è stato pubblicato in Regis Ferdinandi et aliorum epistolae ac orationes utriusque militiae (Vico Equense, 1585).[1][4]

Familiarium liber (Epistolae Gallicae)[modifica | modifica wikitesto]

Il Familiarium liber (titolo presente nella tradizione manoscritta), noto anche col titolo di Epistolae Gallicae (presente nell'edizione stampata a Venezia nel 1553) è la prima raccolta dell'autore. Essa conta al suo interno centotrentanove epistole e contiene le missive scritte tra il 1429 e il 1434, quindi durante il periodo trascorso dal Panormita presso la corte dei Visconti. L'opera è dedicata al cognato, Francesco Arcella, al quale il Panormita si propone di ricostruire la propria giovinezza e offrire così un saggio di sé e della propria cultura, attraverso la testimonianza degli studi condotti e delle relazioni con importanti personaggi dell’epoca (ad esempio, il noto giurista Catone Sacco, il condottiero Francesco Piccinino, molti celebri umanisti, basti citare Guarino Veronese e Poggio Bracciolini, l’arcivescovo e umanista Bartolomeo della Capra, ma anche il suo affezionatissimo Antonio Cremona, nonché lo stesso Duca Filippo Maria Visconti), per far conoscere, in ultimo, a quale illustre uomo avesse dato in sposa sua sorella, Laura Arcella, che il Panormita sposò effettivamente nel 1447. L'opera, inoltre, è arricchita da una fitta trama di citazioni e rimandi alle opere dei classici latini, primo fra tutti il modello per eccellenza dell'epistolografia romana, Cicerone, ma anche Seneca e Plinio il Giovane; varie sono anche le citazioni o le reminiscenze dei poeti Marziale, Catullo, Virgilio, Giovenale e Stazio.[4][1]

Campanarum epistolarum liber[modifica | modifica wikitesto]

La seconda raccolta è una piccola silloge, dedicata a Niccolò Buzzuto, non comprensiva di tutte le lettere che il Panormita scrisse a partire dal suo trasferimento a Napoli (1434) fino al 1457, epoca della compilazione. Il nucleo principale della raccolta è costituito dalle lettere inviate ad Alfonso e all'amico Giovanni Aurispa; altri nomi di rilievo tra i destinatari sono quelli di Giannozzo Manetti, Cosimo de’ Medici, Poggio Bracciolini.[4]

Edizioni di opere di Antonio Beccadelli[modifica | modifica wikitesto]

  • A. Panormitae Hermaphroditus, C. Forberg (a cura di), Coburgo 1824.
  • A. Beccadelli, Hermaphtoditus, D. Coppini (a cura di), Roma, Bulzoni, 1990.
  • A. Beccadelli detto il Panormita, Poematum et prosarum liber, M. Natale (a cura di), Caltanissetta 1902.
  • A. Cinquini-R. Valentini, Poesie latine inedite di Antonio Beccadelli detto il Panormita, Aosta, 1907.
  • A. Beccadelli, De dictis et factis Alphonsi regis, F. Sandeo (a cura di), Pisa, Gregorius de Gentis, 1485.
  • A. Beccadelli, De dictis et factis Alphonsi regis, in Thesaurus criticus, II J. Gruterus, a cura di, Palermo, 1739.
  • Antonii Panhormitae Epistolae Campanae: edizione critica, traduzione e commento, M. A. Costantino (a cura di), tesi dottorale, Dottorato in Filologia, Letteratura italiana, Linguistica, tutor prof.ssa D. Coppini, Università degli Studi di Firenze, 2017.
  • Antonii Panhormitae Familiarium liber incipit. Campanarum epistolarum liber incipit, Napoli, Sixtus Riessinger, 1475, ISTC n. ib00291000.
  • Antonii Boniae Beccatelli cognomento Panhormitae Epistolarum, libri V. Eiusdem orationes 2. Carmina praeterea quaedam quae ex multis ab eo scriptis adhuc colligi potuere, Venezia, Bartolomeo Cesano, 1553.
  • Janus Gruter, Lampas, sive fax artium liberalium: hoc est, thesaurus criticus, quem ex otiosa bibliothecarum custodia eruit et foras prodire jussit Janus Gruterus, t. III., Lucca, Sumtibus societatis, 1747.
  • A. Beccadelli, Alfonsi Regis triumphus. Il trionfo di Re Alfonso. Introduzione, edizione, traduzione, F. Delle Donne (a cura di), Potenza, BUP, 2021.

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

  • F. Ramorino, Contributi alla storia biografica e critica di Antonio Beccadelli detto il Panormita, Palermo, 1883.
  • G. Resta, L’epistolario del Panormita. Studi per una edizione critica, Messina, Tipografia Ditta D'Amico, 1954.
  • G. Crespi Legorino, Panormita, Antonio Beccadelli, in Dizionario Letterario Bompiani. Autori, III, Milano, Bompiani, 1957, p. 61.
  • G. Resta, «BECCADELLI, Antonio, detto il Panormita». In: Dizionario Biografico degli Italiani, Vol. VII (1970).
  • D. Coppini, Un Hermaphroditus censurato: l’edizione veneziana del 1553, in Trasmissione del testo dal Medioevo all’età moderna: leggere, copiare, pubblicare, A. Piccardi ( a cura di), Szczecin, 2012, pp. 87-115.
  • Il Panormita, Ermafrodito, N. Gardini (a cura di), Torino, Einaudi, 2017.
  • G. Fragnito, Rinascimento perduto. La letteratura italiana sotto gli occhi dei censori (secoli XV-XVII), Bologna, Il Mulino, 2019.

Voci Correlate[modifica | modifica wikitesto]

Collegamenti esterni[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ a b c d e f g G. Resta, Beccadelli, Antonio, detto il Panormita, in Dizionario Biografico degli Italiani, VII (1997), pp. pp. 400-406.
  2. ^ Antonio Beccadelli, Alfonsi Regis triumphus. Il trionfo di Re Alfonso. Introduzione, edizione, traduzione, Potenza, BUP, 2021.
  3. ^ F. Ramorino, Contributi alla storia biografica e critica di Antonio Beccadelli detto il Panormita, Palermo, 1883.
  4. ^ a b c d G. Resta, L’epistolario del Panormita. Studi per una edizione critica, Messina, Tipografia Ditta D'Amico, 1954.
  5. ^ a b N. Gardini (a cura di) (a cura di), Ermafrodito, Torino, Einaudi, 2017, pp. pp. V-XIII.
  6. ^ D. Coppini, Un Hermaphroditus censurato: l’edizione veneziana del 1553, a cura di A. Piccardi, collana Trasmissione del testo dal Medioevo all’età moderna: leggere, copiare, pubblicare, Szczecin, 2012, pp. 87-115.
  7. ^ G. Fragnito, Rinascimento perduto. La letteratura italiana sotto gli occhi dei censori (secoli XV-XVII), Bologna, Il Mulino, 2019.
  8. ^ C. Donnini, Varianti editoriali nella Cinquecentina dell’Epistolarum familiarium Liber del Panormita, in Medioevo e Rinascimento, XXXIV / n.s. XXXI 2020, Spoleto, CISAM, pp. 157-184.