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Slobodan Milošević
Слободан Милошевић
Milošević durante gli Accordi di Dayton nel 1995

Presidente della Repubblica Federale di Jugoslavia
Durata mandato23 luglio 1997 –
5 ottobre 2000
Capo del governoRadoje Kontić
Momir Bulatović
PredecessoreZoran Lilić
SuccessoreVojislav Koštunica

Presidente della Repubblica di Serbia
Durata mandato11 gennaio 1991 –
23 luglio 1997
Capo del governoDragutin Zelenović
Radoman Božović
Nikola Šainović
Mirko Marjanović
Predecessorecarica creata
SuccessoreMilan Milutinović

Presidente della Presidenza della Repubblica Socialista di Serbia
Durata mandato8 maggio 1989 –
11 gennaio 1991
Capo del governoDesimir Jevtić
Stanko Radmilović
PredecessorePetar Gračanin
Successorecarica abolita

Dati generali
Partito politicoPartito Socialista di Serbia
(1990-2006)
Precedente:
Lega dei Comunisti di Jugoslavia
(1959-1990)
UniversitàUniversità di Belgrado
FirmaFirma di Slobodan Milošević Слободан Милошевић

Slobodan Milošević, ascolta pronuncia, in cirillico Слободан Милошевић, pronuncia IPA [sloˈbodan miˈloʃevitɕ] (Požarevac, 20 agosto 1941L'Aia, 11 marzo 2006), è stato un politico serbo.

È stato presidente della Serbia dal 1989 al 1997 e presidente della Repubblica Federale di Jugoslavia dal 1997 al 2000 come leader del Partito Socialista di Serbia e fu tra i protagonisti politici delle Guerre nella ex-Jugoslavia. Fu accusato di crimini contro l'umanità per le operazioni di pulizia etnica dell'esercito jugoslavo contro i musulmani in Croazia, Bosnia ed Erzegovina e Kosovo ma il processo a suo carico presso il Tribunale penale internazionale per l'ex-Jugoslavia (Tpi) si estinse nel 2006 per sopraggiunta morte prima che venisse emessa la sentenza.[1]

Contro di lui era stata mossa anche l'accusa di aver disposto l'assassinio di Ivan Stambolić, suo mentore negli anni ottanta del XX secolo e suo possibile avversario nelle elezioni presidenziali del 2000.[2]

Biografia

Milošević, di origini Vasojevići, un clan montenegrino, nacque e crebbe a Požarevac, Serbia durante l'occupazione tedesca nella Seconda Guerra mondiale. Aveva un fratello maggiore, Borislav (1934-2013) diventato diplomatico[3]. I suoi genitori si separarono subito dopo la fine del conflitto. Suo padre Svetozar Milošević, catechista, si sparò nel 1962[4], mentre sua madre, Stanislava Koljenšić, un'insegnante e membro attivo del Partito Comunista di Jugoslavia, si uccise nel 1972[5].

Si laurea in Legge all'università di Belgrado nel 1964.

Era sposato con Mirjana Marković, che sarà una delle sue più importanti consigliere[6].

Stanislava Koljenšić coi figli Borislav e Slobodan

Fu prima militante e poi dirigente della Lega dei Comunisti di Jugoslavia e poi del Partito Socialista di Serbia, di cui fu tra i fondatori.

A partire dagli anni ottanta era considerato uno dei migliori e più capaci amministratori e funzionari dello Stato della Repubblica Federale Socialista di Jugoslavia.

Nell'aprile del 1984 fu nominato Segretario della Federazione di Belgrado della Lega dei Comunisti; dal maggio 1986 al maggio 1989 fu presidente del Comitato Centrale della Lega dei Comunisti e al primo Congresso del Partito Socialista di Serbia nel luglio 1990 venne eletto Presidente del Partito, che era nato dall'unificazione della Lega dei Comunisti e dalla Lega Socialista del Popolo Lavoratore di Serbia.

Nel maggio del 1989 fu eletto Presidente della Repubblica di Serbia.

Alle prime elezioni multipartitiche in Serbia, avvenute nel dicembre del 1990, Milošević venne nuovamente eletto Presidente della Serbia.

La rinascita del nazionalismo serbo

La svolta nella sua carriera di funzionario statale avviene nel 1986: Milošević viene eletto presidente della Lega di comunisti serbi, grazie al sostegno del presidente della Serbia, Ivan Stambolić, suo amico personale e padrino politico conosciuto ai tempi dell'università. Gli anni ottanta si caratterizzano per la rinascita del nazionalismo serbo e per il disconoscimento del modello della Jugoslavia titoista e della figura di Tito stesso.

L'apice del nazionalismo è raggiunto il 24 settembre 1986, quando il quotidiano belgradese Večernje Novosti pubblica alcune parti di un documento noto come il Memorandum dell'Accademia Serba delle Scienze. Questo testo, redatto da intellettuali serbi guidati dal romanziere Dobrica Ćosić, cattura subito l'attenzione del pubblico in Jugoslavia, in quanto dà voce a opinioni controverse sullo stato della nazione e sostiene la necessità di una riorganizzazione completa dello Stato. La sua tesi principale è che la decentralizzazione porta alla disintegrazione della Jugoslavia e che i serbi sono discriminati dalla costituzione jugoslava. Il testo è pericolosissimo per la stabilità della zona e tutta l'élite serba, a partire dal presidente Ivan Stambolić, ne prende le distanze. Milošević stesso lo definisce "nient'altro che il nazionalismo più buio"; tuttavia concorderà pubblicamente con la maggior parte di esso e stringerà legami politici con alcuni dei suoi autori.

La scalata al potere

Nella Jugoslavia della seconda metà degli anni ottanta la situazione più difficile si registra nella provincia autonoma serba del Kosovo, con tensione e piccoli scontri tra serbi e albanesi, mentre in Croazia e in Bosnia ed Erzegovina la convivenza fra le diverse etnie è serena.

Nel 1987 il presidente Ivan Stambolić (inconsapevole di aver firmato con questo gesto la sua fine politica e una degenerazione complessiva dei rapporti fra le etnie) manda Milošević in Kosovo, affinché egli ristabilizzi una situazione di convivenza tra albanesi e serbi.

Sulle prime battute Milošević mantiene una linea coerente con quella del Partito, rassicurando la folla che il Comitato Centrale è al corrente della loro situazione, ma senza entrare direttamente nel merito della questione. Tuttavia, su pressione di Miroslav Solević, uno dei leader serbi locali, Milošević acconsente[7] ad un tratto ad un incontro faccia a faccia con alcuni rappresentanti della minoranza serba in Kosovo. Il suo assenso va a costituire, per la prima volta, una pesantissima frattura con la politica di Fratellanza e Unità costruita nei decenni da Tito e che aveva da sempre poggiato le sue basi sul fermo rifiuto a qualsiasi tipo di dialogo con i movimenti nazionalisti della Jugoslavia.

Il giorno dell'incontro, in una situazione di forte tensione, Milošević pronuncerà un discorso che susciterà scalpore e sostegno popolare, sostenendo che "a nessuno è dato il permesso di picchiarvi"[8]. Egli si riferiva alle numerosissime rimostranze della minoranza serba in Kosovo, che lamentava un trattamento sfavorevole da parte della polizia e del potere giudiziario, sotto il completo controllo dei kosovari di etnia albanese della Lega dei Comunisti del Kosovo. Fu proprio il trattamento discriminatorio verso i serbi kosovari[9] da parte delle autorità locali ad indurre Milošević, due anni dopo, a sospendere l'autonomia della regione per ripristinare il controllo diretto di Belgrado su polizia e tribunali.

La Presidenza della Serbia

Abilissimo nel guidare i sentimenti più profondi dell'opinione pubblica serba, Milošević spazza via l'intera classe politica serba, accusata di immobilismo e inettitudine. Stambolić nel dicembre del 1987 è costretto alle dimissioni e Milošević diventa presidente serbo, ottenendo un potere enorme. Nel 1988 si acuisce la tensione sia all'interno dei confini della Serbia (in Kosovo), che fra la Serbia e le altre repubbliche, in particolare la Slovenia. Mentre Milošević era sostenitore di un modello centralista (sia a livello di istituzioni che di politica economica), alla cui guida doveva esserci la Serbia in quanto maggior repubblica della Federazione, Lubiana (con il presidente Milan Kučan) sosteneva il diritto all'autodeterminazione delle repubbliche e il rispetto di ogni minoranza e autonomia.

Milošević capisce di godere di un enorme sostegno popolare: i Serbi vedono in lui la guida di una nazione orgogliosa, un capo carismatico. Gode inoltre del sostegno della Chiesa ortodossa serba. Il popolo serbo rielabora il mito della vittoria mutilata (la Seconda guerra mondiale, vinta dai partigiani jugoslavi contro fascisti e nazionalisti), che non consentì ai Serbi l'unità politica della nazione (rilevanti minoranze serbe erano presenti in Croazia e in Bosnia ed Erzegovina, mentre alla Serbia erano state imposte due province autonome, Kosovo e Voivodina).

Milošević decide di cavalcare la campagna nazionalista. Nel marzo del 1989 modificò unilateralmente la costituzione serba, riducendo fortemente l'autonomia del Kosovo (già concessa da Tito nel 1974). Il 28 giugno 1989, seicento anni dopo la battaglia di Kosovo Polje, (nella "piana dei merli" si svolse una epica battaglia tra Serbi ortodossi e Ottomani musulmani) tenne un discorso celebrativo davanti a centinaia di migliaia di Serbi confluiti sul posto, nel quale esaltò la nazione serba e l'unità multietnica jugoslava, senza mai citare l'entità etnica albanese. In seguito (19 novembre 1989) radunò un milione di manifestanti a Belgrado.

Fine della Jugoslavia

Nel gennaio del 1990 si tiene il quattordicesimo e ultimo congresso (convocato in via straordinaria) della Lega dei comunisti jugoslavi. La frattura tra Serbi e Sloveni è insanabile, soprattutto a causa dell'intransigenza di Milošević. Milan Kučan, che guida gli Sloveni, decide di ritirare la delegazione della sua nazione dal congresso, e lo stesso farà subito dopo il croato Ivica Račan. È la fine politica della Jugoslavia federale e multietnica. Nel giugno del 1990 Milošević ribattezza la lega dei comunisti serbi Partito Socialista Serbo, di cui viene eletto presidente.

Nel gennaio 1991 viene scoperta l'emissione clandestina e illegale di moneta federale da parte del governo serbo, mentre in marzo Milošević manda l'esercito a fermare le manifestazioni dell'opposizione a Belgrado. Dopo aver indetto referendum popolari il 25 giugno del 1991, Slovenia e Croazia proclamano l'indipendenza.

Le guerre in Croazia e Bosnia Erzegovina

Milošević (al centro) durante la firma degli Accordi di Dayton

L'esercito federale interviene in Slovenia. Milošević non ha alcun interesse nel paese, etnicamente compatto e sostenuto da Austria e Germania. La prima guerra europea dalla fine del secondo conflitto mondiale si conclude dopo dieci giorni, l'8 luglio (Accordi di Brioni).

L'attenzione di Milošević si sposta tutta sulla Croazia, in particolare sulle regioni abitate da Serbi (le pianure della Slavonia e la regione montuosa della Krajina). Milošević non accetta che popolazioni serbe vivano al di fuori della nuova "piccola" Jugoslavia (cioè la Serbia e il Montenegro). Il suo progetto è quello di annettersi i territori serbi della Croazia e una buona metà della Bosnia ed Erzegovina (nel 1991 ancora estranea alla guerra), creando così la "Grande Serbia". Nella seconda metà del 1991 Milošević, l'esercito federale jugoslavo e truppe paramilitari iniziano una violenta guerra contro la Croazia. Assediano e distruggono completamente la città multietnica di Vukovar (città in cui la convivenza fra serbi e croati era storica e pacifica, caduta l'8 novembre 1991).

L'esercito jugoslavo penetra in profondità in territorio croato, arrivando a minacciare Zagabria.

Dopo il referendum in Bosnia Erzegovina sull'indipendenza (1º marzo 1992), boicottato dai serbo-bosniaci, scoppia la guerra di Bosnia. Milošević sostiene militarmente e politicamente Radovan Karadžić, leader dei serbo-bosniaci che si macchierà di crimini di guerra. La guerra, fra continue tregue e riprese militari, si concluderà il 21 novembre 1995, con gli accordi di Dayton. A Dayton i due nemici Milošević e Tuđman, presidente della Croazia (che più volte si erano incontrati – secondo alcuni era presente un "telefono rosso" diretto fra i due politici), accusati di responsabilità politiche nelle operazioni di pulizia etnica e in enormi massacri, saranno descritti come "gli uomini della pace" e lasciati al loro posto.

La guerra del Kosovo e il tramonto di Milošević

1996, Milošević incontra l'Ammiraglio degli USA Joseph Lopez

Milošević è eletto presidente della Repubblica Federale Jugoslava (cioè Serbia e Montenegro) nel novembre del 1996. Annulla i risultati delle elezioni municipali dello stesso anno, vinti dalla coalizione d'opposizione Zajedno (Insieme). Questo provoca enormi manifestazioni popolari a Belgrado e l'intervento dell'OSCE. Milošević riconoscerà i risultati 11 settimane più tardi. Nelle successive elezioni presidenziali serbe non viene rispettato alcuno standard di legalità e correttezza: le consultazioni vengono vinte da Milan Milutinović, stretto collaboratore di Milošević.

In Kosovo si intensificano gli scontri tra UCK, l'esercito di liberazione albanese, e la polizia federale. Nella provincia erano presenti inoltre truppe paramilitari serbe, che non godevano ufficialmente dell'appoggio di Belgrado. La strage di Račak, con la morte di 40-45 kosovari di etnia albanese, apparentemente giustiziati, acuisce la crisi, anche se tutt'oggi permangono forti dubbi sulle responsabilità e le autorità serbe hanno negato di aver effettuato esecuzioni di massa. A Rambouillet falliscono i tentativi di mediazione tra governo federale e gruppo di contatto (USA, Russia, Francia, Germania, Regno Unito e Italia) sullo status della provincia. Tra marzo e giugno del 1999 la NATO bombarda la Jugoslavia (Operazione Allied Force), colpendo anche molti obiettivi civili, fino al completo ritiro dell'esercito dal Kosovo.

Isolato a livello internazionale e interno (il Montenegro non riconosceva più le istituzioni federali), Milošević si ricandida alle elezioni del 24 settembre 2000, grazie ad una riforma costituzionale. Viene sconfitto da Vojislav Koštunica, un nazionalista moderato, a capo di tutta l'opposizione, e il 5 ottobre è costretto, dopo una grande manifestazione con l'occupazione del parlamento, a riconoscere la sconfitta.

Il primo ministro serbo Zoran Đinđić lo consegna al Tribunale Penale Internazionale per i Crimini nella Ex-Jugoslavia (l'Aia) il 28 giugno 2001, nonostante la contrarietà di Koštunica e di parte dell'opinione pubblica serba, Milošević non riconosce la validità legale del tribunale, facendo appello alle leggi del diritto internazionale.

Morte

Milošević è stato trovato morto nel carcere dell'Aia la mattina dell'11 marzo 2006. La morte dell'ex presidente serbo segue di pochi giorni quella - avvenuta nello stesso carcere - di Milan Babić, ex-leader dei serbi di Krajina, suicidatosi il 5 marzo 2006 impiccandosi nella cella dove scontava una condanna patteggiata a 13 anni.

Poco prima della morte Milošević aveva espresso timori che lo si stesse avvelenando. Il 12 gennaio 2006, due mesi prima della morte, vi era stato uno scandalo in quanto nelle analisi del sangue di Milošević era stato rilevato l'antibiotico Rifampicin, ordinariamente usato per la tubercolosi e la lebbra e capace di neutralizzare l'effetto dei farmaci che Milošević usava per la pressione alta e la cardiopatia di cui soffriva. Della presenza di tale farmaco nel suo sangue Milošević si era lamentato in una lettera inviata al ministro degli esteri russo.

Il Tribunale penale internazionale per i crimini nella ex-Jugoslavia ha disposto un'indagine sulle cause e le circostanze del decesso. Dai risultati degli esami autoptici sembra escluso che l'ex leader serbo abbia assunto, negli ultimi giorni prima della morte, il farmaco Rifampicin.

Milošević aveva richiesto nei mesi precedenti la morte il ricovero presso una clinica specializzata a Mosca, senza ottenere l'autorizzazione a recarvisi. Da parte dei critici di Milošević si è dunque avanzata l'ipotesi che in gennaio egli avesse assunto volontariamente il farmaco, onde forzare il Tribunale a permettergli di viaggiare in Russia e scappare. Tuttavia sembra escluso che egli potesse procurarsi il Rifampicin in carcere. Infatti, dopo che nel settembre 2005 Milošević aveva utilizzato un farmaco prescritto da un medico serbo ma non autorizzato dai medici del Tribunale, tutte le persone che gli rendevano visita venivano preventivamente perquisite con il compito specifico di non permettere che gli fosse consegnato alcun farmaco.

Entro pochi giorni il Tribunale avrebbe dovuto decidere sulla richiesta, avanzata da Milošević, di un confronto in aula con l'ex presidente degli Stati Uniti Bill Clinton e con Wesley Clark, il generale statunitense che aveva guidato l'intervento NATO contro la Jugoslavia nel 1999. La morte di Milošević - che dopo anni di processo aveva ormai esaurito i quattro quinti del tempo a disposizione per la sua difesa - precede di qualche mese la data presumibile della conclusione del processo a suo carico e mette in grave imbarazzo il Tribunale, che il 14 marzo 2006 ha ufficialmente estinto l'azione penale e chiuso senza una sentenza il più importante processo per il quale era stato istituito.

Il procuratore generale della Corte dell'Aia Carla Del Ponte in un'intervista[10] al quotidiano la Repubblica avrebbe sostenuto che la morte di Milošević rappresenta per la sua attività "una sconfitta totale". La stessa Del Ponte ha però poi sottolineato che quanto scritto da Repubblica è privo di fondamento, visto che lei non ha mai pronunciato quella frase (si veda ad esempio l'intervista pubblicata dal quotidiano tedesco Die Zeit il 15.12.2011, "[11]").

Michail Gorbačëv ha accusato il TPI di aver compiuto un "grave errore" non consentendo il ricovero in una clinica russa, giudicando "piuttosto inumano" il comportamento dei giudici. Borislav Milošević, fratello dell'ex leader serbo, ha incolpato della sua morte il TPI: "L'intera responsabilità di quanto è accaduto è del Tribunale penale internazionale". Ivica Dačić, membro dell'SPS, ha detto che "Milošević non è morto al Tribunale dell'Aia, ma è stato ucciso presso il Tribunale".

In Serbia è stato proposto di sospendere il mandato di cattura internazionale alla moglie di Milošević per permettere la sua partecipazione al funerale: secondo la legge sarebbe dovuta essere arrestata non appena si fosse trovata in territorio serbo. Tuttavia nessun membro della famiglia (la moglie Mira e il figlio Marko, rifugiati in Russia e la figlia Marija residente nel Montenegro) ha partecipato alle esequie. Il presidente della Repubblica Boris Tadić ha rifiutato di organizzare un funerale di Stato. Più sfumata la posizione del premier Vojislav Koštunica, in quanto il governo da lui guidato si basa sull'appoggio esterno dei parlamentari del Partito Socialista Serbo, di cui Milošević era ancora formalmente presidente.

Essendo stato negato un funerale di stato, a Belgrado si è svolta una cerimonia di addio, nella piazza antistante al parlamento federale della Serbia-Montenegro, con una consistente partecipazione popolare (tra le 50.000 e le 80.000 persone, soprattutto anziani e esponenti dell'SPS e del Partito Radicale Serbo). Successivamente il corpo di Milošević è stato inumato presso il giardino di famiglia della casa natale di Požarevac.

Note

  1. ^ Cfr. [1]
  2. ^ .Cfr. [2]
  3. ^ Borislav Milosevic: Diplomat who defended his brother Slobodan, su independent.co.uk, The Independent, 1º febbraio 2013. URL consultato il 2 febbraio 2013.
  4. ^ probabilmente dopo che un suo alunno si suicidò dopo aver da lui ricevuto un cattivo voto scolastico - Slobodan Milosevic and the destruction of Yugoslavia - Louis Sell, su books.google.com. URL consultato il 19 ottobre 2009.
  5. ^ Slobodan Milosevic and the destruction of Yugoslavia - Louis Sell, su books.google.com. URL consultato il 19 ottobre 2009.
  6. ^ Alessandro Marzo Magno, Una morte annunciata, in La guerra dei dieci anni, Milano, Il saggiatore, 2001, p. 35.
  7. ^ Dal minuto 4:04- BBC: the Death of Yugoslavia, su youtube.com. URL consultato il 25 giugno 2015.
  8. ^ Šta Je On To U Stvari Rekao
  9. ^ In Yugoslavia, Rising Ethnic Strife Brings Fears of Worse Civil Conflict - NYTimes.com
  10. ^ Intervista a la Repubblica.
  11. ^ Intervista di Carla Del Ponte con il quotidiano tedesco Die Zeit, 15.12.2011: "Ich bin eine Pazifistin", http://www.zeit.de/2011/51/CH-Interview-C-del-Ponte

Bibliografia

  • M. Nava, Milošević, L'ultimo tiranno, Rizzoli, Milano 2000 ISBN 88-17-86267-3
  • P. Rumiz, Maschere per un massacro, Editori Riuniti, Roma 1996 ISBN 88-359-4868-1
  • P. Handke, Un viaggio d'inverno ai fiumi Danubio, Sava, Morava e Drina, ovvero: Giustizia per la Serbia, Einaudi, Torino 1996 ISBN 88-06-14175-9
  • P. Handke, Un disinvolto mondo di criminali. Annotazioni a posteriori su due attraversamenti della Iugoslavia in guerra - marzo e aprile 1999, Einaudi, Torino 2002 ISBN 88-06-16145-8
  • L. Silber, A. Little Yugoslavia: Death of a Nation, Penguin Books, Londra 1997 ISBN 1-57500-005-9
  • M. Mandel, Come l'America la fa franca con la giustizia internazionale, EGA Editore, Torino 2005 ISBN 88-7670-545-7
  • Alessandro Marzo Magno, La guerra dei dieci anni - Jugoslavia 1991-2001, Il saggiatore, Milano 2001, ISBN 978-885650064-6

Voci correlate

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Collegamenti esterni

Predecessore Presidente della Serbia Successore
Petar Gračanin 1989 - 1997 Milan Milutinović
Predecessore Presidente della Repubblica Federale di Jugoslavia Successore
Zoran Lilić 1997 - 2000 Vojislav Koštunica

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