Conquista romana della penisola iberica: differenze tra le versioni

Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
Vai alla navigazione Vai alla ricerca
Contenuto cancellato Contenuto aggiunto
Riga 106: Riga 106:
Alla fine dell'estate, giunse dai due Scipioni una lettera al Senato di Roma, nella quale venivano descritti i loro successi ottenuti nella penisola iberica, aggiungendo che mancava però il denaro necessario per far fronte alle paghe ai soldati, oltre agli indumenti e al grano per l'esercito e i marinai alleati. Si faceva presente che, riguardo agli ''stipendia'' dei soldati, essi avrebbero provveduto facendoseli prestare dalle popolazioni ispaniche alleate, mentre per tutto il resto, il Senato avrebbe dovuto intervenire quanto prima, perché altrimenti non si sarebbero potuti mantenere né l'esercito né la [[Spagna romana|provincia]].<ref>{{cita|Livio|XXIII, 48.4-5}}.</ref> Letta pubblicamente la lettera, tutti riconobbero la necessità di inviare i dovuti aiuti in ''Hispania''. La difficoltà risiedeva nel fatto di:
Alla fine dell'estate, giunse dai due Scipioni una lettera al Senato di Roma, nella quale venivano descritti i loro successi ottenuti nella penisola iberica, aggiungendo che mancava però il denaro necessario per far fronte alle paghe ai soldati, oltre agli indumenti e al grano per l'esercito e i marinai alleati. Si faceva presente che, riguardo agli ''stipendia'' dei soldati, essi avrebbero provveduto facendoseli prestare dalle popolazioni ispaniche alleate, mentre per tutto il resto, il Senato avrebbe dovuto intervenire quanto prima, perché altrimenti non si sarebbero potuti mantenere né l'esercito né la [[Spagna romana|provincia]].<ref>{{cita|Livio|XXIII, 48.4-5}}.</ref> Letta pubblicamente la lettera, tutti riconobbero la necessità di inviare i dovuti aiuti in ''Hispania''. La difficoltà risiedeva nel fatto di:
{{citazione|[...] quanti eserciti di terra e di mare [Roma] avrebbe dovuto mantenere e quante nuove flotte si sarebbero dovute mantenere, nel caso si fosse [[prima guerra macedonica|mossa la guerra]] alla [[Regno di Macedonia|Macedonia]]. [...] del resto un gran numero di contribuenti era stato ridotto per le grandi stragi degli eserciti al [[battaglia del Trasimeno|Trasimeno]] e a [[battaglia di Canne|Canne]]. I pochi sopravvissuti, se fossero stati gravati da moltissimi [[paga (esercito romano)|''stipendia'']], sarebbero morti di altro male.|{{cita|Livio|XXIII, 48.6-8}}.}}
{{citazione|[...] quanti eserciti di terra e di mare [Roma] avrebbe dovuto mantenere e quante nuove flotte si sarebbero dovute mantenere, nel caso si fosse [[prima guerra macedonica|mossa la guerra]] alla [[Regno di Macedonia|Macedonia]]. [...] del resto un gran numero di contribuenti era stato ridotto per le grandi stragi degli eserciti al [[battaglia del Trasimeno|Trasimeno]] e a [[battaglia di Canne|Canne]]. I pochi sopravvissuti, se fossero stati gravati da moltissimi [[paga (esercito romano)|''stipendia'']], sarebbero morti di altro male.|{{cita|Livio|XXIII, 48.6-8}}.}}
Venne allora comunicata a Roma la necessità di sostenere queste spese col credito, dando in appalto ai privati le forniture necessarie per l'esercito in Spanga, col patto che fossero i primi ad essere pagati, non appena l<nowiki>'</nowiki>''[[aerarium]]'' avesse avuto il denaro necessario.<ref>{{cita|Livio|XXIII, 48.9-12}}.</ref> L'appalto alla fine venne preso da tre compagnie di diciannove persone ciascuna, che ottennero per i servigi prestati alla ''Res publica'':
Venne allora comunicata a Roma la necessità di sostenere queste spese col credito, dando in appalto ai privati le forniture necessarie per l'esercito in Spagna, col patto che fossero i primi ad essere pagati, non appena l<nowiki>'</nowiki>''[[aerarium]]'' avesse avuto il denaro necessario.<ref>{{cita|Livio|XXIII, 48.9-12}}.</ref> L'appalto alla fine venne preso da tre compagnie di diciannove persone ciascuna, che ottennero per i servigi prestati alla ''Res publica'' l'esonero dal servizio militare e
l'assicurazione che il trasporto delle forniture via mare sarebbe stato a totale rischio dello Stato, sia in caso di naufragio, sia per eventuale sottrazione da parte del nemico.<ref>{{cita|Livio|XXIII, 49.1-3}}.</ref>
*l'esonero dal servizio militare e
Quando questi approvvigionamenti giunsero in Spagna, la città di ''[[Iliturgi]]'' (nei pressi della moderna [[Mengíbar]]), che era passata dalla parte dei Romani, [[assedio di Iliturgi|venne attaccata]] da Asdrubale, Magone e [[Annibale (figlio di Bomilcare)|Annibale]] (figlio di [[Bomilcare (ammiraglio)|Bomilcare]]).<ref>{{cita|Livio|XXIII, 49.5}}.</ref> I due Scipioni però intervennero, riuscendo ad ottenere una determinante vittoria per la fine di quell'anno, tanto che Livio riferisce: «allora quasi tutte le popolazioni della Spagna passarono dalla parte dei Romani».<ref>{{cita|Livio|XXIII, 49.6-14}}.</ref>
*l'assicurazione che il trasporto delle forniture via mare, sarebbe stato a totale rischio dello Stato, sia in caso di naufragio, sia per eventuale sottrazione da parte del nemico.<ref>{{cita|Livio|XXIII, 49.1-3}}.</ref>
Quando questi approvvigionamenti giunsero in Spagna, la città di ''[[Iliturgi]]'' (nei pressi della moderna [[Mengíbar]]), che era passata dalla parte dei Romani, [[assedio di Iliturgi|venne attaccata]] da Asdrubale, Magone e [[Annibale (figlio di Bomilcare)|Annibale]] (figlio di [[Bomilcare (ammiraglio)|Bomilcare]]).<ref>{{cita|Livio|XXIII, 49.5}}.</ref> I due Scipioni però intervennero, riuscendo ad ottenere una determinante vittoria per la fine di quell'anno, tanto che Livio riferisce «allora quasi tutte le popolazioni della Spagna passarono dalla parte dei Romani».<ref>{{cita|Livio|XXIII, 49.6-14}}.</ref>


;214 a.C.
;214 a.C.

Versione delle 18:15, 9 feb 2015

Conquista romana della Spagna
parte delle guerre della Repubblica romana
e della storia della Spagna
Le popolazioni della penisola iberica prima della conquista cartaginese
Data218 - 19 a.C.
LuogoPenisola iberica
EsitoVittoria romana
Schieramenti
Comandanti
Voci di guerre presenti su Wikipedia

La conquista romana della Spagna iniziò nel 218 a.C. e terminò con la conquista romana dell'intera penisola iberica, chiamata Hispania dai Romani, ad opera di Cesare Ottaviano Augusto nel 17 a.C.

Molto prima della prima guerra punica, tra l'VIII e il VII secolo a.C. i Fenici (e successivamente i cartaginesi) erano già apparsi nella parte meridionale della Penisola iberica, così come a est e a sud dell'Ebro. I loro numerosi avamposti commerciali lungo le coste fornivano uno sbocco per il commercio mediterraneo di minerali e altre risorse dell'Iberia preromana. Tuttavia tali insediamenti, seppur generalmente costituiti da poco più di un deposito e un molo, oltre a favorire le esportazioni, introdussero nella Penisola prodotti e manufatti provenienti dalle opposte sponde mediterranee, causando indirettamente il diffondersi nelle culture locali di caratteristiche tipicamente orientali. Durante il VII secolo a.C., i Greci avevano stabilito le loro prime colonie sulle rive mediterranee del nord della penisola. Muovendo da Massalia (Marsiglia), fondarono le città di Emporion (Ampurias) e Roses, ben che fossero all'epoca già largamente presenti in tutti i centri principali della regione costiera anche senza appoggiarsi a centri stanziali permanenti. Parte dei traffici greci era trasportato da vettori commerciali fenici, sia in entrata che in uscita dalla penisola. Per la sua natura di potenza commerciale del Mediterraneo occidentale, Cartagine era naturalmente interessata ad espandersi in direzione della Sicilia e della parte meridionale della penisola italica. Il crescere della sua influenza creò ben presto frizioni con Roma, e il confliggere degli opposti interessi commerciali sfociò nelle Guerre Puniche, delle quali la prima si concluse con un instabile armistizio e una situazione di sostanziale stallo. Il permanere di una reciproca ostilità condusse alla Seconda guerra punica, che dopo dodici anni di scontri si concluse con la definitiva conquista romana del sud e l'est della penisola iberica. Successivamente, la decisiva sconfitta di Zama avrebbe estromesso Cartagine dal proscenio della storia antica. Malgrado la sconfitta totale dei loro rivali mediterranei, i Romani avrebbero comunque impiegato altri due secoli a controllare l'intera Penisola, anche a causa di una aggressiva politica espansionistica, che procurò loro l'ostilità della quasi totalità delle tribù iberiche dell'interno. Gli abusi e le violenze commesse dalle armate romane sulle popolazioni crearono un forte sentimento antiromano, e solo dopo anni di sanguinose battaglie i popoli indigeni di Hispania vennero schiacciati dal potere militare e culturale latino, che li cancellò dalla storia del mondo.

Contesto storico: Iberia cartaginese

La Spagna al tempo della conquista cartaginese (237-206 a.C.).
Lo stesso argomento in dettaglio: Cartaginesi e Spagna preromana.

Risolto in qualche modo il problema generato dai mercenari,[4] Cartagine cercò una via per riprendere il suo cammino storico. Il governo della città era diviso principalmente fra il partito dell'aristocrazia terriera, capeggiato dalla famiglia degli Annone da una parte, e il ceto imprenditoriale e commerciale che faceva riferimento ad Amilcare Barca e in genere ai Barcidi.

Annone propugnava l'accordo con Roma e l'allargamento del potere cartaginese verso l'interno dell'Africa, in direzione opposta alla città rivale. Amilcare vedeva nella Spagna, dove Cartagine già da secoli manteneva larghi interessi commerciali, il fulcro economico per la ripresa delle finanze puniche.[5]

Politicamente sconfitto Amilcare, che aveva avuto un ruolo di primo piano nella repressione della rivolta dei mercenari, non ottenendo dal Senato cartaginese le navi per andare in Spagna, prese il comando dei reparti mercenari rimasti e con una marcia incredibile attraversò tutto il nordafrica percorrendo la costa fino allo stretto di Gibilterra. Amilcare, che era accompagnato dal figlio Annibale e dal genero Asdrubale, attraversò lo stretto e, seguendo la costa spagnola, si diresse verso oriente alla ricerca di nuove ricchezze per la sua città.[6]

Amilcare Barca e il figlio Annibale. Cammeo in agata calcedonio di età romana. Conservato al Museo archeologico nazionale di Napoli.

La nuova provincia cartaginese sarebbe stata un bacino notevole da cui attingere truppe necessarie per permettere in futuro ai Cartaginesi di tornare a confrontarsi militarmente con la Repubblica romana. Tra queste truppe, provenienti da numerose tribù della regione, si distinguevano in particolare gli Ilergeti (dalla Spagna nordorientale) e i leggendari frombolieri delle Baleari.

La spedizione cartaginese assunse l'aspetto di una conquista, a partire dalla città di Gades (oggi Cadice), sebbene fosse stata inizialmente condotta senza l'autorità del senato cartaginese.[7] Dal 237 a.C., anno della partenza dall'Africa al 229 a.C., anno della sua morte in combattimento,[7] Amilcare riuscì a rendere la spedizione autosufficiente dal punto di vista economico e militare e perfino a inviare a Cartagine grandi quantità di merci e metalli requisiti alle tribù ispaniche come tributo.[6][8] Morto Amilcare il genero ne prese il posto per otto anni e iniziò una politica di consolidamento delle conquiste.[9] Con patti e trattati si accordò con i vari popoli locali[10] e fondò una nuova città. La chiamò Karth Hadasht, cioè Città Nuova, cioè Cartagine, oggi Cartagena.[11]

Impegnati con i Galli, i Romani preferirono accordarsi con Asdrubale e nel 226 a.C., spinti anche dall'alleata Marsalia che vedeva avvicinarsi il pericolo, stipularono un trattato che poneva l'Ebro come limite all'espansione di Cartagine.[7][12][13] Si riconosceva così, in modo implicito, anche il nuovo territorio soggetto al controllo cartaginese.[14] D'altra parte un esercito di circa 50.000 fanti, 6.000 cavalieri per lo più numidi e oltre 200 elefanti da guerra costituiva una notevole potenza militare ma soprattutto un problema economico per il suo mantenimento che dava sicuramente da pensare ai possibili bersagli. La svolta si ebbe nel 221 a.C.: Asdrubale, pare a causa di una donna (o forse, come sostiene Tito Livio, fu uno schiavo per vendicare la morte del suo padrone[15]), fu ucciso da un mercenario gallo[7][16] e l'esercito cartaginese scelse all'unanimità Annibale,[17], il figlio maggiore di Amilcare che aveva solo 26 anni, come suo terzo comandante in Spagna.[18][19] Cartagine, una volta radunato il popolo, decise di ratificare la designazione dell'esercito[20][21].

In questo modo quindi il giovane Annibale assunse il comando supremo in Spagna; egli si era già distinto nell'esercito per resistenza fisica, coraggio e abilità alla testa della cavalleria, accattivandosi rapidamente la simpatia delle truppe[22]; ben presto avrebbe dimostrato di essere uno dei più grandi generali della storia; secondo lo storico tedesco Theodor Mommsen "nessuno come lui seppe accoppiare il senno con l'entusiasmo, la prudenza con la forza".

Casus belli

Lo stesso argomento in dettaglio: Assedio di Sagunto e Seconda guerra punica.
Claudio Francesco Beaumont, Annibale giura odio ai Romani (olio su tela, 330 × 630 cm del XVIII secolo)

La Seconda guerra punica tra Cartagine e Roma venne provocata dalla disputa tra le due potenze su chi dovesse controllare Sagunto, una città costiera ellenizzata e alleata dei Romani. Dopo una grande tensione nel governo cittadino culminante nell'assassinio dei sostenitori di Cartagine, Annibale cinse d'assedio la città di Sagunto nel 218 a.C. La città chiese aiuto ai Romani, ma i Romani non mossero un dito per aiutarli. In seguito a un prolungato assedio e una battaglia sanguinolenta in cui Annibale stesso venne ferito e l'esercito praticamente distrutto, i Cartaginesi si impossessarono della città. Molti dei Saguntiani scelsero di suicidarsi pur di evitare la sottomissione e la schiavitù che li attendeva nelle mani dei Cartaginesi.[23] La guerra continuò poi con la spedizione in Italia di Annibale.

Lo storico greco Polibio affermava che tre furono i motivi principali della seconda guerra tra Romani e Cartaginesi:

  1. la prima causa scatenante della guerra tra Romani e Cartaginesi fu lo spirito di rivalsa del padre di Annibale, Amilcare Barca.[24] Costui, se non ci fosse stata la rivolta dei mercenari contro i Cartaginesi, avrebbe ricominciato a preparare un nuovo conflitto.[25][26] Si racconta, inoltre, che Annibale prima di partire era stato condotto al cospetto degli dei della città dal padre che gli aveva fatto giurare odio eterno a Roma.[27] Annibale, poco più che bambino, aveva compreso il significato intimo del giuramento. A 26 anni, capo dell'esercito, idolatrato dai suoi uomini con cui aveva vissuto per anni condividendo pericoli e disagi, impresse una svolta decisiva alla politica cartaginese in Spagna, ampliandone le conquiste.[28]
  2. Seconda causa della guerra, sempre secondo Polibio, fu l'aver dovuto sopportare, da parte dei Cartaginesi, la perdita del dominio sulla Sardegna e sulla Corsica con la frode, come ricorda Tito Livio, e il pagamento di ulteriori 1.200 talenti in aggiunta alla somma pattuita in precedenza al termine della prima guerra punica.[29][30][31]
  3. Terza ed ultima causa fu l'aver conseguito numerosi successi in Iberia da parte delle armate cartaginesi, tanto da destare negli stessi un rinnovato spirito di rivalsa nei confronti dei Romani.[32]

I Cartaginesi provarono a difendere il loro operato e quello di Annibale, adducendo come scusa che nel trattato precedente dopo la prima guerra punica non si faceva alcun cenno all'Iberia e quindi all'Ebro,[33] ma Sagunto era considerata alleata ed amica del popolo romano.[34] La guerra fu inevitabile,[35][36] solo che come scrive Polibio, la guerra non si svolse in Iberia [come auspicavano i Romani] ma proprio alle porte di Roma e lungo tutta l'Italia.[37] Era la fine del 219 a.C. e iniziava la seconda guerra punica.[38][39]

Forze in campo

Cartaginesi
Lo stesso argomento in dettaglio: Esercito cartaginese.

Nella primavera del 218 a.C., Annibale, secondo quanto racconta Polibio, attuò una politica accorta e saggia, facendo passare i soldati della Libia in Iberia e viceversa, cementando così i vincoli di reciproca fedeltà tra le due province.[40] Lasciò, quindi, in Spagna, sotto il comando del fratello Asdrubale, per tenere a bada le popolazioni locali, una forza navale formata da 50 quinqueremi, 2 quadriremi e 5 triremi; 450 cavalieri tra Libi-Fenici e Libici, 300 Lergeti e 1.800 tra Numidi, Massili, Mesesuli, Maccei e Marusi; 11.850 fanti libici, 300 Liguri, 500 Balearici e 21 elefanti.[41]

Romani
Lo stesso argomento in dettaglio: Esercito romano della media repubblica.

I due consoli si suddivisero, come d'uso, i compiti: Publio Cornelio fu posto a capo di 60 navi e inviato in Iberia.[42]

Invasione romana dell'Iberia

Lo stesso argomento in dettaglio: Spagna romana.

Come prima mossa all'avanzata di Annibale, uno dei due consoli, Publio Cornelio fu posto a capo di 60 navi e inviato in Iberia. In seguito Roma inviò truppe sotto il comando di Gneo e Publio Cornelio Scipione. Gneo fu il primo a arrivare in Hispania mentre suo fratello Publio si dirigeva verso Massalia con l'obiettivo di ottenere aiuti e di fermare l'avanzata Cartaginese. Emporion, o Empúries, fu il luogo da dove Roma iniziò la sua conquista della penisola. La loro prima missione era quella di trovare alleati tra gli Iberici. Firmarono trattati di alleanza con capi tribù Iberici sulla costa ma probabilmente non ottennero aiuti dalla maggior parte delle tribù (tra cui la tribù dei Ilergeti, una delle tribù più importanti a nord dell'Ebro, che erano alleati con i Cartaginesi). Gneo Scipione sottomise queste tribù, con la diplomazia o con la forza. Tra le città conquistate vi era Tarragona, dove Gneo stabilì la sua residenza.

Guerra tra Cartagine e Roma

I due Scipioni (218-212/211 a.C.)

L'avanzata romana in Spagna (218-217 a.C.).
218 a.C.
Lo stesso argomento in dettaglio: Battaglia di Cissa.

I territori iberici rappresentavano per i Cartaginesi la base economica e militare della guerra annibalica. Era dalla Spagna che proveniva buana parte delle truppe mercenarie ed alleate, oltre ad argento e rame, indispensabili supporti finanziari per far fronte ai crescenti costi bellici. La prima importante battaglia tra Cartaginesi e Romani ebbe luogo a Cissa nel 218 a.C., probabilmente presso Tarragona, sebbene alcuni abbiano tentato di identificarla con Guissona nella provincia odierna di Lleida. I Cartaginesi, comandati da Annone vennero sconfitti dalle truppe romane comandate da Gneo Cornelio Scipione Calvo. Il capo degli Ilergeti Indibile, che combatté insieme ai Cartaginesi, venne catturato. Ma quando la vittoria di Gneo sembrava certa, Asdrubale Barca arrivò con rinforzi e disperse i Romani senza tuttavia sconfiggerli. Le truppe cartaginesi ritornarono nella loro capitale di Cartagena (Carthago Nova) e i Romani nella loro base primaria a Tarragona (Tarraco).

217 a.C.
Lo stesso argomento in dettaglio: Battaglia del fiume Ebro.

Nel 217 a.C., la flotta di Gneo sconfisse quella di Asdrubale Barca nella bocca dell'Ebro. Poco dopo, arrivarono rinforzi dall'Italia sotto il comando di Publio Scipione e i Romani riuscirono ad avanzare fino a Sagunto e ad occuparla, grazie all'aiuto del nobile Abelox. Dopo i successi del 217 a.C. i fratelli Scipioni ritornarono a nord dell'Ebro per riorganizzare le loro forze e consolidare le posizioni raggiunte, ma Asdrubale non poté sfruttare la situazione e dopo aver ricevuto rinforzi, dovette impegnarsi nel 216 a.C. a sedare una estesa rivolta della popolazione iberica dei Turdetani.[43] Il senato cartaginese era però deciso a far muovere Asdrubale verso l'Italia e il condottiero ricevette gli ordini di partire al più presto con il suo esercito mentre altre forze e una flotta al comando di Imilcone vennero inviate in Spagna per difendere il dominio punico che era minacciato anche da continue rivolte di popolazioni locali.[44] A Gneo e a Publio Scipione viene attribuita la fortificazione di Tarraco e la costruzione di un porto militare. Le mura della città vennero probabilmente costruite sui resti di un'antica muraglia; i segni dei manovali iberici sono ancora visibili, dato che vennero costruite a mano.

216 a.C.

Gneo e Publio Scipione avevano deciso di dividere tra loro l'esercito, in modo che Gneo comandasse la guerra per terra e Publio per mare. Frattanto Asdrubale, comandante dei Cartaginesi, non fidandosi abbastanza delle forze che aveva a disposizione, preferì mantenere le distanze dal nemico romano, fortificandosi. E dopo aver a lungo atteso, finalmente ottenne dall'Africa di riceve un contingente di 4.000 fanti e 1.000 cavalieri.[45] Sentendosi così più forte, decise di avvicinarsi al nemico, ordinando alla flotta di difendere le isole e le spiagge. E mentre si stava preparando, alcuni dei suoi comandanti della flotta disertarono, poiché in precedenza erano stati rimproverati per aver abbandonato la flotta presso l'Ebro. Questi si erano rifugiati presso il popolo dei Tartessi, tanto che, dietro loro istigazione, alcune città si erano ribellate ed una era stata presa con la forza.[46]

Localizzazione del popolo dei Tartessi

Asdrubale era stato così costretto a dover volgere la propria armata contro questa popolazione, invece che contro i Romani. Come prima azione penetrò in territorio nemico, deciso ad assalire Calbo, nobile capo di quel popolo. Quest'ultimo si trovava con un grosso esercito davanti alle mura di quella città presa pochi giorni prima.[47] Mandati avanti i soldati ramati alla leggera per provocare il nemico, permise alla cavalleria di saccheggiare i campi limitrofi. Seguirono di lì a poco una serie di scontri tra i due schieramenti, in condizioni di reciproco terrore, mentre Asdrubale decise di fortificarsi su di un colle abbastanza difeso. Nei combattimenti a cavallo i Numidi furono inferiori agli Iberi, che superarono anche i Mauri nel tiro del giavellotto.[48] Quando i Tartessi si accorsero di non poter assaltare il campo fortificato di Asdrubale, decisero di assaltare la vicina città di Ascua, dove il comandante cartaginese aveva raccolto frumento ad altri approvvigionamenti.[49] Asdrubale decise allora di passare al contrattacco, poiché aveva notato che erano privi di disciplina. Molti di loro perirono nello scontro successivo e solo pochi, forzando il passo, riuscirono a trovare scampo tra le selve e i monti. Anche il vicino accampamento venne occupato e il giorno seguente tutto il resto di quella popolazione, si arrese ai Cartaginesi.[50]

Dopo aver avuto la notizia della vittoria di Canne, Asdrubale aveva ricevuto l'ordine di portare l'esercito in Italia appena gli fosse stato possibile. Quando questa notizia si diffuse tra le popolazioni della penisola iberica, quasi tutte le popolazioni si volsero in favore dei Romani.[51] Venuto a conoscenza della situazione e resosi conto che, nel caso avesse abbandonato la Spagna, i Cartaginesi avrebbero rischiato di perdere tutti i loro possedimenti nella penisola iberica, inviò dei messi in Africa affinché inviassero un suo successore prima della sua partenza.[52]

215 a.C.
Lo stesso argomento in dettaglio: Battaglia di Dertosa e Assedio di Iliturgi.

Venne così inviato in Spagna Imilcone, con truppe regolari e una flotta più numerosa, per difendere la provincia cartaginese. Giunto presso Asdrubale, quest'ultimo, dopo aver imposto alle popolazioni sottomesse di pagare un tributo per permettergli di comprare il diritto di passaggio nel territorio dei Galli (come aveva fatto un paio d'anni prima il fratello, Annibale), partì, discendendo il fiume Ebro.[53] Quando i due fratelli Scipioni, che erano impegnati nell'assedio di Ibera, seppero di questi avvenimenti, lasciarono da parte ogni altra impresa e concentrarono le loro truppe per sbarrare la strada a Asdrubale.[54] La battaglia di Dertosa (presso Amposta o Sant Carles de la Ràpita) si concluse con una netta vittoria dei Romani e Asdrubale dovette ripiegare rinunciando a marciare in aiuto di Annibale in Italia.[55] Questa sconfitta cartaginese influì anche sulla campagna annibalica in Italia, rendendo impossibile l'ulteriore invio di rinforzi nella penisola. Era previsto infatti l'invio ad Annibale attraverso il porto di Locri di un esercito al comando del fratello Magone forte di 12.000 fanti, 1.500 cavalieri, venti elefanti, mille talenti d'argento e 60 navi,[56] ma la grave sconfitta di Asdrubale che faceva temere un crollo delle posizioni puniche in Spagna, costrinse il senato cartaginese a dirottare queste forze; Magone quindi venne inviato nella penisola iberica per aiutare il fratello Asdrubale e fermare l'avanzata di Cneo e Publio Scipione.[57]

Alla fine dell'estate, giunse dai due Scipioni una lettera al Senato di Roma, nella quale venivano descritti i loro successi ottenuti nella penisola iberica, aggiungendo che mancava però il denaro necessario per far fronte alle paghe ai soldati, oltre agli indumenti e al grano per l'esercito e i marinai alleati. Si faceva presente che, riguardo agli stipendia dei soldati, essi avrebbero provveduto facendoseli prestare dalle popolazioni ispaniche alleate, mentre per tutto il resto, il Senato avrebbe dovuto intervenire quanto prima, perché altrimenti non si sarebbero potuti mantenere né l'esercito né la provincia.[58] Letta pubblicamente la lettera, tutti riconobbero la necessità di inviare i dovuti aiuti in Hispania. La difficoltà risiedeva nel fatto di:

«[...] quanti eserciti di terra e di mare [Roma] avrebbe dovuto mantenere e quante nuove flotte si sarebbero dovute mantenere, nel caso si fosse mossa la guerra alla Macedonia. [...] del resto un gran numero di contribuenti era stato ridotto per le grandi stragi degli eserciti al Trasimeno e a Canne. I pochi sopravvissuti, se fossero stati gravati da moltissimi stipendia, sarebbero morti di altro male.»

Venne allora comunicata a Roma la necessità di sostenere queste spese col credito, dando in appalto ai privati le forniture necessarie per l'esercito in Spagna, col patto che fossero i primi ad essere pagati, non appena l'aerarium avesse avuto il denaro necessario.[59] L'appalto alla fine venne preso da tre compagnie di diciannove persone ciascuna, che ottennero per i servigi prestati alla Res publica l'esonero dal servizio militare e l'assicurazione che il trasporto delle forniture via mare sarebbe stato a totale rischio dello Stato, sia in caso di naufragio, sia per eventuale sottrazione da parte del nemico.[60] Quando questi approvvigionamenti giunsero in Spagna, la città di Iliturgi (nei pressi della moderna Mengíbar), che era passata dalla parte dei Romani, venne attaccata da Asdrubale, Magone e Annibale (figlio di Bomilcare).[61] I due Scipioni però intervennero, riuscendo ad ottenere una determinante vittoria per la fine di quell'anno, tanto che Livio riferisce: «allora quasi tutte le popolazioni della Spagna passarono dalla parte dei Romani».[62]

214 a.C.
Lo stesso argomento in dettaglio: Battaglia di Munda (214 a.C.) e Battaglia di Orongi.

E mentre continuava la logorante guerra in Italia, la campagna in Spagna aveva assunto un ruolo sempre più importante. La Hispania Ulterior si sarebbe riballata ai Romani se Gneo e suo fratello Publio Cornelio Scipione non avessero oltrepassato l'Ebro, per incoraggiare gli animi incerti.[63] I Romani inizialmente posero il loro accampamento presso Castrum Album (Alicante), famosa località per una cocente sconfitta rimediata in passato da Amilcare il Grande.[64] La rocca era fortificata. In essa i Romani vi avevano posto importanti riserve di grano, tuttavia erano stati sorpresi dalla cavalleria nemica e 2.000 di loro erano stati uccisi. Fu così che si erano ritirati, accampandosi presso il "monte della Vittoria". Qui giunsero i due Scipioni con l'esercito al gran completo. Contemporaneamente Asdrubale Giscone con un esercito completo si posizionò al di là del fiume, di fronte all'accampamento romano.[65] Livio racconta che Publio, partito per un giro d'ispezione, venne sorpreso da un contingente nemico, che lo costrinse a rifugiarsi su un'altura e, se non fosse stato per il pronto intervento del fratello Gneo, sarebbe stato pesantemente sconfitto.[66] In questo stesso periodo Castulo, che aveva dato i natali alla moglie di Annibale, passò dalla parte dei Romani. Intanto i Cartaginesi si apprestarono ad assediare Iliturgi, dove si trovava un presidio romano dall'anno precedente. Si racconta che Gneo Scipione, partito in soccorso dei suoi con una legione, passò in mezzo a due accampamenti nemici, facendone grande strage e riuscendo a penetrare all'interno di Iliturgi; il giorno seguente ci fu una nuova battaglia, al termine della quale rimasero uccisi ben 12.000 nemici. Vennero inoltre fatti prigionieri più di mille uomini e vennero sottratte 36 insegne nemiche.[67] Così i Cartaginesi si ritirarono da Iliturgi e si recarono a Bigerra (forse l'odierna Becerra), nel territorio degli Oretani, anch'essa alleata dei Romani. E anche questa volta l'intervento di Gneo Scipione pose fine all'assedio senza dover combattere.[68]

I Cartaginesi, dopo questo ennesimo scontro, preferirono trasferire i propri accampamenti nei pressi di Munda (l'odierna Montilla) ed i Romani li seguirono. Anche in questa occasione scoppiò una nuova battaglia che durò per quattro ore circa. L'esito finale rimase incerto anche poiché Gneo rimase ferito al femore e i Romani preferirono ritirarsi.[69] Sembra che al termine della battaglia erano stati uccisi 12.000 tra le fila cartaginesi, oltre a quasi 3.000 prigionieri e catturate 57 insegne.[70] A questo punto i Cartaginesi preferirono ritirarsi a Orongi (Aurinx, probabilmente posizionata tra Monclova e Jimena de la Frontera[71]), dove i Romani li inseguirono per incalzarli mentre erano ancora terrorizzati per la sconfitta subita.[72] Anche qui vi fu una nuova battaglia che vide Scipione uscirne vittorioso.[73]

E poiché la situazione in Spagna sembrava ormai favorevole ai Romani, negli stessi si manifestò un senso di vergogna per non essere stati in grado di liberare Sagunto, ormai in potere dei Cartaginesi da quasi otto (sei?) anni.[74] Fu così che i Romani si diressero verso questa città e la liberarono dal presidio cartaginese, restituendole l'antica libertà. In seguito i Romani sottomisero i Turdetani, che avevano provocato la guerra tra i Saguntini e i Cartaginesi, e li vendettero come schiavi distruggendo la loro città.[75]

213 a.C.
Massinissa (o Micipsia)[76]
Dritto: effigie di Massinissa con diadema Rovescio: cavallo verso sinistra, una palma sullo sfondo
Moneta di bronzo risalente al (203 - 148 a.C.)

I due Scipioni, Publio e Gneo, ora che la situazione volgeva a loro favore in Spagna, dopo che erano stati recuperati molti tra vecchi e nuovi alleati, estesero la loro speranza anche all'Africa. Il re della Numidia era Siface, che da amico si era trasformato in nemico dei Cartaginesi. Gli Scipioni inviarono a lui tre centurioni come ambasciatori con l'incarico di stringere con lui un'alleanza, invitandolo a continuare la sua guerra contro Cartagine e promettendogli importanti compensi.[77] Le proposte romane furono accolte con benevolenza dal re e accortosi di quanto egli fosse ignorante nella disciplina militare, chiese ad uno dei tre centurioni, Quinto Statorio, di rimanere come istruttore per le sue truppe, come buono e fedele alleato. Egli sosteneva che i Numidi fossero abili come cavalieri ma scarsi come fanteria.[78]

Come segno poi di amicizia verso i Romani, inviò loro alcuni suoi ambasciatori, insieme ai due centurioni, per siglare un patto di alleanza con i due Scipioni. Spinse quindi alla defezione quei Numidi che, come ausiliari, erano di servizio in alcune guarnigioni cartaginesi. Contemporaneamente Statorio, iniziò l'arruolamento di molti giovani come soldati di fanteria e, dopo averli organizzati in modo analogo ai Romani, li sottopose a manovre ed istruzioni militari come quella di seguire le insegne. In breve tempo il re si trovò a poter fare affidamento nella nuova fanteria tanto quanto nella sua cavalleria, sentendosi pronto ad affrontare i Cartaginesi in una battaglia campale.[79] L'arrivo degli ambasciatori numidi in Spagna fece sì che si moltiplicassero le defezioni. Quando i Cartaginesi vennero a sapere dell'alleanza tra Siface e i Romani, inviarono subito a Gala, che regnava sull'altra parte della Numidia tra i Massili (nell'attuale regione di Costantina), dei loro ambasciatori per stabilirvi una nuova alleanza.[80]

Gala aveva un figlio di diciassette anni, Massinissa, di una tale indole che già da allora appariva che avrebbe ampliato i domini del regno di suo padre. I Cartaginesi informarono Gala del fatto che, i Romani e Siface avrebbero potuto, ora che erano alleati, combattere insieme sia in Spagna, sia in Africa, con grave danno per tutte le altre genti africane. Era necessario, pertanto, contrastare questa crescente potenza su entrambi i fronti.[81] Fu facile persuadere Gala a inviare un esercito, poiché il figlio Massinissa insisteva a chiedere quella guerra. Poco dopo, infatti, Siface fu sconfitto in una grande battaglia in Africa, dai Cartaginesi e dalle truppe guidate dal giovane Massinissa. Si dice che caddero ben 30.000 uomini.[82] Siface allora con pochi cavalieri si rifugiò presso i Numidi Maurusi, che abitano le estreme regioni dell'Africa, vicino alle spiagge dell'oceano, di fronte a Gades. Qui egli riuscì a radunare nuovamente un grosso esercito e passò con essi in Spagna. Contemporaneamente Massinissa, giunse anch'egli nella penisola iberica, pronto a contrastare Siface senza l'aiuto dei Cartaginesi.[83]

Intanto i due Scipioni riuscirono a convincere la gioventù dei Celtiberi a stare dalla loro parte, alle stesse condizioni pattuite con i Cartaginesi. Inviarono, inoltre, 300 nobilissimi cavalieri spagnoli in Italia per convincere i connazionali, che militavano tra i mercenari dell'esercito cartaginese, a passare dalla parte dei Romani. Secondo poi quanto racconta Livio, questo fu l'anno in cui, per la prima volta, soldati mercenari soggiornarono negli accampamenti romani.[84]

212[85]/211 a.C.[86]
Lo stesso argomento in dettaglio: Battaglie del Baetis superiore.
La città romana di Castulo (oggi Linares) nei pressi della quale si ebbe uno scontro tra Romani e Cartaginesi

I comandanti romani decisero di intraprendere una campagna decisiva nel tentativo di porre fine alla guerra in Spagna. Per questo gli Scipioni ritenevano di essere dotati di forze sufficienti, avendo arruolato nel corso dell'inverno oltre ventimila celtiberi, da aggiungere alle forze romano-italiche. Fu così che riunirono i loro eserciti dopo essere usciti dai quartieri d'inverno (hiberna).[87] I Cartaginesi avevano disposto le loro truppe in tre armate principali: le forze comandate da Asdrubale Barca, quelle guidate di Magone e dall'altro Asdrubale, figlio di Giscone, che si trovavano a circa cinque giorni di marcia dai Romani.[88] Asdrubale Barca era più vicino, accampato presso la città di Amtorgi.[89] Gli Scipioni ritenevano di avere forze superiori a quelle di Asdrubale Barca, per questo motivo erano decisi ad attaccarlo per primo. Volevano, tuttavia, evitare di spaventare gli altri due comandanti punici poiché in caso di vittoria romana, Magone e il collega non si ritirassero in luoghi impervi iniziando una sorta di interminabile guerriglia.[90] Fu così deciso di dividere l'esercito romano in due armate. La prima, composta da due terzi dell'esercito, era guidata da Publio Cornelio e doveva attaccare Magone e Asdrubale di Gisgone; le forze romane rimanenti, rinforzate dai Celtiberi, dovevano muovere contro Asdrubale Barca. Tutto l'esercito si diresse prima verso il campo di Amtorgi poi, mentre Gneo vi si fermava, Publio continuò la marcia per raggiungere Magone e Asdrubale Giscone.[91]

Quando Asdrubale si accorse che l'esercito romano di Gneo Scipione era di scarsa consistenza rispetto ai propri alleati celtiberi, riuscì a convincere questi ultimi a ritirarsi dal campo romano, facendo ritorno alle loro abitazioni.[92] Scipione, trovatosi improvvisamente in grave svantaggio numerico, non potendo né combattere né ricongiungersi al fratello iniziò una lenta ritirata cercando di non offrire facili occasioni di attacco ai Cartaginesi che lo seguivano.[93] Contemporaneamente Publio Cornelio Scipione era assillato da un pericolo altrettanto grande e nuovo. Asdrubale gli aveva scatenato contro la cavalleria numidica del giovane alleato Massinissa. Il principe numida non lasciò tregua al comandante romano, impedendo che i suoi soldati si allontanassero dal campo in cerca di foraggio cibo e legna, né di giorno né di notte.[94] I Romani si trovavano così sotto assedio.[95] Publio Scipione allora, incitando i suoi ed esponendosi dove più aspra era la mischia, venne colpito e cadde esanime da cavallo. Morto il comandante romano, i Romani si diedero alla fuga generale e nessuno sarebbe sopravvissuto se non fosse giunta notte.[96]

Nell'ovale rosso la cittadina di Lorca

I Cartaginesi non persero tempo, cercando di trarre il massimo profitto da quella fortunata circostanza. Dopo un breve riposo, a marce forzate si ricongiunsero alle forze di Asdrubale Barca, nella certezza di poter concludere la guerra.[97] Gneo Cornelio, pur non avendo ancora avuto notizia della disfatta subita dagli uomini di Publio, notò che i nemici erano aumentati notevolmente di numero e suppose il peggio per il fratello.[98] Gneo allora, pieno di ansietà anche per la sorte del fratello, decise che la miglior soluzione fosse quella di ritirarsi quanto gli era possibile. All'alba, quando i Cartaginesi si accorsero che i Romani erano partiti, ancora una volta mandarono avanti i Numidi di Massinissa ad attaccare la colonna romana.[99] Alla fine Scipione dovette fermare la marcia e si attestò su una collinetta brulla e spoglia (non lontano dall'antica città di Ilorci o Ilorca, l'attuale Lorca) dove i Romani riuscirono, almeno inizialmente, a difendersi dagli attacchi di Massinissa.[100] E pensando a quando ai Numidi si fossero aggregati i tre interi eserciti dei comandanti cartaginesi, Scipione capì che i Romani avrebbero avuto scarse possibilità di difendersi. Iniziò a considerare la possibilità di creare una trincea per difendersi dal nemico.[101]

L'attacco contemporaneo dei tre eserciti cartaginesi che ne seguì, costrinse i soldati romani a retrocedere e a darsi alla fuga. Molti furono uccisi ma la maggior parte trovò rifugio nel vecchio campo di Publio Cornelio che era presidiato da Tiberio Fonteio.[102] Gneo però rimase ucciso nello scontro.[103] E quando parevano perduti gli eserciti e perdute le Spagne, un uomo solo risollevò la disperata situazione. Si trattava di Lucio Marcio Settimo che, una volta eletto generale dalle truppe, grazie all'esperienza raccolta sotto Gneo Scipione, riuscì a raccogliere le disperse forze romane, a ricongiungersi al presidio di Tiberio Fonteio e a guidare i Romani oltre l'Ebro dove fortificarono gli accampamenti e vi trasportarono i rifornimenti.[104] All'avvicinarsi di Asdrubale di Gisgone, i Romani, in preda all'ira ed al furore, assalirono il nemico incauto che avanzava in schiere disordinate e lo misero in fuga, compiendo una tremenda strage.[105]

I Cartaginesi, come videro che nessuno li inseguiva, rientrarono al loro campo, sottovalutando le forze avversarie che ritenevano i semplici resti di due eserciti pesantemente sconfitti. Marcio, fatte le debite esplorazioni e notando una scarsa vigilanza da parte dei Cartaginesi, si preparò a dare un nuovo assalto agli accampamenti nemici, dopo aver arringato le truppe (adlocutio).[106] La battaglia che ne seguì vide l'armata romana occupare due accampamenti cartaginesi, dopo aver compiuto una terribile strage del nemico.[107] Marcio in una notte e un giorno fu padrone di entrambi gli accampamenti cartaginesi,[108] venendo acclamato dux.[109] Le numerose fonti citate da Tito Livio evidenziano una netta vittoria romana oltre alla conquista di un enorme bottino.[110] Fra gli oggetti predati vi era anche lo scudo d'argento del peso di 137 libbre (quasi 45 chilogrammi) con l'effige di Asdrubale Barca.[111] Questo trofeo, denominato scudo Marzio, rimase sul Campidoglio fino all'incendio del tempio.[112] Dopo questo successo, peraltro messo in dubbio da parte di alcuni storici moderni,[113] sembra che le cose in Spagna si calmarono per qualche tempo, poiché entrambe le parti esitavano a compiere una prima mossa, dopo tante disfatte subite e prodotte alla parte avversa.[114]

Scipione Africano (211 - 206 a.C.)

Lo stesso argomento in dettaglio: Assedio di Cartagena.
211 a.C.

Morti il padre e lo zio del futuro "Africano", il possesso della Spagna sarebbe verosimilmente andato perduto senza l'iniziativa di Lucio Marcio, che riuscì a riorganizzare i reparti sopravvissuti alla disfatta e fermare l'avanzata cartaginese, ottenendo una insperata vittoria nelle battaglie del Baetis superiore.[115] Publio Scipione (il giovane) arrivò in Hispania accompagnato da Marco Giunio Silano (che sarebbe succeduto a Claudio Nerone) e dal suo consigliere Gaio Lelio, capo del gruppo. Subito dopo il suo arrivo i tre eserciti Cartaginesi si trovavano in questa situazione: l'esercito di Asdrubale Barca si trovava nella zona si trovava presso le sorgenti del fiume Tago; l'esercito di Asdrubale, figlio di Giscone, si trovava in Lusitania presso l'odierna Lisbona; e l'esercito di Magone si trovava nella zona presso lo Stretto di Gibilterra.

210 a.C.

Nel 210 a.C. una spedizione sotto il comando di Gaio Claudio Nerone riuscì a catturare temporaneamente Asdrubale Barca ma si ritirò disonorevolmente. Il Senato romano decise di inviare un nuovo esercito sull'Ebro per impedire ai Cartaginesi di giungere in Italia. In seguito Publio Scipione riuscì a farsi inviare in Spagna con 11.000 uomini resi disponibili dopo la riconquista di Capua, e con una serie di brillanti operazioni belliche e diplomatiche restrinse sempre più il controllo cartaginese nella penisola iberica.

209 a.C.

Scipione riuscì a farsi inviare in Spagna con 11.000 uomini resi disponibili dopo la riconquista di Capua, e con una serie di brillanti operazioni belliche e diplomatiche restrinse sempre più il controllo cartaginese nella penisola iberica, rendendo difficile il reclutamento di forze contro Roma. Scipione riuscì anche a rovesciare alcune alleanze fra iberici e cartaginesi rendendo difficile il reclutamento di forze contro Roma e contestualmente sferrò attacchi, in genere coronati da successo, contro colonie cartaginesi e città loro alleate: venne riconquistata Sagunto e presa Cartagena (nel 209 a.C.), quest'ultima ribattezzata Nova Carthago.[116] Livio racconta che Publio Scipione, con una mossa audace, lasciò l'accampamento sull'Ebro e attaccò per terra e per mare Cartagena. La capitale peninsulare punica era difesa da poche truppe comandate da un nuovo leader che si chiamava Magone, che dovette arrendersi al superiore esercito romano, consegnando dunque la città ai Romani. Publio Scipione ritornò a Tarraco prima che Asdrubale potesse abbandonare il suo accampamento sull'Ebro. Dopo questa operazione, una grande parte dell'Hispania Ulterior venne conquistata da Roma. Publio Scipione si fece amici vari capi tribù Iberici fino ad allora alleati con i Cartaginesi, come Edeco (nemico di Cartagine fin da quando sua moglie e i suoi figli gli vennero portati via e resi schiavi dai cartaginesi), Indibile (che odiava i Cartaginesi per lo stesso motivo), e Mandonio (che era stato attaccato da Asdrubale Barca).

Giambattista Tiepolo, Scipione l'Africano libera Massiva (Walters Art Museum, Baltimora)
208 a.C.

Nell'inverno del 209 a.C. e 208 a.C. Publio Scipione avanzò verso sud e si scontrò con l'esercito di Asdrubale Barca (che in quel momento stava avanzando verso nord) presso Santo Tomé nel villaggio di Baecula dove ebbe luogo la Battaglia di Baecula. Qui Scipione ottenne una nuova vittoria, ma strategicamente l'azione del generale romana fu un parziale fallimento e venne aspramente criticata in senato soprattutto dalla fazione di Fabio Massimo. In effetti nonostante le vittorie, Scipione non riuscì ad impedire che Asdrubale Barca organizzasse un nuovo grande corpo di spedizione con il quale sfuggì al controllo dei romani e intraprese con successo nel 208 a.C. una seconda invasione dell'Italia attraverso i Pirenei e le Alpi per accorrere in aiuto di Annibale.[117] Magone Barca si ritirò con le sue truppe nelle Isole Baleari e Asdrubale Giscone lo supportava in Lusitania.

207 a.C.

I riorganizzati Cartaginesi e i loro rinforzi lasciarono l'Africa sotto la guida di Annone riuscendo a riconquistare gran parte del sud della penisola. Dopo che Annone sottomise questa regione, Magone ritornò con il suo esercito e si incontrò con Asdrubale Giscone. Ma poco dopo Annone e Magone vennero sconfitti dai Romani condotti da Marco Silano. Annone fu fatto prigioniero, e Asdrubale Giscone e Magone dovettero rafforzare i loro eserciti nei luoghi più importanti. Scipione, rimasto in Spagna, riuscì nel 207 a.C. a imporre definitivamente il predominio romano in Spagna sconfiggendo nella battaglia di Ilipa le forze cartaginesi comandante da Asdrubale di Gisgone e Magone che dovettero evacuare tutti i territori e rifugiarsi con le truppe superstiti a Cadice.[118]

206 a.C.

Asdrubale Giscone e Magone Barca ricevettero nuovi rinforzi dall'Africa, e formarono un esercito di nativi. Combatterono i Romani a Ilipa (moderna Alcalá del Río nella provincia di Siviglia), ma in quest'occasione furono i Romani di Publio Scipione l'Africano a prevalere. Magone e Asdrubale Giscone si rifugiarono a Gades, e Publio Scipione ottenne il controllo di tutto il sud della penisola. Poteva giungere in Africa e incontrare il re numide Siface che gli aveva fatto visita in Hispania. Nel 206 a.C. Roma espulse Cartagine dalla Spagna, chiudendo il fronte occidentale.

205 a.C.

Nel 205 a.C. Roma sottoscrisse la pace di Fenice, chiudendo anche il fronte orientale. Sulla scia del successo in Spagna Scipione venne eletto console e gli fu affidata la Sicilia. Poi Publio Scipione si ammalò, e l'esercito approfittò di ciò per chiedere paghe più alte. Di ciò ne approfittarono a loro volta gli Ilergeti e altre tribù iberiche che si ribellarono sotto il comando dei capi tribù Indibile e Mandonio (degli Ausetani). Questa ribellione era essenzialmente contro i proconsoli Lucio Lentulo e Lucio Manlio. Publio Scipione placò gli ammutinati e represse con la forza la rivolta iberica. Mandonio venne catturato e giustiziato (205 a.C.); Indibile riuscì a fuggire. Magone e Asdrubale Giscone abbandonarono Gades con tutte le loro navi e le loro truppe per accorere in aiuto di Annibale in Italia, e in seguito alla partenza di queste truppe, Roma conquistò l'intero sud dell'Hispania e la costa dai Pirenei fino all'Algarve. Il suo potere raggiungeva Huesca essendo limitato dall'Ebro a sud e dal mare ad est.

Continua la conquista (197 - 178 a.C.)

La penisola iberica nel 196 a.C..

Dal 197 a.C. in poi, la parte romana della penisola Iberica venne divisa in due province: Hispania Citerior a nord (la futura Hispania Tarraconensis con capitale Tarraco) e Hispania Ulterior a sud con capitale Corduba. Le due province erano governate da due biannuali proconsoli.

Sempre nel 197 a.C., nella provincia Citerior vi fu una ribellione da parte delle comunità iberiche e ilergete. Il proconsole Quinto Minucio ebbe grosse difficoltà a controllare queste ribellioni. La provincia Ulterior si liberò dal giogo romano quando il suo governatore morì durante una ribellione della popolazione locale turdetana. Nel 195 a.C., Roma venne costretta a inviare in Spagna il console Marco Catone. Arrivò in Spagna trovando la provincia Citerior quasi completamente occupata dai ribelli con le truppe romane che controllavano ancora solo alcune città fortificate. Catone sedò la rivolta nell'estate dello stesso anno e ristabilì il controllo romano sulla provincia, ma fallì nel conquistarsi le simpatie dei nativi o dei Celtiberi, che erano mercenari pagati dai turdetani. Dopo aver dato una prova di forza facendo attraversare alle legioni romane il territorio celtiberico, Catone li convinse a ritornare nelle loro case.

Tuttavia, la sottomissione dei nativi si provò superficiale perché quando si diffuse la voce che presto Catone sarebbe tornato in Italia, scoppiò un'altra rivolta. Catone ancora una volta riuscì a sedare la rivolta, vendendo gli istigatori della rivolta come schiavi. La popolazione nativa venne totalmente disarmata. Catone ritornò a Roma venendo festeggiato dal Senato romano con una fanfara. Portò con sé un enorme bottino di guerra di oltre 11.000 chili di argento, 600 kg di oro, 123.000 denarii, e 540.000 monete d'argento, tutte sottratte alle popolazioni Hispaniche nel corso dei combattimenti. In tal modo, mantenne la sua promessa a Roma prima dell'inizio delle ostilità: "la guerra si pagherà da sola".

Un successivo proconsole d'Hispania, Marco Fulvio Nobiliore, sedò altre ribellioni.

Il successivo passo da compiere dei Romani era la conquista della Lusitania che alla fine avvenne grazie a due decisive vittorie: una nel 189 a.C. ottenuta dal proconsole Lucio Emilio Paolo, e un'altra ottenuta dal pretore o proconsole Gaio Calpurnio nel 185 a.C.

La regione centrale della penisola, la Celtiberia, venne ufficialmente conquistata nel 181 a.C. da Quinto Fulvio Flacco. Vinse i locali Celtiberi e rivendicò il controllo di alcuni territori. Ma gran parte del merito della conquista andò a Tiberio Sempronio Gracco che dal 179 al 178 a.C. conquistò trenta città e villaggi. Ne conquistò alcune con la forza e altre sfruttando le rivalità tra i Celtiberi e i Vasconi a nord. Le sue alleanze con i Vasconi avrebbero facilitato la conquista romana della Celtiberia. A quel tempo, alcuni villaggi e città basche potevano già essere state assoggettate a Roma, ma in ogni caso un numero significativo di insediamenti indigeni entrò a far parrte dell'Impero volontariamente.

Tiberio Sempronio Gracco fondò una nuova città, Gracurris, sulle fondamenta della preesistente città di Ilurcís (probabilmente l'odierna Alfaro in La Rioja o Corella in Navarra). I suoi edifici erano tipicamente romani e sembra aver ospitato gruppi disorganizzati di Celtiberi. La città sarebbe stata fondata nel 179 a.C. circa secondo scritti posteriori. La fondazione di questa città segnò la fine della civiltà Celtibera e il consolidamento dell'influenza Romana nella zona.

Graccuris dovrebbe essere situata nel bel mezzo di una regione che era accesamente contesa tra i Celtiberi e i Vasconi. L'area corrisponde più o meno all'odierna valle del fiume Ebro. Tiberio Sempronio Gracco era probabilmente responsabile della maggioranza dei trattati firmati con i due popoli. I trattati generalmente stabilivano che le città vinte dovevano pagare un tributo in argento o in altri prodotti della terra. Ogni città doveva fornire un predeterminato numero di uomini all'esercito, e solo poche tra esse ebbero il diritto di battere moneta.

Gli abitanti delle città sottomesse con la forza non furono quasi mai costretti a pagare tributi: quando opponevano resistenza ai Romani e venivano sconfitti, essi venivano venduti come schiavi. Quelli che si arrendevano prima della sconfitta venivano riconosciuti come cittadini delle loro rispettive città ma venne negata loro la cittadinanza romana.

Quando le città si sottomettevano a Roma volontariamente, i loro abitanti diventavano cittadini, e le città mantennero la loro autonomia municipiale e a volte, erano esenti dal pagare tasse.

I proconsoli, ovvero i governatori provinciali, adottarono il costume di arricchirsi a spesa dei loro sudditi. I doni forzati e gli abusi erano la norma. Nei loro viaggi, il proconsole e i suoi funzionari dovevano essere ospitati gratuitamente; occasionalmente, potevano anche confiscare la casa. Il proconsole poteva anche imporre prezzi bassi per la fornitura di grano per sé, per i suoi funzionari e le loro famiglie e talvolta per i suoi soldati. Il malcontento risultante fu talmente forte che il senato romano, dopo aver ascoltato un'ambasciata di ispanici provinciali, promulgò nel 171 a.C. alcune leggi di controllo: ad esempio, i tributi non poterono più essere riscossi da militari; i pagamenti in natura (cereali) rimasero consentiti, ma il proconsole non poté esigere più di un quinto del raccolto, né poté più fissare il prezzo del grano arbitrariamente; infine, le contribuzioni a sostegno di feste popolari a Roma dovettero essere limitate, e i contingenti forniti all'armata imperiale dovettero essere approvvigionati da Roma. Comunque, dal momento che il giudizio sui proconsoli che avessero commesso abusi era amministrato dal Senato attraverso gli stessi proconsoli, i processi furono assai rari.

Viriato e la ribellione lusitana (155 - 139 a.C.)

La penisola iberica nel 156 a.C..
Lo stesso argomento in dettaglio: Guerra lusitana.

Lusitania era probabilmente la regione della penisola che resistette più a lungo all'invasione romana. Fino all'anno 155 a.C., il sovrano dei Lusitani, Punico, effettò incursioni nella parte della Lusitania controllata da Roma, che terminarono con la pace ventennale fatta dall'ex pretore Sempronio Gracco. Punico ottenne un importante vittoria contro i pretori Manilio e Calpurnio, infliggendo loro 6.000 perdite.

Dopo la morte di Punico, il suo successore Caisaros continuò la guerra contro Roma, sconfiggendo di nuovo le truppe Romane nel 153 a.C., sottraendo loro nel corso della battaglia le insegne, che trionfalmente mostrò al resto delle popolazioni iberiche per mostrare loro la vulnerabilità di Roma. All'epoca, i Vetoni e i Celtiberi si erano uniti nella resistenza, rendendo per Roma la situazione precaria in quella regione del Hispania. I Lusitani, Vetoni e Celtiberi effettuarono incursioni sulle coste del Mediterraneo partendo da basi del Nordafrica, dove s'erano acquartierati. Fu in quell'anno che due nuovi consoli arrivarono in Hispania, Quinto Fulvio Nobiliore e Lucio Mummio. L'urgenza di restaurare la dominazione romana sulla Spagna fece su che i due consoli entrarono in battaglia dopo solo due mesi e mezzo. I Lusitani inviati in Africa vennero sconfitti a Okile (moderna Arcila in Marocco) da Mummio, che li costrinse ad accettare un trattato di pace. Nel frattempo, Servio Sulpicio Galba fece un trattato di pace con tre tribù lusitane, e in seguito, fingendo di essergli amico, uccise il giovane e vendette il resto della popolazione in Gallia.

Nobiliore venne sostituito l'anno successivo (152 a.C.) da Marco Claudio Marcello che era già stato proconsole nel 168 a.C. Egli venne a sua volta sostituito nel 150 a.C. da Lucio Lucullo che si distinse per la sua crudeltà e infamia.

Nel 147 a.C. un nuovo leader lusitano, Viriato, si ribellò contro Roma. Costui era sfuggito a Servius Sulpicius Galba tre anni prima, e, essendo riuscito nuovamente ad unificare le tribù lusitane, iniziò una feroce guerriglia che colpì duramente il nemico senza tuttavia mai sfociare in battaglie campali. Diresse numerose campagne, giungendo con le sue truppe fino alle coste di Murcia Le sue numerose vittorie e l'umiliazione che inflisse ai Romani lo resero celebre e passò alla storia spagnola e portoghese come un eroe che combatté senza respiro per la libertà della sua gente. Viriato venne assassinato nel 139 a.C. da Audace, Ditalco e Minuro, probabilmente pagati dal generale romano Marco Popillio Lena. Con la sua morte, l'organizzata resistenza lusitana non scomparve, ma Roma continuò a espandersi nella regione.

Guerra contro i Celtiberi (135 - 123 a.C.)

Lo stesso argomento in dettaglio: Guerre celtibere.

Tra il 135 a.C. e il 132 a.C., il console Decimo Giunio Bruto Callaico condusse una spedizione in Galizia (nord del Portogallo e Galizia). Quasi simultaneamente (133 a.C.) la città celtibera Numanzia, l'ultimo bastione dei Celtiberi, venne distrutta. Questo fu il punto culminante della guerra tra i Celtiberi e i Romani tra il 143 a.C. e il 133 a.C.; la città Celtibera venne conquistata da Publio Cornelio Scipione Emiliano non appena se ne presentò l'occasione. I capi celtiberi si suicidarono insieme alle loro famiglie e il resto della popolazione venne ridotta in schiavitù. La città venne rasa al suolo.

Per più di un secolo i Vasconi e i Celtiberi avevano lottato per il possesso della ricca terra della valle del fiume Ebro. I Celtiberi di Calagurris, oggi Calahorra, sopportarono probabilmente il maggior peso nella lotta, appoggiati da tribù alleate; anche i Vasconi avevano un insediamento di una certa importanza sull'altra sponda dell'Ebro, oltre la Calahorra, sostenuto da altri Vasconi. I celtiberi sopportarono certamente il maggior peso del conflitto, distruggendo la città dei Vasconi ed espandendosi oltre l'Ebro. Ma i cosiddetti "Celtiberi" erano nemici di Roma, e i Baschi erano alleati di Roma (per motivi strategici). Quando Calagurris venne distrutta dai Romani venne ripopolata con Baschi. Fu così probabilmente la prima città basca sull'altra sponda del fiume, malgrado la precedenti distruzioni, prima da parte dei celtiberi, poi di altri vasconi.

Nel 123 a.C. i Romani occuparono le Isole Baleari, stabilendo lì un insediamento di 3000 ispanici di lingua latina. Il fatto che riuscissero a fare ciò dopo appena un secolo di dominazione dà un'impressione della profonda influenza culturale che Roma esercitava sulla Penisola.

Rivolta di Sertorio (83 - 72 a.C. )

La penisola iberica nel 100 a.C..

La Spagna partecipò alle lotte politico-militari degli ultimi anni della Repubblica Romana, in particolare allo scontro tra Quinto Sertorio e gli aristocratici capeggiati da Sulla nell'83 a.C. Dopo la sconfitta in Italia, Quintus si rifugiò in Hispania, dove stabilì un autonomo governo ad Huesca, continuando a combattere contro la Repubblica. Alla fine, dopo diversi infruttuosi tentativi di assalto, sarà Pompeo a farla finta con Quintus Sertorius, ricorrendo ad intrighi politici più che per forza militare, Di conseguenza, sarà proprio il supporto della Penisola a Pompeo a causare una nuova guerra in Hispania, quando i suoi seguaci si scontreranno con quelli di Giulio Cesare. Tale guerra finirà nel 49 a.C., con la vittoria di quest'ultimo.

Giulio Cesare e la guerra contro Pompeo

Lo stesso argomento in dettaglio: Guerra civile tra Cesare e Pompeo.
La penisola iberica nel 45 a.C. al tempo della guerra civile tra Cesare e Pompeo.

Giulio Cesare invase l'Hispania nel quadro della sua guerra contro Pompeo per il controllo di Roma. Pompeo era fuggito in Grecia e Cesare puntava ad eliminare le sue basi in occidente per isolarlo dal resto dell'Impero. Le sue forze si scontrarono con quelle degli alleati di Pompeo nella battaglia di Ilerda (Lerida) ottenendo una vittoria che consegnò loro i porti della Penisola. Alla fine, l'esercito di Pompeo venne sconfitto nella Battaglia di Munda nel 45 a.C. Un anno più tardi, Cesare veniva assassinato alle porte del Senato e il suo nipote Ottaviano, poi ribattezzato Augusto, venne nominato console dopo una breve guerra contro Marco Antonio: da lì avrebbe cominciato la sua scalata verso quel potere che gli sarebbe servito a trasformare la traballante Repubblica nell'Impero Romano.

Guerre cantabriche (29 - 19 a.C.)

Lo stesso argomento in dettaglio: Guerre cantabriche.
La penisola iberica nel 29-19 a.C. al tempo delle guerre cantabriche.

L'intervento romano rientrava in un progetto più ampio da parte di Augusto, il quale era deciso a portare a compimento la sottomissione di quelle "aree interne" all'impero quali la penisola iberica e l'arco alpino. La conquista della Spagna, intrapresa proprio sul finire del III secolo a.C., non era mai stata portata a termine. La parte nord-ovest della penisola continuava ad essere libera dal potere romano. In questa guerra furono infatti impiegate fino a 7-8 legioni ed un considerevole numero di truppe ausiliarie. Il pericolo, inoltre, di continue incursioni nella Meseta centrale, oltre alle ricche miniere d'oro e di ferro di Cantabria ed Asturie furono ulteriori motivazioni per completare la conquista, tanto che lo stesso imperatore Ottaviano Augusto decise di prendervi parte in prima persona negli anni 26-25 a.C.

Le tribù cantabriche opposero una fiera resistenza alla dominazione romana. Lo stesso Imperatore giunse personalmente a Segisama, l'attuale Sasamon nella provincia di Burgos, per sovrintendere personalmente alla campagna.

«Ad occidente era stata pacificata quasi tutta la penisola iberica, a parte quella che confinante all'estremità orientale con i monti Pirenei, è bagnata dall'Oceano. Qui vivevano due forti popolazioni, i Cantabri e gli Asturi, che non erano soggetti al dominio romano. Per primi a ribellarsi furono i Cantabri, che scontenti di difendere la loro libertà, cercarono di sottomettere i popoli vicini tormentandoli con frequenti incursioni, come i Vaccei, i Turmogi e gli Autrigoni. Contro questi... Cesare Augusto non affidò ad altri la spedizione, ma si incaricò lui stesso. Venne di persona a Segisama dove pose gli accampamenti.»

Roma adottò una feroce politica di sterminio che sfociò nella completa cancellazione di quella cultura. Con la fine di questa guerra ebbero termine anche i lunghi anni di guerre civili e di conquista nei territori della penisola iberica, che avrebbe da allora in poi conosciuto un lungo periodo di stabilità politica ed economica.

Note

  1. ^ Livio, XXIV, 41.
  2. ^ a b Livio, XXIV, 42.6.
  3. ^ Livio, XXIV, 41.4-5.
  4. ^ Polibio, I, 65-88.
  5. ^ Livio, XXI, 2.1.
  6. ^ a b Polibio, II, 1, 1-8.
  7. ^ a b c d AppianoGuerra annibalica, VII, 1, 2.
  8. ^ Livio, XXI, 2.1-2.
  9. ^ Polibio, II, 1, 9.
  10. ^ Livio, XXI, 2.3-5.
  11. ^ Polibio, II, 13, 1-2.
  12. ^ Polibio, III, 29, 3.
  13. ^ Periochae, 21.1.
  14. ^ Polibio, II, 13, 1-7.
  15. ^ Livio, XXI, 2.6.
  16. ^ Polibio, II, 36, 1-2.
  17. ^ Livio, XXI, 3.1.
  18. ^ AppianoGuerra annibalica, VII, 1, 3.
  19. ^ Polibio, II, 36, 3.
  20. ^ Polibio, III, 13, 3-4.
  21. ^ Livio, XXI, 4.1.
  22. ^ Mommsen, vol. I, tomo II, p. 706
  23. ^ Eutropio, III, 7; Polibio, III, 17; Livio, XXI, 7-15.
  24. ^ Polibio, III, 9, 6-7.
  25. ^ Polibio, III, 9, 8-9.
  26. ^ Livio, XXI, 2.2.
  27. ^ Livio, XXI, 1.4.
  28. ^ Polibio, III, 10, 5-7; III, 13, 5 - 14, 9.
  29. ^ Polibio, III, 10, 1-4.
  30. ^ Polibio, III, 30, 4.
  31. ^ Livio, XXI, 1.5.
  32. ^ Polibio, III, 10, 5-7; III, 13, 1-2.
  33. ^ Polibio, III, 21, 1-5.
  34. ^ Polibio, III, 21, 6-9.
  35. ^ EutropioBreviarium ab Urbe condita, III, 7.
  36. ^ Periochae, 21.4.
  37. ^ Polibio, III, 16, 6.
  38. ^ EutropioBreviarium ab Urbe condita, III, 8.
  39. ^ Polibio, III, 33, 1-4.
  40. ^ Polibio, III, 33, 8.
  41. ^ Polibio, III, 33, 14-18.
  42. ^ Polibio, III, 41, 2-3.
  43. ^ Livio, XXIII, 26-27 Tito Livio erroneamente indica i Tartessi e non i Turdetani.
  44. ^ Lancel 2002, p. 206
  45. ^ Livio, XXIII, 26.1-3.
  46. ^ Livio, XXIII, 26.4-5.
  47. ^ Livio, XXIII, 26.6.
  48. ^ Livio, XXIII, 26.7-11.
  49. ^ Livio, XXIII, 27.1.
  50. ^ Livio, XXIII, 27.2-8.
  51. ^ Livio, XXIII, 27.9.
  52. ^ Livio, XXIII, 27.10-12.
  53. ^ Livio, XXIII, 28.1-6.
  54. ^ Livio, XXIII, 28.7-12.
  55. ^ Livio, XXIII, 29.
  56. ^ Livio, XXIII, 32.7-12; Lancel, p. 174
  57. ^ Lancel, pp. 206-207
  58. ^ Livio, XXIII, 48.4-5.
  59. ^ Livio, XXIII, 48.9-12.
  60. ^ Livio, XXIII, 49.1-3.
  61. ^ Livio, XXIII, 49.5.
  62. ^ Livio, XXIII, 49.6-14.
  63. ^ Livio, XXIV, 41.1-2.
  64. ^ Livio, XXIV, 41.3.
  65. ^ Livio, XXIV, 41.4-5.
  66. ^ Livio, XXIV, 41.6.
  67. ^ Livio, XXIV, 41.7-10.
  68. ^ Livio, XXIV, 41.11.
  69. ^ Livio, XXIV, 42.1-4.
  70. ^ Livio, XXIV, 42.4.
  71. ^ (EN) William Smith, AURINX (in Dictionary of Greek and Roman Geography), su Perseus Digital Books, William Smith, LLD. London. Walton and Maberly, Upper Gower Street and Ivy Lane, Paternoster Row; John Murray, Albemarle Street, 1854. URL consultato l'8 dicembre 2014.
    «AURINX a city in the S. of Hispania, not far from Munda (Liv. 24.42); doubtless the same place as Oringis, on the confines of the Melesses, which Hasdrubal made his head quarters against Scipio, B.C. 207. It was at that time the most wealthy city of the district, and had a fertile territory, and silver mines worked by the natives. (Liv. 28.3.) Pliny mentions it, with a slight difference of form, Oningis, among the oppida stipendiaria of the conventus Astigitanus. (Liv. 3.1. s. 3.) Ukert places it between Monclova and Ximena de la Frontera (vol. ii. pt. 1. p. 359)»
  72. ^ Livio, XXIV, 42.5.
  73. ^ Livio, XXIV, 42.6-8.
  74. ^ Sulla base della cronologia di Livio (libro XXIV), gli anni in cui Sagunto rimase in potere dei Cartaginesi furono sei, e non otto.
  75. ^ Livio, XXIV, 42.9-11.
  76. ^ MAA 23; Mazard 60; SNG Copenhagen 499-501.
  77. ^ Livio, XXIV, 48.1-3.
  78. ^ Livio, XXIV, 48.4-9.
  79. ^ Livio, XXIV, 48.10-12.
  80. ^ Livio, XXIV, 48.13.
  81. ^ Livio, XXIV, 49.1-3.
  82. ^ Livio, XXIV, 49.4.
  83. ^ Livio, XXIV, 49.5-6.
  84. ^ Livio, XXIV, 49.7-8.
  85. ^ Secondo Livio, XXV, 32-39 la battaglia avvenne nel corso del 212 a.C.; della stessa idea è lo storico moderno Martinez 1986, p. 8.
  86. ^ Secondo invece Gaetano De Sanctis (De Sanctis 1917, vol. III.2, L'età delle guerre puniche, p. 432, n.4) la battaglia venne combattuta nel 211 a.C.
  87. ^ Livio, XXV, 32.1-3.
  88. ^ Livio, XXV, 32.4.
  89. ^ Livio, XXV, 32.5.
  90. ^ Livio, XXV, 32.6.
  91. ^ Livio, XXV, 32.7-10.
  92. ^ Livio, XXV, 33.1-7.
  93. ^ Livio, XXV, 33.8-9.
  94. ^ Livio, XXV, 34.1-4.
  95. ^ Livio, XXV, 34.5-6.
  96. ^ Livio, XXV, 34.7-14.
  97. ^ Livio, XXV, 35.1-2.
  98. ^ Livio, XXV, 35.3-6.
  99. ^ Livio, XXV, 35.7-9.
  100. ^ Livio, XXV, 36.1-3.
  101. ^ Livio, XXV, 36.4-5.
  102. ^ Livio, XXV, 36.8-12.
  103. ^ Livio, XXV, 36.13-14.
  104. ^ Livio, XXV, 37.1-7.
  105. ^ Livio, XXV, 37.8-14.
  106. ^ Livio, XXV, 37.15-38.23.
  107. ^ Livio, XXV, 39.1-10.
  108. ^ Livio, XXV, 39.11.
  109. ^ Periochae, 25.15.
  110. ^ Livio, XXV, 39.12; Periochae, 25.14.
  111. ^ Livio, XXV, 39.13-16.
  112. ^ Livio, XXV, 39.17.
  113. ^ De Sanctis 1917, vol. III.2, L'età delle guerre puniche, p. 435, n.10.
  114. ^ Livio, XXV, 39.18.
  115. ^ Livio, XXV, 37-39.
  116. ^ Livio, XXVI, 47.
  117. ^ Brizzi 2007, pp. 126-127
  118. ^ Brizzi 2007, pp. 130-134

Bibliografia

Fonti primarie
Fonti storiografiche moderne
  • (EN) A.E. Astin, Scipio Aemilianus, Oxford, Clarendon Press, 1967.
  • Antonio Gª y Bellido, España y los españoles hace dos mil años (según la Geografía de Estrabón), Colección Austral de Espasa Calpe S.A., Madrid 1945. ISBN 84-239-7203-8
  • Giovanni Brizzi, Storia di Roma. 1. Dalle origini ad Azio, Bologna, Patron, 1997, ISBN 978-88-555-2419-3.
  • José Camón Aznar, Las artes y los pueblos de la España primitiva, Editorial Espasa Calpe, S.A. Madrid, 1954
  • Antonio Brancati, Augusto e la guerra di Spagna, Urbino, Argalìa, 1963.
  • Amando Melón, Geografía histórica española, Editorial Volvntad, S.A., Tomo primero, Vol. I-Serie E, Madrid 1928
  • (EN) Rafael Treviño Martinez e Angus McBride (illustratore), Rome's Enemies (4): Spanish Armies, Osprey, 1986, ISBN 0-85045-701-7.
  • Theodor Mommsen, Storia di Roma antica, vol.II, Milano, Sansoni, 2001, ISBN 978-88-383-1882-5.
  • (ES) A. Montenegro Duque e J.M. Blazquez Martinez, La Conquista y la Explotación Económica, vol. 1, Ed. Espansa Calpe S.A., Madrid, 1982.
  • Ramón Pellón Olagorta, Diccionario de los Íberos, Espasa Calpe S.A. Madrid 2001. ISBN 84-239-2290-1
  • André Piganiol, Le conquiste dei romani, Milano, Il Saggiatore, 1989.
  • Howard H.Scullard, Storia del mondo romano. Dalla fondazione di Roma alla distruzione di Cartagine, vol.I, Milano, BUR, 1992, ISBN 88-17-11574-6.

Voci correlate

Collegamenti esterni

Altri progetti