Coordinate: 45°23′54″N 11°52′33″E

Prato della Valle

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Prato della Valle - Particolare tratto dalla pianta di G. Valle (1784)[1]

Il Prato della Valle è la più grande piazza della città di Padova ed una delle più estese d'Europa con una superficie di 88620 m²[2]. La configurazione attuale risale alla fine del XVIII secolo ed è caratterizzata da un'isola ellittica centrale, chiamata isola Memmia (20.000 m² circa), circondata da una canaletta sulle cui sponde si trova un doppio anello di statue.

Denominazione

In periodo romano ed altomedievale l’area era nota come Campo di Marte o Campo Marzio perché destinata, tra le altre funzioni, a luogo di riunioni militari. Successivamente l'area fu indicata sia come “Valle del Mercato”, per i mercati e le fiere stagionali che qui avevano sede, sia come “Prato di Santa Giustina” in relazione alla presenza dell'omonima chiesa. Il toponimo “Prato della Valle” (Pratum Vallis) è riscontrato per la prima volta nel XII secolo.

Il termine Pratum veniva usato, in età medievale, per indicare un ampio spazio destinato ad usi commerciali che spesso, se non lastricato, poteva anche ricoprirsi d’erba. Esso va inteso quindi soprattutto come indicativo di una funzione prevalente dell’area più che di una effettiva copertura erbosa.[3] Il termina Valle sta a significare “bassura” e “luogo paludoso”. Esso deriva dalla conformazione dell’area lievemente concava e soggetta ad allagamenti e successivi impaludamenti del terreno fino alla fine del XVIII secolo.

In periodo sabaudo l’area fu ufficialmente intitolata Piazza Vittorio Emanuele II pur continuando ad essere chiamata, nell’uso comune, con il nome storico di Prato della Valle.

Storia

Periodo romano

Collocato immediatamente a sud dell'antico centro romano e della grande ansa del Medoacus, l’antico Brenta secondo il suo vecchio alveo, il Prato fu uno dei principali punti di passaggio per giungere in città; infatti qui confluivano le antiche piste paleovenete che collegavano Patavium con Ateste (oggi Este) e con Adria.

Nel Campo di Marte, antico nome di Prato della Valle, si affacciavano importanti edifici come il teatro, chiamato Zairo, sul lato est e secondo alcuni storici anche il tempio della Concordia[4] e il circo[5] della città.

Nel 304 la protomartire Giustina fu sepolta nell’area cimiteriale prossima all’area del Prato per secoli usata dagli abitanti di Patavium. Nel IV secolo la devozione cristiana per Santa Giustina portò alla costruzione di un primo luogo di culto nei pressi della sua sepoltura. Da questo momento in poi le sorti del Prato si legarono strettamente a quelle degli edifici sorti in onore di Santa Giustina.

Medioevo

La città, in seguito all’invasione longobarda del VI secolo, abbandonata a lungo anche dal vescovo, si ridusse all’area più centrale specialmente dopo le pesanti distruzioni dovute all’invasione degli ungari del IX secolo. Il Prato si ritrovò così ai margini della città.

Il monastero e gli altri edifici giustinianei furono il presidio che si oppose al totale abbandono dell’area del Prato. Qui, infatti, a partire dal primitivo sacello, fu realizzata nel corso del VI secolo la prima basilica di Santa Giustina per iniziativa del patrizio Opilione.

Nel 589 una serie di spaventose alluvioni sconvolsero l’assetto idrografico di molti fiumi della pianura padana. Il Brenta modificò il suo corso spostandosi a nord del centro urbano e il suo alveo dentro la città viene occupato delle acque del Bacchiglione (l’antico Edrone). A seguito di questo periodo di disordine idrografico l’area del Prato si trasformò in una zona acquitrinosa e paludosa.

Nel 970 il vescovo Gauslino visitando la basilica ed la zona del Prato la descrisse come desolata e abbandonata; promosse, quindi, la costruzione di un monastero che fu dotato di cospicui possedimenti tra cui l’intera area di Prato della Valle.[6] In realtà il Prato era considerato appartenente a Santa Giustina almeno dal VII secolo e perciò il vescovo ratificò semplicemente una situazione ormai consolidata. Dalla metà del XI secolo, contestualmente ad una rinascita di tutta la città, si tornarono ed effettuare mercati in Prato della Valle; a quest’epoca infatti risale l’uso del termine Pratum per quest’area come indicativo di luogo commerciale.

L'attuale basilica di Santa Giustina

Numerose controversie legali videro fronteggiarsi la città e il monastero sui diritti legati ai mercati ed alle fiere da tenersi in Prato; fondamentale in tal senso fu il "placito" del 1077 in cui il vescovo Ulderico confermò ai monaci di Santa Giustina la proprietà del Prato riservandosi però il diritto di usare i resti del teatro romano ancora presenti sull'area come cava di pietra[7]. Nel 1117 un violento terremoto distrusse la prima basilica di Santa Giustina che venne ricostruita, attorno al 1123, per iniziativa dell’abate Benzone usando forme romaniche.

A partire dal XII secolo sono documentati vari spettacoli e giochi svolti in Prato come “l’uomo selvatico” e “i castelli d’amore” oltre a sacre rappresentazioni della Passione e della Resurrezione. Dal 1257 si svolgono in Prato anche corse di cavalli a ricordo della liberazione dalla tirannia di Ezzelino III da Romano. Questi utilizzi furono permessi da alcuni interventi di parziale bonifica del Prato svoltisi nel XI secolo; nel 1310 un più vasto intervento di sistemazione dell’area di Prato della Valle fu operato sotto la guida di Frà Giovanni Eremitano. Il 7 ottobre 1399 si concluse in Prato una grandiosa processione, detta dei "Bianchi”, che per 9 giorni attraversò tutta la città chiedendo pace per il secolo seguente[8].

Tra la fine del XIV e l’inizio del XV secolo fu realizzato il Maglio Carrarese (la forgeria cittadina) in prossimità del Prato. Questo edificio, usando l’acqua dei canali più prossimi al Prato, insieme allo sbarramento determinato da vari mulini fu alla base di nuove frequenti alluvioni che coinvolsero l’area nei secoli successivi.

Nel corso del Quattrocento venne realizzato, all'angolo nord del Prato, un'imponente edificio porticato su tre arcate come residenza padovana del cardinale Bessarione (oggi noto come palazzo Angeli).

Età moderna

Prato della Valle nel 1767, prima del progetto di Andrea Memmo

Il Prato, seppur gravato da una sfavorevole condizione idrografica, continuò a mantenere la sua vocazione consolidata di luogo di mercato, di spettacolo popolare e di devozione religiosa.

Nel 1434 il banchiere fiorentino Palla Strozzi, esiliato da Firenze, si stabilì a Padova facendosi costruire in Prato un palazzo che importò per primo il linguaggio architettonico del Rinascimento in città.

Sempre nei primi decenni del XV secolo fu ampliato considerevolmente il monastero di Santa Giustina.

Durante una giostra del 1466 venne esibito in Prato il gigantesco cavallo ligneo (oggi collocato a Palazzo della Ragione) fatto costruire da Annibale Capodilista sul modello del monumento equestre al Gattamelata eseguito da Donatello durante il suo soggiorno a Padova.

Nel 1498 si iniziò la demolizione della basilica romanica di Santa Giustina per erigere la nuova ed attuale chiesa rinascimentale.

Su progetto di Andrea Moroni, già architetto della nuova basilica, nel 1556-1557 si costruì palazzo Zacco (oggi Circolo Ufficiali di Presidio).

Nel 1539 e nel 1580 gravi esondazioni portarono a nuovi impaludamenti del Prato.

A metà del XV secolo ristrutturando in maniera massiccia un edificio esistente sorse, all’angolo della strada che porta a Borgo Santa Croce, palazzo Grimani.

A partire dal 1608 venne realizzato il collegio universitario Da Mula, al centro del lato est del Prato. Questo edificio, dopo essere divenuto un’abitazione privata, andò distrutto in un incendio del 1821. Sempre nel 1608 la fiera del Santo fu trasferita dalla piazza antistante la basilica antoniana verso il Prato per esigenza di uno spazio maggiore.

Durante tutto il XVII e XVIII secolo si ripeterono inondazioni del Prato che non trovarono soluzione definitiva.

Nel 1766 si svolsero in Prato le prime corse con le bighe (le cosiddette Padovanelle, antenate dei moderni sulky per la corsa al trotto) che continuarono fino al XX secolo.

La trasformazione voluta da Andrea Memmo

Nel 1767, al termine di un’aspra lotta, il Prato cambiò proprietario passando dal monastero di Santa Giustina all’amministrazione cittadina. Questo avvicendamento rappresentò il presupposto fondamentale per le trasformazioni successive poiché l’amministrazione pubblica dovette d'ora in poi farsi carico dei secolari problemi di dissesto che gravavano sull’area. Infatti, nello stesso anno fu creata una magistratura ad hoc per occuparsi di quest’area: la Presidenza del Prato. Questa istituzione, composta da 4 notabili cittadini, ebbe lo scopo di gestire il Prato e garantire lo svolgimento delle manifestazioni in esso ospitate. Il suo ruolo nella successiva trasformazione dell'area fu però principalmente formale.

Il vero artefice della trasformazione del Prato fu infatti Andrea Memmo giunto in città con l'incarico di Provveditore straordinario nel 1775. Il suo programma di governo per Padova si basò su due obbiettivi essenziali: il rilancio commerciale ed gli interventi di igiene pubblica. Essi trovarono una perfetta sintesi nel suo progetto per Prato della Valle.

I lavori cominciarono nell’estate del 1775 per poter dare i primi risultati visibili in occasione della fiera autunnale di Santa Giustina.

Andrea Memmo controllò quotidianamente lo svolgimento dei lavori, durante la permanenza a Padova, risiedendo nel quattrocentesco palazzo, già del cardinale Bessarione, all'ingresso settentronale di Prato della Valle.

Linee generali del progetto

Andrea Memmo immaginò di fare del Prato un luogo che potesse ospitare in maniera funzionale gli eventi fieristici storicamente qui localizzati, ma che negli altri momenti dell’anno fosse un luogo di ristoro e di passeggio per la popolazione. Impostata nei suoi tratti principali dallo stesso Memmo, appassionato d'architettura, la trasformazione del Prato fu caratterizzata dalla creazione di un'isola centrale circondata da un canale artificiale di forma ellittica che sulle sue rive ospita un doppio anello di statue (un terzo giro fu progettato ma mai realizzato). La redazione professionale del progetto fu affidata dal Memmo all'abate Domenico Cerato, professore d'architettura all'università patavina[9].

Una nota incisione[10] del 1786 di Francesco Piranesi, preceduta da un disegno preparatorio di Giuseppe Subleyras, illustra il progetto definitivo per l'intero invaso della piazza. In essa si possono notare i progetti, non realizzati, per un lungo edificio porticato sul lato sud del Prato (in luogo del convento della Misericordia e dove oggi si trova l’ex Foro Boario) e le passeggiate previste sulle sponde del canale Alicorno.

L’isola Memmia e la canaletta
Veduta della canaletta

L'isola fu realizzata attraverso il trasporto di 10000[11] carri di terreno che servì a riempire la depressione centrale che caratterizzava il Prato impedendo quindi il ristagno delle acque ed i fenomeni di impaludamento che colpivano periodicamente l'area. L’isola prese, sin da subito, l’appellativo di Memmia in onore del suo creatore.

L'isola, secondo il progetto originale, durante le fiere doveva ospitare delle strutture lignee per 54 botteghe disposte seguendone la forma ellittica. Queste costruzioni temporanee, effettivamente realizzate, furono però usate per pochi anni prima in maniera completa e poi montando solo le botteghe della semi-ellisse verso sud[12]. L'affitto di questi spazi avrebbe contribuito al pagamento dei lavori di trasformazione del Prato.

La canaletta ellittica che cinge l’isola fu pensata sia come elemento di paesaggio sia come elemento essenziale della bonifica; infatti funzionò anche come canale di raccolta e di scolo per le acque piovane[13]. La canaletta è alimentata dal canale Alicorno che, oggi, scorre in gran parte tombinato e quindi non visibile. Le acque entrano ed escono dalla canaletta attraverso due apposite bocche collocate sotto al ponte meridionale (ponte dei papi) che da accesso all’isola.

Tra ottocento e novecento

La realizzazione del progetto di Andrea Memmo procedette sempre più lentamente dopo la morte, nel 1793, del suo ispiratore. Soprattutto l’alternarsi delle dominazioni francesi ed austriache tolse slancio all’idea iniziale. Nel corso del XIX secolo comunque l’isola e la canaletta trovarono un assetto definitivo, anche se non totalmente conforme al progetto originario,[14] mentre i cambiamenti si concentrarono sugli edifici prospicienti.

Nel 1810 con la soppressione napoleonica degli ordini religiosi i monaci furono allontanati dal monastero di S. Giustina ed il complesso divenne ospedale militare. Nello stesso frangente furono chiusi per poi essere abbattuti anche il convento e la chiesa di Betlemme e la chiesa di San Leonino, prospicienti il Prato. Nel 1822 fu distrutto il collegio Da Mula poi sostituito nel 1861 dalla Loggia Amulea. Nel 1825 Giuseppe Jappelli presentò un esteso progetto per trasferire la cittadella universitaria lungo il lato est del Prato, il progetto non fu realizzato. Nel 1842-45 si realizzarono il castello ed il giardino Pacchierotti (oggi area campo Tre Pini-Antonianum). Via Cavazzana che da accesso al Prato dall’angolo sud-est, venne aperta nel 1890. L’illuminazione elettrica raggiunse Prato della Valle nel 1910.

La fontana al centro dell'isola Memmia

Nel 1913 su una parte dell’area prima occupata dal monastero della Misericordia si diede il via alla realizzazione del Foro Boario.

Tra il 1921 e il 1928 venne aperta via Luca Belludi, per collegare direttamente il Prato con la basilica di Sant’Antonio, con il totale rifacimento degli edifici prospicienti.

Nel 1926 si inaugurò la fontana al centro dell’isola che seppur prevista nel progetto del Memmo non era mai stata realizzata.

Nel corso degli ultimi due secoli, oltre alle tradizionali funzioni commerciali e di pubblico ritrovo, il Prato è stato usato anche come luogo per le parate militari, sia da parte dell'esercito italiano che da parte degli eserciti stranieri. Nel 1938 in Prato si svolse l’adunata oceanica per la visita di Benito Mussolini in città.

Quale luogo di incontro tra la città e grandi personalità in visita a Padova, il Prato ha ospitato anche la celebrazione della messa da parte di Giovanni Paolo II nel 1982.

Tra gli anni ’60 e gli anni ’80 del Novecento la crescente invasività del traffico automobilistico trasformarono l’area del Prato esterna all’isola Memmia in un grande parcheggio e l’isola stessa finì per essere percepita come un'immensa aiuola spartitraffico.

Il Prato della Valle oggi

L’area di Prato della Valle è stata oggetto di un complesso intervento di recupero a partire dai primi anni ’90. Tale recupero ha riguardato sia l’aspetto fisico dell’area che quello sociale-funzionale. Progressive limitazioni alle auto hanno eliminato quasi totalmente le aree di parcheggio usate fuori dall’isola Memmia. Un nuovo assetto della vegetazione dell’isola ha consentito all'area di essere utilizzata da un grande numero di giovani, soprattutto nei mesi estivi come luogo di ritrovo per studiare all’aperto o prendere il sole. L’aumento dell’illuminazione pubblica ha permesso anche l’uso serale, soprattutto d’estate, quando l’isola è gremita di ragazzi tra i quali spesso si formano veri e propri gruppi che intrattengono la gente con musica o piccole recite improvvisate. Da alcuni anni, l’esterno dell’isola, essendo asfaltato, è spesso utilizzato da pattinatori; in alcune occasioni si svolgono vere e proprie gare di pattinaggio professionistico.

Il Prato mantiene, ovviamente, anche le sue funzioni storiche di luogo di commercio e di spettacolo. Ogni sabato vi si svolge il mercato tradizionale di Padova con oltre 160 banchi e ogni terza domenica del mese il mercatino dell'antiquariato. Dall’autunno 2007 alcuni banchi del quotidiano mercato di frutta e verdura delle piazze attorno al Palazzo della Ragione sono stati trasferiti in Prato.

Più volte l’anno il Prato ospita concerti (varie volte vi ha fatto tappa il Festivalbar) con decine di migliaia di spettatori. Ogni capodanno e ferragosto vengono organizzate in Prato feste con musica e fuochi artificiali; particolarmente apprezzati quelli ferragostani che registrano spettatori da tutto il Veneto. In occasione dei grandi eventi sportivi, come i Mondiali di calcio, vengono allestiti maxischermi per seguire gli eventi. La piazza è anche sede tradizionale dei festeggiamenti in caso di vittorie calcistiche delle squadre italiane.

Le statue

Alcune statue di Prato della Valle (in primo piano quella di Antenore)

Le statue sono attualmente 78 (40 lungo l’anello esterno e 38 lungo quello interno), ma secondo il disegno originario avrebbero dovuto essere 88. La disposizione odierna deriva principalmente dalla distruzione di sei statue raffiguranti dogi veneziani abbattute dall’esercito napoleonico nel 1797; in seguito a questo episodio vi fu un riposizionamento di diverse statue e soprattutto la collocazione sui piedistalli dei ponti est ed ovest (originariamente anch’essi pensati per statue) degli attuali obelischi prima collocati lungo i quattro viali interni dell’isola. I due piedistalli interni del ponte nord sono tuttora privi di statua.

Un preciso regolamento (emanato dalla Presidenza del Prato il 10 febbraio 1776) fissò le norme per la realizzazione delle statue: non potevano essere ritratte persone in vita, non potevano essere ritratti santi (ad essi erano riservati gli altari delle chiese) e tutti i personaggi ritratti dovevano avere avuto un legame con la città. Nella maggior parte dei casi si tratta infatti di professori universitari, artisti, condottieri o ex governanti della città. La prima statua realizzata fu nel 1775, per prova, una statua di Cicerone, che fu velocemente rimossa per l’assenza di legame tra il personaggio e Padova; fu sostituita con l’attuale statua di Antenore offerta alla città dallo stesso Andrea Memmo. L’ultima delle statue originali fu quella di Francesco Luigi Fanzago collocata nel 1838. In seguito, nel corso dell'Ottocento, fu rifatta la statua di Antonio Savonarola perché eccessivamente deteriorata ed infine, nel 1963, per esigenze di conservazione è stata sostituita con copia (opera di Luigi Strazzabosco) l’unica statua eseguita da Antonio Canova e rappresentante Giovanni Poleni. Le statue raffigurano tutte personalità maschili; l’unica eccezione è quella del busto della poetessa Gaspara Stampa collocato ai piedi della statua dedicata ad Andrea Briosco. I piedistalli e le statue sono realizzati in pietra di Vicenza, un calcare tenero cavato in diverse località dei Colli Berici. Esso si presta molto bene all’uso in scultura per la sua facile scolpibilità, ma presenta di contro un facile deterioramento. Diversi interventi di restauro e conservazione sono stati operati sulle statue dalla fine dell'Ottocento[15]. L'ultimo esteso intervento sulle statue risale ai primi anni novanta del XX secolo[16].

Le statue furono fondamentali per la trasformazione del Prato non solo visivamente ma, anche finanziariamente. Infatti, furono pagate da singoli cittadini o gruppi previo il versamento di una somma che poteva variare tra i 135 e i 150 zecchini e che servì sia al costo vivo della statua sia come contributo ai lavori generali del Prato. La somma poteva anche essere versata in due o tre anni di tempo.

Personalità raffigurate nelle statue di Prato della Valle

La numerazione segue le cifre scolpite sui basamenti delle statue.

Recinto esterno

Recinto interno

Pianta dell'isola Memmia con la numerazione delle statue


Statue di dogi veneziani abbattute dall'esercito napoleonico nel 1797:

La vegetazione dell'isola Memmia

Esemplare di acero riccio nell'isola Memmia

Fino alla trasformazione di fine XVIII secolo il Prato era scarsamente ricoperto d’erba sia a causa dell’intenso uso, che non ne permetteva la crescita, sia dei frequenti eventi alluvionali che coinvolgevano l’area. Nel corso dell'Ottocento la fitta piantumazione di platani ostacolò pesantemente la crescità dell'erba all'interno dell'isola. Infatti, nel XIX secolo, il Prato senza erba diventò uno dei "tre senza" di un celebre detto popolare sulla citta di Padova.

Il primo “albero” della storia del Prato fu quello “della libertà” piantato dai francesi nel 1797, in realtà si trattò di un palo ligneo su di un piedistallo posizionato al centro dell’isola Memmia; esso fu di brevissima durata perché abbattuto dagli austriaci dopo otto mesi dalla sua realizzazione in quanto simbolo degli ideali rivoluzionari.

Il primo albero vero fu un tiglio, detto ancora “della libertà”, piantato sempre in seguito all’arrivo delle truppe francesi nel 1805. L'estesa piantumazione di alberi nel Prato si deve invece al ritorno sotto l’Austria nel 1815 quando si diede il via all’inserimento di liriodendri tulipifera e platani. Il totale degli alberi inseriti fu di circa 100. Ben presto però i liriodendri soffrirono per la crescita più veloce dei platani cominciando a morire e venendo lentamente sostituiti con altri esemplari di platani fino ad avere, nel corso dell’XIX secolo, una sola specie arborea presente. Questi esemplari raggiungendo le dimensioni tipiche della specie (35-40 metri di altezza) modificarono notevolmente la percezione visiva del Prato e del progetto di Andrea Memmo. Lo spazio non poté più essere abbracciato in uno sguardo e le grandi chiome resero meno percepibile la presenza delle statue. Il boschetto così creato fu però a lungo apprezzato proteggendo dal sole e invogliando al passeggio sull’isola. Colpiti da un fungo (la Ceratocystiis fimbriata (Ell. e Mast.) Davidson), in maniera sempre più grave ed estesa a partire dalla metà del Novecento, i platani sono stati abbattuti nel 1990 ad eccezione di un unico esemplare salvato. In seguito ad un’attenta valutazione si è scelto di sostituire i platani con una nuova specie: l’acero riccio, varietà Summershade. I nuovi alberi sono stati piantani in numero assai inferiore (circa 50) e solo lungo i viali interni; tale specie è stata scelta perché raggiunge altezze (circa 20 metri) assai inferiori al platano ed e quindi maggiormente compatibile con la struttura urbanistico-architettonica del Prato pur continuando a garantire un’adeguata ombra attraverso il suo fitto fogliame.

L’anello d’erba che cinge l’isola all’esterno della canaletta non era previsto nell'idea originale. Giuseppe Jappelli ne propose la creazione nel 1824; l'effettiva realizzazione fu però successiva.

Note

  1. ^ La pianta riporta erroneamente 80 piedistalli invece degli 88 effettivamente realizzati
  2. ^ Lionello Puppi, Giuseppe Toffanin. Guida di Padova. Arte e storia tra vie e piazze. Trieste, 1983. p. 163.
  3. ^ Le informazioni relative alle antiche denominazioni si trovano in Silvana Collodo, Il Prato in età medievale, in Lionello Puppi (a cura di). Prato della Valle. Due millenni di storia di un'avventura urbana., Limena (PD), Signum, 1986. p. 60-61. In questo saggio si trovano anche i riferimenti ai documenti d'archivio.
  4. ^ Sull’origine di questa opinione si veda M. P. Billanovich. Una miniera di epigrafi e di antichità: il chiostro maggiore di S. Giustina in Padova. Italia medioevale e umanistica, 1969, 12 , p.283 e sgg.
  5. ^ Un circo nella antica Patavium esisteva sicuramente come confermato da alcune lapidi che ricordano cavalli da corsa; la collocazione vicino a Prato della Valle è discussa in Luciano Bosio. L’età preromana e romana. in Lionello Puppi (a cura di). Prato della Valle. Due millenni di storia di un'avventura urbana., Limena (PD), Signum, 1986. pp. 44-46.
  6. ^ L’autenticità della "donazione" di Gauslino è messa in forte dubbio dal confronto con documenti successivi. Per la ricostruzione dell’intera vicenda si veda Silvana Collodo, Il Prato in età medievale, in Lionello Puppi (a cura di). Prato della Valle. Due millenni di storia di un'avventura urbana., Limena (PD), Signum, 1986. p. 56-64.
  7. ^ Secondo la testimonianza in V. Radicchio. Descrizione della general idea, ed in gran parte effettuata dall’eccellentissimo signore Andrea Memmo sul materiale che denominavansi della Valle. Roma, MDCCLXXXVI, p. 13., i resti del teatro romano di Padova sarebbero stati usati per la costruzione del ponte di Rialto a Venezia
  8. ^ Processione illustrata dalla testimonianza di Giovanni di Conversino. Si veda A. F. Marcianò. Le processioni dei Bianchi nella testimonianza di Giovanni di Conversino. Padova, 1980. pp. 168-170.
  9. ^ La completa descrizione del pensiero di Andrea Memmo sul Prato si trova in V. Radicchio. Descrizione della general idea, ed in gran parte effettuata dall’eccellentissimo signore Andrea Memmo sul materiale che denominavansi della Valle. Roma, MDCCLXXXVI. Questo testo doveva fissare in maniera definitiva la ricostruzione delle vicende legate al progetto del Memmo ed accompagnare l’incisione del Piranesi.
  10. ^ Memmo volle questa incisione nel periodo in cui fu ambasciatore della Serenissima presso la Santa Sede per poter illustrare il progetto ai nobili romani sperando di convincerli a finanziare la realizzazione delle statue.
  11. ^ Le notizie sul progetto e sui lavori eseguiti fino al 1786 sono tratti da V. Radicchio. Descrizione della general idea, ed in gran parte effettuata dall’eccellentissimo signore Andrea Memmo sul materiale che denominavansi della Valle. Roma, MDCCLXXXVI.
  12. ^ Queste botteghe sono rilevate nella pianta di Giovanni Valle posta in apertura della voce.
  13. ^ I doccioni presenti sulla sponda interna del canale servivano proprio a scaricare l'acqua piovana caduta sull'isola nella canaletta. Molti di essi oggi risultano otturati
  14. ^ Si vedano, per esempio, gli elementi non realizzati già citati nel sotto-paragrafo "Linee generali del progetto" di questa voce.
  15. ^ Tra i primi va citato quello della ditta Mont-Luis con il processo Kessler. Per la ricostruzione dell'intervento si veda Lionello Puppi (a cura di). Prato della Valle. Due millenni di storia di un'avventura urbana., Limena (PD), Signum, 1986. p. 216.
  16. ^ Per le statue trattate e le metodologie impiegate in quest'occasione si veda AA. VV. Il Prato della valle e le opere in pietra calcarea collocate all'aperto : esperienze e metodologie di conservazione in area veneta : atti della Giornata di studio : Padova, 6 aprile 1990. Padova, Libreria Progetto, 1990.
  17. ^ La statua attuale, al numero 81, è stata eseguita successivamente al 1797 ed in essa il Morosini è raffigurato nelle vesti di eroe romano e non in quelle di doge veneziano

Bibliografia

  • Vincenzo Radicchio. Descrizione della general idea, ed in gran parte effettuata dall’eccellentissimo signore Andrea Memmo sul materiale che denominavansi della Valle. Roma, MDCCLXXXVI
  • Simone Stratico. Dell'antico teatro di Padova. Padova, 1795.
  • Francesco Marzolo. Curiosità idrauliche padovane: la canaletta del Prato della Valle. Padova, Penada, 1940.
  • Enrico Scorzon. Il Prato della Valle e le sue statue. Trieste, Lint, 1975.
  • Aldo Prosdocimi. Il Prato della Valle. Padova, 1976.
  • Lionello Puppi (a cura di). Prato della Valle. Due millenni di storia di un'avventura urbana., Limena (PD), Signum, 1986.
  • AA. VV. Il Prato della valle e le opere in pietra calcarea collocate all'aperto : esperienze e metodologie di conservazione in area veneta : atti della Giornata di studio : Padova, 6 aprile 1990. Padova, Libreria Progetto, 1990.
  • Lorenzo Cappellini. Il Prato della Valle. Torino. Allemandi, 2001. ISBN 88-422-1096-X

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