Lingua romanza britannica

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Lingua romanza britannica
Parlato inIsole britanniche
Periodoparlata fino al VII secolo
Locutori
Classificaestinta
Tassonomia
FilogenesiLingue indoeuropee
 Lingue italiche
  Lingue romanze
   Lingue romanze occidentali
    Lingua romanza britannica
Codici di classificazione
Linguist Listlat-bri (EN)

La lingua romanza britannica è la lingua neolatina che si sviluppò nella Britannia romana nel V e VI secolo d.C., dopo il ritiro delle legioni romane dalle isole britanniche.

Testimonianze[modifica | modifica wikitesto]

Kenneth H. Jackson scrisse "il latino era una lingua viva e parlata nella Britannia durante l'Impero Romano", e usò la prova di parole assimilate dal latino nell'antico gallese e irlandese allo scopo di dedurre l'esistenza di dodici differenti caratteristiche del romanzo della Britannia latinizzata del terzo, quarto e quinto secolo d.C.[1]

Mappa dove in nero viene evidenziata la Romania submersa, ossia le regioni dell'Impero romano dove il neolatino è scomparso, mostrando anche l'area britannica

L'opinione del cattedratico Jackson è stata criticata successivamente e i caratteri peculiari del "latino volgare britannico" sono stati messi parzialmente in dubbio da alcuni studiosi come See Wollman.[2]

Infatti, se è esistita come gruppo dialettale/linguistico, la lingua romanza britannica non sembra essersi sviluppata nei secoli a sufficienza per lasciare caratteristiche distinguibili con un'approfondita diagnosi. E questo anche se nel ventesimo secolo sono state scoperte in Gran Bretagna molte testimonianze linguistiche della cultura della Sub-Roman Britain, riconducibili ai Romano-Britanni.[3]

Comunque, studiosi come Christopher Snyder credono che, nel periodo che va dal 410 (ritiro dalle isole britanniche delle legioni romane) al 597 d.C. (quando Sant'Agostino di Canterbury arrivò in Britannia), nella Britannia romanizzata vi fu una società capace di difendersi dai sopraggiunti barbari Anglo-Sassoni e di produrre una propria cultura con una lingua neolatina molto mescolata al celtico.[4]

Questi anni sono quelli che coincidono con la leggenda di Re Artù, da alcuni studiosi[5] identificato con il romano-britannico Ambrosio Aureliano. Secondo lo studioso inglese Charles Thomas, alcune iscrizioni trovate nell'area di Amesbury (dove visse questo romano-britannico) sembrano indicare l'uso di un latino sui generis con caratteristiche locali, che fanno presupporre con certezza l'esistenza della lingua romanza britannica.[6]

Inoltre sembra molto probabile che nell'area di Chester (che ha preso nome dal castrum romano Deva Victrix) sia rimasta una comunità di britannici romanizzati discendenti dai coloni romani che usava la lingua romanza britannica: vi sono state trovate anfore e resti archeologici di epoca "sub-romana"[7] e probabilmente la città romana fu abitata fino ad oltre il 650 d.C.[8].

Pietra di Artù[modifica | modifica wikitesto]

Lo stesso argomento in dettaglio: Pietra di Artù.

«La pietra rivela che, nel VI secolo d.C., gli abitanti di Tintagel continuavano a leggere e scrivere in latino e ad avere una forma di vita romanizzata molto tempo dopo che i Romani avevano lasciato la Britannia nel 410.»

Secondo l'accademico Charles Thomas nel 1998 è stata rinvenuta in Cornovaglia l'unica evidenza di una lingua romanza in uso nella Britannia postromana: la Pietra di Artù di Tintagel[9]

Le Terme romane di Bath furono usate dai Romano-britannici fino al VI secolo d.C. Vi sono state trovate tavolette con maledizioni popolari che sembrano probabilmente scritte anche in lingua romanza britannica

Nella pietra si possono leggere quattro parole che sono correntemente interpretate così: PATER / COLI AVI FICIT / ARTOGNOV. Si tratta sostanzialmente di un'iscrizione latina, con riconoscibili primitive inflessioni antico celtiche e romano-britanniche, la cui più plausibile lettura secondo Thomas è «mi fece (oppure "mi costruì") Artognou, padre di un discendente di Col».[10]

La frammentarietà del reperto non permette però di andare oltre la lettera della frase, per cui la funzione dell'iscrizione rimane oscura.

Resta evidente, sempre secondo Thomas, l'uso locale linguistico del latino "fecit" (fece) che viene scritto con la "i" invece della "e", per cui diventa "ficit": questo evidenzia un chiaro vocabolo della lingua romanza britannica.

La pietra di Artù inoltre occupa una posizione eccezionale nel contesto degli altri ritrovamenti epigrafici provenienti da questo sito, che ha conosciuto una lunga occupazione dopo la caduta dell'Impero romano d'Occidente: essa è l'unica dedicata a un'iscrizione che può definirsi "profana", che non risale cioè ad un contesto ecclesiastico o monastico, né è riferibile a una ritualità funeraria. L'iscrizione sulla pietra, infatti, fornisce agli storici la certezza del fatto che era molto diffusa l'alfabetizzazione e la conoscenza letteraria nel ceto dominante della Britannia postromana.

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ Jackson, Language and History, pp. 82—94
  2. ^ Vedi Wollman, Early Latin loan-words, p. 15 n. 52 per sondaggio
  3. ^ E.g. Regional Diversification of Latin, pp. 577—623
  4. ^ Christopher A. Snyder, Sub-Roman Britain (AD 400-600), 1996, capitolo introduttivo
  5. ^ A. Grahaeme, E. A. Kathleen Herbert, Warriors of Arthur, Blandford Press Ltd, 1987
  6. ^ Charles Thomas, And Shall These Mute Stones Speak? Post-Roman Inscriptions in Western Britain, University of Wales, Cardiff, 1994
  7. ^ Anfore del 616 d.C. trovate a Chester (in inglese)
  8. ^ Sub-Roman Chester (in inglese), su chesterwiki.com. URL consultato il 4 gennaio 2011 (archiviato dall'url originale il 28 dicembre 2010).
  9. ^ La scoperta a Tintagel di un possibile riferimento al mitico Re Artù Archiviato il 23 luglio 2011 in Internet Archive.
  10. ^ Articolo in inglese e immagini della Pietra di Artù

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

  • Charles-Edwards, Thomas, Language and Society among the Insular Celts, AD 400-1000, in M. J. Green (ed.), The Celtic World, ed. (London, 1995), pp. 703–36
  • Gratwick, A. S., Latinitas Britannica: Was British Latin Archaic?, in N. Brooks (ed.) Latin and the Vernacular Languages in Early Medieval Britain, (Leicester 1982), pp. 1–79
  • MacManus, D., Linguarum Diversitas: Latin and the Vernaculars in Early Medieval Britain, Perita 3 (1987), pp. 151–88
  • Mann, J. C., Spoken Latin in Britain as evidenced by the Inscriptions, in Britannia 2 (1971), pp. 218–24
  • Shiel, N., The Coinage of Carausius as a Source of Vulgar Latin, in Britannia 6 (1975), pp. 146–8
  • Smith, C., Vulgar Latin in Roman Britain: Epigraphic and other Evidence, in Aufstieg und Niedergang der Römischen Welt 2.29.2 (1983), pp. 893–948
  • Snyder, Christopher A. 1996. Sub-Roman Britain (AD 400-600): A Gazetteer of Sites. British Archaeological Reports (BAR) British Series No. 247. Oxford: Tempvs Reparatvm.
  • Thomas, Charles. And Shall These Mute Stones Speak? Post-Roman Inscriptions in Western Britain. University of Wales. Cardiff, 1994.

Voci correlate[modifica | modifica wikitesto]

Collegamenti esterni[modifica | modifica wikitesto]