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Calipso

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Calipso
Calipso in un dipinto di William Adolphe Bouguereau
Nome orig.Καλυψώ (Kalypsṓ)
Caratteristiche immaginarie
SpecieNinfa
SessoFemmina
ProfessioneDivinità marina

Calipso (in greco antico: Καλυψώ?, Kalypsṓ) è un personaggio della mitologia greca e il suo nome deriva dal verbo greco kalýpto (καλύπτω), «nascondere» o «coprire».[1][2]

La divinità marina di Calipso è presente in svariate leggende dove viene indicata come una ninfa, una nereide o anche un'oceanina.

Figlia di Atlante[3][4][5] e di Pleione[4], oppure di Oceano[6] e della titanide Teti[6]. Da Odisseo partorì i figli Nausitoo e Nausinoo[7], mentre Teledamo[8] e Latino[5] figli di Circe e Ulisse. Nausitoo e Nausinoo della teogonia di Esiodo, sono chiamati Feacio e Ausonio nell'Odissea di Omero. Nausitoo è chiamato Feacio padre di Alcinoo, Locrio e Crotone, e Nausinoo è chiamato Ausonio padre di Liparo.

Il nome di Calipso appare anche tra i nomi delle Nereidi[9], ma nulla conferma che sia lo stesso personaggio.

Secondo il racconto dell'Odissea di Omero, Calipso era figlia di Atlante e viveva sull'isola di Ogigia: donna bellissima e immortale.

Un giorno Odisseo, scampato al vortice di Cariddi, approdò sull'isola, e Calipso se ne innamorò. L'Odissea racconta come ella lo amò e lo tenne con sé, secondo Omero, per sette anni (secondo lo Pseudo-Apollodoro cinque e secondo Igino solo uno) offrendogli invano l'immortalità, che l'eroe insistentemente rifiutava. Odisseo conservava in fondo al cuore il desiderio di tornare a Itaca, e non si lasciò sedurre.

Calipso abitava in una grotta profonda, con molte sale, che si apriva su giardini naturali, un bosco sacro con grandi alberi e sorgenti che scorrevano attraverso l'erba. Ella passava il tempo a filare, tessere, con le schiave, anch'esse ninfe, che cantavano mentre lavoravano.

Le lacrime di Odisseo vennero accolte da Atena, la quale, dispiaciuta per il suo protetto, chiese a Zeus di intervenire. Il dio allora mandò Ermes per convincere Calipso a lasciarlo partire e lei a malincuore acconsentì. Gli diede legname per costruirsi una zattera, e provviste per il viaggio. Gli indicò anche su quali astri regolare la navigazione.

Le leggende posteriori all'Odissea attribuiscono a Odisseo e Calipso un figlio, chiamato Latino, più spesso considerato come figlio di Circe; talvolta, si racconta che essi avessero avuto due figli, Nausitoo e Nausinoo, i cui nomi ricordano la nave. Infine si attribuisce loro come figlio anche Ausone, l'eponimo dell'Ausonia.

Nella letteratura moderna

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A Calipso è dedicato il testo conclusivo della raccolta L'ultimo viaggio di Ulisse di Giovanni Pascoli ed è anche presente nel quarto volume della saga Eroi dell'Olimpo. Il testo si apre con un Ulisse naufrago, spinto fino all'isola di Ogigia dal mare dopo aver perduto la nave e i compagni contro lo scoglio delle Sirene. L'isola della dea è selvaggia e carica di profumi, il canto di Calipso che siede intenta alla sua tela si mescola con quello insistente del gufo e della cornacchia, presagi di sventura. La dea, una volta uscita dalla sua caverna, trova il corpo dell'amato eroe ormai esanime e non può far altro che abbracciarlo e sciogliersi in lacrime di dolore:

«Non esser mai! non esser mai! più nulla,
ma meno morte, che non esser più!»

  1. ^ Nota 29 a Giovanni Pascoli, L'ultimo viaggio di Ulisse (PDF) (archiviato dall'url originale il 12 gennaio 2022), in Beatrice Panebianco, Mario Gineprini e Simona Seminara, LetterAutori, Bologna, Zanichelli.
  2. ^ Nota 37 a Giovanni Pascoli, Il vischio (PDF) (archiviato dall'url originale il 12 gennaio 2022).
  3. ^ Omero, Odissea, libro I, 14-51-54; libro VII, 245.
  4. ^ a b (EN) Igino, Fabulae prefazione, su theoi.com. URL consultato il 12 giugno 2020.
  5. ^ a b (EN) Apollodoro, Biblioteca Epitome 7, 24, su theoi.com. URL consultato il 10 giugno 2020.
  6. ^ a b (EN) Esiodo, Teogonia 346, su theoi.com. URL consultato il 10 maggio 2020.
  7. ^ (EN) Esiodo, Teogonia 1017, su theoi.com. URL consultato il 10 maggio 2020.
  8. ^ (EN) Calipso, su theoi.com. URL consultato il 14 maggio 2020.
  9. ^ (EN) Apollodoro, Biblioteca libro I, 2.7, su theoi.com. URL consultato il 10 maggio 2020.

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