Coordinate: 41°53′10.68″N 12°30′06.84″E

Complesso ospedaliero San Giovanni-Addolorata

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Azienda Ospedaliera Complesso Ospedaliero San Giovanni-Addolorata
Roma, Ospedale di s. Giovanni, la facciata di Giacomo Mola sulla piazza di san Giovanni in Laterano
StatoItalia (bandiera) Italia
Località Roma
IndirizzoVia dell'Amba Aradam, 9
Fondazione1332
PatronoGiovanni Battista
Dir. generaleMaria Paola Corradi (Commissario Straordinario)
Dir. sanitarioDomenico Antonio Ientile
Dir. amministrativoEmidio Di Virgilio
Sito webSito ufficiale
Mappa di localizzazione
Map
L'acheropita del laterano
Emblema della Confraternita del SS. Salvatore sull'elemosiniera in facciata dell'ospedale
Stemma di Everso degli Anguillara, grande peccatore e altrettanto grande benefattore dell'ospedale insieme con i propri figli

Il complesso ospedaliero San Giovanni-Addolorata, a Roma, è uno dei più grandi ospedali dell'Italia centrale, in forza all'omonima azienda ospedaliera; si tratta di una delle più grandi e antiche strutture ospedaliere della città, comunemente designato come ospedale San Giovanni.

La Confraternita del SS. Salvatore

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Alle origini dell'ospedale di San Giovanni c'è l'"Arciconfraternita del SS. Salvatore", istituita per assicurare protezione e omaggio all'immagine acheropita del Salvatore custodita presso il Sancta Sanctorum.

Già prima del XIII secolo «vennero stabiliti a custodirla perpetuamente dodici gentiluomini ottimati e principali di Roma chiamati Ostiarii, Portieri o Raccomandati del Ss. Salvatore»[1]. L'appartenenza alla congregazione - che si occupava anche dell'amministrazione dei beni che per beneficenza venivano conferiti alle opere di carità condotte sotto l'insegna dell'immagine - divenne presto ereditaria, sempre tra i «gentiluomini ottimati e principali di Roma», e nel 1332 la congrega fu eretta in Confraternita da Giovanni XXII.

Ma i tempi erano barbari, il santuario pativa furti e disordini amministrativi, le famiglie senatorie si estinguevano, mentre l'opera aveva assunto un notevole rilievo economico, oltre che religioso, e andava quindi ricondotta sotto il governo del vescovo di Roma. Tornati i papi a Roma da Avignone, prima Martino V, poi Niccolò V e Sisto IV e infine Alessandro VI misero ordine nella gestione della congrega e dei suoi beni, affidandola interamente alla Confraternita, intimamente legata al Capitolo Lateranense e divenuta nel tempo un potente soggetto economico.

La Confraternita - ricorda il Moroni - «esercitavasi in varie opere cristiane. Vestiva nel giorno della festa di san Giovanni dodici poveri che poi trattava a pranzo: altra mensa imbandiva nel giovedì santo a dodici religiosi, dava a ciascuno di essi un paio di scarpe, un giulio ed un pane; dotava eziandio povere donzelle; manteneva in casa povere vedove; ed avea finalmente in cura l'arcispedale di s. Giovanni presso Sancta Sanctorum ed i collegii Capranica, Nardini, Crivelli, e Ghislieri. Opere si' pietose accendevano la carità de' fedeli ad alimentarle con novelli sussidii; ed infatti sia a perenne memoria la generosità del Cardinal Giannantonio Sangiorgi piacentino legato a latere in Roma nell'assenza di Alessandro VI, e di Giulio II che lasciò erede la Confraternita de suoi beni.».

La stratificazione edilizia

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Ciò che resta dell'ospedale di san Michele

La tradizione vuole che Onorio I nel 626 avesse trasformato la propria casa paterna in una chiesa dedicata a sant'Andrea; nei pressi, verso il 1216, il cardinale Giovanni Colonna aveva fondato e dotato un ospizio per i pellegrini intitolato al medesimo santo.

Nel 1333 la Confraternita ottenne, presso la chiesa di Sant'Andrea, alcuni edifici fatiscenti per fondarvi il proprio ospedale; tra questi una cappella dedicata a San Michele arcangelo, che diede il nome al nuovo ospedale.

Ripetuti ampliamenti vennero successivamente apportati grazie ai lasciti di benefattori che pensavano così di giovare alla salvezza della propria anima[2].

Nel 1580, papa Gregorio XIII Boncompagni inizia la costruzione del braccio nuovo, quello che ancora oggi delimita la piazza del Laterano verso occidente. I lavori continuarono sotto vari papi (Sisto V, Clemente VIII e Urbano VIII) fino al 1639, con la direzione di Giacomo Mola, luganese, giunto a Roma come nipote di un muratore membro della confraternita e attivo nel lungo cantiere dell'ospedale, divenuto poi membro egli stesso della confraternita a partire dal 1606[3].

All'inizio del Settecento l'ospedale, aperto a «tutti gl'infermi di qualunque Nazione, sesso, ed età»[4], aveva 120 posti per gli uomini («che si raddoppiano secondo il bisogno e principalmente l'Estate»), mentre «l'altro delle Donne posto dall'altra parte della via publica, ed accresciuto di fabriche dal Pontefice Alessandro VII contiene 60 Letti.»[5].

All'inizio dell'Ottocento (non è chiaro esattamente quando, forse durante l'amministrazione francese) l'ospedale venne completamente destinato alle donne e poteva ospitare, secondo il Morichini, oltre 500 donne, sebbene normalmente le ammalate non superassero le 200. La «Statistica della commissione per gli ospedali di Roma per l'anno 1863» indica 215 malate presenti al 31 dicembre e 2 563 ricoverate lungo l'anno (delle quali 446 morte, il resto «guarite o migliorate»). Nel 1892 fu soppresso l'Ospedale di San Rocco al Porto di Ripetta, destinato alle partorienti e alle Celate, e tutte le partorienti furono trasferite al San Giovanni.

Il patrimonio fondiario

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Il dettagliatissimo Catasto annonario del Nicolai ci dà un quadro analitico delle proprietà agricole di pertinenza del «Venerabile ospedale del Santissimo Salvatore ad Sancta Sanctorum» all'inizio dell'Ottocento. Vi si trovano annotate le seguenti tenute:

Solo nei confini di Roma l'Ospedale disponeva dunque di un patrimonio fondiario agricolo ingentissimo, esteso per quasi 2800 ettari, a cui si aggiungevano numerosi immobili di vario genere e dimensione provenienti da lasciti testamentari, che producevano rendite, oltre a quelli propriamente destinati ai servizi ospedalieri[13].

Quanto restava del patrimonio fondiario del San Giovanni dopo l'unità d'Italia, le alienazioni e la liquidazione dell'asse ecclesiastico confluì nel 1896, insieme con i patrimoni degli altri ospedali di Roma, nell'ente "Pio Istituto di Santo Spirito e Ospedali Riuniti"[14].

Il moderno comprensorio ospedaliero

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San Giovanni: padiglioni moderni

L'ospedale restò legato al Vaticano almeno fino alla piena realizzazione del Servizio Sanitario Nazionale (gli enti ospedalieri, eredi anche economici delle opere pie cattoliche, furono disciolti solo nel 1978, con la Legge 833). Nel dopoguerra fu massicciamente ampliato a spese pubbliche, con la costruzione di nuovi padiglioni inaugurati a settembre del 1958, essendo sindaco democristiano di Roma uno dei memorabili protagonisti dell'urbanistica postbellica della capitale, Urbano Cioccetti, alla presenza di Tambroni e Andreotti[15].

Attualmente l'azienda consiste di un vastissimo isolato di servizi ospedalieri che si estende tra la piazza di san Giovanni in Laterano, e la via di santo Stefano Rotondo fino alla basilica omonima da una parte, e lungo via Amba Aradam fino a via di Villa Fonseca dall'altra. Venendo dalla piazza, il comprensorio contiene: l'ospedale di san Giovanni, l'ospedale dell'Addolorata (presso il quale è stata aperta nel 2009 una nuova morgue con servizi aconfessionali e interconfessionali[16]), e l'ospedale britannico. Dall'altra parte di via di san Giovanni in Laterano, sulla piazza, c'è poi l'ospedale delle Donne.

Sul lato opposto di via di Santo Stefano Rotondo si estende invece il policlinico militare Celio, che non fa parte dell'azienda, ma contribuisce all'estensione del comprensorio sanitario.

  1. ^ Così Gaetano Moroni nel Dizionario di erudizione storico-ecclesiastica, vol. II, Venezia 1840, pagg. 294 e seg.
  2. ^ Tra i molti altri benefattori figurava, ricordata in una lapide nella corsia maggiore, anche Vannozza Cattanei, pudicamente ricordata dal Nibby in op. cit. come «madre al duca Valentino».
  3. ^ Per il Mola si veda la voce nel Dizionario biografico Treccani
  4. ^ Ambienti del primo ospedale, stando al Nibby, erano ancora visibili e utilizzati (ad esempio la sala maggiore, convertita in dispensa) nel 1838.
  5. ^ Francesco Posterla, Roma sacra e moderna, Roma 1707, pag. 571 e segg.
  6. ^ vedi in Nicolai citato a p. 254, i nn. 345, 346, 347, 348 e 378, per complessive 115 rubbia.
  7. ^ vedi in Nicolai a pp.170-173, i nn. 204, 205, 214, 287, 288, per complessive 578 rubbia. Proprio in quegli anni, molte di queste tenute passavano ai Torlonia.
  8. ^ vedi in Nicolai a p. 188-190, n. 234, rubbia 174
  9. ^ vedi in Nicolai a p. 179 n.219, per 137 rubbia.
  10. ^ vedi in Nicolai a p. 143 n. 162, per 144 rubbia.
  11. ^ vedi in Nicolai a p. 70-71 n. 86, per 76 rubbia.
  12. ^ vedi in Nicolai a p. 294 n. 408, per 286 rubbia.
  13. ^ La redditività di tale patrimonio era tuttavia molto bassa se, nel 1838, dei 32.000 scudi annui necessari alla gestione dell'ospedale quasi la metà (14.400) dovevano essere somministrati dall'erario pontificio (così in Nibby citato, pag. 141). La bassa redditività si confermava quasi 50 anni dopo, al momento dell'Inchiesta Jacini del 1883, quando, essendo stata praticamente dimezzata l'estensione del patrimonio (ridotta a 1.393 ettari), se ne indicava un rendimento medio per ettaro di appena 38 lire/ha (p. 674).
  14. ^ Per il passaggio del patrimonio del Pio Istituto alla Regione Lazio nel 1994 si veda in Corriere della Sera 23 agosto 1994, Un "tesoro" di mille miliardi.
    Per l'utilizzazione del patrimonio agricolo pervenuto al Comune di Roma tramite il Pio Istituto si vedano gli Atti del Convegno "L'Agro romano tra tutela e sviluppo" (2011).
  15. ^ Per le immagini, si veda qui
  16. ^ per la morgue dell'Addolorata si veda qui.

Voci correlate

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Altri progetti

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Collegamenti esterni

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