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Armiamoci e partite

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Olindo Guerrini fece uso dell'esortazione nelle sue Rime di Argia Sbolenfi del 1897

Armiamoci e partite è una frase proverbiale della lingua italiana, utilizzata per sottolineare e stigmatizzare, in maniera icastica e aforistica, l'atteggiamento di chi si sottrae ai rischi di un'azione da lui stesso promossa o perorata, pur esortando gli altri a intraprenderla.

Mussolini negli anni dieci, quando la sua foga interventista fu derisa con "Armiamoci e partite!"

L'uso ironico e caricaturale della frase è già attestato nell'edizione del 1891 del Nòvo dizionàrio universale della Lingua Italiana di Policarpo Petrocchi che la registra nella fraseologia del lemma "partire"[1].

Se ne conosce un uso letterario nella poesia Agli Eroissimi del poeta ravennate Olindo Guerrini, che la inserì nelle Rime di Argia Sbolenfi, una silloge pubblicata nel 1897 con lo pseudonimo di Lorenzo Stecchetti[2].

«Ah, siete voi? Salute o ben pensanti,
In cui l’onor s’imbotta e si travasa;
Ma dite un po’, perché gridate "avanti!"
E poi restate a casa?


Perché, lungi dai colpi e dai conflitti,
Comodamente d’ingrassar soffrite,
Baritonando ai poveri coscritti
"Armiamoci e partite?"

Partite voi, se generoso il core
Sotto al pingue torace il ciel vi diede.
O Baiardi, è laggiù dove si muore
Che il coraggio si vede,

Non qui, tra le balorde zitellone,
Madri spartane di robuste prose,
Che chieggon morti per compor corone
D’alloro, ahi, non di rose!»

L'opera fu composta per dileggiare la retorica militarista e divenne subito molto popolare nel clima di forte polemica che aveva portato alle dimissioni del governo Crispi, il 10 marzo 1896, in seguito alla disfatta militare nella battaglia di Adua e al successivo umiliante trattato di Addis Abeba, nel corso della guerra d'Abissinia.

La frase è spesso usata in un registro linguistico ironico o caricaturale, associandola a un atteggiamento esibito da alcune personalità.

Benito Mussolini in uniforme da bersagliere nel 1915.

Il "vizio" caratteriale sotteso alla frase viene a volte considerato, al pari del tengo famiglia, come un tratto comportamentale tipico dell'italiano medio[3]. Essa anzi, secondo Bruno Maier, assurge perfino a «emblema o [...] parola d'ordine stessa della furberia italiana»[4]: questo fenomeno, secondo Maier, sarebbe evidente nel primo dopoguerra, quando la frase iniziò a circolare insistentemente, in un periodo in cui l'italiano medio si trovò a dover districarsi tra guerra coloniale in Etiopia, partecipazione alla guerra civile spagnola, e intervento nella seconda guerra mondiale[4].

La polemica neutralista contro la retorica interventista di Benito Mussolini

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Soprattutto per l'orchestrazione di Giacinto Menotti Serrati, la frase imperversò come un tormentone nella campagna che socialisti e neutralisti misero in atto contro la retorica interventista di Benito Mussolini circa l'opportunità dell'impegno bellico diretto dell'Italia nella Grande Guerra.

Nelle intenzioni di Menotti Serrati e dei neutralisti, l'«armiamoci e partite!» voleva mettere alla berlina Mussolini accostandolo, attraverso questo fittizio slogan, alla figura caricaturale ritratta nella poesia di Olindo Guerrini[5]. Nel caso specifico, il dileggio si rivelò improprio, visto che Mussolini chiese di partire volontario e, in seguito, venne arruolato come soldato semplice nei Bersaglieri, partecipando al conflitto e rimanendo gravemente ferito. La frase, tuttavia, venne utilizzata durante il ventennio fascista per stigmatizzare l'atteggiamento di gerarchi, federali e propagandisti che, al sicuro delle loro posizioni nel Partito Nazionale Fascista, incitavano le folle di giovani all'arruolamento nelle imprese belliche del regime[4]

La fortuna letteraria dell'espressione è testimoniata anche dagli spunti comici che ha ispirato in alcuni film italiani.

Da destra a sinistra: Totò, Nino Taranto e Nino Marchetti in Totò contro Maciste del 1962

Due film prendono il loro titolo dalla frase:

Citazione in Totò contro Maciste

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L'esortazione è pronunciata da Totò nel film Totò contro Maciste del 1962, con intento parodistico nei confronti dello stile e della retorica militaresca, quando, nelle vesti di Totokamen, in un'allocuzione al popolo di Tebe, imbeccato da Nino Taranto (alias Tarantenkamen), si rivolge con voce stentorea al suo esercito:

«Tebani, abbiamo lance, spade, frecce, mortaretti, tricche tracchi e castagnole. E con queste armi potenti, dico armi potenti, noi, noi, spezzeremo le reni a Maciste e ai suoi compagni, a Rocco e i suoi fratelli! Valoroso soldato tebano, mio padre da lassù ti guarda e ti protegge. Armiamoci e partite! Io vi seguo dopo»

  1. ^ Policarpo Petrocchi, Nòvo dizionàrio universale della Lingua Italiana, vol. II, Fratelli Treves Editori, Milano, 1891, p. 455
  2. ^ Agli Eroissimi dalla Rime di Argia Sbolenfi di Olindo Guerrini, testo on line su Wikisource
  3. ^ Nino Damascelli, Giancarla Bosotti, Comunicazione e management: introduzione alla comunicazione organizzativa, FrancoAngeli, 2004, p. 81
  4. ^ a b c Bruno Maier, L'assente, Edizioni Studio Tesi, 1994, p. 156
  5. ^ Renzo De Felice, Mussolini: il rivoluzionario, 1883-1920, Einaudi, 1965, p. 321
  6. ^ Vittorio Martinelli, I film della Grande Guerra. 1915, vol. 1, RAI-ERI, 1992.
  7. ^ Enrico Giacovelli, Poi dice che uno si butta a sinistra!, Gremese editore, 1994, p. 204

Voci correlate

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