Antonio Abati

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Antonio Abati, raramente Abbati (Gubbio, fine XVI secolo o inizio XVII secoloSenigallia, ottobre 1667), è stato un letterato italiano.[1][2]

Biografia[modifica | modifica wikitesto]

Si hanno di lui poche notizie: nel 1631 pubblicò a Roma i Ragguagli di Parnaso contro i poetastri e partigiani delle nazioni, nei quali denunciò la decadenza della letteratura, attaccandone l'imperante cattivo gusto, e che lesse il 20 gennaio 1636 presso l'Accademia romana degli Umoristi durante le festività di carnevale.[2][3] Fu poi a Viterbo dal 1634 al 1638, dove conobbe il poeta di satire e pittore Salvator Rosa e contribuì a influenzare il suo stile.[2]

Trasferitosi a Milano nel 1638, passò a Vienna divenendo nel 1640 poeta di corte dell'arciduca, poi imperatore Leopoldo I.[1][2] Abbandonò l'incarico nel 1644 per viaggiare nei Paesi Bassi e in Francia, ricavando da queste sue esperienze la satira Il viaggio.[1][2] La sua opera più nota sono però le prose e i versi di lieve satira Delle frascherie, fasci tre, scritta a Venezia nel 1651: in tale opera l'Abati attacca ancora i costumi e le tendenze letterarie del tempo.[2] L'opera è anche importante per essere stata fonte di grande influenza su Salvator Rosa, il quale imitò in particolare le satire dell'Abati La guerra e il Pegasino.[2] Del 1660 è il dramma in musica Il consiglio degli dei, scritto per celebrare la pace dei Pirenei e pubblicato postumo nel 1671.[2][4]

Grazie alla protezione del cardinale Fabio Chigi, poi papa Alessandro VII, fu governatore di Grotte di Castro, di Frascati e di Recanati, finendo per ritirarsi negli ultimi anni a Senigallia, nel podere "La Stelletta" regalatogli dalla granduchessa di Toscana Vittoria della Rovere.[1][2] Dopo la sua morte, uscirono a Bologna, nel 1671, le Poesie Postume.[2]

Membro di varie accademie, tra cui quella dei Caliginosi di Ancona e degli Insensati di Perugia, presso principi e letterati Abati godette di una grande fama che andava al di là dei suoi meriti letterari.[2] A dimostrazione della reputazione di cui godeva, Ferdinando III gli dedicò un madrigale acrostico.[1] Era anche famoso per la sua sagacia e la sua arguzia, al punto da essere soprannominato "l'abbate delle vivacità e delle arguzie".[5]

Opere[modifica | modifica wikitesto]

  • Ragguagli di Parnaso contro i poetastri e partigiani delle nazioni, 1631
  • Delle frascherie, fasci tre, 1651
  • Il consiglio degli dei, 1660
  • Il viaggio
  • La guerra
  • Pegasino

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ a b c d e Belloni
  2. ^ a b c d e f g h i j k Zapperi
  3. ^ Irene Masi, I ragguagli di Parnaso, Roma, Tipografia del Senato, 1917, p. 143.
  4. ^ Chiara Pelliccia, Performance musicale e spazi di relazione: musica e diplomazia in età moderna, in Esperienza e diplomazia: Saperi, pratiche culturali e azione diplomatica nell’Età moderna (secc. XV-XVIII), Viella Libreria Editrice, 2020, p. 231.
  5. ^ Giambattista Passano, I novellieri italiani in prosa, Parte I, 2ª ed., Torino, Stamperia Reale di Torino, 1878, p. 5.

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

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