Utente:ChiaraM18/Sandbox

Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
Vai alla navigazione Vai alla ricerca

Heinz J. Duell[modifica | modifica wikitesto]

Heinrich Josef Watzke, noto anche con il nome di Heinrich Josef Düll o semplicemente Heinz J. Düll oppure Heinz J. Duell, (Leitmeritz, 20 aprile 1938 - Monaco di Baviera, 1 agosto 2001) è stato un artista, pittore, illustratore e ceramista.

Biografia[modifica | modifica wikitesto]

Heinrich Josef Watzke nasce il 20 aprile 1938 a Leitmeritz nell’allora Cecoslovacchia (oggi diventata Repubblica Ceca) da una famiglia di origine tedesca.

Quando Heinz aveva solo due anni, il padre viene arruolato per la guerra e, al suo ritorno, decide di divorziare dalla moglie e di crearsi una nuova famiglia. Heinrich cresce così in compagnia della madre Valerie, che lavorava in un laboratorio di pellicceria, della zia Pauline, che era aiutante di un farmacista, e della nonna materna Adelaide, che lavorava come cuoca presso la famiglia Asburgo e con cui Heinrich aveva un forte legame. Nonostante l’affetto familiare, l’infanzia di Heinrich fu comunque difficile, segnata dall’occupazione tedesca della città di Leitmeritz, avvenuta nel 1938.

Dopo la fine della guerra, la famiglia di Heinz è costretta a lasciare la città di Leitmeritz come tanti altri cittadini di origine tedesca. Si trasferiscono quindi in Germania, prima nel sud della Baviera e poi a Würzburg. Proprio a Würzburg Heinrich intraprende gli studi all’Istituto d’Arte e, a soli 19 anni, vince,  nel 1957, il Premio di Grafica “Città di Würzburg”.

Successivamente decide di trasferirsi a Monaco di Baviera, pur restando sempre in contatto con la madre e la zia, anche dopo la morte dell’amata nonna, avvenuta proprio in quegli anni. A Monaco l’artista continua a studiare e inizia a lavorare in un laboratorio di animazione grafica. Questi sono anni frenetici per Heinrich, che continua a dipingere, organizzare mostre e fare persino la comparsa al teatro dell’Opera, che sarà un’occasione per coltivare il suo amore per la musica lirica.

Nel 1961 Heinz inizia a lavorare come disegnatore tecnico nello studio di architettura dei fratelli Düll. La famiglia Düll era composta da artisti e architetti. Nei primi del ‘900 Heinrich Düll, colui che diventerà il nonno adottivo di Heinz, realizzò diverse sculture in molte città della Germania. La sua opera più famosa è l'Angelo della pace, un angelo dorato nel Parco Inglese, che domina Monaco di Baviera.

La famiglia Düll intuisce presto il talento di Heinrich, che, durante questo periodo, continua a viaggiare in Europa, nord Africa e Stati Uniti, e a organizzare mostre. Dal 1962 le sue opere vengono esposte a Würzburg, Osnabrück, Kiel, Monaco di Baviera, Rabat, Stoccolma, Viterbo, Berlino, Vitorchiano, Roma, Venezia, Todi e al Palazzo Farnese di Gradoli.

La sua attività artistica riceve anche molti riconoscimenti a livello internazionale da diverse Accademie e Università[1]. Per esempio riceve premi dall’Accademia delle Arti e del Lavoro, dall’Ordine Internazionale dei Volontari della Pace, dall’Accademia dei Maestri di Pralboino, dall’Interamerican University of Humanistic Studies in Florida, e dall’Istituto Europeo di Cultura Popolare e Ambientale, in riconoscimento dell’attività artistica e culturale svolta a favore della società europea contemporanea.

Successivamente consegue anche una seconda laurea a Berlino all’antica Accademia Prussiana delle Belle Arti, fondata nel 1696 e ora conosciuta come Universität der Künste di Berlino.

Trasferimento in Italia[modifica | modifica wikitesto]

Nel 1973 i viaggi intrapresi da Heinz lo portano in più occasioni in Italia e a Roma. Si innamorerà talmente tanto dell’atmosfera della città che confesserà all’architetto Franz Düll di volersi trasferire lì per un lungo periodo. Trova così un pied a terre nelle vicinanze di Piazza del Popolo.

Durante questi soggiorni romani visita diverse gallerie d’arte e prende parte a vari circoli frequentati da molti intellettuali come il Caffè Greco, Rosati a Piazza del Popolo, la Galleria Marlborough, la Galleria Il Segno, La Pesa. Qui fa la conoscenza di altri artisti tedeschi come Heinz von Cramer, Fabius Gugel e Lothar Fischer.

Ma il suo amore per il territorio italiano non si ferma alla grande città. Nel 1976 Heinz viene invitato dal suo caro amico e artista, Antonio Caputo, nella sua casa a Vitorchiano nell’alto Lazio. Il paesaggio di questa zona affascina l’artista. Così decide di trasferirsi in questi luoghi e, dopo essere stato ospite dell’amico, compra una proprietà a quattro chilometri da Vitorchiano. Come lo stesso Caputo racconta, questi luoghi influenzeranno molto, da lì in poi, la sua produzione artistica. Infatti Heinz riuscirà minuziosamente a scandagliare il territorio, facendone tesoro per la sua arte.

«Nella campagna viterbese ha creato il suo regno di vita e di lavoro»[2].

La nuova firma dell’artista[modifica | modifica wikitesto]

L’architetto Franz Düll, per cui Heinrich lavorava, non era considerato dall’artista semplicemente il suo datore di lavoro, ma, negli anni, divenne quasi come un padre. Purtroppo, però, alla fine degli anni ’70 gli fu diagnosticato un cancro che, in pochi anni, lo portò alla morte. Ma prima, Franz Düll, sentendosi responsabile per Heinz e essendogli particolarmente affezionato, decise di adottarlo. Così nel 1980 Heinrich Josef Watzke divenne Heinrich Josef Düll.

Per questo motivo le opere dell’artista si ritrovano sotto due nomi diversi: nei primi vent’anni della sua attività la firma fu Heinz J. Watzke, poi divenne Heinz J.Düll. Inoltre, dato che ormai l’artista viveva in Italia, per evitare problemi di pronuncia e di scrittura, comincerà a firmare le sue opere con Heinz J.Duell, in cui la “ü” viene sostituita dalla “u“ senza dieresi e la “e“.

Gli ultimi anni[modifica | modifica wikitesto]

Gli ultimi anni vissuti dall’artista furono segnati da gravi lutti, come Franz Düll e la zia Pauline. Nel 1999 scopre poi di avere un tumore alla gola. Così, a soli 63 anni, Heinz J.Düll  si spegne a Monaco di Baviera il 1° agosto del 2001. Viene sepolto nel cimitero di Ostfriedhof a Monaco di Baviera. Dopo solo due mesi, muore anche la mamma Valerie, all’età di 93 anni.

Produzione artistica[modifica | modifica wikitesto]

Vitorchiano - Veduta da Via Marzio 46- Heinz J. Duell-1989
Vitorchiano - Veduta da Via Marzio 46 (olio su tela), opera di Heinz J. Duell del 1989

L’artista Heinz J. Düll ha lasciato molte opere e sperimentato molte forme d’arte, come dipinti, acquarelli, illustrazioni grafiche  e ceramiche. Come lui stesso dichiara, la sua arte è espressione della sua idea artistica: «Non si tratta di una raffigurazione di se stesso, ma soltanto un tentativo di rendere accessibile al fruitore il suo potenziale di esperienza»[3]. Le varie opere di Heinz sono molto apprezzate nel panorama artistico internazionale. Per esempio, nel 1976, Herbert Pagani[4] scrive di come le opere grafiche di Heinz sembrino inizialmente porsi a metà strada fra il “carnet de voyage”, un diario di viaggio, e la comic-strip d'arte. Ma poi si riescono a percepire le trame, i punti, i neri, i pieni, i bianchi vergini, le linee astratte che ricorrono attraverso il paesaggio figurativo. Dalla “tessitura” di un muro, da un ramo, dalle ombre, emerge, al di là del piacere figurativo del disegno, il tentativo di restituire con un solo strumento, la penna, e un solo colore, il nero, le densità e le luci dell’architettura casuale e armoniosa di Vitorchiano, uno dei soggetti rappresentati spesso dall’artista.

Vathek - fecit - Heinz J. Duell
Vathek - fecit (tecnica mista e oro su cartoncino 45x60), opera di Heinz J. Duell del 1995

Nel 1984 sarà invece Gianni Moneta[5] a esaltare le pitture di Heinz J. Düll. Per Moneta, nella sua arte, Heinz trasferisce il dramma di luoghi antichi, che vengono sopraffatti e dimenticati dal futuro e dal progresso. L’opera, rappresentata artisticamente con la china o con la tempera, diventa un gesto d'amore per gli uomini e il territorio. Denuncia il degrado spirituale, lo stravolgimento degli equilibri della natura. Inoltre il paesaggio e l'opera dell'uomo vengono riproposti in un gioco cromatico e in linee composte con rigorosa dolcezza. Duell toglie l'uomo moderno da malinconici monologhi, per rinvenire e ricreare le leggi della bellezza, le leggi dell'ordine, la disciplina della pittura, l'organizzazione delle forme e dei colori. I problemi della vita diventano così sorgente di ogni forza creativa.

Inoltre gli studi di architettura e le esperienze italiane hanno influenzato Heinz nel bianco e nero e nei paesaggi a china. Anche la sua pittura a olio, con le delicate nature morte, contiene la stessa serenità. Le composizioni dei colori e delle linee nelle grandi tempere sono frutto di una ricerca profonda e originale.

Esalta le doti di questo artista anche Toni Kienlechner[6]. Nel 1988, infatti, evidenzia come l’arte di Heinz sia stata influenzata dal barocco di Roma e dall'enigmatico paesaggio degli antichi luoghi dell'Etruria. Il barocco romano, quale linguaggio figurativo, si avverte non solo nelle raffigurazioni di mistici santi, ma anche nei disegni.

Infine, le opere realizzate durante la seconda metà degli anni ’90 si ispirano alle atmosfere fiabesche del romanzo Vathek, l'opera più famosa di Beckford[7].

La rappresentazione del legame con la natura[modifica | modifica wikitesto]

La Regina delle mosche-Heinz J. Duell
La Regina delle mosche (acquarello su cartoncino 45x60), opera di Heinz J. Duell del 1992

Heinz J. Düll era sorpreso dalla magia che la natura gli regalava e ne trovava ispirazione per la sua arte. Così nella sua casa creò un giardino e lo lascò volutamente incolto, libero di esplodere con le sue varietà e i suoi colori. Qui trovavano casa anche molti animali, come cani, gatti, uccelli, pesci rossi e persino mosche, che hanno ispirato la sua opera “La regina delle mosche”.

Anche Toni Kienlechner[8], nel 1984, racconta di come l’artista fosse meravigliato dal paesaggio intorno a Viterbo, Vitorchiano, Vetralla, Bomarzo. Trova ispirazione dai luoghi del sud della Toscana, del nord del Lazio e del sud dell'Umbria. Il fascino che la terra etrusca ha esercitato sulla penna dell'artista tedesco consiste soprattutto nell'occulta e misteriosa struttura della natura stessa delle terre vulcaniche, sepolte sotto il loro ricco e ruvido manto di piante. L'occhio dell'artista fruga nelle stratificazioni, nei crepacci e nelle granulazioni delle pietre e dei ruderi bruni e grigi, nella delicata tessitura delle piante e dei muschi, ridisegna la ruvida scorza dei grandi alberi di noce che proteggono case e stalle di una modesta cultura agreste.

Heinz crea una vera e propria simbiosi tra arte e natura e i suoi disegni sono la testimonianza del pericolo che verte su questo paesaggio, che si copre pian piano di case. Questo è il filo conduttore che lega i disegni e gli acquarelli, ambientati da Orvieto a Bolsena fino a Todi. Infatti, nel 1986, ancora Toni Kienlechner scrive: «I relitti di un grande passato si trovano ai margini delle rappresentazioni dei paesaggi e della architettura, un silenzioso morbido suono parla nei delicati acquarelli e ci fa venire qua e là surrealistici pensieri»[9].

Bulicame-Heinz J. Duell
Bulicame (olio su tela 50x35), opera di Heinz J. Duell del 1996

Tra i dettagli del paesaggio che catturarono maggiormente l’attenzione dell’artista ci furono delle stratificazione di zolfo inserite nella campagna che circonda la città di Viterbo. L’atmosfera data dalla fonte del Bullicame e delle sue vasche naturali di acqua sulfurea fu rappresentata da Heinz in circa 40 opere di pittura a olio. Ma non è stato l‘unico artista a rimanere affascinato dal paesaggio di Viterbo. La leggenda narra che per Bullicame sia passato Ercole in cerca di riposo dalle sue “fatiche”[10]. Anche Michelangelo Buonarroti andò alla fonte per curarsi dal suo "mal di pietra"[11] e ne scrive anche Dante Alighieri, di passaggio da Viterbo, nella sua Divina Commedia:

«Quale del Bullicame esce ruscello

che parton poi tra lor le peccatrici

tal per la rena giù sen giva quello»[12]

Invece Pubblio Dal Soglio[13] esalta, nel 1987, la leggerezza delle forme nei paesaggi di Heinz, che si ritrova nel cielo, nelle nubi e nella stessa aria. Ne evidenza anche la freschezza delle tinte, rese con un tocco secco, pulito e discontinuo.

Infine Paolo Rizzi[14] sostiene, nel 1990, che Düll abbia saputo inserire il suo spirito nordico nella dimensione del paesaggio italiano. Ciò si nota nella linea, che, anche quando ritrae oggetti ravvicinati, segue un suo rovello secco, una sua tensione espressiva. Invece il colore tende alle tinte acide, si dissolve dando la sensazione di lontananza, di sfumature. Reminiscenze gotiche si fondono quindi con dilatazioni leonardesche. Così due culture apparentemente opposte, come la gotica tedesca e la rinascimentale italiana, si fondono.

L’impressione è diversa se si considerano le nature morte dell’artista. Le pennellate sono sottili e il colore, dosato, distacca i particolari dallo sfondo. Un simbolismo pervade la composizione sia delle nature morte sia dei paesaggi.

Alcune opere[modifica | modifica wikitesto]

Lago di Bolsena - Tramonto- Heinz J. Duell
Lago di Bolsena - Tramonto (olio su tela 80x70), opera di Heinz J. Duell del 1991

Paesaggi[modifica | modifica wikitesto]

  • La ripa (1976)
  • Viterbo - I monti Cimini (1976)
  • Vitorchiano – Paesaggio (1976)
  • Vitorchiano - Vallata destra (1976)
  • Civita di Bagnoregio (1977)
  • Bagnaia - Villa Lante (1979)
  • Marta (1980)
  • Arbatax (1986)
  • Orvieto (1986)
  • Lago di Bolsena - Visioni evanescenti del lago (1986)
  • Lago di Bolsena - Isola Martana (1989)
  • Vitorchiano - Veduta da Via Marzio 46 (1989)
  • Lago di Bolsena – Tramonto (1991)
  • Sardegna – Chia (1991)
  • Bagnaia - Vista da Montecchio (1992)
  • I pesci rossi (1992)
  • La fontana (1995)
  • Montecchio (1995)
  • Il canneto (1996)
  • Lago di Bolsena (1996)
  • Venezia - I misteri del Canal Grande (1996)
  • Il bambù (1997)
  • Lago di Bolsena – Bisentina (1997)
Autoritratto con Aspasio-Heinz J. Duell
Autoritratto con Aspasio (olio su tela 50x60), opera di Heinz J. Duell del 1982

Nature morte[modifica | modifica wikitesto]

  • Natura morta - Il peperoncino (1979)
  • Le calle (1999)
  • Primavera (1999)
  • Natura morta - Eclisse con limoni (2000)

Ritratti[modifica | modifica wikitesto]

  • Rabat - Donna berbera con bambina (1969)
  • Ritratto - Vicolo Dritto (1976)
  • Autoritratto con Aspasio (1982)
  • Ritratto – Rassegnazione (1984)
  • Donna sarda in costume (1986)
  • Ritratto – Ascanio (1990)
  • Bulicame - Il tramonto (1996)
  • Bulicame - L'imbrunire (1996)

Grafiche[modifica | modifica wikitesto]

  • Durro o burro (1988)
  • Il pitone (1988)
  • Viterbo - Caffè Schenardi (1989)
  • Venezia - Allegro con brio (1990)
  • Allegorie – Vienna (1991)
  • Allegorie – Roma (1996)
  • Allegorie - Ecce Homo (1998)
Allegorie - Vienna- Heinz J. Duell
Allegorie - Vienna (china e seppia su cartoncino 100x70), opera di Heinz J. Duell del 1991

Ceramiche[modifica | modifica wikitesto]

  • Il cigno (1987)
  • Il piatto furioso (1990)
  • La coppia con il merlo (1990)
  • L'oca (1991)
  • Lo scorpione (1991)
  • Natale (1991)
  • Il capitone (1993)
  • Il carciofo (1993)
  • Le quattro stagioni (1995)
  • Il frutto (1999)

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ Duell Memorial - Note biografiche, su duellmemorial.com. URL consultato il 30 aprile 2022.
  2. ^ Antonio Caputo, Il profilo di un amico, su duellmemorial.com, 2010. URL consultato il 30 aprile 2022.
  3. ^ Heinz J. Duell, Interpretazione, su caputodaroma.it, 1994. URL consultato il 30 aprile 2022.
  4. ^ Herbert Pagani, su duellmemorial.com, 1976. URL consultato il 30 aprile 2022.
  5. ^ Gianni Moneta, Tra rigenerazione e dissolvenza, su duellmemorial.com, 1984. URL consultato il 30 aprile 2022.
  6. ^ Toni Kienlechner, su duellmemorial.com, 1988. URL consultato il 30 aprile 2022.
  7. ^ VATHEK (Caprices et malheurs du Calife Vathek), su duellmemorial.com. URL consultato il 30 aprile 2022.
  8. ^ Toni Kienlechner, su duellmemorial.com, 1984. URL consultato il 30 aprile 2022.
  9. ^ Toni Kienlechner, su duellmemorial.com, 1986. URL consultato il 30 aprile 2022.
  10. ^ Il tesoro dei viterbesi, su giovannifaperdue.it. URL consultato il 30 aprile 2022.
  11. ^ Viterbo – Terme del Bacucco, su 3d-virtualmuseum.it, 27 marzo 2018. URL consultato il 30 aprile 2022.
  12. ^ Dante Alighieri, XIV canto, in Divina Commedia, Inferno.
  13. ^ Pubblio Dal Soglio, su duellmemorial.com, 1987. URL consultato il 30 aprile 2022.
  14. ^ Paolo Rizzi, su duellmemorial.com, aprile 1990. URL consultato il 30 aprile 2022.

Collegamenti esterni[modifica | modifica wikitesto]


Antonio Caputo conosciuto in arte come Caputo da Roma (Carosino, 3 agosto 1943) è un artista italiano. Sperimenta varie forme d’arte, dalla pittura alla scultura, e ha lavorato per molti anni anche nel settore del teatro e del cinema come costumista.

Indice[modifica | modifica wikitesto]

Biografia[modifica | modifica wikitesto][modifica | modifica wikitesto]

Caputo da Roma a Carosino (1963) Antonio Caputo nasce a Carosino, in Puglia, il 3 agosto 1943. Ottavo di dieci figli, trascorre un’infanzia serena. Decide di completare gli studi a Roma e qui, nel 1965, si specializza nel settore dei costumi per il teatro, il cinema e la televisione. Inizia a collaborare come costumista con “Annamode 68”, atelier di alta moda e costume, dove resterà per venticinque anni. In questi anni ha modo di incontrare tanti personaggi che hanno segnato la storia del cinema, come Fellini, Visconti, Bolognini, Pasolini, Richard Burton, Mel Ferrer, Alain Delon, Marcello Mastroianni, Vittorio Gassmann, i fratelli Eduardo e Peppino De Filippo.

Nel 1967 lavora al Deutsch Theater di Monaco di Baviera per la messa in scena di “Amleto” di Shakespeare, in cui Maximilian Schell è il protagonista e regista dell’opera. Nel 1974, per la compagnia teatrale “Il Gruppo della Rocca” a Siena, firma come direttore del Laboratorio di costume. In Germania, lavora nel 1976 al Teatro dell’Opera di Augsburg per l'opera “Don Gil dalle calze verdi”.   L'opera "Parsifal" al Teatro alla Scala di Milano (7 dicembre 1991) In Italia, invece, dal 1984 comincia a tenere corsi di tecnica del costume al Centro Sperimentale di Cinematografia di Cinecittà. Fa parte anche della direzione sartoria dell’11°Festival Internazionale Atti Unici al Teatro Petrarca di Arezzo. È poi costumista al Teatro alla Scala di Milano in “Idomeneo”, diretto dal maestro Riccardo Muti, e in “Parsifal”, con Placido Domingo. Nel 1990 svolge un corso di aggiornamento al laboratorio tecnico sulla realizzazione dei costumi e nel 1991 gli viene affidato l’incarico di docente presso il Centro di formazione professionale del Teatro alla Scala di Milano.

Contemporaneamente collabora a varie pubblicazioni come consulente all’immagine:

  • Moda e musica nei costumi di Sylvano Bussotti, di Luciano Morini  ed edito da “Idealibri”;
  • Le maschere italiane, di Loredana Stucchi e Mario Verdone, edito dalla “Newton Compton Editori”;
  • L’opera di Sylvano Bussotti, edito da “Electa Firenze”.

Mostre e riconoscimenti[modifica | modifica wikitesto][modifica | modifica wikitesto]

"Geisha" di Caputo da Roma (1993) Durante questi anni Antonio Caputo ha coltivato anche la sua arte. Le sue opere sono state protagoniste di mostre collettive e personali di pittura e scultura a livello nazionale e internazionale, come a Viterbo al Gran caffè Schenardi, a Venezia  alla Fenice Arts Gallery e, nel 1990, alla Galleria San Vidal, a Berlino all’Atelier Bildfang, a Orvieto al Chiostro di San Giovanni del Bramante, a Firenze al Centro Culturale Cardillac e a Monaco di Baviera al “Knapp – Gold und Zeit”.

Alcune delle sue opere sono state anche inserite in “Dizionario Enciclopedico Internazionale d’Arte Contemporanea” anno 2000/2001 e 2003/2004, “Arte Moderna- L’arte contemporanea dal secondo dopoguerra ad oggi” di Giorgio Mondadori e in “Albo dei pittori e degli scultori 1993” dell’E.N.A.P. (Ente Nazionale Assistenza e Previdenza pittori, scultori, musicisti, scrittori, autori drammatici).

Durante la sua attività riceve diversi riconoscimenti. Nell’ottobre del 1988 gli viene conferito dall’Accademia dei Maestri del Castello di Pralboino il premio “Una vita per l’Arte” . La stessa Accademia poi lo nomina anche “Maestro Accademico”. Nel 1995, a Venezia, viene segnalato per il premio nazionale di pittura e grafica “Amici Ruga Giuffa” dall’omonima associazione culturale. Infine nel 1996 è nominato accademico associato nella sezione arte dall’Accademia internazionale “Greci-Marino”, accademia del verbano di lettere, arte e scienza.

Attualmente è presidente dell’associazione culturale “Duellmemorial”, in ricordo dell’artista Heinz J. Duell.

Produzione artistica[modifica | modifica wikitesto][modifica | modifica wikitesto]

"Rinaldo" di Caputo da Roma (2007) "Parsifal" di Caputo da Roma (2007)

Caputo da Roma è un pittore, grafico, ceramista e scultore. In bilico tra pittura e scultura, tra oggetto e superficie dipinta, il lavoro dell’artista romano assume connotazioni di volta in volta arcaiche e moderne, come lo descrive Enzo Di Martino. La sua arte è immune da condizionamenti e priva di mediazioni. È autentica, spontanea, coerente e tenace, pur nella complessità delle problematiche affrontate. Questa attitudine creativa si manifesta nelle decorazioni delle ceramiche, nelle sculture modulari astratte e nelle composizioni polimateriche.

Piero Elia, nel 1990, ne esalta le capacità spaziali dei richiami naturalistici, che rivelano molteplici emozioni e pensieri sottesi. Invece Josè Pacheco, nel 2000, mette l’accento sulle forme e sull’importanza dei colori, vari e armonici, nei contrasti.

La fantasia creativa di Caputo da Roma, fatta di segni e le forme, attraverso le quali si esprime come artista, l’ha collocato nell'arte astratta, con colorazioni raffinate, che passano dal bianco al rosa, a marroni caldi fino a gialli dorati. A queste colorazioni fanno da contrappunto i freddi neri dei fili metallici che entrano nelle sue composizioni. Questi aspetti sono evidenziati nel 1988 da Berenice, pseudonimo di Jolena Baldini, che, però, precisa come l’arte di Caputo non possa essere associata a correnti di sperimentazione, per esempio la Pop Art. I suoi quadri trasmettono intenti precisi in relazione alle proprie scelte. Nascono da un progetto ben determinato, privo di incertezze, con uno stile individuabile, dove segno e colore si compongono in delicati equilibri. Questo avviene grazie a «quel talento che consente a chi lo esercita in un settore creativo a dare sempre un'anima alle cose». Caputo da Roma a Bagnaia (1990) Eppure le opere di Antonio Caputo hanno qualcosa di informale e insieme del Barocco. A volte tende alla convulsione tragica, altre all’ordine geometrico, altre ancora si lascia andare al gusto dell’avventura più libera, come sostiene Paolo Rizzi.

Nella produzione artistica di Caputo da Roma prevalgono le composizioni polimateriche dai colori vivaci, dalle trame che si intrecciano per dare origine all’evolversi delle strutture in uno sviluppo districato nel tessuto cromatico, negli inserimenti materici e riquadro su riquadro. Infatti Giulio Gasparotti su “Corriere Veneto”  mette in risalto come sensazioni e pensieri, libertà e creatività, contrasti e accostamenti, realtà e immaginazione si coniugano in queste opere.

Inoltre, come maestro dell’astratto, il suo simbolismo offre convincenti motivi di riflessione critica rispetto a un’opera che contiene elementi di indubbia novità. Apprezza questo aspetto simbolico anche Cosimo Alvati, che, nel 2000, scrive di come nelle opere di Caputo ci sia l'incontro tra originalità di intuizione e spontaneità di azione, tra profondità di pensiero e semplicità di composizione, tra misticismo e ragione.

«È qui il punto di partenza per una nuova via di comunicazione artistica, dove i confini tra realtà e rappresentazione non sono più distinguibili; dove ardire e osare assumono i contorni del vero; dove lo spettatore riconosce naturalmente che è dell'uomo, della sua realtà e della sua spiritualità che si sta raccontando».

L’uso innovativo dei materiali[modifica | modifica wikitesto][modifica | modifica wikitesto]

"Paride" di Caputo da Roma (1992) La ricerca di una materia a cui dare una forma, nella scena teatrale come nella composizione pittorica o scultorea, è il nodo centrale della feconda attività artistica di Antonio Caputo. Caputo Da Roma domina sapientemente la materia che, arricchita della decorazione, si esprime con forza e dona splendore. Così facendo, secondo Orfango Campigli, conquista con magia lo spazio e fa emergere l’espressività.

«L'artista nello sviluppo delle sue varie tecniche ci stupisce e fa in modo che questo rimanga un suo segreto innocente ma tutto questo con un effetto provocatorio», scrive nel 1994 Heinz J. Duell. "L'Unione delle menti" di Caputo da Roma (1990) Caputo traccia segni e fissa colori utilizzando fibre e fili, anche metallici, secondo la tecnica della Minimal Art, come afferma Berenice, con un’innata eleganza nei movimenti del segno e nella scelta della sua tavolozza. Infatti l’arte di Antonio Caputo nasce anche dal suo raffinato artigianato. Come evidenzia Toni Kienlechner nel 2001 sa trasformare sete e broccati, merletti e filigrane, gioielli e metalli provenienti dall’opulenza del teatro in materiali di nuovo semplici, nudi, poveri, essenziali, in un’arte istintiva ma complessa che nasce da una creatività innata e dall’impulso a esprimersi attraverso la libertà compositiva. Quella di Caputo è una pittura-scultura, realizzata con fili, intrichi acrilici, grovigli di frutti di cotone, nodi e terrecotte. Il raffinato gioco stilistico è quindi equilibrato da una misteriosa ma semplice materia, che si può trasformare e materializzare.

Fabius von Gugel, nel 1998, riconosce nella sua arte qualcosa in comune con Vincent Van Gogh, in particolare l'improbabilità assoluta del soggetto scelto. Però, se Van Gogh dipinge l'indipingibile, Caputo da Roma trasforma questo indipingibile attraverso l’uso di diversi materiali. Attraverso la sua arte riesce ad aggiungere nuovi aspetti al mondo delle immagini, che purtroppo negli anni si è irrigidito in una dimensione unilaterale.

Nelle sculture di Caputo da Roma, il gioco dell’ambiguità, evidente in “La Maschera” e “La Sfinge”, sembra placarsi invece in “L’Unione delle Menti”.

Infine nella serie “Sogni erotici di un prete”, le parti smaltate, che fingono il mosaico, servono a definire l’immagine del protagonista. Qui l’ossessione erotica è tanto più forte quanto più obbligante è il voto di castità.

L’arte del costume e della maschera[modifica | modifica wikitesto][modifica | modifica wikitesto]

"Hillary" di Caputo da Roma (2007) "Orlando" di Caputo da Roma (2007)

Tra le attività artistiche di Caputo da Roma non bisogna dimenticare la sua abilità nel costume. Il costume aiuta a “fingere” il personaggio, l’attore diventa altro da sé. Questa capacità è evidente nelle maschere da lui create, come “Alice”, “Erda” e “Giovanna”. Paola Santucci, nel 2007, racconta di come la diversa identità fisionomica sia resa con differenti incastri geometrici dei tratti, ottenuti con serrate e compatte stesure di colore. Antonio Caputo più di ogni altro vede intorno a sé i ruoli che gli uomini interpretano, con le loro maschere in continuo cambiamento. La quantità di maschere che disegna, scolpisce oppure dipinge, non sono altro, secondo Heinz von Cramer, che immagini o illusioni degli esseri che sono simili all'uomo e di cui ha trovato le impronte.

Sempre della serie “Rebus” fa parte “Melody”, un omaggio a Pablo Picasso che richiama le maschere africane e il mondo primitivo che interessò il grande artista spagnolo, e “Hillary”, la cui dignità “imperiale” è sottolineata dalle numerose monete d’oro mentre i gioielli e il piercing al naso sono elementi che la riconducono al nostro tempo: l’addobbo di cui è ornata è l’effimero della persona. Infine gli occhiali impediscono di leggere i suoi occhi, specchio dell’anima e della propria interiorità. Perciò l’esteriorità serve a nascondere il proprio io, come la società odierna vuole.

Infine il volto di “Orlando”, lunare, allude al luogo in cui, nell’opera “Orlando furioso”, il paladino Astolfo, incontrato l’evangelista Giovanni per volere di Dio, recupererà il senno perduto a causa della sua folle gelosia per l’amore nutrito da Angelica per il saraceno Medoro.

Alcune opere[modifica | modifica wikitesto][modifica | modifica wikitesto]

"Topkapi" di Caputo da Roma (1993)

Dipinti[modifica | modifica wikitesto][modifica | modifica wikitesto]

  • Topkapi (1993), tecnica mista (tempera, cemento e spago su tela)
  • Nut Geb Ra (1993), tecnica mista (carta impastata e tempera su tela)
  • Parsifal (2007), pittura a olio
  • Marianna (2015), pittura a olio"Rerum Natura" di Caputo da Roma (2000)

Grafiche[modifica | modifica wikitesto][modifica | modifica wikitesto]

  • Lacerazione (1987), tecnica mista (lana, plastica, nylon)
  • Metamorfosi (1994), tecnica mista (acquaforte e oro su cartoncino)
  • Paesaggio marino (1994), tecnica mista (acquaforte e oro su cartoncino)
  • Lacrima Cristi (1996), tecnica mista (acquaforte su cartoncino)
  • Le vestali (2005), tecnica mista (incisione su cartoncino)
  • Il Giapponese (2006), tecnica mista (velina su cartoncino)
  • Passeggiando tra le foglie (2007), tecnica mista (incisione su cartoncino)
  • Thè al limone (2009), tecnica mista (carta impastata e china)

Ceramiche[modifica | modifica wikitesto][modifica | modifica wikitesto]

  • Iktus (1999), medaglione di ceramica
  • Ipomoea (1999), smalto su terracotta
  • Rerum Natura (2000), smalto su terracotta
  • L'Angelo (2001), smalto su terracotta"La Pietà" di Caputo da Roma (1989)

Sculture[modifica | modifica wikitesto][modifica | modifica wikitesto]

  • La Pietà (1989), ceramica e basalto
  • Paride (1992), ceramica, marmo di Carrara e basalto
  • Giovanni il Battista (2010), smalto su terracotta e peperino
  • Cosmo n. 2 Hommage a Yumico (2012), smalto su terracotta

Gioielli[modifica | modifica wikitesto][modifica | modifica wikitesto]

  • Gioielli E (2011), terracotta, colore, argento e oro
  • Gioielli R (2011), terracotta, colore, argento e oro

Note[modifica | modifica wikitesto][modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ Alberto Di Graci, ALL’UCAI Di VENEZIA. Nuove forme dell’astratto. Sculture e pitture del romano Caputo, in Giornale La difesa del popolo, 5 agosto 1990.
  2. ^ Duellmemorial, su duellmemorial.com.
  3. ^ Enzo Di Martino, CAPUTO DA ROMA SAN VIDAL, in Il gazzettino, 15 agosto 1990.
  4. ^ SAN VIDAL: CAPUTO DA ROMA DI NUOVO A VENEZIA, in Gente Veneta, 21 luglio 1990.
  5. ^ Piero Elia, GALLERIA SAN VIDAL L’ARTE DI CAPUTO AUTENTICA E SPONTANEA, in Il gazzettino illustrato, 1990.
  6. ^ Josè Pacheco, Sogni erotici di un prete, su caputodaroma.it, 2000.
  7. ^ Berenice (Jolena Baldini) ha scritto di lui nel 1988, su caputodaroma.it.
  8. ^ Paolo Rizzi, in Il gazzettino, 22 agosto 1990
  9. ^ Giulio Gasparotti, ANDAR PER MOSTRE, in Corriere Veneto, 23 maggio 1994.
  10. ^ CAPUTO DA ROMA, in Corriere Veneto, 30 agosto 1990.
  11. ^ Cosimo Alvati, Sogni erotici di un prete, su caputodaroma.it, 2000.
  12. ^ Augusto Gnisci, GALLERIA SAN VIDAL A VENEZIA: LE RAGNATELE DI CAPUTO A ROMA, in Il gazzettino illustrato.
  13. ^ Mostra di Caputo da Roma, in Secolo d’Italia, 21 agosto 1990.
  14. ^ Orfango Campigli, GLI SPICCHI DI LUNA DI CAPUTO DA ROMA, in Gente Veneta, 28 maggio 1994.
  15. ^ Heinz J. Duell, Interpretazione, su caputodaroma.it, 1994.
  16. ^ Berenice, Da Schenardi Caputo e Duell, in Paese Sera, 19 settembre 1988.
  17. ^ Toni Kienlechner ha scritto di lui nel 2001, su caputodaroma.it.
  18. ^ IL CHIOSTRO DI S. GIOVANNI OSPITA LA VERNICE DI CAPUTO, in Corriere-Terni, luglio 1990.
  19. ^ Venezia e dintorni, in Informa città, 18 settembre 1989.
  20. ^ Fabius von Gugel, ALLA GALLERIA SAN VIDAL A VENEZIA Caputo da Roma, in Il gazzettino illustrato, 1998.
  21. ^ Paola Santucci, Caputo da Roma o il gioco dell’ironica ambiguità, su caputodaroma.it, 2007.
  22. ^ Heinz von Cramer, Tre supposizioni su oggetti rinvenuti da una terra vergine - guardando i quadri e gli oggetti di Antonio Caputo da Roma, su caputodaroma.it, 2001.

Collegamenti esterni[modifica | modifica wikitesto][modifica | modifica wikitesto]

  • Sito ufficiale Caputo da Roma
  • Canale Youtube di Caputo da Roma
  • Sito ufficiale Duellmemorial