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Eretteo

Coordinate: 37°58′19.5″N 23°43′35.5″E
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Disambiguazione – Se stai cercando il mitologico re di Atene, vedi Eretteo (mitologia).
Disambiguazione – Se stai cercando la tragedia perduta di Euripide, vedi Eretteo (Euripide).
Eretteo
Ἐρέχθειον, Erechtheion
Il tempio visto da sud-ovest
CiviltàAntica Grecia
Utilizzotempio di Atena Poliade e Poseidone
Stileionico
EpocaV secolo a.C. (421 a.C.-406 a.C.)[1]
Localizzazione
StatoGrecia (bandiera) Grecia
Unità perifericaAtene
Dimensioni
Superficie390[2] 
Larghezza23 m[2]
Lunghezza24 m[2]
Amministrazione
PatrimonioAcropoli di Atene
Mappa di localizzazione
Map

L'Eretteo (in greco antico: Ἐρέχθειον?, Eréchtheion) è un tempio ionico del V secolo a.C. sull'Acropoli di Atene, edificato tra il 421 a.C. e il 406 a.C..[3] È celebre per la loggia meridionale delle Cariatidi, dove sei korai sostituiscono le colonne: cinque originali sono conservate al Museo dell'Acropoli e una al British Museum.[3]

Il complesso sostituì il precedente "Antico tempio" di Atena Poliàs distrutto dai Persiani e rappresentò nella tarda età classica il fulcro del culto cittadino di Atena sulla rocca.[3]

È un "tempio duplice": l'edificio fu concepito come complesso unitario ma articolato in due santuari contigui a quote differenti.[1] La forma irregolare deriva dall'esigenza di integrare nel progetto i luoghi e i segni sacri della contesa tra Atena e Poseidone e di adattarsi al forte dislivello del suolo sul lato nord dell'Acropoli.[3]

Funzioni cultuali

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L'Eretteo accoglieva al suo interno un complesso sistema di culti legati alla mitologia e all'identità civica ateniese, integrando funzioni religiose differenziate nello stesso edificio. Nella cella orientale, sopraelevata, era venerata Atena Poliade attraverso l'antico simulacro ligneo della dea (xoanon), probabilmente oggetto centrale della processione delle Grandi Panatenee e simbolo della continuità del culto cittadino.[4]

Il settore occidentale, articolato in vani distinti e accessibili dai portici laterali, era invece destinato alla venerazione di Poseidone e di Eretteo, figura eroico-divina strettamente associata al culto civico, cui si aggiungevano altari dedicati a Efesto e a Bute (figlio di Pandione), l'antenato mitico dei sacerdoti Buteidi.[5][6] Il pavimento della cella occidentale conservava le presunte tracce del tridente di Poseidone e la fonte salmastra, esiti materiali della contesa tra le due divinità principali della polis.[7][8]

L'integrazione di questi spazi sacri rifletteva la volontà di rappresentare, in forma architettonica, le radici mitiche e politiche della comunità ateniese, concentrando nel medesimo edificio i riferimenti alla fondazione della città e ai culti arcaici dell'Acropoli.[9][10]

Dettaglio del portico settentrionale
Pianta del complesso; l'Eretteo è l'edificio in alto; quello inferiore è l'antico tempio di Atena Poliàs distrutto dai Persiani.

Nonostante la grande importanza del culto tributato ad Atena nel grande tempio (prima l'Hekatompedon, poi l'Antico tempio di Atena Poliàs, infine il Partenone) sulla sommità dell'Acropoli, questo santuario, dedicato alla dea Atena Poliade (protettrice della città), era legato a culti arcaici e alle più antiche memorie della storia leggendaria della città e rappresentava il centro cultuale più antico e simbolico dell'Acropoli.[11] In questo luogo si sarebbe infatti svolta la disputa tra Atena e Poseidone: vi si custodivano le impronte del tridente del dio su una roccia e un pozzo di acqua salmastra, oltre all'ulivo donato dalla dea alla città, presso il vicino Pandroseion.[12] Qui erano ricordati inoltre Cecrope ed Eretteo e vi era venerata l'antica statua lignea (xoanon) di Atena Poliàs.[13]

L'Eretteo venne impostato come sostituzione monumentale del precedente tempio arcaico e come contenitore dei culti storicamente radicati sull'altura: Atena Poliade, Poseidone-Eretteo, Efesto e Bute, oltre ai segni "memoriali" della contesa tra le divinità.[3] La denominazione «Eretteo» è attestata in età imperiale dal racconto di Pausania, che ne descrive la compresenza di culti e i segni sacri connessi alla tradizione mitica ateniese.[14]

La costruzione fu avviata nel 421 a.C. nel quadro della Guerra del Peloponneso (periodo della Pace di Nicia) e subì un'interruzione con la crisi politica e militare che seguì alla Spedizione ateniese in Sicilia; i lavori ripresero negli anni 409–407 a.C. come testimoniano le stele con i conti ufficiali per la costruzione (IG I³ 474; IG I³ 476), culminando con l'ultima registrazione del 405/4 a.C. (IG I³ 477).[15][16][17] Lo studio delle epigrafi ha chiarito che i blocchi elencati in IG I³ 474 sono pertinenti al completamento dell'Eretteo, e non costituiscono prova della sopravvivenza in alzato dell'"Antico Tempio" dopo il sacco persiano, come talvolta ipotizzato in passato.[15]

Nel dibattito moderno sull'autore del progetto, la tradizione più corrente attribuisce l'insieme dei grandi cantieri dell'età di Pericle a Mnesicle per i Propilei; per l'Eretteo la paternità resta discussa, ma alcune fonti (e lo stesso Museo dell'Acropoli) indicano Mnesicle come progettista del complesso così come si presentava in età classica.[3]

In ogni caso, l'assetto monumentale realizzato tra la fine del V e gli inizi del IV secolo a.C. va letto come esito di un programma che intendeva integrare in forma architettonica un complesso di culti e memorie preesistenti, conservandone i luoghi e la tradizione religiosa.[18][19]

Nel 1801 l'ambasciatore britannico Thomas Bruce, VII conte di Elgin asportò una delle cariatidi e la trasferì in Gran Bretagna; gli Ottomani rimpiazzarono la statua con una colonna di mattoni per evitare il crollo del portico.[20]

Lavori di restauro

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L'Eretteo nel 1805 circa, poco dopo il saccheggio (1801) di una Cariatide da parte dell'ambasciatore britannico presso l'Impero ottomano Thomas Bruce, e la sostituzione della cariatide da parte dei turchi con il pilastro di mattoni raffigurato.
Le statue originali delle cariatidi conservate al Museo dell'Acropoli

Interventi moderni sull'Eretteo sono documentati fin dagli anni 1837-1841, quando Kyriakos Pittakis effettuò smontaggi e ricomposizioni parziali, rimuovendo aggiunte post-antiche e mettendo in sicurezza parti pericolanti dell'edificio.[21] Un'ulteriore campagna si svolse nel 1846-1847 sotto la direzione di A. Paccard, con lavori di consolidamento e completamento di precedenti ricomposizioni.[21] Tra il 1902 e il 1909 Nikolaos Balànos eseguì una vasta anastilosi del monumento, impiegando perni e grappe in ferro annegati in malte cementizie e nuovi inserimenti in marmo, soluzioni criticate che in seguito provocarono fenomeni di corrosione e fessurazioni e resero necessario un complessivo ripensamento metodologico.[22][23] Tale revisione metodologica fu formalizzata all'inizio del programma moderno di restauro sotto la direzione di Charalambos Bouras, che definì i principi di reversibilità, materiali compatibili e documentazione sistematica come pilastri dell'intervento sull'Eretteo.[24]

Il programma organico del Comitato per la Conservazione dei Monumenti dell'Acropoli (ESMA), attuato dallo YSMA tra il 1979 e il 1987, smontò sistematicamente 720 membri architettonici, rimosse gli elementi metallici ossidati, sostituì i collegamenti con connettori in titanio e reintegrò le lacune con marmo compatibile, documentando ogni fase e reimpiegando i pezzi antichi nelle loro posizioni corrette.[25][26] L'intervento fu pianificato in base a un'impostazione scientifica innovativa, sviluppata dallo stesso Bouras, che mirava a superare le criticità degli interventi precedenti come quelli di Balànos.[24] Nell'ambito di questi lavori furono installate, tra l'altro, travi in titanio nella copertura del portico orientale e realizzati elementi sostitutivi in pietra artificiale per frammenti non recuperabili, nel rispetto della riconoscibilità degli interventi.[27] Per ragioni conservative le cinque cariatidi superstiti furono trasferite al Museo dell'Acropoli e sul monumento vennero collocate copie; la sesta statua si trova al British Museum.[3][28]

Nel Museo dell'Acropoli, le cariatidi sono state sottoposte a un intervento di pulitura con tecnologia laser a doppia lunghezza d'onda, eseguito tra il 2010 e il 2014 in un laboratorio visibile al pubblico, per rimuovere incrostazioni e particolato inquinante accumulati in epoca moderna e garantire condizioni conservative stabili.[29] Le attività di restauro sull'Eretteo e sulle sue decorazioni sono state accompagnate da rilievi, studi diagnostici e monitoraggi strutturali e ambientali nell'ambito del programma di conservazione dei monumenti dell'Acropoli, secondo i principi di reversibilità e minima interferenza affermati dal progetto nazionale di restauro.[30]

Planimetria dell'Acropoli di Atene: l'Eretteo è il numero 3, al centro verso l'alto.
Pianta dell'Eretteo (secondo Hermann Luckenbach, Die Akropolis von Athen, 1905)

Costruito in marmo pentelico, l'Eretteo è definito "tempio duplice" poiché integra, in un unico complesso architettonico, spazi cultuali distinti e non comunicanti dedicati rispettivamente a Atena Poliade e a Poseidone (connessi ai miti locali di Eretteo, Cecrope e al vicino Pandroseion). La conformazione a più corpi e quote deriva dal forte dislivello del banco roccioso su cui è edificato – circa 3 metri tra sud-est e nord-ovest – che condiziona orientamento, attacchi murari e il diverso impianto dei due portici maggiori, quello settentrionale e la loggia meridionale delle cariatidi.[3][31]

L'Eretteo misura in pianta, al livello dello stilobate, circa 23 metri di larghezza complessiva (lato ovest) per 24 m di lunghezza dal lato maggiore (meridionale) inclusa la loggia delle cariatidi, la quale a sua volta misura circa 5,5 x 3,5 m. Il corpo principale misura 13 m (lato est), mentre la loggia settentrionale, la più grande, è di circa 12 x 5 m. La superficie complessiva, sommando i tre corpi, è di circa 390 mq.[2]

Il fronte orientale è prostilo con sei colonne ioniche; a ovest gli intercolumni sono tamponati e le colonne si leggono all'esterno come semicolonne sopraelevate, soluzione che risponde alle differenze di quota. All'interno, il vano orientale più alto accoglieva lo xoanon (statua lignea) di Atena Poliàs; il settore occidentale, più basso, era articolato in spazi per i culti di Poseidone-Eretteo e per le memorie eroiche cittadine, connessi al pozzo d'acqua salata e alle tracce del tridente del dio ricordati dalle fonti antiche.[32][33] L'alzato impiega un articolato repertorio decorativo ionico (basi, modanature, fregi e cassettonati): il fregio continuo, in pietra scura di Eleusi, portava applicate figure in marmo bianco.[34][35]

Loggia delle Cariatidi (portico meridionale)

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La loggia con le cariatidi vista da est

La loggia meridionale, al posto di tradizionali colonne ioniche, impiega sei figure femminili stanti (cariatidi) come sostegni dell'architrave: si tratta di sculture in marmo pentelico lavorate a tutto tondo, con panneggio calibrato a rendere strutturalmente credibili i carichi della trabeazione. L'insieme copriva simbolicamente l'area della tomba di Cecrope e fungeva da affaccio verso il Pandroseion, nodo cultuale del gruppo Atena–Cecrope–Pandroso.[36][3]

Le statue della loggia meridionale misurano circa 2,30–2,32 m in altezza (senza basamenti).[37][38] Le statue presenti nell'edificio sono copie: quelle originali furono progressivamente rimosse per ragioni conservative; cinque sono esposte nel Museo dell'Acropoli e una è conservata al British Museum.[39][40][41]

La resa plastica delle figure (capigliature impostate a trecce, chitone e himàtion con pieghe-falde portanti) bilancia il ruolo strutturale con la qualità scultorea, secondo un linguaggio che, pur nella funzione "architettonica", rimane coerente con il lessico attico tardo-classico.[42]

Corpo principale e portico orientale

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Il lato orientale con il portico

L'edificio ha il suo ingresso principale a oriente, con un pronao esastilo ionico (sei colonne) che introduce alla cella orientale consacrata ad Atena Poliàs, dove era venerata l'antica immagine lignea (xoanon) della dea.[3][43] La fonte epigrafica dei rendiconti (in greco antico: λογισταί?) documenta le fasi finali del cantiere tra 409/8 e 405/4 a.C., confermando la piena funzionalità del corpo principale e del suo accesso orientale nella fase conclusiva dell'opera.[44][45][46]

La pianta del corpo centrale è bipartita: un setto trasversale separa la cella orientale, sopraelevata, dalla porzione occidentale su quota inferiore, rispecchiando la duplicità cultuale dell'edificio e l'andamento irregolare del terrazzamento dell'Acropoli.[47][3] La cella occidentale, cui non si accede dal pronao orientale ma attraverso i portici laterali, accoglieva i culti di Poseidone-Eretteo e santuari connessi (tra i quali il recinto del Pandroseion).[3][48]

L'ordine ionico del portico orientale, con colonne snelle su basi con modanatura e capitelli finemente scolpiti, si integra con un apparato di soglie e stipiti accuratamente rifiniti, caratteristico del programma di Pericle sull'Acropoli.[49] In rapporto all'insieme del tempio, l'accesso orientale svolge dunque la funzione di ingresso processionale all'area di Atena Poliàs, mentre l'articolazione interna a quote differenziate consente la compresenza, nello stesso corpo edilizio, dei distinti culti arcaici dell'Acropoli.[3]

Portico settentrionale

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Il portico settentrionale

Sul piano architettonico, il portico presenta un'impostazione ionica con colonne snelle e una ricca trabeazione; il soffitto è a cassettoni marmorei, con elementi decorati e probabilmente dipinti e dorati, come documentano i rilievi e i frammenti superstiti.[50][51] L'alzato è inoltre coronato, come nel corpo principale, da un fregio continuo in pietra scura di Eleusi, sul quale sono applicate figure in marmo bianco: per il tratto del portico settentrionale le figure risultano sensibilmente più grandi che sul resto dell'edificio, adattate alla maggiore altezza del fronte.[52][3] Dal portico si accede, attraverso una porta monumentale finemente modanata, agli ambienti occidentali del santuario, in rapporto diretto con l'area dove si veneravano i segni di Poseidone e connessi culti civici.[53]

Influenza culturale

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L'Eretteo ha esercitato un'influenza significativa nella cultura occidentale, divenendo un modello di riferimento per l'estetica ionica e per l'integrazione tra funzione cultuale e progetto architettonico. La loggia meridionale con le cariatidi ha ispirato reinterpretazioni architettoniche di epoca neoclassica, come nella Saint Pancras New Church di Londra, dove figure femminili scolpite sorreggono il portico laterale, richiamando direttamente il modello dell'Eretteo.[54]

Nel contesto del dibattito internazionale sul patrimonio culturale, la rimozione di una delle sei cariatidi da parte di Thomas Bruce, conte di Elgin, e la sua esposizione al British Museum hanno contribuito a rendere l'Eretteo un simbolo delle richieste di restituzione dei beni culturali, soprattutto da parte delle istituzioni greche.[55][56]

Dal punto di vista accademico, l'edificio è stato assunto come paradigma del rapporto tra architettura e memoria cultuale civica ateniese. Studi recenti hanno evidenziato come l'articolazione degli spazi sacri e la sovrapposizione di culti e miti fondativi riflettano una precisa volontà di concentrare, nel medesimo edificio, le origini mitiche e istituzionali della polis.[57][58]

L'immagine dell'Eretteo e delle sue figure scultoree continua ad avere un forte impatto visivo nell'età contemporanea: le cariatidi sono divenute icone riconoscibili in ambito museale, pubblicitario e cinematografico, contribuendo alla costruzione di un immaginario collettivo dell'antichità classica.[59][60]

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  4. ^ Hurwit, 2004, pp. 168–170
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  8. ^ Hurwit, 2004, pp. 168–169
  9. ^ Lambert, 2011, pp. 253–255
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  11. ^ Hurwit, 2004, p. 58
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  14. ^ (EN) Pausanias, Description of Greece 1.26.5–7, su Theoi Project (testo con trad.). URL consultato il 18 ottobre 2025.
  15. ^ a b Pakkanen, 2006, pp. 275–296
  16. ^ (EN) Greek inscription: Erechtheion building inventory (IG I³ 474), su Cornell University Library – Digital Collections. URL consultato il 18 ottobre 2025.
  17. ^ (EN) Note on IG I³ 474 and the Erechtheion, su American Journal of Archaeology (JSTOR note). URL consultato il 18 ottobre 2025.
  18. ^ Hurwit, 2004, pp. 56–60
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  26. ^ (EN) The Acropolis Restoration Project, su Hellenic Ministry of Culture and Sports.
  27. ^ YSMA, 1987, p. 4
  28. ^ YSMA, 1987, pp. 3–4
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  30. ^ (EN) The Acropolis Restoration Project, su Hellenic Ministry of Culture and Sports.
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  32. ^ Hurwit, 2004, pp. 168–175
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  37. ^ (EN) Erechtheion. Karyatid. Kore B, su Acropolis Museum – Official website. URL consultato il 18 ottobre 2025.
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  39. ^ (EN) Erechtheion. Karyatid. Kore B, su Acropolis Museum – Official website. URL consultato il 18 ottobre 2025.
  40. ^ (EN) Caryatid from the Erechtheion, su British Museum – Collection. URL consultato il 18 ottobre 2025.
  41. ^ (EN) Annual Reports (2011–2015: conservation of the Caryatids), su Acropolis Museum – Official website. URL consultato il 18 ottobre 2025.
  42. ^ Hurwit, 2004, pp. 172–175
  43. ^ (EN) Pausanias, Description of Greece 1.26.6–7, su Theoi Project (testo con trad.). URL consultato il 18 ottobre 2025.
  44. ^ (EN) IG I³ 474. Accounts for the construction of the Erechtheion (409/8 BC), su Attic Inscriptions Online. URL consultato il 18 ottobre 2025.
  45. ^ (EN) IG I³ 476. Accounts for the construction of the Erechtheion (408/7 BC), su Attic Inscriptions Online. URL consultato il 18 ottobre 2025.
  46. ^ (EN) IG I³ 477. The last Erechtheion Building Accounts (405/4 BC), su Attic Inscriptions Online. URL consultato il 18 ottobre 2025.
  47. ^ Hurwit, 2004, pp. 164–170
  48. ^ Lambert, 2011, pp. 253–255
  49. ^ Hurwit, 2004, pp. 170–176
  50. ^ Hurwit, 2004, pp. 170–171
  51. ^ (EN) Coffer from the north frieze of the Erechtheion, su British Museum – Collection online. URL consultato il 18 ottobre 2025.
  52. ^ (EN) Coffer from the north frieze of the Erechtheion, su British Museum – Collection online. URL consultato il 18 ottobre 2025.
  53. ^ Hurwit, 2004, pp. 169–172
  54. ^ Hurwit, 2004, pp. 172–175
  55. ^ Keesling, 2019, pp. 253–254
  56. ^ Jenkins, 2016, pp. 101–125
  57. ^ Lambert, 2011, pp. 253–257
  58. ^ Pakkanen, 2006, pp. 275–296
  59. ^ Hurwit, 2004, pp. 58–60
  60. ^ Osborne, 2010, pp. 88–93


Voci correlate

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