Ciclo delle storie di sant'Alessandro

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Storie di sant'Alessandro
AutoreEnea Salmeggia
Data1617
Tecnicaolio su tela
UbicazioneAccademia Carrara, Bergamo
Enea Salmeggia-Martirio di sant'Alessandro

Le Storie di sant'Alessandro sono un ciclo pittorico dipinto olio su tela dall'artista bergamasco Enea Salmeggia detto il Talpino, eseguito durante il secondo decennio del Seicento poi scomposto. Il ciclo originariamente doveva essere completo di tredici dipinti che dovevano omaggiare sant'Alessandro, patrono di Bergamo ed esposto nella cattedrale alessandrina.[1] Il ciclo fu diviso nel Settecento e le tele collocate in ubicazioni differenti.[2]

Storia[modifica | modifica wikitesto]

La diocesi di Bergamo con la costruzione delle mura venete di Bergamo e la demolizione dell'antica chiesa di Sant'Alessandro in Colonna dovette affrontare la conseguente unione, non facile, dei capitoli della chiesa intitolata a san Vincenzo levita, posta sulla piazza del duomo e quella alessandrina, e la successiva scelta di intitolare l'antico edificio a sant'Alessandro di Bergamo. Forse per celebrare l'unione fu decisa la creazione di un apparato pittorico che onorasse il martire bergamasco.

La considerazione che i dipinti facevano parte di un ciclo pittorico, era desumibile anche dallo sviluppo dei dieci episodi che raccontano la vita del santo in successione conseguenti a uno studio che risulta fosse stato realizzato dal Muzio, dal Paolo Morigia ma maggiormente da fra Celestino Colleoni che desiderava ricomporre la storia sacra della città orobica. Il frate infatti aveva scritto in quegli anni l'Historia Quadripartita di Bergomo et suo territorio, nato gentile e rinato christiano dove narrava la storia del santo proponendo i vari eventi esattamente come nel ciclo pittorico.

I dipinti furono probabilmente realizzati su commissione del canonico Lattanzio Bonghi, facente parte del capitolo della basilica che prima della sua morte nel 1623, avesse fatto dono di dodici dipinti raffiguranti le storie del santo:

«Eneae Salmetia appellati Il Talpino […] viam, actiones, martirium et miracula gloriorissimi Martiris Alexandri Patriae nostrae patroni»

La scelta cadde sul pittore nembrese perché aveva raggiunto una notevole fama, la sua attività milanese con le opere presenti in alcuni chiese tra cui il duomo di Milano lo avevano avvicinato alle idee di Federico Borromeo, che chiedevano all'arte attività non solo devozionali ma anche religiosamente educative. Forse per questo inizialmente le opere furono considerati lavori di Bernardino Luini tanto vicino al Borromeo, che il Salmeggia ben interpretò. La stima che la città aveva verso il Salmeggia è rilevabile anche da un documento che Girolamo Borsieri scrisse al collezionista Scipione Toso e che riporta: «mirar devotamente ciascuna sua immagine fino i nemici della stessa devotione».[3]

Le tele dovevano venire esposte nella grande chiesa solo nelle solennità.

Della ricostruzione sacra della città facevano probabilmente parte il ciclo dei santi sempre del Salmeggia: san Domneone, Domno ed Eusebia, nonché il grande stendardo di Gian Paolo Cavagna raffiguranti i santi Fermo, Rustico e Procolo, entrambi che dovevano essere presenti nella cattedrale alessandrina.[4] Si consideri di poco precedenti sono i Quadroni di San Carlo a cui la committenza sicuramente si ispirò, e che indicano quali erano le idee del tempo per l'arte sacra, come poi indicato dal Borromeo nel suo De pictura sacra pubblicato nel 1674. Sicuramente il Salmeggia aveva visto le realizzazioni dei Fiammenghini proponendo assonanze nel suo Processione del santo Chiodo. Un'incisione datata 1618 conservata a Roma opera di Johann Friedrich Greuter presenta come si doveva ricomporre il ciclo dei dipinti, anche se indica la presenza di 23 dipinti, anziché i tredici canonici. L'incisione è conservata presso il museo Adriano Bernareggi.

Il ciclo pittorico prevedeva la realizzazione di tredici tele, di cui undici realizzate dal Salmeggia e due da Fabio Ronzelli, pittore minore suo contemporaneo. Il ciclo fu descritto dallo storico dell'arte Tassi come presente nella sagrestia della cattedrale. Le tele sono conservate: due in Accademia Carrara, due nella sacrestia del duomo, una nella pinacoteca Tosio Martinengo a Brescia, cinque alla collezione Piazzini Albani di Bergamo.

Il ciclo fu smembrato nel XVIII secolo e le tele furono vendute e collocate in esposizioni differenti, solo nell'estate del 2010 in occasione di una mostra furono riunite ed esposte nella cattedrale di Bergamo.

Descrizione[modifica | modifica wikitesto]

Il ciclo pittorico si articolava in tredici tele:[5] Dodici dovevano fare da contorno al grande dipinto raffigurante sant'Alessandro Bergamo a cavallo. Le tele presentano una narrazione semplice e lineare comprensibile a ogni classe sociale che dovevano avere scopo sia devozionale che dottrinale.

Le tele[modifica | modifica wikitesto]

Sant'Alessandro salvato dal massacro dei tebei (103x148)[modifica | modifica wikitesto]

Il dipinto è conservato in collezione privata a Bergamo e racconta la fuga del santo e dei suoi compagni da Tebe. Alessandro è raffigurato su di un cavallo bianco che fugge seguendo le indicazioni dell'angelo che lo precede. Il santo indossa l'armatura militare e ha a fianco due soldati, un cavaliere e un fante mentre in lontananza continua la battaglia. Su di una roccia vi è la firma dell'artista.[6]Il dipinto riprende la descrizione dell'evento fatta da fra Celestino Colleoni che cita:

«Da questa così crudele strada che da Dio ispiratosi sottrassero e fuggendo si salvarono, non mica per fuggir il martirio, che sopra ogni cosa bramavano, ma per maggiormente ampliare la Fede Cristiana […] e per cooperare alla divina provvidenza, la quale con tal mezzo disponeva di favorire e arricchire alcune città d'Italia, di Patroni; e di difensori: Seppe questo Herculeo onde infuriato mandò pubblico bando che, ovunque si trovasse alcuni di questi fuggitivi Saldati Thebei, fusse fatto prigione e isforzato a sacrificare. Fra questi sant'Alessandro alfiere […] della Legione e con esso lui Cassio Severino Licinio e Secondo in Italia ritornati e giunti apena a Milano, conosciuti furono incontanente in oscuro e fetido carcere richiusi»

Sant'Alessandro in carcere (103x148)[modifica | modifica wikitesto]

Il dipinto è conservato in collezione privata a Bergamo e raffigura la cella di una prigione illuminata da due torce. In primo piano sant'Alessandro con mani legati e piedi alle catene, accanto a lui i suoi compagni. Il santo sta parlando ai suoi compagni che lo ascoltano coinvolti. Fuori la cella un secondino regge una lampada e ascolta rapito quanto dice il santo. Anche questo riprende una citazione del Colleoni:

«Questi uffici di charità e questi discorsi di pietà reiterati più di una volta havendo ben osservato Sillano capitan della prigione e ascoltato attentamente; e considerando appresso l'invitta patienta de' Santi prigionieri, e l'allegrezza de animi loro che di fuori anco ne' volti scoprivano e dimostravano, un giorno trovandosi in Corte principali i quali da Dio ispirati pregarono con molta instanza che alle prigioni senza frammentar tempo li indusse perché eran bramosi di con le proprie orecchie di udire e coi proprio occhi di vedere cose tanto rare e ricche di meraviglie. Ed egli senza replicar tanto postosi invia arrivarono tutti e tre alla prigione e entrati salutarono i santi Martiri Alessandro e i compagni […] Tanto potenti e tanto efficaci ragioni propose loro il fecondo alfiere, che da essi persuasi la Fede Cristiana abbracciarono: e fratellatisi insieme e baciandosi non sapevano quindi partire […]»

Sant'Alessandro resuscita un morto (103x148)[modifica | modifica wikitesto]

Il dipinto e conservato in collezione privata a Bergamo e raffigura il miracolo della resurrezione di un giovanetto per intercessione di sant'Alessandro durante la fuga con i suoi compagni dal carcere milanese. Il santo alza il braccio al cielo a indicare la grazia divina celeste che lo ha risorto. Il santo indossa sempre gli abiti miliari e tiene il vessillo con il giglio della legione tebea. Intorno, molte persone a ringraziare il santo.[6]{ Fra Celestino Colleoni scriveva:

«Arrivati ad un certo luogo o borgo della città non molto distante, si fermavano quivi aspettando che si facesse giorno: e la mattina per tempo incamminatisi verso la città, hebbero incontro gran moltitudine di gente, la quale con gran pompa in gran pompa un morto alla sepoltura accompagnavano. All'hora Alessandro santissimo […] posti gli occhi nel cadavere fece incontanente posare in terra la bara, e a suoi compagni rivolto disse: Fratelli oriamo e preghiamo il nostro Signore che per sua misericordia con la sua onnipotente virtù ritorni in vita questo morto affinché risuscitato creda in Lui e nell'avvenire habbia parte con i suoi fedeli nella vita eterna e sia cagione di salute per questo popolo. Per questa esortazione i santi con fermissima fede prostratisi in terra adorarono Dio che dà la vita ai morti […] Finita questa orazione il morto risuscitò salvo nell'anima e nel corpo»

Sant'Alessandro rovescia le tavole degli idolatri (105x150)[modifica | modifica wikitesto]

La tela è stata acquistata il 28 agosto 1768 da Giacomo Carrara da Giuseppe Verdi di Novata il quale le aveva avute da Enrico Bonghi. La tela fu da subito esposta nell'importante Gabinetto posto al piano superiore. Dell'opera è visibile la firma: «AEneas Salmetia». La tela raffigura il santo con la gamba tesa che sta rovesciando una tavola dove sono posti molti oggetti idolatrati dai presenti, mentre con la mano sinistra alzata indica il suo rifiuto a ogni forma di idolatria. Il santo fronteggia l'imperatore Massimiano che indicando la corona d'alloro che tiene sul capo quale forma del suo potere di poterlo mandate a morte per il rifiuto a riconoscere i suoi dei. Dalla tavola coperta da una bianca tovaglia cadono un oggetto dorato e sangue da una ciottola. Un saldato cerca di fermare il santo trattenendogli il braccio destro. A sinistra vi è raffigurata una donna che trattiene il figlio spaventato mentre in lontananza è raffigurato il bosco dove avverrà la flagellazione del martire,[6] così come raccontato da fra Celestino:

«Aprpestatosi che fu il Cavalier di Cristo a Massimiano, questi gli disse sacrifica Alessandro alli dei immortali, se vuoi esser nostro mico, ch'io per ness'altra cagione t'ho fatto venir qua se non perché tu afferisca loro sacrificio. E dicendo questo fece segno che fusse portata la mensa del sacrificio, la quale recata e di tovaglie coperta, diss'egli pur Herculeo, vieni avanti hora e col sacrificio purgati dalla colpa che ti p stata opposta d'havere disgregiato inostri Dei e ciò facendo otterrai da me ciò che vorrai. Massimiano ordinò subito a sergenti che gli mettessero mano contro sua voglia del sacrificio apparecchiato: e dirimpetto al coraggioso Martire facendo stare alcuni armati per maggiormente atterrirlo volle che lo esortassero e costringessero a sacrificare. All'hora l'invitissimo alfiere di giusto sdegno ripieno e armato di fede sprezzando qui precetti e confundendo l'iniquità Regia perché si trovava le braccia da catene e le mani con manette legate, de piedi valendosi,, un calcio diede all'altare de gli idoli e un altro alla mensa de sacrifici apparecchiata e l'un e l'altra con tutto quello che vi era sopra, mandò sotto sopra per terra»

Sant'Alessandro condannato a morte da Massimiano (103x148)[modifica | modifica wikitesto]

Il dipinto è conservato in collezione privata a Bergamo e raffigura il santo infinocchiato al centro della scena mentre viene condannato a morte da Massimiano dopo il suo atto di rifiuto dell'adorazione degli idoli. L'imperatore con la corona d'alloro sul capo ordina la decapitazione del santo. Il carnefice posto a destra avanza con il suo cane, attorniato da una grande folla. Ma tutti restano stupidi dalla grande montagna che si pone sul capo di Alessandro a sua protezione.[6]

«Qui di furor colmo Massimiano e tutto d'ira avampato fissò gli occhi nella lui morte e comandò incontanente a un manigoldo che all'allora gli troncasse il capo. Questi ardito sfodrata e alzata la spada per levar la vita al santo Martire, con incredibile meraviglia di tutti i circostanti, e con infinita rabia dell'imperatore come stupido restato fuor di se, non potè esseguire l'empio comando: onde gli disse il Tiranno, Non ti nuovi ancora codardo e vigliacco gliela perdoni? a cui con voce fioca rispose l'impaurito Martiano. Signor Mio Re il capo di costui mi sembra una gran montagna e io treno tutto. Confuso Massimiano ordinò che fosse di nuovo incarcerato e di ogni cosa necessaria se gli facesse patir grandi disagi»

Materno, arcivescovo di Milano, invia sant'Alessandro a Bergamo (104x149)[modifica | modifica wikitesto]

Il dipinto è conservato nella sagrestia del duomo di Bergamo e raffigura il santo che si presenta all'arcivescovo di Milano Materno dopo la sua terza fuga dal carcere. Questi lo invita a evangelizzare a Bergamo. Il vescovo indossa gli abiti papali e a fianco a lui vi sono due diaconi a confermare la solennità dell'evento. L'immagine infatti pare che presenti la consacrazione epistolare di Alessandro con la consegna di un mitra e di un pastorale. Un giovane alle spalle del santo regge il vessillo che raffigura sempre il giglio:

«Rincorato più di una volta il santo alfiere del santo pastore fu alla fine consigliato havendone l'agio per maggiormente dilatare la fede cristiana, a uscire di prigione e venire a Bergamo dove c'era gran bisogno di Lui. Io non voglio qui lasciar di riferire un'opinione antica […] che sant'Alessandro sia stato vescovo di Bergamo: Il dire che egli fusse deputato vescovo di quella città è molto verosimile. Si potrebbe dire che avendo Materno in quel tempo che egli praticò col santo martire conosciutolo atto all'ufficio pastorale egli lo elesse e lo indirizzò a Bergamo dove erano pochissimi cristiani perché predicasse ch'è il principale ufficio del vescovo: Egli dunque non si enumera tra i vescovi, ne gli si dà il nome di Vescovo pur non essendo stato consacrato e per lo poco tempo che visse in Bergamo che furno solo dieci otto giorni»

Predica di sant'Alessandro (101x146)[modifica | modifica wikitesto]

Il dipinto è conservato nella pinacoteca Tosio Martinengo di Brescia e raffigura il santo posto sul lato destro della tela che regge il vessillo della legione Tebea con la sinistra mentre il braccio destro è sollevato verso la statua posta sulla colonna del Crotacio che raffigura un idolo romano, invitando i numerosi presenti a seguire le sue parole e la sua fede cristiana. Sulla sinistra della tela vi è un defunto che viene portato alla presenza di Alessandro, il quale riportandolo in vita convertirà molti dei presenti.[6]

«Nel tempo che sant'Alessandro venne a Bergamo, vi era molto piccolo il numero dei cristiani e innumerebile quello de gli idolatri, e arrivò egli appunto nel tempo e nell'hora ch'erano questi congregati per offerire solenne sacrificio davanti alla statua del Crotacio. Qui giunto e scorgendo così grande empietà e cecità insieme e tanta offesa della Maestà divina, pieno di zelo nell'honor di Dio e della salute di quei miseri acciecati, entrato fra loro, essendo molto erudito, e parlando molto bene la lingua latina, che all'allora si usava per tutta l'Italia si diene a pubblicamente predicar Cristo essere vero Dio. Onde rivolti a lui tutti ammiravano non solo la dottrina ma la grande forza etiandio e la copia dell'eloquenza»

Martirio di sant'Alessandro (105x150)[modifica | modifica wikitesto]

La tela è conservata nella basilica di Sant'Alessandro in Colonna di Bergamo e raffigura il martirio del santo. Il carnefice è raffigurato di spalle centrale alla tela nell'atto di riporre la spada nel fodero. A terra il capo e e il corpo acefalo del martire. Intorno, un popolo di osservanti pietrificato tra cui è presenta uno con la brocca dell'acqua chiesta da Alessandro per potersi lavare mani e faccia prima di essere martirizzato, come indicato da fra Celestino.[6][7][8]

«Legato il santo lo strascinarono violentemente davanti alla statua del Crotacio, dove apprestava la mensa con ciò che facea mestieri al sacrificio, gli dissero Horvia soldato coraggioso, al Dio di questa patria offerisci il sacrificio e metti gli incensi nel fuego, affinchè tu possa vivere o andar libero ove più ti aggrada. Il santo martire di Christo Alessandro non temendo punto la morte temporale, per non morir di morte eterna disse a alta voce Io non ubbidisco ai precetti dell'imperatore terreno, ma si bene a quelli del Celeste […] Ecco il collo se volete il capo spiccatolo or che vedete la mia ferma risoluzione. Dette queste parole dimandò un po d'acqua e si lavò le mani e la faccia poi fece oratione […]. Simile oratione finita e fatta una generosa confessione nel nome di Christo l'intrepido suo Cavalier sant'Alessandro abbassò il capo e lo spietato manigoldo, esseguendo quanto gli aveva l'empio Massimiano comandato, coma persona vile e sciocca con tagliente lame glielo spiccò dal busto. Fu il suo Martirio i 26 d'agosto dieci otto giorni soli essendo stato in Bergamo.»

Miracolo dei fiori nati dal sangue di sant'Alessandro (103x148)[modifica | modifica wikitesto]

La tela è conservata in collezione privata in Bergamo e raffigura santa Grata duchessa di Bergamo, che convertita al cristianesimo da Alessandro accorre dopo il martirio, ne raccoglie il capo avvolto in un bianco lino e con solenne processione fa portare e seppellire il corpo nell'orto della sua casa, fuori le mura cittadine. Il corpo fu trasportato lungo quella che è via Pignolo allora un grande bosco e le gocce di sangue che cadeva fiorivano in gigli e altri fiori. La santa, con lo sguardo, cerca conforto nelle sue compagne. Accanto a lei in preghiera forse quella che viene identificata in santa Esteria di Bergamo.[6]

«Volle anco Iddio scuoprire la entità del suo buon servo col chiaro testimonio d'un nobilissimo e notabilissimo suggello che fu della salute di molti altri cagione. Ha la nostra città fra gli altri un'honorato borgo Pignolo vien chiamato, che da i Pini che ivi in gran copia pineto già, hora borgo Pignolo chiamato alle radici del verso oriente, quivi a mezzo il quadrivio õ croce via. i portatori õ stanchi dal grave peso (perciochè Alessandro era d'eminente statura, come sono per il più gli alfieri) õ dal gran caldo che porta seco la stagione affitti, ò per dir meglio per alto voler di Dio deposero per breve spatio di d'hora la sacrata soma; indi preso al quanto di riposo nel levarsi di nuovo il Santo Corpo ecco si videro sorgere dalle cadenti gocciole dell'ancor tiepido sangue così leggiadri e odorosi fiori, che di vaghezza, e di gratioso odore vincevano di grand lunga i naturali»

Santa Grata mostra a suo padre Lupo i fiori nati dal sangue di sant'Alessandro (103x148)[modifica | modifica wikitesto]

Il dipinto è conservato in collezione privata a Bergamo e raffigura santa Grata che si presenta al cospetto del padre Lupo in un maestoso palazzo mentre questi sta leggendo un documento in pergamena. La giovane porge i fiori al padre e lo invita a sentirne il profumo. Il conte veste abiti signorili con mantello d'ermellino. Il conte Lupo faceva parte della nobiltà cittadina figlio di Crotacio. Ai suoi piedi è posto un cane e accanto a lui la consorte Adleide educata alla fede cristiana fin dalla giovane età. Grata cerca con i fuori di convincere il padre della santità del martire.[6]

«Piena d'infinito gaudio e giubilo ritornata al Palazzo, e ritrovato il caro progenitore, Vedete, gli disse, odorate e gustate quali fiori la terra bagnata del prezioso sangue del valoroso Campione di Christo Alessandro martirizzato hieri alla base del vostro Crotacio, hā prodotto atti a risanare infermi e ravvisare i morti […]»

Traslazione del corpo di sant'Alessandro[modifica | modifica wikitesto]

Il dipinto è opera di Fabio Ronzelli e conservato presso la cattedrale alessandrina di Bergamo e raffigura il re Berengario genuflesso sulla base di una colonna che è posta davanti al sepolcro dove viene traslato il corpo del santo. Di fronte, il vescovo di Bergamo Adalberto che ne aveva ordinato la sepoltura nella cripta della basilica di Sant'Alessandro in Colonna fatta edificare da santa Grata. Il re pone la sua corona come dono al santo, forse per farsi perdonare l'assedio e il sacco di Bergamo da lui comandato nel 908. La salma è sorretta da tre chierici che lo pongono nel sepolcro.

«Nel luogo dove fu l'invitto martire Christo Alessandro decapitato e dove cadevano le gocce di sangue, e dove fu sepolto, furono poi da Santa Grata fabricate chiese in onore di Lui […] Giacque dove lo sepelì la santa Vedova fino all'anno 908 secondo la verità, nel quale la suddetta chiesa cathedrale da Berengario abbuggiata e ristorata poi da sant'Adalberto vescovo la quale la trasporto del sotto Choro e ripose nell'altare di mezzo con molta solennità intervenendo a questo devoto ufficio Berengario stesso»

Federico Barbarossa tenta di violare le reliquie di sant'Alessandro (158x279 nmm)[modifica | modifica wikitesto]

Della tela si conserva un disegno in Accademia Carrara eseguito a matita nera su carta d'avorio. Il disegno raffigura tre personaggi che cercano di rimuovere la lastra tombale, del sepolcro che ospitava le spoglie di sant'Alessandro. I tre cercano faticosamente con delle spranghe di sollevare la pesante copertura, tanto che uno cade in terra nell'immane sforzo. Ma nulla vale ad aprire il sepolcro che continua a rimanere sigillato. Tutti si stupiscono di questo evento. La scena si svolge nella cripta, dove sono appesi alle pareti molti ex voto. Tra i presenti al prodigioso evento vi è anche Federico Barbarossa con due soldati.

«Giunto a Bergamo il Barbarossa e dopo qualche tempo di assedio, per divina permissione, ha vuloto in suo potere, e inaudite crudeltà vi usò […] Non ebbe rispetto a nessun ne ā sesso ne ad età veruna: ma fece aprire le donne gravide uccidere contro terra tirandoli i fanciulli, alle vergini tagliere le orecchie, e le mammelle, alle vedove le mani e le nari, metter fuoco nelle case, e nelle chiese, ispianare le mura, isvellere le torri, rubò i tesori dei suoi antecessori, al glorioso martire Alessandro offerti; volle rubare il lui sacro Corpo e quegli de li altri santi che quivi erano, e visi affaticò tutt'un giorno ma da divina virtù fu impedito: onde partì confuso la desolata e disfatta città lasciando»

L'evento non documentato ma solo tramandato, fu nuovamente raffigurato dal Ceresa nel 1639 nel dipinto Tentativo di trafugamento del corpo di sant'Alessandro della chiesa di Santa Grata in Columnellis di via Arena in Bergamo.[9]

Sant'Alessandro a cavallo protettore di Bergamo[modifica | modifica wikitesto]

il dipinto raffigura il santo su di un cavallo bianco con gli abiti militari d'epoca romana, a cui vi sono stati aggiunte parti seicentesche come il pennacchio sul copricapo. Regge il vessillo dove è raffigurato il giglio, simbolo della legione di Tebe. Questo pare volare nel cielo con ai piedi la città orobica di cui si distinguono le torri e i campanili. In questo modo viene canonicamente raffigurato il santo.

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ DePascale.
  2. ^ Fondazione Banca Popolare di Bergamo testimonianze di una presenza diffusa sul territorio (PDF), Fondazione Banca, p. 28. URL consultato il 5 settembre 2021 (archiviato dall'url originale il 5 settembre 2021).
  3. ^ Lettera a Scipione Toso, su archivirinascimento.it, Archivi del Rinascimento. URL consultato il 2 settembre 2021.
  4. ^ DePascale, p. 26.
  5. ^ Simone Facchinetti, Guida alla mostra le storie di Sant'Alessandro di Enea Salmeggia, Cattedrale di Bergamo Museo Adriano Bernareggi, 2010.
  6. ^ a b c d e f g h Guida.
  7. ^ Decapitazione di Sant'Alessandro, su lombardiabeniculturali.it, LombardiaBeniCulturali. URL consultato il 5 settembre 2021.
  8. ^ DePascale, p. 28.
  9. ^ Paolo Mazzariol, La Chiesa di Santa Grata - Incontro tra monastero e città, Litostampa istituto grafico, 2001, p. 208-211.

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

  • Enrico De Pascale, Prima della pittura Enea Salmeggia, Accademia Carrara.
  • Simone Facchinetti, Giuliano Zanchi, Guida alla mostra le storie di Sant'Alessandro di Enea Salmeggia, Cattedrale di Bergamo Museo Adriano Bernareggi, 2010.