Coordinate: 45°26′11.76″N 12°20′11.4″E

Chiesa di San Salvador

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Chiesa del Santissimo Salvatore
Chiesa di San Salvador
La facciata
StatoBandiera dell'Italia Italia
RegioneVeneto
LocalitàVenezia
Coordinate45°26′11.76″N 12°20′11.4″E
Religionecattolica di rito romano
TitolareGesù Salvatore
Patriarcato Venezia
ArchitettoTullio Lombardo, Giorgio Spavento e Giuseppe Sardi
Stile architettonicoRinascimentale
Inizio costruzione1507
Completamento1530
Sito webwww.chiesasansalvador.it

La chiesa del Santissimo Salvatore, vulgo San Salvador, è un luogo di culto cattolico di Venezia, situato in campo San Salvador, nel sestiere di San Marco, un luogo già ritenuto in passato il centro della città. La chiesa dà pure il nome ad un tratto delle Mercerie. Di antichissima fondazione, crebbe di importanza nel corso del Medioevo per venire quindi riscotruita dalla fondamenta a partire dal 1507 in forme ariose e monumentali su sovvenzione dello Stato veneto, ed è oggi collocabile tra le più grandi chiese veneziane.

A partire dal XII secolo la chiesa fu affidata alla cura dei Canonici Regolari Lateranensi che l'ebbero in cura sino al 1807. Venne dunque posta in cura al clero secolare assorbendo pure il titolo parrocchiale di San Bartolomeo. La Parrocchia di San Salvador oggi fa parte della Comunità Marciana, l'unione delle parrocchie del Centro di Venezia che comprende San Moisé, San Zaccaria, la Rettoria di San Zulian e di Santa Maria del Giglio.

Nella chiesa sin dal 1267 si venerano le reliquie di San Teodoro, primo protettore di Venezia. La storia della chiesa si lega indissolibimente a quella della Scuola Grande di San Teodoro.

Tra le numerose sepolture presenti nell'edificio spiccano quelle di Caterina Corner, del doge Francesco Venier. Sono sepolti inoltre i fratelli cardinali Marco Corner e Francesco Corner e Bernardo Bembo (tomba dispersa).

Collegato alla chiesa esiste tutt'oggi il grande complesso del Convento dei Canonici di San Salvador.


Cima da Conegliano, Incredulità di San Tommaso, San Magno (particolare). Secondo la tradizione fondò la chiesa di San Salvador

La chiesa è da annoverare tra i più antichi luoghi di culto della città e, come per le altre antiche chiese veneziane, ha origini che si perdono tra mito e leggenda: la tradizione la vorrebbe fondata nel 638 da san Magno, nativo di Altino e vescovo di Oderzo, con l'appoggio delle famiglie Carosio e Gattaloso. La cronaca altinate tramanda i nomi dei fondatori Kavanaricus Caverlarenus e del fratello Noele, parte del novero dei iudices padovani di stanza a Venezia, antichi discendenti di casa Noeli, attestata a partire dal XI secolo. Certamente il luogo di culto ebbe origine nell'Alto Medioevo, dove avrebbe assunto le prerogative di pieve aumentando di prestigio solo dopo il XII secolo. Nel 1078 è attestato il il primo pievano, mentre nell'anno 1141 grazie all'iniziativa del pievano Bonfilio Zusto, la chiesa veniva trasformata da parrocchiale a collegiata riformata, pervenendo a un gruppo di canonici votati alla regola di Sant'Agostino.

I canonici agostiniani

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Sin dall'inizio incorse in una serie di dispute con il vescovo di Castello e le parrocchie vicine, ma vennero presto superate grazie al riconoscimento di papa Innocenzo II che nello stesso 1141 concedeva alla comunità la protezione apostolica, il diritto all'elezione del proprio priore e le decime che già spettavano alla vecchia parrocchia. Forte di queste prerogative, negli anni successivi San Salvador tentò a sua volta di espandere i propri confini a discapito delle pievi contermini, in particolare San Bartolomeo. Solo nel 1299 le liti tra le due parti furono risolte grazie a un accordo che ridefiniva i limiti dei rispettivi territori e la partizione delle decime (raccolte dai Procuratori di San Marco e da questi suddivisi alle due parrocchie). Tra il Trecento e il Quattrocento la spinta riformistica che aveva animato i secoli precedenti venne meno e la comunità attraversò un periodo di decadenza spirituale e materiale. Nel 1441, tuttavia, grazie all'interessamento di papa Eugenio IV (il veneziano Gabriele Condulmer) la comunità venne rinnovata con l'insediamento dei canonici regolari della Congregazione del Santissimo Salvatore lateranense.

La chiesa medievale

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Della chiesa primitiva non si hanno che informazioni vaghe, con un particolare riferimento ad un pavimento aperto da grate di ferro sotto cui attraverso «un passaggio sono condotte le acque». Si attestano lavori nel 1153, ma il 15 settembre 1167 un incendio danneggia l'edificio, lo stesso che, evidentemente restaurato, il 29 agosto 1177 consacrava papa Alessandro III. Nel 1184 si avvia la riedificazione della chiesa che nel 1204 risulta investita di privilegi di notevole importanza, come quelli concessi al suo priore quali l'utilizzo della mitria e del pastorale[1].

La chiesa assunse un aspetto a pianta basilicale, a tre navate, abside circolare e transetto. Quest'ultimo, alto quanto la navata centrale risultava accorciato al livello della larghezza delle navate minori, similmente al Duomo di Murano. Al centro della crociera, una cupola che nel 1365 venne coperta da un tiburio monumentale, come monumentale appariva la parte esterna dell'abside, mossa da profonde nicchie. La facciata, che si rivolgeva ad un campo ben più ampio dell'attuale, era caratterizzata da un ampio portico. Sul lato settentrionale, la porta alle Mercerie, esisteva probabilmente un protiro stretto dagli edifici che ancora affiancano la chiesa attuale. Proprio la presenza di fabbriche diverse ad attorniare una chiesa monumentale è quello che caratterizza il complesso nella più esaustiva rappresentazione della chiesa medievale, quella compiuta dal de' Barbari nella sua Veduta di Venezia[2].

La chiesa medievale vista da Jacopo de' Barbari nella sua celebre Veduta di Venezia.

Sopra il portico posto lungo la facciata della chiesa esisteva la sede della Scuola dei battuti dedicata a San Teodoro, ricostituita nel 1268 e responsabile, assieme ai canonici, del corpo, della cappella e della dignità del culto del santo di Amasea. In questo albergo della confraternita, riconosciuta poi Scuola Grande di San Teodoro, esisteva anche una imponente cucina, posta accanto alla facciata della chiesa, al piano terra, dove venivano preparate le pietanze da servire agli indigenti. L'altare della Scuola, con le reliquie celate dietro ad una grata dorata, si trovava nei pressi dell'ingresso, sulla destra rispetto all'altare maggiore. Il catino absidale era decorato a mosaico con la raffigurazione del Pantocratore, adorato dalla figura del committende della decorazione, il doge Marino Morosini[3]. Il grande campanile, riferible al XII secolo, rimase incompiuto in altezza; ad oggi è l'unica struttura del complesso medievale che ancora sopravvive.

La nuova chiesa

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Il riaccendersi della devozione a San Teodoro, avviatosi dopo l'arrivo delle sue reliquie a Venezia, il riconoscimento da parte della Repubblica del ruolo soprannaturale che ebbe il Santo nella maturazione dello Stato – nel 1450 la festa venne elevata a solenne andata ducale – e la sempre più nutrita presenza di notabili e delle più alte cariche della Serenissima alle liturgie quotidiane celebrate in chiesa – divenuta una sorta altra San Marco – furono tra i motivi che spinsero a ragionare sulla riedificazione dell'edificio, al principio del XVI secolo. Il primo fautore del rinnovamento del complesso fu il Priore Antonio Contarini che, anche se eletto Patriarca nel 1508, fino alla morte si promulgò per il rifacimento della chiesa che vedeva come sorta di specchio di un rinnovamento dello spirito della canonica agostiniana. Sebbene un folto gruppo di cittadini si dimostrò contrario all'abbattimento del vecchio tempio a pianta basilicale, ritenuto lo stesso che costruì san Magno, nel 1506 si decise per una completa ricostruzione con la diretta partecipazione finanziaria della Repubblica, ciò anche grazie alle insistenze presso il Consiglio dei Dieci di figure come Giorgio Emo e Bernardo Bembo. A tracciare il progetto della nuova chiesa fu il proto di San Marco Giorgio Spavento. Demolito il vecchio tempio a tre navate nei primi mesi del 1507, il 25 marzo dello stesso anno venne calata la prima pietra; la costruzione partì dal presbiterio. Si occupò il sedime della vecchia chiesa con un edificio elevato dal suolo, ben più ampio del precedente tanto che le navate occuparono gran parte del vecchio portico e del campo. La costruzione proseguì a rilento: lo Spavento, caduto malato, fu affiancato quasi subito da Pietro e Tullio Lombardo, quest'ultimo prese le redini del cantiere alla morte dello Spavento, nel 1509. nel 1520 Antonio Contarini, nelle vesti di Patriarca, celebrava solennemente nel nuovo presbiterio, separato dal resto del cantiere da un muricciolo, spronando la prosecuzione dei lavori. Nel 1526 Giorgio Corner otteneva la concessione di occupare le testate del transetto con due monumenti da dedicare alla sorella, la regina Caterina, e al figlio, il cardinale Marco. Nel 1528 finalmente si potè abbattere il muro che separava il presbiterio dalle navate.

La chiesa venne aperta solennemente al culto il 16 ottobre 1530 con una cerimonia liturgica imponente e memorabile.

La fabbrica continuò a ricevere attenzioni anche dopo l'apertura: ai Lombardo subentrò Jacopo Sansovino, ma solo nel 1565 Vincenzo Scamozzi riuscì a risolvere la problematica data dall'oscurità aprendo le lanterne sul colmo delle cupole. Nel 1569 venne eretto in controfacciata un coro pensile, probabilmente composto in buona parte di legno e su progetto dello stesso Scamozzi. La facciata restò incompiuta sino al 1649 quando, grazie al lascito del mercante Jacopo Galli, si poté completare sul fastoso progetto di Giuseppe Sardi. La chiesa venne consacrata il Lunedì dell'Angelo del 1739, 30 marzo. Nel 1741 il coro pensile bruciò e seguì un restauro che portò alla sua completa eliminazione e all'erezione dei primi due altari che si incontrano dalla porta maggiore.

Con l'avvento di Napoleone, nel 1807, anche la canonica di San Salvador fu soppressa. I suoi beni passarono al demanio e il monastero fu convertito in caserma, mentre la chiesa divenne parrocchiale sotto la giurisdizione del patriarcato di Venezia. Nel 1810 estese la giurisdizione sul territorio che era stato di San Bartolomeo[4].

Fatti recenti

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L'imponente edificio si inserisce tra fabbricati e le alte case d'abitazione che caratterizzano quest'area della città in maniera suggestiva, risultando però poco leggibile nel suo insieme. Risulta ben visibile l'abside dalle Mercerie,

mosso da arcate cieche binate, sormontato da un angelo di chiara origine medievale, probabimente già presente sulla cupola dell'antica San Salvador. Le cupole paiono coperte da tetti a falda e mosse solo dalle esili lanterne. Il fianco che dà alle Mercerie mostra la testata del transetto, mentre tra le fabbriche di abitazione, già anticamente pertinenti alla chiesa, è aperto un voltone che permette una scalinata che conduce al portale laterale cinquecentesco. Il volto mostra cospicue tracce di decorazione ad affresco solitamente indicati all'ambito tizianesco. Compare San Teodoro che uccide il drago, e una confermazione dei privilegi dei canonici data per mano papale. Sul soffitto una sbiadita Trasfigurazione, episodio evangelico cui si rimanda il titolo della chiesa.

Il Cristo Risorto e benedicente posto al vertice della facciata.

La facciata è frutto del lascito testamentario di 50.000 ducati che Giacomo Galli, nel 1663, permise il definitivo completamento della chiesa. La facciata venne alzata su progetto di Giuseppe Sardi in bianca pietra d'Istria. Presenta la suddivisione verticale in due ordini e una tripartizione orizzontale con la parte centrale più ampia delle altre. L'ordine inferiore imposta le quattro possenti colonne di ordine composito su alti plinti. Contribuiscono a sottolineare la monumentalità delle semicolonne le coppie di lesene che le affiancano che, in minor rilievo, le affiancano. Dei festoni e delle protomi leonine ornano la cornice all'altezza dei capitelli sotto una trabeazione conclusa da una dentellatura che sostiene l'ultima modanatura fortemente aggettante. Il portale segue la monumentalità della facciata, con un timpano triangolare che si imposta sulla trabeazione sostenuta da due semicolonne affiancate, questa volta solo verso l'esterno, da lesene leggermente accennate. Le ali laterali sono aperte da finestre rettangolari timpanate sopra cui sono collocate delle lapidi commemorative. L'ordine superiore riprende con meno rilievo l'armonia dell'inferiore. In corrispondenza delle quattro semicolonne sottostanti sono collocate quattro statue allegoriche delle virtù; sopra ciascuna è inserita nel semipilastro la testa di putto che sostiene un inconsueto modiglione raccordato alla dentellatura soprastante. Al centro troviamo una finestra definita da due archi concentrici impostati su quattro pilastri di chiara derivazione palladiana. Il timpano sommitale interessa solo la parte centrale, mentre cinque statue, santi ai lati e il Salvatore all'apice del timpano, sono distribuite su tutta la larghezza. Sia le statue sommitali che quelle sopra le semicolonne sono attribuibili a Bernardo Falconi[5].

Le incisioni del Carlevarijs e del Visentini documentano la presenza di ulteriore statue decorative, figure giacenti lungo i timpani e due putti eretti sopra le semicolonne del portale.

La palla di cannone in facciata.

Sul lato sinistro della facciata, alla base del primo pilastro, si può notare incastrata nel muro una palla di cannone. La chiesa infatti fu colpita nell'assedio del 1848-1849 durante uno dei tanti bombardamenti che le truppe austriache dal forte Marghera inflissero alla città, autoproclamatasi repubblica indipendente sotto la guida di Daniele Manin. Il proiettile si conficcò nel punto dove ancora oggi è visibile, senza arrecare ulteriori danni alla struttura. Un'incisione sopra la palla di cannone rievoca l'episodio.

Pianta della chiesa di San Salvador
Sezione longitudinale della chiesa

L'interno segue la tripartizione orizzontale della facciata, con tre cupole dello stesso diametro impostate lungo l'asse longitudinale della chiesa. Le cupole seguono uno schema a quinconce, detto anche a quincunx. Ogni cupola prevede quattro cupole minori poste ai vertici del quadrato sul quale poggia il perimetro di imposta delle cupole principali. Queste ultime hanno in comune le cupole interne della pianta, raggiungendo così il numero di otto cupole minori poste nelle navate laterali della chiesa. Lo schema a quincunx è legato all'architettura bizantina e conseguentemente alle origini dell'architettura veneziana: altri esempi veneziani di questa disposizione sono la Chiesa di San Giovanni Grisostomo e la Chiesa di San Nicolò di Castello (distrutta con le soppressioni napoleoniche del 1810)[6]. Questo schema viene completato da un transetto e da tre absidi semicircolari, di cui una, la maggiore, completa la navata centrale. Ogni altare minore risulta coperto da un modulo a tre arcate che sostengono una cupola, come fosse coperto ognuno da un piccolo ciborio.

L'interno della chiesa, decorata con gli apparati in occasione delle solennità liturgiche.

Gli archi che sostengono le cupole sono impostati su un totale di sedici pilastri di ordine composito, otto per parte, che dividono la chiesa in tre navate. Le paraste del registro maggiore si concludono in splendidi capitelli, riferibili all'opera di Tullio Lombardo e terminanti in fiori diversi: volti, maschere e leoni marciani andanti e in moeca.

Come in altre chiese veneziane e dell'entroterra veneto, per le grandi festività dell'anno liturgico San Salvador viene parata da stoffe rosse e preparata con apparati effimeri.

Pavimento e sepolture

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ll complesso pavimento a marmi policromi.

La circolarità delle cupole maggiori si proiettata a terra in splendide tarsie marmoree dove prevale il gioco cromatico di tre diverse pietre, il rosso di Verona, il bianco di Asiago e il nero di Marquinia, giocati differentemente sotto ogni porzione corrispondente le tre cupole. Il lavoro è il risultato di interventi che si sono susseguiti nel tempo, anche grazie alle sepolture terragne che hanno permesso di completare, per mezzo dei lasciti, il vasto programma che, anche se protrattosi nel tempo, rispetta una certa coerenza generale. La prima parte fu probabilmente quella corrispondente alla cupola di mezzo, tra il monumento Venier e la porta alle Mercerie, forse compiuta intorno al 1561 su progetto del Sansovino. La seconda fu quella che si trova ai piedi del presbiterio ed è legata alla figura del mercante Bartolomeo Bontempelli, operante al "fondaco del Calice" e originario di Brescia, che volle per sé e i suoi familiari la camera sepolcrale posta sotto la prima cupola, acquisita nel 1586. Avuta la tomba fece incrostare di marmi quella porzione di chiesa. Più tarda è probabilmente la porzione verso la porta maggiore, disseminata di diverse lastre di sepolcri terragni, numerose infatti sono le camere sepolcrali presenti sotto l'edificio. In alcuni punti, intorno ai primi altari, sono visibili lastre tombali di recupero del secolo XVI, che vennero reimpiegate per concludere il calpestabile. La parte verso la porta maggiore venne restaurata a seguito dell'incendio del 1741.

Recentemente il sepolcro Bontempelli è stato scoperchiato e richiuso da una lastra di vetro per permettere la visione degli affreschi religiosi che lo decoravano. La camera sepolcrale è stata vuotata.

Altare Maggiore e coro

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Il presbiterio, poco ampio, si caratterizza per il prezioso pavimento, la conca absidale in pietra aperta da due lunghe monofore e mossa, sopra la cornice marcapiano, da quattro aperture più basse ad illuminare la macchina d'altare. Dietro all'altare spicca sospeso il grande stemma di papa Paolo II. Gli stalli lignei a doppia altezza sono posti dietro all'ancona e sono probabilmente frutto di un rifacimento asseribile al XVIII secolo.

L'Altare Maggiore
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Compiuto entro il 1534 è straordinaria opera di Gugliemo dei Grigi che coronò il fastigio superiore con uno splendido Cristo Risorto a grandezza naturale reggente il vessillo della Resurrezione. La statua è immersa nella luce che penetra dal cleristorio superiore, scelta oculata dell'artista. Curiosa la finitura del braccio del Risorto, fatto di legno e fissato alla pietra arenaria, probabilmente pensato per una spettacolare movimentazione in occasione delle liturgie pasquali. Nel complesso si tratta di un'opera di notevole eleganza, giocata sul sapiente utilizzo delle cromie dei marmi e delle raffinate decorazioni, in parte riprese da doratura. Un linguaggio del tutto personale, che sposa la tradizione tardoquattrocentesca veneta con la severità classicista del secondo e terzo decennio del Cinquecento. La magnifica mensa è affincata dalle mensole su cui venivano posti i candelieri, a rispetto della tradizione veneto-bizantina che dà piena visione della pala perché carica di sacralità, propria delle icone. Il complesso è stato restaurato dalle mani di Ottorino Nonfarmale nel 1998[7].

Alle spalle della monumentale ancona è stata fissata, in via provvisoria, la pala raffigurante San Giacomo di Girolamo da Treviso che già decorava l'altare ora della Santa Famiglia.

La pala della Tasfigurazione
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Le mensole permettono di disporre i candelieri ai lati e di visionare l'imponente opera che Tiziano Vecellio consegnò intorno al 1560. La tela è una copertura dell'opera orafa fatta d'argento dorato e preziose decorazioni.

La pala d'argento
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Viene ostesa in alcune particolari occasioni, come a Natale e a Pasqua e sino alla festa della Trasfigurazione.

Parte sinistra (dal presbiterio)

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Cappella del Santissimo Sacramento
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La Cappella del Santissimo Sacramento parata per le feste liturgiche.

La cappella si lega indissolubilmente all'attività di Antonio Contarini: lo si ritrova ritratto accanto ai simboli eucaristici all'interno del catino absidale, a sinistra con le vesti priorali di San Salvador, a destra con le insegne patriarcali. Si tratta di una decorazione musiva voluta dallo stesso Contarini per via testamentaria e conclusa nel 1523, a completa opera di Crisogono Novello, mosaicista in San Marco e prete della parrocchia di Sant'Agnese. Il Contarini aveva ottenuto l'altare nel 1513 e due anni prima vi si era installata la Scuola del Santissimo Sacramento.

La Cena in Emmaus belliniana, 1513.

Tra i lasciti del Contarini per la Cappella del Santissimo in San Salvador bisogna contare anche la straordinaria Cena in Emmaus posta sin dalla prima metà del Cinquecento sulla parete destra. Fu Girolamo Priuli "dalle Porte" (raffigurato trentottenne nelle vesti di nobile veneto a tavola alla sinistra del Cristo) a donare direttamente al Patriarca la preziosa rappresentazione, togliendola dal suo portego presso il palazzo di famiglia a San Giacomo dell'Orio. La tela, datata 1513, è opera magnifica per impostazione e resa luministica, frutto di interventi di diverse e abilissime mani (forse Vittore Carpaccio) intervenute su un lavoro probabilmente iniziato da Giovanni Bellini. Prima di giungere nella cappella del Santissimo, il dipinto aveva ornato l'altare sguarnito di San Giovanni Evangelista su diretta indicazione del Contarini. L'attuale sistemazione risale al restauro del 1998, intervento che l'ha privata di una grande cornice incongrua[8]. Il lunettone superiore raffigura la Resurrezione ed è opera attribuita a Stefano dell'Arzare e dipinta intorno al 1553 e restaurata nel 1987[9]. L'altare con la serie di tabernacoli sovrapposti (eucaristico, il maggiore, delle reliquie della Passione i minori superiori) risale con ogni probabilità ad una serie di interventi avvenuti tra gli anni trenta e quaranta del Seicento a spese della Scuola del Santissimo Sacramento. Nella cappella è ora esposta un'insegna appartenente alla scuola, un compianto ai piedi del calice eucaristico, opera scolpita a tutto tondo nel legno di cirmolo nella seconda metà del Seicento. I dossali della metà del Settecento vennero eretti in prossimità dell'emanazione del decreto papale che rese la cappella privilegiata dell'indulgenza perpetua per chi sostasse a pregarvi. Tra le piccole tele presenti, spicca La Resurrezione, opera di Bonifacio de' Pitati (Zanetti)

Altare della Santa Famiglia
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La Santa Famiglia di Lattanzio Querena

L'altare, dalla ricca architettura del primo Cinquecento e già titolato a San Giacomo, mostrava una tavola di Girolamo da Treviso che rovinò nel corso del Settecento e nel secolo successivo subì addirittura un incendio. Questa si trova ora posizionata - sebbene in condizioni assai lacunose - in via provvisoria dietro all'ancona dell'Altar maggiore. Al suo posto venne collocata una nuova tela di Girolamo Brusaferro raffigurante San Lorenzo, Giacomo, Anna e Francesco di Sales, ora posta presso il transetto destro. L'attuale sistemazione con la tela della Santa Famiglia opera di Lattanzio Querena risale all'Ottocento quando, il complesso cinquecentesco, venne destinato alla devozione alla sacra Famiglia e all'infanzia di Cristo. I quadri ad edicola collocati ai lati dell'ancona raffigurano proprio l'infanzia e l'educazione di Gesù. La devozione del tempo per il titolo dell'altare è testiamoniata dai numerosi ex voto che lo circondano. Tutto il complesso risulta urgentemente bisognoso di restauro. Il lunettone sopra l'altare è opera cinquecentesca di Natalino da Murano e raffigura La Trinità e la Vergine ed è stata restaurata nel 1987[10]. Ai piedi dell'altare una lastra decorata da una ricca corniciatura chiude l'avello della famiglia che lo commissionò.

Munumento Corner e battistero
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Frutto dell'ervegetismo di Giorgio Corner che lo volle negli anni '20 del Cinquecento assieme a quello posto dirimpetto, il monumento occupa l'intera testata del transetto, conludendola. Se inizialmente il lavoro venne affidato a Giovanni Maria Falconetto, solo nel 1570 venne portato a cantiere ad opera di Bernardino Contin. Diversamente da quello dedicato a Caterina Cornaro, che corrisponde quasi in toto a questo, qui una falsa porta ospita il battistero, e al centro della composizione si apre un finestrone. La partitura architettonica, sostenuta da un alto basamento, permette l'alzarsi di quattro grandi semicolonne che sostengono trabeazione e frontoni. Corniciano corrispettivamente due urne, ai lati, sovrastate dalle figure reclinate dei cardinali Marco Corner e Francesco Corner che vi sono sepolti. Sotto, in rilievo, gli stemmi cardinalizi sostenuti da putti. Al centro il rilievo raffigura la consegna del galero a Marco Corner. Entro la falsa porta, dietro il bel fonte battesimale coperto da una elaborata copertura in rame dorato si trova la splendida tela Il battesimo di Gesù al Giordano di Nicolas Régnier.

Altare di San Carlo Borromeo
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La splendida architettura secentesca di questo altare e la pala "tenebrosa" posta sull'ancona si devono alla donazione del ricco mercante di sete e tessuti operati Grazioso Bontempelli operante al "fondaco del Calice" e originario di Brescia. Il di lui fratello Bartolomeo fece incrostare di marmo la parte di pavimento sotto la prima cupola. L'altare venne ricostruito nel 1617 a sostituzione di uno precedente, dedicato alla Pietà. Al tempo, a sette anni dalla canonizzazione, si pensò di dedicarlo all'Arcivescovo milanese San Carlo Borromeo. In severo stile corinzio, mosso dalle sinuose e candide colonne marmoree che sostengono i frontoni sovrapposti, l'altare ospita una tela raffigurante, in alto, la Pietà, in basso San Carlo Borromeo coi ritratti di Grazioso Bontempelli e del fratello Bartolomeo; è bella opera di Sante Peranda.

Altare di Sant'Antonio Abate
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Altare di Sant'Antonio Abate, particolare del San Sebastiano di Alessandro Vittoria.

Precedentemente dedicato a San Giovanni, era l'altare dell'Arte degli Stagneri, creatori di manufatti in stagno che avevano come protettore proprio l'Evangelista. La non curanza da parte degli Stagneri portò i canonici a cedere il patronato al ricco mercante Giovanni d'Anna che decise di riedificarlo e di crare un tutt'uno armonico con l'altare dirimpetto, dell'Annunciazione, e quello maggiore. Il d'Anna commissionò a Tiziano una Crocifissione, che potesse connettersi con le altre tele del cadorino presenti in chiesa proponendo tre momementi topici della vicenda evangelica sulla linea della salvazione dell'uomo: l'Incarnazione, la Trasfigurazione, la morte sulla Croce. Una serie di intoppi, tra cui la morte del d'Anna, fece saltare il progetto, sebbene Tiziano avesse già dipinto la pala che finì altrove. Oggi si ritiene sia la tela tizianesca conservata presso la Pinacoteca Nazionale di Bologna.

La Crocifissione e il buon ladrone di Tiziano Vecellio. Questa tela era probabilmente destinataa all'altare ora dedicato a Sant'Antonio Abate.

Quello che era stato lasciato incompiuto, tra cui la mensa e gli angeli cerofori ora dislocati, venne affidato dai canonici alla Scuola dei Luganegheri, che completarono l'atare dedicandolo a Sant'Antonio Abate. Il santo con l'attributo del porcellino era il protettore della confraternita dei salumai, la Schola dei Luganegheri, che installò così a San Salvador la sua sede liturgica e la sepoltura comune, mentre alla Giudecca, presso la Scuola dei Luganegheri, avevo lo spazio di adunanza. Fu Alessandro Vittoria a completare l'imponente altare concluso da ricche decorazioni, tra cui spiccano le statue di San Rocco e San Sebastiano firmate dallo stesso Vittoria. I due protettori contro la peste stanno ai lati di una grande pala, bella opera di Jacopo Palma il Giovane, che vede in alto la Vergine col Bambino Gesù, al centro la monumentale figura di Sant'Antonio Abate con ai lati i Santi Francesco e Giovanni Battista. Il tabernacolo fu aggiunto nel 1729 per conservare una reliquia di Sant’Antonio Abate, pregio della Scuola, mentre sulla porticina appare stranamente una esatta copia in miniatura dell'affresco che un tempo, nella Basilica del Santo, si riteneva il vero ritratto di Sant'Antonio di Padova.

Porta alle Mercerie e organo
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Il prospetto dell'organo.

Il prospetto inferiore nobilita la porta che conduce alla Merceria permettendo, attraverso una elaborata mensola, un palco di cantoria su cui insiste l'imponente facciata dell'organo. Il lavoro in pietra d'Istria, solitamente riferito al Sansovino ma recentemente a Guglielmo dei Grigi, venne portato a compimento nel 1530 grazie ai lasciti di Girolamo Priuli: nell'alaborata architettura, ricca di inserti marmoerei, due nicchie abitate a destra da una statua raffigurante San Lorenzo, opera di Giacomo Fantoni Colonna, a sinistra un San Girolamo, lavoro di Danese Cattaneo. La cassa d'organo è pure cinquecentesca, di autore anonimo e conserva intatta la trabeazione sommitale, con fregio ornato a girali dorati su sfondo azzurro e da una figura a rilievo raffigurante il Cristo nelle sembianze del Salvator Mundi. Su questa sono fissate due portelle decorate da Francesco Vecellio: quando chiuse, ossia nel tempo di Quaresima e di Avvento, a sinistra uno splendido San Teodoro vittorioso sul dragone e a destra ''Sant'Agostino consegna la regola ai canonici''; quanto aperte, nel tempo di Pasqua, per annum, di Natale, a sinistra la Trasfigurazione e a destra la Resurrezione[11].

Le prime notizie circa la presenza di un organo a San Salvador a Venezia risalgono al XV secolo[12], ma fu probabilmente in concomitanza della consegna del fastoso prospetto in pietra che venne costruito un nuovo strumento collocato all'interno della cassa ancora esistente[13]. Lo strumento cinquecentesco venne rimosso presumibilmente nel XVIII secolo e sostituito da un nuovo organo di costruttore anonimo, forse di scuola callidiana. La cassa esistente, per ospitare il nuovo prospetto a cuspide centrale con ali laterali, venne resa a campata unica e furono aggiunte due lesene ai lati e due drappeggi lignei sopra le canne. Il nuovo organo, nel corso dei secoli, subì diverse pesanti modifiche che snaturarono le sue originarie caratteristiche foniche e, verso la metà del XX secolo, finirono per renderlo muto[14]. L'organo Ahrend contenuto attualmente nella cassa è una copia di un organo in stile veneto-cinquecentesco costruito all'organaro Jürgen Ahrend[15] e compiuto agli inizi del 2010.

Altare di San Girolamo
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Monumento Priuli
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Altare dei Santi Nicolò e Leonardo
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L'altare venne eretto a seguito dell'incendio del 1741, forse su progetto di Giorgio Massari e completato nel 1751, in elegante cromia bianco-verde e decorazioni riprese a foglia d'oro. Precedentemente esisteva un piccolo altare, posto sotto il coro pensile, dedicato a San Nicolò e assegnato alla Schola de devozion de San Nicolo. Questa, assieme alla Schola de devozion de San Lunardo, partecipò economicamente alla rifabbrica dell'altare unendo le due devozioni: venne commissionata a Giovanni Battista Piazzetta una pala che raffigurasse i due Santi, con l'aggiunta del beato Arcangelo Canetoli, ad espressa richiesta dei Canonici. La straordinaria pala del Piazzetta, mancato di vita durante il lavoro, fu portata a termine dal discepolo Domenico Maggiotto. L'altare è legato oggi alla devozione parrochiale alla Madonna di Lourdes.

Parte destra (dal presbiterio)

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Cappella di San Teodoro
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Altare di San Leonardo
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Monumento a Caterina Cornaro
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Altare di San Lorenzo Martire e dei santi Maddalena, Giacomo e Francesco di Sales
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Altare della Vergine Annunciata
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Monumento del doge Francesco Venier
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Altare della Beata Vergine del Rosario
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Monumento Dolfin
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Altare dei morti
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L'altare dei morti o del Crocifisso

L'altare dei morti o della Santa Croce, già privilegiato, venne ricostruito dopo l'incendio del 1741. La competenza dell'altare era della cinquecentesca Scuola della Santa Croce o del Crocifisso, vocata alla preparazione alla morte e per questo spesso affiancata alla Confraternita del Suffragio dei Morti, anch'essa appoggiata a questo altare. Nel 1742 venne presentato un modello in seguito approvato (20 giugno) col versamento di diciotto ducati. L'architettura, presto compiuta, rispettò quella dell'altare dirimpetto (forse opera di Giorgio Massari) mentre il lavoro di decorazione fu affidata ad una bottega in cui lavorava lo scultore Bortolo Modulo, il salpiapietra Girolamo Gazetta e il tajapiera Giuseppe Fadiglia. Il tono funebre delle decorazioni, le ossa e i teschi, ma anche l'uso di marmo nero e bianco risulta coerente con le finalità per cui l'altare venne eretto. La croce a tarsia marmorea posta al centro del paliotto richiama l'emblema della Scuola del Crocifisso. Nell'elaborato tabernacolo si conservava una insigne reliquia della Santa Croce. A sottolineare il continuo uso quotidiano di questo altare sta l'apparato di carteglorie fissate direttamente all'architettura. L'ancona si apre una breve nicchia dove è collocato un Crocifisso in bronzo, opera probabilmente seicentesca, e due figure piangenti, Maria Vergine e San Giovanni, dal patetismo assai accentuato e probabilmente provenienti da altrove, forse un tabernacolo esterno; ciò giustifica l'incongruenza di scala delle due figure rispetto al Crocifisso. In alto, il Padre Eterno.

  1. ^ Gianmario Guidarelli (a cura di), La chiesa di San Salvador a Venezia, 2009, pp. 9, 11.
  2. ^ Gianmario Guidarelli (a cura di), La chiesa di San Salvador, 2009, pp. 12-18.
  3. ^ Gianmario Guidarelli (a cura di), La chiesa di San Salvador a Venezia, 2009, p. 15.
  4. ^ Parrocchia del Santissimo Salvatore, Venezia, su siusa.archivi.beniculturali.it, Sistema Informativo Unificato per le Soprintendenze Archivistiche. URL consultato il 16 luglio 2014.
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  7. ^ Guglielmo dei Grigi’s High Altar for the Church of San Salvador, su savevenice.org.
  8. ^ Vittore Carpaccio’s Supper at Emmaus in San Salvador, su savevenice.org.
  9. ^ Stefano dell’Arzere’s Resurrection Lunette at San Salvador, su savevenice.org.
  10. ^ Natalino da Murano’s Lunette of the Holy Trinity and the Incarnation of the Word at San Salvador, su savevenice.org.
  11. ^ Il complesso storico dell'organo di San Salvador, su chiesasansalvador.it. URL consultato il 26 marzo 2014 (archiviato dall'url originale il 1º novembre 2010).
  12. ^ Massimo Bisson, Meravigliose macchine di giubilo. L'architettura e l'arte degli organi a Venezia nel Rinascimento, Fondazione Giorgio Cini - Scripta edizioni, Venezia-Verona 2012, pp. 108-111.
  13. ^ Massimo Bisson, Meravigliose macchine di giubilo. L'architettura e l'arte degli organi a Venezia nel Rinascimento, Fondazione Giorgio Cini - Scripta edizioni, Venezia-Verona 2012, pp. 111-117.
  14. ^ Sopralluogo all'antico organo della chiesa di S. Salvador (PDF), su chiesasansalvador.it. URL consultato il 26 marzo 2014 (archiviato dall'url originale il 26 marzo 2014).
  15. ^ Corrispondenza fra don Natalino Bonazza e il patriarca Angelo Scola (PDF), su chiesasansalvador.it. URL consultato il 26 marzo 2014 (archiviato dall'url originale il 26 marzo 2014).
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