Utente:Mizardellorsa/prove/Distretto del mobile di Pesaro

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Il distretto del mobile di Pesaro, conosciuto anche sotto la denominazione di distretto del mobile di Pesaro Urbino è un distretto industriale riconosciuto dalle competenti autorità[1]

Origine[modifica | modifica wikitesto]

Il distretto ha avuto una origine spontanea nel secondo dopoguerra. Le piccole falegnameria locali per gemmazione hanno visto il moltiplicarsi degli esempi.

Collocazione geografica[modifica | modifica wikitesto]

Il Distretto comprende:
30 comunidella provincia di Pesaro-Urbino:
Belforte all'Isauro, Carpegna, Cartoceto, Colbordolo, Fano, Fermignano, Fossombrone, Frontino, Isola del Piano, Lunano, Mercatino Conca, Mombaroccio, Montecalvo in Foglia, Monteciccardo, Montefelcino, Montegrimano, Montelabbate, Montemaggiore al Metauro, Pesaro, Petriano, Piandimeleto, Saltara, San Costanzo, Sant'Angelo in Lizzola, Sant'Ippolito, Sassofeltrio, Serrungarina, Tavolato, Tavullia, Urbino.
9 comuni della provincia di Rimini:
Gemmano, Mondaino, Monte Colombo, Montefiore Conca Montegridolfo, Montescudo, Morciano di Romagna, Saludecio, San Clemente.
1 comune della provincia di Arezzo: Sestino

Il ridimensionamento del 1990[modifica | modifica wikitesto]

}

La riorganizzazione.[modifica | modifica wikitesto]

La presenza sui mercati esteri[modifica | modifica wikitesto]

Ad oggi la provincia di Pesaro-Urbino è la settima provincia per esportazione di mobili nel mondo[2]. Tuttavia il distretto del mobile in senso stretto esonda dai limiti politici provinciali coinvolgendo, per storicità, anche la province di Rimini.

Le fasce di mercato[modifica | modifica wikitesto]

La produzione corrente[modifica | modifica wikitesto]

La fascia media[modifica | modifica wikitesto]

La fascia alta e il design[modifica | modifica wikitesto]

Provvedimenti normativi[modifica | modifica wikitesto]

La legge 5 ottobre 1991 n.317, relativa allo sviluppo economico ha previsto un particolare iter per il riconoscimento dei distretti industriali:[3] La successiva legge11 maggio99n.140 ha così fissato la definizione:

«1. Si definiscono sistemi produttivi locali i contesti produttivi omogenei, caratterizzati da una elevata concentrazione di imprese, prevalentemente di piccole e medie dimensioni, e da una peculiare organizzazione interna»


Nelle Marche la materia è stata disciplinata dalla delibera n. 259 del 29.07.1999.

La Giunta con delibera n. 3260 del 20/12/99

«ha affidato alle Province interessate il compito di costituire a livello locale appositi “Comitati di Indirizzo e Coordinamento” dei Distretti, con funzioni di programmazione, indirizzo e controllo degli interventi distrettuali da realizzare»

La Regione ha promosso la costituzione di un Comitato di indirizzo e di coordinamento (COICO)[4] per l'area Pesarese del mobile.

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ i distretti industriali hanno avuto il primo riconoscimento dall'art 35 della legge 5 ottobre n. 317
  2. ^ Esportazioni di mobili delle prime 15 province italiane
  3. ^

    «Art. 36. Distretti industriali di piccole imprese e consorzi di sviluppo industriale 1. Si definiscono distretti industriali le aree territoriali locali caratterizzate da elevata concentrazione di piccole imprese, con particolare riferimento al rapporto tra la presenza delle imprese e la popolazione residente nonché alla specializzazione produttiva dell'insieme delle imprese.
    2. Le regioni, entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, individuano tali aree, sentite le Unioni regionali delle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura, sulla base di un decreto del Ministro dell'industria, del commercio e dell'artigianato, da emanare entro novanta giorni dal predetto termine, che fissa gli indirizzi e i parametri di riferimento.
    3. Per le aree individuate ai sensi del comma 2 è consentito il finanziamento, da parte delle regioni, di progetti innovativi concernenti più imprese, in base a un contratto di programma stipulato tra i consorzi e le regioni medesime, le quali definiscono altresì le priorità degli interventi.»

  4. ^ Centro studi provincia di Pesaro

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

Collegamenti esterni[modifica | modifica wikitesto]