Hipposideros ruber

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Hipposideros ruber
Stato di conservazione
Rischio minimo[1]
Classificazione scientifica
Dominio Eukaryota
Regno Animalia
Phylum Chordata
Classe Mammalia
Superordine Laurasiatheria
Ordine Chiroptera
Sottordine Microchiroptera
Famiglia Hipposideridae
Genere Hipposideros
Specie H.ruber
Nomenclatura binomiale
Hipposideros ruber
Noack, 1893
Sinonimi

Phyllorhina centralis, P.naipu

Hipposideros ruber (Noack, 1893) è un pipistrello della famiglia degli Ipposideridi diffuso nell'Africa subsahariana.[1][2]

Descrizione[modifica | modifica wikitesto]

Dimensioni[modifica | modifica wikitesto]

Pipistrello di medie dimensioni, con la lunghezza totale tra 82 e 94 mm, la lunghezza dell'avambraccio tra 47 e 55 mm, la lunghezza della coda tra 24 e 38 mm, la lunghezza del piede tra 7 e 12 mm, la lunghezza delle orecchie tra 11 e 20 mm e un peso fino a 12 g.[3]

Aspetto[modifica | modifica wikitesto]

La pelliccia è lunga, lanuginosa, fine e setosa. Il colore generale del corpo varia dal marrone al bruno-grigiastro scuro, talvolta con dei riflessi bruno-rossastri e con la base dei peli più scura. È presente una fase completamente arancione. Le orecchie sono corte, larghe, con l'estremità appuntita e l'antitrago poco sviluppato. La foglia nasale presenta una porzione anteriore con due fogliette supplementari su ogni lato, un setto nasale poco sviluppato, una porzione posteriore priva di setti e con il margine superiore semi-circolare. È presente in entrambi i sessi una sacca frontale. Le membrane alari sono bruno-nerastre. La coda è lunga e si estende leggermente oltre l'ampio uropatagio. Il primo premolare superiore è piccolo e situato leggermente fuori la linea alveolare.

Ecolocazione[modifica | modifica wikitesto]

Emette ultrasuoni ad alto ciclo di lavoro sotto forma di impulsi a frequenza costante di 131,8–144 kHz.

Biologia[modifica | modifica wikitesto]

Comportamento[modifica | modifica wikitesto]

Si rifugia in piccoli gruppi o grandi colonie di diverse migliaia di individui nelle grotte, crepacci, gallerie minerarie, tetti di case, edifici abbandonati, sotto i ponti, nelle cavità degli alberi e in tane di grossi animali. L'umidità inei siti è notevolmente variabile. L'attività predatoria inizia al calare del buio e si svolge in maniera intermittente con due picchi, il primo due ore dopo e l'altro poco prima dell'alba. Il volo è lento e considerevolmente manovrato. Può spiccare il volo da terra e rimanere sospeso in volo per breve tempo.

Alimentazione[modifica | modifica wikitesto]

Si nutre di insetti, particolarmente coleotteri, falene, ditteri ed isotteri catturati nella densa vegetazione.

Riproduzione[modifica | modifica wikitesto]

Danno alla luce un piccolo alla volta a marzo ed aprile a nord dell'equatore mentre a ottobre e dicembre nella parte più meridionale dell'areale. È stato registrato anche uno sviluppo embrionico ritardato nella popolazione della Tanzania, dove gli accoppiamenti, l'ovulazione e la fertilizzazione avvengono da giugno a luglio seguiti da un ritardo di circa due mesi dopo il quale le nascite avvengono in dicembre.

Distribuzione e habitat[modifica | modifica wikitesto]

Questa specie è diffusa nell'Africa subsahariana, dal Senegal ad ovest fino all'Etiopia occidentale ad est e il Mozambico nord-occidentale a sud.

Vive nelle foreste pluviali di pianura, foreste ripariali, relitte, montane e savane alberate.

Tassonomia[modifica | modifica wikitesto]

Sono state riconosciute 2 sottospecie:

Conservazione[modifica | modifica wikitesto]

La IUCN Red List, considerato il vasto areale e la popolazione presumibilmente numerosa, classifica H.ruber come specie a rischio minimo (Least Concern)).[1]

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ a b c (EN) Mickleburgh, S., Hutson, A.M., Bergmans, W. & Fahr, J. 2008, Hipposideros ruber, su IUCN Red List of Threatened Species, Versione 2020.2, IUCN, 2020.
  2. ^ (EN) D.E. Wilson e D.M. Reeder, Hipposideros ruber, in Mammal Species of the World. A Taxonomic and Geographic Reference, 3ª ed., Johns Hopkins University Press, 2005, ISBN 0-8018-8221-4.
  3. ^ Happold & Happold, 2013.

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

  • Meredith & David C.D.Happold, Mammals of Africa. Volume IV-Hedgehogs, Shrews and Bats, Bloomsbury, 2013. ISBN 9781408122549

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