Discorso di Oscar Luigi Scalfaro del 3 novembre 1993

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Oscar Luigi Scalfaro

Il 3 novembre 1993 davanti ai microfoni della RAI, a reti unificate, il Presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro pronunciò un energico discorso per reagire alle insinuazioni nei propri confronti dell'ex direttore del SISDE Riccardo Malpica, arrestato nell'ambito di un'inchiesta sui fondi riservati del medesimo servizio. Malpica aveva dichiarato che quei fondi facevano parte di un "tesoretto" a disposizione dei ministri dell'Interno, di cui anche Scalfaro, quando rivestiva quella carica avrebbe beneficiato. Nel clima infuocato dell’epoca – era il periodo dell’inchiesta Mani pulite – la dichiarazione fu subito letta come un'appropriazione indebita da parte di Scalfaro, Ministro dell'Interno dell'epoca.

Scalfaro vide in quell'affermazione un tentativo finalizzato alla «lenta distruzione dello Stato» e la accomunò agli attentati della mafia che avevano insanguinato l'Italia sia nell’estate del 1992 che in quella del 1993. Reagì di conseguenza rivolgendosi alla Nazione con un discorso il cui passaggio principale comprendeva le parole «Io non ci sto!», in seguito passate ad indicare l'intero intervento[1].

Presupposti[modifica | modifica wikitesto]

Il 3 novembre 1993, in piena Tangentopoli, ben sei ministri e molti parlamentari erano stati costretti alle dimissioni per reati di corruzione a seguito di inchieste della magistratura. Nel gennaio di quell'anno il pubblico ministero romano Leonardo Frisiani, indagando sulla bancarotta dell'agenzia di viaggi Miura Travel, aveva trovato nei conti bancari di Michele Finocchi e Gerardo Di Pasquale, dirigenti dei servizi segreti l'imponente somma di quattordici miliardi di lire.

Fu poi arrestato a Monte Carlo l’altro dirigente del SISDE Maurizio Broccoletti, l'ex cassiere Antonio Galati e, infine, l’ex direttore Riccardo Malpica[2]. Questi giustificò l’esistenza di quei conti come somme a disposizione dei ministri dell'Interno, per risolvere casi di emergenza. Con l'occasione tenne a precisare che anche l'attuale Presidente della Repubblica, Oscar Luigi Scalfaro, Ministro dell'Interno per quattro anni consecutivi, avrebbe beneficiato di una «dazione» di 100 milioni al mese per gestire affari riservati[2].

Contenuti[modifica | modifica wikitesto]

Oscar Luigi Scalfaro stringe la mano alla partigiana Maddalena Cerasuolo

Stante il risentimento popolare verso la corruzione politica, il Capo dello Stato colse la carica destabilizzante delle dichiarazioni di Malpica. Vide non solo il tentativo di sotterrare la propria persona additata come indebito percettore di denaro pubblico ma lo stesso «istituto costituzionale della presidenza della Repubblica e tutti gli organi dello Stato». Così alle 22:30 del 3 novembre 1993 fece interrompere la trasmissione della partita Cagliari-Trabzonspor di Coppa UEFA per pronunciare a reti unificate un incisivo discorso della durata di sette minuti[1].

Scalfaro apparve visibilmente sdegnato di fronte alle telecamere. Parlò con tono fermo, consultando solo a tratti gli appunti che aveva con sé. Iniziò il discorso associando in un unico disegno criminoso le bombe dell'estate 1993 riconducibili alla mafia e le denunce degli uomini del Sisde a proposito di quei cento milioni al mese della suddetta "dazione".

«Prima si è tentato con le bombe ora con il più vergognoso e ignobile degli scandali. … Il grande problema che dobbiamo tutti insieme - Capo dello stato, potere legislativo, esecutivo e giudiziario - affrontare e risolvere è quello di fare giustizia nei confronti di chi ha commesso fatti gravi contro la legge, e al tempo stesso di non recare danno alla vita dello Stato e alla sua immagine nel mondo[3]

Scalfaro considera le dichiarazioni di Malpica, diffuse dalla magistratura, un «tentativo di lenta distruzione dello Stato». Non negò - tacendo - di aver avuto la disponibilità delle somme di cui trattasi: a norma della L. n. 801/1977, infatti il ministro dell'Interno, in quanto capo del Sisde, è destinatario naturale di somme per uso istituzionale. Fece allora appello a tutti gli italiani di reagire, per difendere ad oltranza gli incolpevoli e tutte le istituzioni.

«Nessuno può stare a guardare di fronte a questo tentativo di lenta distruzione dello Stato, pensando di esserne fuori. O siamo capaci di reagire, considerando reato il reato, ma difendendo a oltranza e gli innocenti e le nostre istituzioni repubblicane o condanniamo tutto il popolo e noi stessi ad assistere a questo attentato metodico, fatale alla vita e all'opera di ogni organo essenziale per la salvezza dello stato[3]

A questo punto il passaggio fondamentale del discorso, in cui il Presidente della Repubblica parla in prima persona.

«A questo gioco al massacro io non ci sto. Io sento il dovere di non starci, e di dare l'allarme. Non ci sto, non per difendere la mia persona, che può uscire di scena in ogni momento ma per tutelare con tutti gli organi dello Stato l'istituto costituzionale della presidenza della Repubblica. Il tempo che manca per le elezioni non può consumarsi nel cuocere a fuoco lento, con le persone che le rappresentano, le istituzioni dello Stato[3]

Questa dura posizione, a parere di Scalfaro, è coerente al proprio senso del dovere di difendere le istituzioni democratiche di fronte a un tentativo eversivo che definisce «premeditato». Tale definizione è al tempo stesso un’accusa alla magistratura e un fermo invito a distinguere «il male dalle malignità».

«Mio dovere primario è di non darla vinta a chi lavora allo sfascio. Lo stato democratico innanzitutto. Dunque il mio no all'insinuante e insistente tentativo di una premeditata distruzione dello Stato è un no fermo e motivato. … Diamoci una scrollata, per distinguere il male dalle malignità, dalle bassezze, dalle falsità, dalle trame di vario genere e misura[3]

Concludendo:

«Siamo a un passaggio difficile per l'Italia e per il popolo italiano. Non si affronta che con la responsabilità e il sacrificio, con l'amore per la patria. A questo siamo chiamati, a questo occorre rispondere[3]

Il messaggio fu seguito da oltre 22 milioni di persone.

Reazioni e conseguenze[modifica | modifica wikitesto]

Scalfaro passa in rassegna i reparti dell'Esercito

Il procuratore capo di Roma Vittorio Mele fu subito dalla parte del Presidente della Repubblica e, tramite il suo sostituto Pietro Saviotti, contestò agli accusatori il reato di attentato agli organi costituzionali ai sensi dell’articolo 289 del Codice penale. La motivazione dell'accusa concerneva il fatto che «gli imputati, nel tentativo di alleggerire la propria posizione chiamano in causa il ministro e gli attribuiscono un abuso che invece non ha commesso … Tutto ciò in coincidenza con le bombe di Roma, di Firenze, di Milano che possono far pensare a un ordito clima di terrore»[2].

Contemporaneamente, il ministro dell'Interno Nicola Mancino istituì una commissione d’inchiesta incaricata di verificare le accuse di Malpica, chiamando a presiederla l’ex procuratore generale della Corte d'appello di Roma, Filippo Mancuso. La relazione della commissione d’inchiesta concluse che non erano emersi illeciti nell’uso dei fondi Sisde. il 29 maggio 1994, parlando nella biblioteca del santuario mariano di Oropa, lo stesso Scalfaro dirà: «Sfido chiunque a dimostrare che abbia speso una lira fuori dai fini istituzionali»[2].

Nel 1995 Mancuso fu nominato Ministro della Giustizia ma, in seguito, fu colpito da una mozione di sfiducia individuale. Nelle ore della votazione consegnò alla stampa il testo del suo discorso comprensivo di quelle parti che non aveva voluto né leggere né consegnare al Senato. In tali parti Mancuso accusava il presidente Scalfaro di avergli chiesto di negare, nella sua relazione, di aver utilizzato i fondi del Sisde, pur nella legittimità del suo uso. Con questa denuncia — in ritardo di un anno e mezzo dal caso di cui trattasi — annullò praticamente le sue dichiarazioni ufficiali al Senato che non ebbe difficoltà a votare per le sue dimissioni[2].

Nel 1996 Malpica sostenne che non avrebbe mai parlato di sua iniziativa di quei fondi segreti se non fosse stato Broccoletti a violare il segreto di Stato consegnando ai magistrati documenti sottratti o fotocopiati abusivamente[2].

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ a b Libero Quotidiano, 29 gennaio 2012
  2. ^ a b c d e f Paolo Mieli, Scalfaro e l’attacco sui fondi Sisde. Il presidente rispose: «Non ci sto!», Corriere della Sera, 27 agosto 2018
  3. ^ a b c d e Testo del discorso

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

  • Dimitri Buffa, Sisde, parla Malpica, Editoriale Nord, 1996
  • Giorgio Caldonazzo, Paolo Fiorelli, Scalfaro, una vita da Oscar, Ferruccio Arnoldi Editore, 1996
  • Guido Dell’Aquila, Scalfaro democristiano anomalo, Passigli Editore, 2018
  • Giovanni Grasso, Scalfaro. L’uomo, il presidente, il cristiano, San Paolo, 2012.

Voci correlate[modifica | modifica wikitesto]

Collegamenti esterni[modifica | modifica wikitesto]