Vizi privati, pubbliche virtù

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Vizi privati, pubbliche virtù
Una scena del film
Titolo originaleVizi privati, pubbliche virtù
Lingua originaleitaliana
Paese di produzioneItalia, Jugoslavia
Anno1976
Durata104 min
Rapporto1,85:1
Generestorico, drammatico
RegiaMiklós Jancsó
SoggettoGiovanna Gagliardo, Miklós Jancsó (non accreditato)
SceneggiaturaGiovanna Gagliardo
ProduttoreMonica Venturini, Giancarlo Marchetti
Casa di produzioneFilmes S.p.A. (Roma), Jadran Film (Zagabria)
Distribuzione in italianoFida Cinematografica
FotografiaTomislav Pinter
MontaggioRoberto Perpignani
Effetti specialiZdravko Smojver
MusicheFrancesco de Masi
ScenografiaZěljko Senečić
CostumiMaria Paola Maino, Aldo Buti
TruccoMauro Gavazzi
Interpreti e personaggi
Doppiatori italiani

Vizi privati, pubbliche virtù è un film del 1976 diretto da Miklós Jancsó.

Trama[modifica | modifica wikitesto]

L'arciduca Rodolfo d'Asburgo, erede al trono imperiale, contesta il potere del padre Francesco Giuseppe: impossibilitato a farlo scendendo sul suo stesso terreno, il Delfino decide di mettere in questione se stesso, ridicolizzando il proprio ruolo di futuro imperatore.

Nel giardino d'una splendida residenza di campagna l'arciduca, che ha una relazione incestuosa con la sorellastra Sofia e il fratellastro, figli naturali di suo padre e della moglie d'un ministro, balla nudo al suono dell'orchestra militare, sfila la biancheria intima alla moglie addormentata mostrando alla servitù l'emblema imperiale che v'è ricamato, fa urinare la nutrice, con la quale ha un rapporto d'aperta intimità, nel cappello di paglia della donna. La moglie, l'ottusa e detestata Stéphanie, impostagli dal padre, viene fatta partire per la capitale.

L'imperatore invia un generale a riferirgli di presentarsi a corte, ma l'ufficiale viene cacciato e fatto inseguire dai cani. L'arciduca fa versare una polverina afrodisiaca nelle bevande, così le cortigiane, le duchesse e le baronesse s'abbandonano a un'interminabile danza, spogliandosi gradatamente fino a rimanere nude insieme ai ragazzi d'un circo fatto chiamare appositamente. Lo scopo è realizzare una fotografia dell'orgia da fare circolare per rendere pubblico lo scandalo. Durante il festino, l'arciduca si proclama imperatore, mentre ritratti del sovrano e maschere con l'effigie sono dileggiati e oltraggiati.

Il generale - che era il sadico istitutore dell'arciduca nel collegio militare - ritorna e vede quanto sta accadendo, ma gli amici dell'arciduca lo catturano e lo costringono a una punizione: dovrà farsi possedere da Mary, amante dell'arciduca, che l'ha proclamata imperatrice, in apparenza una bellissima ragazza, ma in realtà un ermafrodito.

La risposta del padre a tanta depravazione non si fa attendere: la villa viene presidiata da soldati e giunge un ministro, padre putativo della sorellastra e del fratellastro dell'arciduca, per un ultimo tentativo di ricondurre quest'ultimo alla ragione e salvare almeno la vita di coloro che ha riconosciuto come figli. Rodolfo, allora, comincia a percepire che la fine s'avvicina e, congedata la servitù e datosi per matto, inizia un'ultima orgia con i più intimi amici: il duca, Sofia e Mary. La nutrice l'avvisa del pericolo, ammonendolo che, seppure non veda ancora validi motivi per essere ucciso, tuttavia v'è chi è pagato per inventarne.

All'alba, cinque uomini in uniforme, al comando del generale, entrano nel cortile in cui s'è consumata l'ultima notte di piacere e sparano ai quattro ribelli, uccidendoli. Solo il corpo di Rodolfo rimane disteso assieme a quello di Mary e le loro salme vengono composte. I cadaveri dei due fratellastri vengono invece fatti sparire; un prete annuncia il suicidio dell'erede al trono che, secondo la versione ufficiale, s'è tolto la vita dopo avere ucciso la donna amata che, per ragioni di Stato, non avrebbe mai potuto sposare. Mentre viene data lettura d'un falso biglietto di commiato, il carro funebre con le salme di Rodolfo e Mary s'allontana.

Produzione[modifica | modifica wikitesto]

La pellicola fu girata in circa due mesi in un castello settecentesco di Vinica, a circa cento chilometri a nord di Zagabria (nell'allora Croazia jugoslava). Gli attori e le comparse, di varie nazionalità, recitarono ciascuno nella propria lingua e poi furono doppiati, mentre le canzoni rimasero in lingua originale. Si noti che il titolo ungherese del film (Magánbűnök, közerkölcsök) significa letteralmente "vizi privati, pubblici piaceri", ed è questo (non quello italiano) il titolo tradotto nelle edizioni straniere (per esempio quella inglese, Private vices, public pleasures).

Accoglienza[modifica | modifica wikitesto]

Critica[modifica | modifica wikitesto]

L'amore impossibile narrato nel film è una variazione dei fatti di Mayerling[1], cioè della relazione clandestina tra l'arciduca d'Austria Rodolfo d'Asburgo-Lorena - erede legittimo al trono degli Asburgo - e la sua amante, la baronessa ungherese Maria Vetsera, che si concluse con il doppio suicidio dei protagonisti e che, secondo alcune fonti (mai confermate), potrebbe essere stato invece un duplice omicidio architettato dai funzionari della corte dell'imperatore Francesco Giuseppe, padre di Rodolfo, che temevano, a causa dell'ascendente della baronessa sull'arciduca, le sue simpatie pro-ungheresi.

Il film è volutamente privo di riferimenti storici precisi, per quanto le raffigurazioni dell'imperatore rappresentino le fattezze di Francesco Giuseppe I d'Austria, e si svolge in un'atmosfera tra il reale e il fantastico.

La pellicola è per molti critici smaccatamente commerciale e d'esplicito contenuto sessuale[2], mentre per altri è un apologo sull'immoralità e sulla vita viziosa dei nobili[3].

«La solita tesi sul sesso come strumento di ribellione al potere, in un film che è parso un adeguarsi dell'autore a esigenze commerciali».[4]

Controversie[modifica | modifica wikitesto]

Fu presentato al Festival di Cannes del 1976 per l'Italia[5]; non ottenne alcun premio, ma fu oggetto di numerose polemiche[6].

In Italia il film fu sequestrato per ben due volte[3], mentre il regista e Giovanna Gagliardo, sceneggiatrice, furono processati e condannati in primo grado per oscenità[1] e poi assolti nei gradi successivi di giudizio[3]. Fra le ragioni dell'ira censoria, oltre alla ripresa esplicita di una masturbazione e di una - solo allusiva - fellatio entrambe eseguite da Laura Betti (poco meno che cinquantenne al tempo delle riprese), anche il ruolo d'ermafrodita di Thérèse-Ann Savoy e il clima d'orgia sfrenata, con abbondanza di nudità femminile ma anche maschile[3].

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ a b Laura, Luisa e Morando Morandini, Il Morandini, Zanichelli
  2. ^ Cinema del Silenzio: Storia del Cinema - Europa Orientale: il Crollo dei Regimi
  3. ^ a b c d Gordiano Lupi, Sexy Made in Italy, Profondo Rosso, 2007
  4. ^ Paolo Mereghetti, Dizionario dei film, ed. 1994.
  5. ^ festival-cannes.com
  6. ^ Giovanni Grazzini, recensione per il Corriere della Sera

Voci correlate[modifica | modifica wikitesto]

Collegamenti esterni[modifica | modifica wikitesto]