Ville e palazzi di Pavia

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Facciata del Collegio Borromeo di Pellegrino Tibaldi

Per ville e palazzi di Pavia si intendono gli edifici civili di particolare rilievo artistico della città di Pavia.

Storia[modifica | modifica wikitesto]

Città fondata in epoca romana, le prime notizie certe sulla presenza di palazzi a Pavia risalgono tuttavia al periodo in cui la città era capitale del Regno longobardo, periodo a cui risale lo scomparso palazzo Reale. Risale invece all'epoca romanica l'introduzione del laterizio come materiale da costruzione anche in edifici prestigiosi, talvolta accostato a pietre e marmi a creare contrasti cromatici[1]. In età comunale, come in molte altre città del centro-nord Italia, sorsero numerose torri, simbolo di prestigio e potere per la famiglia che avrebbe innalzato la più alta: nel massimo splendore della città il numero di torri superava secondo le cronache il numero di cento, tanto che la città sarebbe stata nominata la città delle cento torri. Oggi ne rimangono pochissimi esemplari originali, mentre la maggior parte delle torri sono state "tagliate" e inglobate in altre costruzioni[2].

All'ingresso di Pavia nel ducato di Milano risalgono invece i palazzi delle famiglie entrate nella nobiltà milanese di origine pavese, come i Beccaria, gli Arnaboldi o i Belgiojoso: Pavia fu annessa ai domini dei Visconti come seconda città più importante della Lombardia e mantenne questo ruolo anche in virtù della fondazione dell'università di Pavia, che fece diventare la città il principale polo universitario lombardo fino al XIX secolo. Proprio per questo ruolo, nel XVI secolo nella città si ebbe un certo fermento per la costruzione dei tre collegi universitari cittadini: il più celebre, il collegio Borromeo di Pellegrino Tibaldi, rappresenta un vero e proprio capolavoro dell'architettura manierista[3].

Tra il Seicento e il Settecento Pavia vede consolidarsi la tipologia dei suoi palazzi, tipicamente a due cortili con giardino, più raramente con pianta a U o a L. Sotto il dominio austriaco la città, come in gran parte della Lombardia asburgica, vede un gran fermento architettonico dovuto alle soppressioni dei conventi non dediti ad attività caritatevoli e la successiva alienazione dei beni: beni che saranno venduti dallo Stato per fare cassa o riutilizzati come edifici pubblici. Con l'avvento dell'unità d'Italia, Pavia vedrà i tipici cambiamenti dovuti all'industrializzazione come lo sviluppo della rete ferroviaria, i quartieri industriali: i cambiamenti tuttavia avvennero per la maggiore al di fuori del tracciato della antiche mura, lasciando relativamente intatto il centro storico[4].

Elenco palazzi[modifica | modifica wikitesto]

XII secolo[modifica | modifica wikitesto]

Palazzo del Broletto

XIII secolo[modifica | modifica wikitesto]

XIV secolo[modifica | modifica wikitesto]

Casa Sfondrini.

XV secolo[modifica | modifica wikitesto]

Palazzo Carminali Bottigella

XVI secolo[modifica | modifica wikitesto]

Collegio Ghisleri

XVII secolo[modifica | modifica wikitesto]

XVIII secolo[modifica | modifica wikitesto]

Palazzo Mezzabarba
Palazzo Vescovile di Pavia

XIX secolo[modifica | modifica wikitesto]

XX secolo[modifica | modifica wikitesto]

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ Coppa, p. 116.
  2. ^ Malaspina, p. 49.
  3. ^ Coppa, p. 117.
  4. ^ Coppa, pp. 118-120.

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

  • Carla Coppa, Pavia: guida, Genova, Sagep, 1997.
  • Luigi Malaspina di Sannazzaro, Guida di Pavia, Pavia, 1819.
  • Alberto Peroni, Maria Grazia Albertini Ottolenghi, Donata Vicini e Luisa Giordano, Pavia. Architetture dell’età sforzesca, Torino, Istituto Bancario San Paolo di Torino, 1978

Voci correlate[modifica | modifica wikitesto]