Utente:Zanekost/Sandbox/Chiesa dei Servi

Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
Vai alla navigazione Vai alla ricerca
Chiesa di Santa Maria dei Servi
Portale di detto del Pellegrino
StatoBandiera dell'Italia Italia
RegioneVeneto
LocalitàVenezia
Religionecattolica
TitolareMaria (madre di Gesù)
OrdineServi di Maria
DiocesiVenezia
Consacrazione1491
Sconsacrazione1810
Stile architettonicogotico
Inizio costruzione1318
Demolizione1828

La chiesa di Santa Maria dei Servi con l'annesso convento era la sede principale dell'ordine dei Servi di Maria nella Repubblica di Venezia. Situata nel sestiere di Cannaregio, nei pressi della chiesa di San Marziale e di quella di Santa Fosca. Oggi ne sopravvivono due portali nelle pareti diroccate e la cappella del Volto Santo. Terza per lunghezza fra quelle trecentesche degli ordini mendicanti nella città, fu anche la più grande e ricca di opere d'arte tra le chiese veneziane distrutte a seguito delle soppressioni napoleoniche.

«…nel medesimo tratto piu verso occidente è della beata Vergine, un notevole tempio con gran numero di servi, che così quei religiosi si nomano.»

Storia[modifica | modifica wikitesto]

Santa Maria dei Servi nella Veduta di Venezia di Jacopo de' Barbari, 1500

XIV-XVIII secolo[modifica | modifica wikitesto]

+++ Francesco da Siena mandato esplorativo 1314, raggiunto da altri nel 1316.

Giunti a Venezia nel 1314 i serviti vennero prima ospitati dai camaldolesi di San Mattia a Murano. Nel 1316 poterono istituire un proprio convento con il permesso (ottenuto il 16 giugno) di costruire un oratorio vicino a San Marziale, Si trattava probabilmente di un edificio piuttosto piccolo e semplice perché già il 26 novembre dello stesso anno vi celebrarono la prima messa. La lunga vicenda della costruzione di una maggiore chiesa iniziò invece il 24 marzo 1318 con la posa della prima pietra da parte dell'agostiniano fra' Nicolò, incaricato dal vescovo di Castello Giacomo Alberti, e la benedizione del cimitero il giorno seguente. Pare che però i pali di fondazione siano state impiantati solo nel 1330 e nel 1344 il patriarca di Aquileia Bertrando di San Genesio dovette intervenire istituendo delle indulgenze per chi avesse aiutato la costruzione del tempio[1].

Buona parte delle mura dovevano essere già posate nel 1360 quando i lucchesi poterono iniziare a costruire la loro cappella intitolata al Volto Santo, accostata alla parete meridionale della grande chiesa. Quest'oratorio fu poi consacrato ne1376 dai vescovi di Castello Giovanni Piacentini e di Equilio Pietro Natal[2].

Gli atti delle donazioni e lasciti ci rivelano che a chiesa risultasse comunque funzionante già dentro il XIV secolo, per esempio con l'esistenza dell'altare di Sant'Apollonia già nel 1368 quando tale Cristoforo della Lana dona 40 ducati per realizzare un calice e un messale e piedi del quale nel marzo seppellì il figliolo nel marzo del 1398. A questo stesso anno risale l'autorizzazione ai lucchesi per costruire un ponte all'altezza della porta del Pellegrino, posizione dovuta all'impegno di non interferire con la facciata della chiesa che si desume dovesse essere già costruita[3].

+++parallelamente continua la costruzione dl convento e della sagrestia

Più intricata tra i possibili rifacimenti è la storia delle fabbrica nel secolo successivo tanto da aver fatto supporre al Dellwing una sostanziale modifica delle dimensioni rispetto al progetto iniziale[4], un ipotesi parzialmente condivisa dallo Iacobini che legge nel prolungamento delle cappelle absidali con il catino e la cupola un «caratteristico lessico ormai già rinascimentale»[5]. Nel 1414 vennero consacrati otto altari. Nel 1453 i serviti acquistarono degli appezzamenti di terreno confinante con delle case di cui alcune bruciate per costruirvi le cappelle maggiori, lo stesso anno il cardinale Giovanni Caravagial istituiva nuove indulgenze per gli aiuti alla costruzione. Nel 1473 il cardinale Pietro Riario passò ai serviti di Venezia il priorato di Santa Caterina di Isola d'Istria con i relativi benefici. Nonostante questi aiuti risultava che la costruzione delle cappelle fosse ancora incompleta tanto che nel 1474 Sisto IV concedeva nuove indulgenze per questo scopo. Si dovette attendere il 7 novembre 1491 per la consacrazione della chiesa da parte dell'arcivescovo di Corinto Antonio Saracco. Ma evidentemente i lavori non potevano dirsi conclusi, infatti l'anno seguente Innocenzo VIII concesse ulteriori indulgenze ai benefattori. Probabilmente è alla fine dei questo XV secolo che si colloca la costruzione della cupola sopra la cappella maggiore, come documentato dal de' Barbari[6].

+++1470 osservanza 1576 reintegrazione nell'ordine

I secoli successivi sono caratterizzati dagli occasionali, e usuali nelle chiese veneziane, "ammodernamenti" e integrazioni tra cui spicca l'abbattimento del coro pensile nel 1730-1731 con lo spostamento del contenuto dei due altari sottostanti e la successiva inaugurazione di un nuovo coro dietro l'altare maggiore nel 1754[7].

È da notare che fin dai suoi secoli dalla fondazione il convento veneziano assunse una vitale importanza culturale con il suo Studium non solo all'interno dell'ordine ma anche a livello civile fornendo personaggi di estrema rilevanza fra cui culmina Paolo Sarpi[8] consultore per le questioni teologiche della repubblica. Un delicato ruolo che lo vide esprimersi in favore della Serenissima e avverso al papa durante l'interdetto del 1606. Dopo la morte del Sarpi gli successe in questa carica Fulgenzio Micanzio e fino alla fine del Settecento altri frati dello stesso convento servita si succedettero nella stesso ruolo[9].

A partire già dal Trecento, oltre alla Scuola dei Lucchesi, attorno alla chiesa si aggregarono diverse scuole piccole. Alcune con degli ambienti propri come la Scuola dell'Annunciata (1314), la Scuola di Sant'Onofrio dell'arte dei Tintori (1581)[10][11][12] – ambedue ricordate da Boschini e Zanetti per il pregio delle loro decorazioni pittoriche interne[13][14] – e la Scuola dei santi Cosma e Damiano dell'arte dei barbieri (1465)[15][16], altre soltanto adottando o costruendo un altare come la Scuola di Sant'Apollonia (1417)[17], la Scuola di San Simon da Trento (1479)[18] o la Scuola di santa Caterina da Siena (1606)[19].

Nel 1769 un furioso incendio devastò il convento distruggendo la ricca biblioteca ma risparmiando la chiesa[20]. Fu l'inizio del declino dei serviti a Venezia e nel 1787 le proprietà del convento vennero incamerate dalla Repubblica.

Regime napoleonico e soppressione[modifica | modifica wikitesto]

Al ritorno dei francesi nel 1805 la situazione del convento diventa precaria. Temporaneamente una parte delle stanze viene assegnata ad ufficiali con le relative famiglie[21], nel 1806 venne attuata l'estensione anche alle provincie venete[22] del decreto del 1805[23] comportò anche la concentrazione in questo convento dei Serviti di San Giacomo della Giudecca e di Santa Maria delle Grazie di Udine.

Tra i vari decreti solertemente applicati vi fu anche quello che riguardava libri e manoscritti dei conventi soppressi[24] e nonostante il monastero fosse ancora attivo vennero posti i sigilli alla biblioteca venne sigillata. Solo nel 1808 i priore prese il coraggio di rivolgersi all'Ispettore delle Finanze di Venezia «affinché voglia benignamente accordare la gratia che sieno tolti i sigilli (grazia già accordata ad altre Religioni) dalla libreria del monastero, onde poter far uso die libri contenuti nella medesima a vantaggio della religiosa comunità»; lo scrivente continuava ricordando che la biblioteca era stata da poco ricostituita con varia donazioni dopo l'incendio e non conteneva volumi di particolare rarità. La richiesta venne accolta con l'obbligo di provvedere alla «esatta conservazione» e di fornire un catalogo “circostanziato nel titolo dell'opera, nel numero dei volumi e del formato, et col nome degli editori et anno della stampa», catalogo che vanne prontamente consegnato entro il 17 ottobre[25].

Tuttavia la nuova situazione durò poco a causa del decreto di soppressione degli ordini religiosi del 25 aprile 1810[26] infatti il 13 giugno il notaio Giovan Filippo Maderni trasmise una nota sulla sua ispezione al convento assieme alle «chiavi della libreria, sacrestia e luogo attiguo alla medesima, nonché della cappella dei Lucchesi», locali che aveva provveduto a sigillare «a cera lava [ceralacca] coll'impronta del nostro sigillo». Il notaio aveva anche provveduto ad una stima del valore degli oggetti con la consulenza dell'argentiere Bortolo Vallotti e per i non preziosi del rigattiere Domenico Fasiol e infine aveva consegnato nella mani del «cassiere» l'argenteria[27].

la chiesa fu giudicata dall'ingegnere Giuseppe Salvadori e dal «assai vasta e troppo ampia [per essere utilizzata] anche di magazzino di troppa estensione» e quindi condannata alla demolizione la cappella del Centurione (ovvero dei lucchesi) risulta invece utilizzabile a questo scopo(2023, p.447) (fine p. 451). Questi stessi ispettori inviati dal demanio elencarono anche quanto, tra chiesa e convento, diveniva utile alla vendita censendo un totale di 1590 oggetti.[28]

Il 14 marzo 1811, Appiani e Fumagalli «delegati per la scelta de' quadri ne' Dipartimenti Cispadani» espressero la loro opzione per quattro dipinti da inviare a Brera. Si trattava della Deposizione del Bellini (allora conosciuta come opera di Rocco Marconi), delle portelle dell'altare delle Reliquie di Bonifacio de' Pitati, dell'Assunta di Giuseppe Porta e della Sacra Famiglia di Polidoro da Lanciano. L'opzione non ebbe seguito e quei dipinti rimasero a Venezia. Gli altri dipinti vennero rifiutati e destinati all'incanto[29].

++settembre 1812 furto di parte delle lastre di piombo a copertura della cupola che mette in allarme i delegati del demanio (2023 p. 453-454)

+++magazzino «assai vasta … e di troppa estensione» per essere utilizzata come magazzino (totale 1600 oggetti circa) vendite dal 1810; opzioni Appiani e ?; Edwards quadri; Morelli, Cicognara e Diedo recuperano alcuni materiali dopo il 1812 [28]

+++visita di Antonio Diedo 24 gennaio 1814 per ritirare una serie di pezzi destinati all'accademia (Schiavon 456-457)

+++28 gennaio 1814 venduti a Niccolò Brazzoduro 14 altari e 74 pietre sepolcrali,

+++la situazione non cambiò col nuovo regime asburgico (vendita, demolizione 1828)

Dall'Istituto Canal Marovich ad oggi[modifica | modifica wikitesto]

+++acquisto Canal Marovich

+++Nel 1865 l'Accademia di Venezia suggerì al Canal il restauro della cappella dei lucchesi. I preliminari del progetto prevedevano lo spostamento del portale principale della chiesa, sopravvissuto alle demolizioni sulla facciata della cappella, ipotesi invece contrastata dall'Ateneo Veneto. Nell'aprile 1866 l'Imperiale Regio Ufficio Provinciale delle Pubbliche Costruzioni di Venezia prese in carico il progetto che sarebbe stato finanziato dall'imperatore Francesco Giuseppe. Le vicende politiche successive con il passaggio dei territori veneti al Regno d'Italia di fatto bloccarono i lavori. L'istituto dal canto suo non era in grado di finanziarlo e tre il 1869 e il 1870 si dovette limitare alla costruzione di una nuova cappella addossata al retro della più antica, ma indipendente, intitolandola all'Addolorata[30] Per l'inizio di un restauro vero e proprio si dovette attendere il 1890 e 12 dicembre 1894 l'edificio fu riconsacrato e restituita al culto dal patriarca Giuseppe Sarto[31]. Nel Novecento (1960 e 1987) ebbero luogo altri successivi limitati restauri[32].

+++ recinzione di tutti gli scoperti prospicienti ai canali nel 1865 (lapide) preceduta dalla demolizione ponte pericolante sul rio di Santa Fosca[33] cappella dell'Addolorata e apertura porte sul fondo cappella lucchesi

+++Nel 1980 venne istituita una mensa dei poveri trasferita nel 2019 nell'ex convento delle Muneghette a Castello[34]

+++ Nel 1981 il resto del complesso divenne una casa dello studente con un annesso ostello[35]

Descrizione[modifica | modifica wikitesto]

Del grande tempio restano visibili soltanto i muri perimetrali a sud e ovest ridotti a circa cinque metri di altezza con i due portali; sopravvive invece l'oratorio dei lucchesi annesso alla chiesa. A est in un'area privata rimangono le basse mura degli absidi. Restano anche tre archi, ora murati del chiostro minore. Anche le raffigurazioni storiche a documentarne la struttura sono scarse, oltre alla veduta di Venezia (1500) del de' Barbari che ci mostra, da sud, un lungo edificio sormontato da una cupola, rimane soltanto l'incisione inserita da Domenico Lovisa (1690-1750) nel suo Il gran Teatro delle più insigni prospettive di Venezia, pubblicato per la prima volta nel 1709. In questa stampa è visibile lo scorcio dell'ampia facciata a capanna che prospettava sull'ampio sagrato erboso, ora chiuso da mura, compresa parte della parete nord con il campanile a vela accostato ad un'edicola cuspidata e l'antica struttura conventuale, ora fortemente ridotta. A confermare questa veduta, anche se con un'inquadratura più aperta e necessariamente più scorciata per la chiesa, esiste anche la veduta pittorica di un artista anonimo (già attribuita a Bellotto o alla bottega del Canaletto) conservata nello Raclin Murphy Museum of Art dell'università di Notre Dame[36]. Ambedue le raffigurazioni sottolineano la rilevanza della costruzione servita rispetto al tessuto urbano circostante, significativa del programma servita assimilabile a quello degli altri ordini mendicanti con le loro più grandi chiese trecentesche di San Zanipolo, dei Frari e di Santo Stefano a Venezia.

Un po' più eloquenti sono le antiche guide del Sansovino (e le relative integrazioni del Martinioni), del Boschini, del Martinelli e dello Zanetti oltre alla puntigliosa documentazione delle iscrizioni del Cicogna o i "notatori" del Gradenigo con gli incerti rilievi del Grevembroch, assieme a quel che rimane dei materiali di archivio, che costituiscono la base delle moderne ricostruzioni di quanto esisteva nel tempio prima della spoliazione.

Esterno[modifica | modifica wikitesto]

Alta facciata bordata da archetti pensili intrecciati, che proseguono sui lati, ai robusti contrafforti angolari si aggiungono le due paraste sospese su colonne binate a scandire le ampie aperture verticali di cui restano ancora ampie tracce. Le paraste terminavano leggermente più in basso ed erano coronate dai due bassorilievi di San Marco e San Pietro racchiusi in una forma a edicola. Al centro sopra il portale era un altro bassorilievo con una Madonna del manto anch'esso racchiuso in un'edicola delimitata da colonne tortili. L'identificazione dei soggetti e della loro struttura dei tre bassorilievi è possibile grazie ad alcune delle carte disegnate dal Grevembroch[37]. La composizione appariva racchiusa in una cornice mistilinea sopra cui si aprivano du più piccole finestre e un grande oculo centrale. Sopravvive il portale maggiore con l'ogiva chiusa da una trabeazione dove è incisa la memoria della consacrazione del tempio; al centro della lunetta persiste il tondo di un bassorilievo del Salvatore.

Il fianco settentrionale confinava, sovrastandolo, con il convento. Sopra questo fianco, verso a facciata, era un campanile a vela affiancato a sinistra da un edicoletta gotica vuota.

Madonna del manto, XV secolo, già nella ghimberga della porta del Pellegrino, ora sulla facciata della Scoletta dei Calegheri

Il fianco meridionale era scandito da paraste alternate ad alte finestre sopra cui si aprivano altri oculi, e qui si apre una seconda porta di accesso pubblico seguita poco dopo dalla sopravvissuta cappella dei Lucchesi. Il secondo portale, per quanto coevo all'altro, appare come l'assemblaggio di materiali di riuso. Infatti dentro la lunetta l'ogiva gotica appare un arco a tutto sesto di gusto romanico tagliato al centro per adattarlo allo spazio, nell'estradosso e nell'intradosso è ornato di girali dentro cui occhieggiano piccoli animali e frutta. Il tutto una struttura lapidea a colori alterni, secondo il gusto toscano, di pietra d'Istria e broccatello rosso. Alle due colonnine sopra gli stipiti si raccordava l'alta ghimberga, riconoscibile nella Veduta di Venezia, ornata al centro da un'altra Madonna del manto, bassorilievo spostato nell'Ottocento sulla facciata della Scuola dei Calegheri.

La cappella dei Lucchesi una, sporgenza di quasi nove metri dal corpo principale, era preceduta in facciata da un portico. Le ultime tracce di questa struttura sono rivelate da una fotografia ottocentesca che mostra una serie di archi ciechi nella parte bassa della facciata, ora completamente dissimulati dai restauri.

Interno[modifica | modifica wikitesto]

La facciata a capanna rivela la struttura interna ad aula unica, una configurazione che pare quella preferita dalla congregazione dei Servi, almeno in Veneto, ad osservare le altre loro chiese di Padova, Treviso e Verona fondate nello stesso secolo[38].

l'aula «era decorata da 17 colonne ioniche collegate da un cornicione e da archi con finte statue raffiguranti le Virtù»[39]. Al di sopra era una serie di quadri con storie dell'Antico Testamento e sotto agli archi un'altra serie di tele del primo Settecento che descrivevano episodi della vita di Filippo Benizi, da secoli venerato come beato e primo servita canonizzato nel 1671. Zanetti descrisse sommariamente il «gran fregio con molti quadri» nel 1733[40] citando alcuni artisti più noti e altri oggi sconosciuti ma nel 1771 ribadì le opere degli autori più noti definendole genericamente «miracolo d' un Santo della Religione» o «azione d'un Santo Servita» o ancora «un'azione di S. Filippo Benizi» precisandone soltanto la posizione. Quindi per quanto tutti dispersi è oggi possibile tentare una ricostruzione quantitativa del complesso: ne risulta un'opera per ciascuno di Giambattista Piazzetta[41], di Giovanni Segala[42], di Silvestro Manaigo[43], di Giuseppe Camerata[44], di Nicolò Bambini[45], di Giuseppe Valeriani[46], oltre che dei dimenticati abate Bartolomeo Ruberti e Giambattista Pitteri; ad altri artisti poi dimenticati spettavano più opere, cioè due ciscuno di Giulio Parmigiano e Cesare Ferrari, mentre tre erano di Giacomo Ganassoni.

1. Cappella dei Santi Rocco, Lorenzo e Girolamo[modifica | modifica wikitesto]

2. Cappella della Presentazione di Maria al tempio[modifica | modifica wikitesto]

3. Altare di Sant'Onofrio, già di San Nicolò (Scuola dei Tintori)[modifica | modifica wikitesto]

4. Altare di Santa Caterina da Siena (Scuola omonima)[modifica | modifica wikitesto]

5. Altare del Presepio (Corpo di Cristo)[modifica | modifica wikitesto]

6. Altare della Madonna dei miracoli (Scuola della Madonna Annunziata)[modifica | modifica wikitesto]

7. Altare di San Filippo Benizi[modifica | modifica wikitesto]

>Concadirame 1812, L. 590 + 50 per i balaustri e 140 per i gradini (2023 p.454-455, 460)

8. Altare della Santissima Trinità o delle Reliquie[modifica | modifica wikitesto]

9. Cappella Santissima Annunziata[modifica | modifica wikitesto]

Proprietà Emo

monumento Giovanni Emo, citato già dal Sansovino eillustrato dal Grevembroch, smembrato > statua «pedestre» del doge a Vicenza con una parte del sarcofago e paggi reggi scudo al Louvre

e sei quadri su tavola di pittori fiorentini (2023 p.257)

tomba di Angelo Emo di Giuseppe Torretti trasferita prima a San Martino poi in San Biagio (nel 1812 consegnato alla "Reale Marina" (2023 p. 459)

10. Altare maggiore[modifica | modifica wikitesto]

altare statue a Fratta (2023 p. 453)

pala dell'Assunta di Salviati che dopo aver sostituito l'omonima pala di Tiziano ai Frari è ora nella cappella

altri dipinti: una Crocifissione di Sebastiano Mazzoni, e un Cristo nell'orto di Lunardo Simel, un pittore tedesco attivo a Venezia nel Seicento che Boschini ricorda così «… che xe todesco sì, ma in quanto / a l’operar l’è cusì morto e spanto / a sti Pitori [veneziani], co’ xe ‘l gato al lardo»[47]

Inoltre sul retro c'era un altarolo col San Martino del Briosco prelevato dall'altare sotto il pontile demolito Richiesto da Leopoldo Cicognara e Antonio Diedo delle gallerie assieme agli atri bassorilievi del Briosco (2023 pp. 455-456) 11. Altare di San Martino

12. Cappella della Madonna Addolorata[modifica | modifica wikitesto]

statua vestita ceduta s San Marcuola nel 1810 (2023 p. 459)

13. Altare dei Sette fondatori[modifica | modifica wikitesto]

costruito dopo il 1729 con materiali della demolizione del coro pensile (v,doc.2023 p 417)

bassorilievi poi alle galleria come S. Martino

14. Altare di Santa Maria Maddalena[modifica | modifica wikitesto]

noto anche come altare di Verde dalla Scala descritto nella visita di Antonio Diedo come opera di Andrea Bergamasco «con colonne di marmo grecco [sic], un gran specchio di sopra de antico per parapetto rivestito tutto di marmi i più fini» (2023 p. 457) esistevano due iscrizioni dedicate a Verde ai lati dell'altare

15. Altare di Sant'Antonio di Padova[modifica | modifica wikitesto]

>Concadirame 1812 (2023 p. 460)

16. Altare di San Pellegrino Laziosi[modifica | modifica wikitesto]

costruito dopo il 1729 con materiali della demolizione del coro pensile (v,doc.2023 p 417)

17. Altare di Santi Cosma e Damiano (Scuola dei Barbieri)[modifica | modifica wikitesto]

18. Altare del Cristo morto (Terziarie dei Servi)[modifica | modifica wikitesto]

19. Cappella dei Santi Giovanni Battista, Francesco d’Assisi e Antonio abate[modifica | modifica wikitesto]

20. Cappella dei Santi Giovanni evangelista e Caterina d’Alessandria[modifica | modifica wikitesto]

nnG. Pulpito sul muro e sepolcro Quadrio[modifica | modifica wikitesto]

nnH. Primo coro[modifica | modifica wikitesto]

nnI. Secondo coro[modifica | modifica wikitesto]

nnL. Archi del divisorio distrutto[modifica | modifica wikitesto]

nnM. Altare di San Martino[modifica | modifica wikitesto]

nnN. Altare della Vera Croce.[modifica | modifica wikitesto]

O. Gradini delle tre cappelle principali.[modifica | modifica wikitesto]

nnP. Mausoleo Vendramin.[modifica | modifica wikitesto]

+++ rimontato a sna Zanipolo con alcune modifiche: perdita dei paggi reggi scudo (Bode Museum Berlino) e sostituzione statue Adamo (MET) ed Eva (perduta, copia a ca' Vendramin Calergi) v. rilievo Grevembroch confermato dall'incisione di Benedetto Musitelli su disegno di Giuseppe Borsato[48]

nnQ. Mausoleo Donà.[modifica | modifica wikitesto]

Il monumento funebre realizzato da Jacopo Sansovino dopo la soppressione fu salvato dalla famiglia Donà che lo rimontò nella cappella della propria villa Tron Dona' dalle Rose a Mareno di Piave

nnR. Monumento funebre Lippomano.[modifica | modifica wikitesto]

Altre indicazioni[modifica | modifica wikitesto]

A. Porta principale

B. Porta laterale

C. Porta del primo chiostro

D. Porta della Cappella dei Lucchesi

E. Porta della sagrestia

F. Porta del coro

Cappella del Volto Santo[modifica | modifica wikitesto]

+++Altare settecentesco venduto in Istria nel 1832 identificabile con quello di Albona e oggi attribuibile a Giorgio Massari o forse al suo alilevo Bernardino Maccaruzzi[49]

polemiche restauro dipinti cfr. Paoletti +

Cappella dell'Addolorata[modifica | modifica wikitesto]

Addossata al retro del Volto Santo la cappella, costruita nel 1869-1870 come ambiente indipendente per i sevizi religiosi dell'Isituto Canal-Marovich, fu messa in comunicazione con l'altra aprendo due porte simmetriche. Contiene le due statue del gruppo dell'annunciazione provengono dalla Scuola dell'Annunciata demolita nel 1872[50] e alcune altre sculture di provenienza ignota: una Pietà di Pietro Baratta, e l'Estasi di sant'Antonio nonchè il bassorilievo del Miracolo della Mula ,incastonato come predella nel piccolo altare neogotico, di Gian Maria Morlaiter,.

Addizioni[modifica | modifica wikitesto]

++ interno controsoffitto a volte [51]

+++ madonna ora ai calegheri sopra portale

+++coro a pontile (disegno Visentini) [caricare immagini][52]

+++aula unica particolarità dei Serviti almeno nel Veneto[53]

++ misure 20,86 x 75,45 metri[54] + oratorio 8,96 x 20,74 metri

+++nuovo tramezzo 1498 ++ spostamento 1562 ca coro pensile in controfacciata[55]

+++Verde della scala - madre promuove servi a Verona [56]

+++probabile presenza di una altare sopra il tramezzo [57]

+++ altare ligneo mal ridotto dei Lucchesi (1765) unica testimonianza Grevembroch intenzione di rifarlo in pietra (1768)[58]

Altre opere[modifica | modifica wikitesto]

cartagloria con lo stemma dei Servi ora nella chiesa di Sant’Eustachio a Dobrota[59]

refettorio[modifica | modifica wikitesto]

cena Veronese donata nel 1665 al re "cristianissimo" di Francia; sostituzione con tela di Zanchi (v. 2023 pp.420-421); altra Madonna col Bambino di Bonifacio venduta dai padri per necessità 1703 (422)

sagrestia[modifica | modifica wikitesto]

fregio con putti e insegna dei Servi di Giovanni Marchiori, ora a Fratta Polesine[60]

Libri[modifica | modifica wikitesto]

La biblioteca perduta con l'incendio conservava conservava migliaia di libri e opuscoli e molti codici manoscritti. Venne in qualche modo ricostituita e i documenti dei delegati governativi elencavano al momento della soppressione 3428 volumi di cui circa 632 grandi in folio, 875 in quarto e 1921 in ottavo. Nel 1812 l'abate Iacopo Morelli, incaricato dal governo di scegliere i volumi che potevano interessare la "Regia Biblioteca Marciana", potè selezionare soltanto 27 volumi seguendo l'uso di non arrivare a conservare dei doppioni. Il resto dei libri assieme ad altri considerati non pregiati o doppi e provenienti da altre biblioteche di enti religiosi soppressi (3089 dai Camaldolesi di San Mattia di Murano, 4152 dai minori riformati di San Bonaventura, 6150 dagli Scalzi, 3681 ai Cappuccini del Redentore e 1238 dai Girolamini di San Sebastiano) vennero venduti in un unico blocco il 15 settembre 1812 con quelli per 6.900 lire a tale G.S.B. Ferro[61].

messale[62]

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ Urbani 2000b, p. 109.
  2. ^ Urbani 2000b, pp. 109-110, 112.
  3. ^ Tramarin in Servi 2021, .
  4. ^ Dellwing 1990, pp. 129-130.
  5. ^ Iacobini 1994, p. 214.
  6. ^ Urbani 2000b, p.110, 112-113.
  7. ^ Urbani 2000b, p. 111.
  8. ^ Emanuele Carletti inServi 2023
  9. ^ Zorzi 1984/2, p. 234.
  10. ^ AA. VV., Arti e mestieri nella Repubblica di Venezia, Comune di Venezia, 1980, p. 33.
  11. ^ Antonio Manno, Mestieri di Venezia: storia, arte e devozione delle corporazioni dal 13º al 18º secolo, Cittadella, Biblos, 2010, p. 82.
  12. ^ Gastone Vio, Le Scuole Piccole nella Venezia dei Dogi - Note d'archivio per la storia delle confraternite veneziane, Costabissara, Angelo Colla Editore, 2004, scheda 497.
  13. ^ Boschini 1674, pp. 51-52 (Sestier di Canareggio).
  14. ^ Zanetti 1733, pp. 409-410.
  15. ^ AA. VV., Arti e mestieri nella Repubblica di Venezia, Comune di Venezia, 1980, p. 51.
  16. ^ Gastone Vio, Le Scuole Piccole nella Venezia dei Dogi - Note d'archivio per la storia delle confraternite veneziane, Costabissara, Angelo Colla Editore, 2004, scheda 495.
  17. ^ Gastone Vio, Le Scuole Piccole nella Venezia dei Dogi - Note d'archivio per la storia delle confraternite veneziane, Costabissara, Angelo Colla Editore, 2004, scheda 494.
  18. ^ Gastone Vio, Le Scuole Piccole nella Venezia dei Dogi - Note d'archivio per la storia delle confraternite veneziane, Costabissara, Angelo Colla Editore, 2004, scheda 496.
  19. ^ Gastone Vio, Le Scuole Piccole nella Venezia dei Dogi - Note d'archivio per la storia delle confraternite veneziane, Costabissara, Angelo Colla Editore, 2004, scheda 498.
  20. ^ Bassi 1997, p. 164.
  21. ^ Schiavon 2023, p. 438.
  22. ^ Decreto che estende agli Stati Veneti gli Statuti Costituzionali, la Costituzione di Lione, il Codice di Napoleone, il Concordato, il Decreto 8 giugno sull’organizzazione del Clero secolare e regolare, sull’amministrazione pubblica, e sulla divisione del territorio del Regno, il Decreto del 3 marzo sul Sistema monetario., su Bollettino delle leggi del Regno d'Italia, 1806 parte II, 9 aprile 1806, pp. 393-395.
  23. ^ Decreto sull’organizzazione del Clero secolare, regolare, e delle Monache, su Bollettino delle leggi del Regno d'Italia, 1805 Parte prima, 8 giugno 1805, pp. 123-140.
  24. ^ Decreto riguardante i manoscritti e libri de’ Conventi soppressi negli Stati ex Veneti aggregati al Regno, su Bollettino delle leggi del Regno d'Italia, 1806 Parte II, 10 giugno 1806, pp. 609-611.
  25. ^ Schiavon 2023, p. 436.
  26. ^ Decreto portante la soppressione delle compagnie, congregazioni, comunie ed associazioni ecclesiastiche, su Bollettino delle leggi del Regno d'Italia, 1810 Parte prima, 25 aprile 1810, pp. 264-267.
  27. ^ Schiavon 2023, p. 438.
  28. ^ a b Schiavon in Servi 2023
  29. ^ Zorzi 1984/2, p. 241.
  30. ^ Pavon-Cauzzi 1988, pp. 105-107.
  31. ^ Pavon-Cauzzi 1988, pp. 207-209.
  32. ^ Pavon-Cauzzi 1988, p. 209.
  33. ^ Pavon-Cauzzi 1988, p. 183.
  34. ^ Venezia: Betania, la mensa dei poveri, si trasferisce alla Tana. Il direttore della Caritas: si prosegue nella continuità, con un giorno in più di servizio, su Gente Veneta, 21 ottobre 2019. URL consultato il 7 agosto 2023.
  35. ^ Per chi cerca casa, su Cetro pastorale universitaria Venezia. URL consultato il 7 agosto 2023.
  36. ^ Bellotto Bernardo, Veduta di Venezia con la chiesa di S. Maria dei Servi a Cannaregio, su Fondazione Federico Zeri.
  37. ^ Bombardini in Servi 2023, Notizie su Santa Maria dei Servi nei manoscritti di Pietro Gradenigo
  38. ^ Urbani 2000, p. 111.
  39. ^ Pedrocco 1983, p. 105.
  40. ^ Zanetti 1733, pp. 407-408.
  41. ^ Zanetti 1771, p. 458.
  42. ^ Zanetti 1771, p. 416.
  43. ^ Zanetti 1771, p. 423.
  44. ^ Zanetti 1771, p. 422.
  45. ^ Zanetti 1771, p. 430.
  46. ^ Zanetti 1771, p. 531.
  47. ^ Boschini 1660, p. 242.
  48. ^ pubblicata in Leopoldo Cicognara, Storia della Scultura dal suo risorgimento in Italia sino al secolo di Napoleone per servire di continuazione alle opere di Winckelmann e di D’Agincourt, 1816, Venezia, tipografia Picotti, vol. II, tav. XVII.
  49. ^ Tulic 2012, pp. 114-117, 120-121.
  50. ^ Pavon-Cauzzi 1988, pp. 139-140.
  51. ^ Dorigo 2003, vol.2, p. 806.
  52. ^ Bassi 1997, p. 170.
  53. ^ Urbani 2000b, pp. 111.
  54. ^ Pavon-Cauzzi 1988
  55. ^ Baseggio in Servi 2023
  56. ^ Franco in Servi 2023
  57. ^ Baseggio e Franco inServi 2023
  58. ^ Bombardini in Servi 2023
  59. ^ Tulic 2012, p. 121.
  60. ^ Tulic 2012, pp. 111-112.
  61. ^ Alessia Giachery in Servi 2023, pp. 365, 367, 370.
  62. ^ Pedrocco 1983

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

Pubblicazioni storiche[modifica | modifica wikitesto]

  • Marco Antonio Sabellico, Del sito di Vinegia. La più antica guida di Venezia, Venezia, Venipedia, 2016 [1544].
  • Francesco Sansovino, Venetia città nobilissima et singolare descritta in XIIII libri da M. Francesco Sansovino, Venezia, Iacomo Sansovino, 1581, pp. 57-59.
  • Marco Boschini, Le ricche miniere della pittura veneziana, Venezia, Francesco Nicolini, 1674, pp. 46-51 (Sestier di Canareggio).
  • Domenico Martinelli, Il ritratto di Venezia, Venezia, Giacomo Hertz, 1684, pp. 257-263.
  • Antonio Maria Zanetti, Descrizione di tutte le pubbliche pitture della citta' di Venezia e isole circonvicine: o sia Rinnovazione delle Ricche minere di Marco Boschini, colla aggiunta di tutte le opere, che uscirono dal 1674. sino al presente 1733., Venezia, Pietro Bassaglia al segno della Salamandra, 1733, pp. 405-409.
  • Flaminio Corner, Notizie storiche delle chiese e monasteri di Venezia, e di Torcello …, Padova, Giovanni Manfrè, 1758, pp. 290-297.
  • Antonio Maria Zanetti (1706-1778), Della pittura veneziana e delle opere pubbliche de' veneziani maestri libri V, Venezia, Albrizzi, 1771.
  • Forestiere illuminato intorno le cose più rare, e curiose, antiche, e moderne della Città di Venezia, e dell'Isole circonvicine, Venezia, Giacomo Storti, 1806, pp. 197-192.
  • Emmanuele Antonio Cigogna, Delle inscrizioni veneziane raccolte ed illustrate da Emmanuele Antonio Cigogna cittadino veneto, Venezia, Giuseppe Orlandelli, 1824, vol. 1, pp. 33-106, vol. 5, pp. 598-624.
  • Giuseppe Tassini, Edifici di Venezia distrutti o volti ad altro uso diverso da quello a cui furono in origine destinati, Venezia, Giovanni Cecchini, 1885, pp. 111-112.
  • La cappella del Volto Santo in Venezia, già dei Lucchesi, ora dell'Istituto Canal ai Servi, Venezia, Tipografia Emiliana, 1894.

Pubblicazioni moderne[modifica | modifica wikitesto]

  • F. Antonio M. Vicentini dei Servi di Maria, S. Maria de' Servi in Venezia, Treviglio, Messaggi, 1920.
  • Umberto Franzoi e Dina Di Stefano, Le chiese di Venezia, Venezia, Alfieri, 1976, pp. 124-126.
  • Alvise Zorzi, Venezia scomparsa, 2ª ed., Milano, Electa, 1984 [1972], pp. 234-243 et passim.
  • Filippo Pedrocco, Il patrimonio disperso dei Servi di Maria a Venezia, in Fra’ Paolo Sarpi e i Servi di Maria a Venezia nel 750º anniversario dell'Ordine, Venezia, Alfieri, 1983, pp. 103-125.
  • Giuliano Pavon e Graziella Cauzzi, La memoria di un tempio : li Servi di San Marcilian ed il Canal-Marovich in Venezia, Venezia, Helvetia, 1988.
  • (DE) Herbert Dellwing, Die Kirchenbaukunst des späten Mittelalters in Venetien, Worms, Wernersche, 1990.
  • Antonio Iacobini, L'architettura religiosa, in Storia di Venezia – L'arte – Parte II. Il Trecento, Roma, Treccani, 1994, pp. 210-216.
  • Ennio Concina, Storia dell'architettura di Venezia dal 7º al 20º secolo, Milano, Electa, 1995, p. 84.
  • Elena Bassi, Tracce di chiese veneziane distrutte: ricostruzioni dai disegni di Antonio Visentini, Venezia, Istituto Veneto di Scienze Lettere ed arti, 1997, pp. 164-170.
  • Elena Urbani, Storia e architettura delle chiese dei Servi di santa Maria di fondazione trecentesca in area veneta: Venezia (1316), Verona (1324), Treviso (1346) e Padova (1392), in Studi storici dell’Ordine dei Servi di Maria, vol. 50, n. 63, Roma, 2000, pp. 7–140.
  • Elena Urbani, Santa Maria dei Servi, in Francesco Valcanover e Wolfgang Wolters (a cura di), L'architettura gotica veneziana - atti del Convegno internazionale di studio, Venezia, 27-29 novembre 1996, Venezia, Istituto veneto di scienze, lettere ed arti, 2000, pp. 109-113.
  • Wladimiro Dorigo, Venezia romanica : la formazione della città medioevale fino all'età gotica, vol. 2, Istituto veneto di scienze, lettere ed arti, 2003.
  • Ennio Concina, Tempo novo – Venezia e il Quattrocento, Venezia, Marsilio, 2006.
  • Jürgen Schulz (a cura di), Storia dell'architettura nel Veneto: Il gotico, Venezia, Marsilio, 2010, pp. 117-118.
  • (ITSL) Damir Tulić, Per un recupero artistico della chiesa scomparsa dei Servi a Venezia, in Zbornik za umetnostno zgodovino (Nuova serie), n. 48, Lubiana, Slovensko umetnostnozgodovinsko društvo (Slovene Art History Society), 2012, pp. 109-122.
  • (EN) Eveline Baseggio Omiccioli, Andrea Riccio’s Reliefs for the Altar of the True Cross in Santa Maria dei Servi, Venice: A Political Statement within the Sacred Walls, in Explorations in Renaissance Culture, Leida, Brill, estete inverno 2012, pp. 101-121.
  • AA. VV., La chiesa di Santa Maria dei Servi e la comunità veneziana dei Servi di Maria (secoli XIV-XIX), a cura di Eveline Baseggio, Tiziana Franco e Luca Molà, Roma, Viella, 2023.
    • in partiolare:
    • Alessandra Schiavon, Le pietre perdute di Santa Maria dei Servi, in Servi 2023, 2023, pp. 393-461.

Collegamenti esterni[modifica | modifica wikitesto]