Utente:PersOnLine/punteggiatura nell'italiano

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Segni d'interpunzione[modifica | modifica wikitesto]

Virgola[modifica | modifica wikitesto]

Punto e virgola[modifica | modifica wikitesto]

Punto fermo[modifica | modifica wikitesto]

Due punti[modifica | modifica wikitesto]

Punto interrogativo ed esclamativo[modifica | modifica wikitesto]

Il punto interrogativo (o di domanda o domandativo) (?) e il punto esclamativo (o ammirativo - in passato anche affettuoso o patetico) (!) sono spesso considerati solo delle semplici marche intonative, ma non esauriscono certamente in questo le loro funzione interpuntive, che possone essere:

  • segnalare la presenza di un intento interrogativo o esclamativo;
  • avere una funzione indicativa di nota metatestuale.

Il punto interrogativo va posto, senza dubbio, nelle interrogative dirette (Chi è?) - mentre è sbagliato il suo uso nelle interrogative indiretteDimmi chi è», si potrebbe invece scrivere: «Dimmi:chi è?») -, cioè in quelle frasi che, nel parlato, verrebbero pronunciate con una intonazione ascendente; ma, al di là della «forza illocutiva» della frase, bisogna tener conto della domanda in sé in quanto dell'atto linguistico, che, all'interno della dialettica del testo e col lettore, può divenire un espediente retorico (domanda retorica) non solo per chiedere ma anche per avanzare un dubbio, un sospetto, un suggerimento[1]. Quest'ultimi esempi, in una possibile realizzazione orale, potrebbero non essere necessariamente pronunciati con una intonazione ascendente, la quale può essere neutralizzata per via della complessità strutturale del periodo; altresì, una frase con una impostazione grammaticale di tipo interrogativo può essere resa, in particolari condizioni, con un andamento intonativo discendente[2], tipica delle esclamazioni (di particolare effetto stilistico sono, infatti, in questi casi, la presenza di un punto esclamativo[3] o anche del punto misto[2]), questo per chiarire come l'uso del punto interrogativo sia più ampio di quello che gli assegnerebbe l'essere considerato una semplice marca intonativa
Il punto esclamativo viene posto per segnalare la presente di una esclamazione, caratterizzata da un andamento intonativo discendente, ma più in generale - come attestano anche gli antichi nomi - laddove vi sia da enfatizzare la carica emotiva che accompagna l'enunciato nell'esprimere la vasta gamma d'emozioni dell'animo umano. Stilando una breve casistica dov'è solito trovate il punto esclamativo dobbiamo elencare: le grida, le imprecazioni e gli ordini (insomma tutte quelle manifestazione di voce a tono sostenuto o perentorio), le interiezioni (se a inizio frase, è facile che siano seguite da una virgola con spostamento del punto esclamativo a fine periodo, ma non è insolita anche una doppia ripresa: dopo l'interiezione e alla fine della frase). Di particolare effetto stilistico può essere la presenta delle punto esclamativo al posto di quello interrogativo
L'accostamento dei due punti dà, invece, origine quello che talvolta viene chiamato punto misto (?! o !?) - spesso stigmatizzato, ma con chiare attestazioni letterarie -, usato per indicare sorpresa, incredulità o meraviglia. Ma i punti interrogativo e soprattutto quelli esclamativi possono anche presentarsi variegatamente ripetuti (??, !!, !!!, ecc.), uso anche questo condannato ma con chiare attestazioni letterarie, seppur meno frequenti e più tipico delle scritture popolari.[4]
Sul piano ortografico, il maggior dubbio legato a questi segni di interpunzione riguarda la presenza dalla maiuscola nel proseguo della frase dopo di essi. E' bene precisare che non esiste alcuna norma in merito: sono ammesse entrambe le soluzioni a discrezione dell'autore; in linea teorica la minuscola andrebbe utilizzata se, tra il prima e dopo il segno, v'è una coesione tale, a livello logico o grammaticale, da considerare il tutto un unico discorso o, addirittura, un'unica frase («Ma che cos'era il sole? Quale giorno portava? sopra i latrati del buio», «Il figlio che le aveva sorriso, brevi primavere! che così dolcemente, appassionatamente, l'aveva carezzata, baciata[5]). Di norma non si mettono altri indicatori di pausa dopo questi segni, ma, soprattutto nella prassi letteraria[6], può capitare - come scrive Malagoli - che alcuni facciano eccezione «per l'esclamazione o la breve interrogazione [retorica] che pongono fra due virgole, quando sia collocata a guisa d'inciso nel mezzo del discorso [con funzione di segnale discorsivo]: Io non spero, ahime!, di guarire. Domani, perché no?, potresti star meglio»[7], molto più facile rimane comunque la soppressione della virgola di chiusura dell'inciso (ma anche degli stessi punti interrogativi o esclamativi) oppure la loro sostituzione con le lineette.

Inseriti tra parentesi (tonde o quadre, a seconda dell'uso) questi punti possono svolgere anche una funzione di tipo metatestuale, come una nota posta dall'autore - a commento critico di quanto precede - esprimendo un dubbio (?) o l'assurdità/erroneità (!).[8]

Parentesi[modifica | modifica wikitesto]

Le parentesi tonde ( ( ) ) o quadre ( [ ] ) sono un segno d'interpunzione doppio, nel senso che vanno usato sempre usate in coppia: una di apertura e una di chiusura; fanno eccezione alcuni usi editoriali dove, per esempio, possono essere usare nei riferimenti egli elenchi numerati, ma si tratta di usi che esulano dalla funzione interpuntiva del segno.

Le parentesi tonde vengono usate per racchiudere frasi con carattere incidentale che hanno, all'interno del testo, la funzione di aggiungere informazioni di complemento, quindi: note, commenti, spiegazioni, digressioni, esemplificazioni, ecc. Forniscono, insomma, in contemporanea, informazioni che potrebbero essere espunte per non caricare troppo il periodo o pregiudicarne la comprensione con una strutturazione troppo complessa; per questo motivo vengono "isolate" dal testo. È prassi strutturare l'esposizione discorsiva della frase come se l'inciso tra parentesi non fosse del tutto assente, tuttavia in presenza di un lunghi periodi posti fra parentesi è lecita la ripresa di un breve tratto di testo precedente se agevola la ripresa il «filo del discorso».[9]
In molti casi le parentesi sono intercambiabili con le lineette e le virgole, specie nelle subordinate, in quanto non esiste una norma che guidi alla scelta, tuttavia non si tratta di una sostituibilità assoluta, per esempio nei rimandi interni dei testi tecnici o nelle indicazione bibliografiche è d'obbligo l'uso delle parentesi.[10][11] Principalmente è la compresenza con gli altri segni d'interpunzione a guidare nella loro scelta[12] col fine della comprensibilità del frase, e l'idea che le parentesi indichino un maggiore senso di «estraneità strutturale» rispetto al resto del testo.[13][14]
Sulla posizione degli altri segni d'interpunzione, essi vanno messi fuori dalla parentesi di chiusura se riferibili al testo esterno - ricordiamo che la frase dovrebbe essere scritta anche per l'aspetto interpuntivo come se il testo fra parentesi non ci fosse -, subito prima, invece, se strettamente riconducibili alla frase interna. Per la maggior parte di quest'ultimi casi, si tratta di punti interrogativi o esclamativi, ma può anche trattarsi di un punto fermo, perché le parentesi possono isolare anche un intero periodo[15][16]; si tratta di un uso estremamente raro, preferendo generalmente fare, di questo periodo, una parentetica alla fine del precedente posta sempre tra parentesi.[16]

Le parentesi quadre hanno due distinte funzioni:

  1. Sostituire le parentesi tonde, nelle medesime funzioni, in una frase già racchiusa tra parentesi,[11] al fine di non creare confusione fra gli incisi. Si tratta, invero, di un uso decisamente raro e limitato, a cui generalmente si preferisce sopperire con l'uso delle lineette o le semplici virgole.
  2. Indicare all'interno di una citazione qualsiasi alterazione rispetto il testo originario, questo vale sia per le omissioni sia per le aggiunte. Quando in una citazione si omettono una o più parole, al loro posto si inseriscono tre puntini contenuti fra parentesi quadre ([...]); quando, invece, vi sono delle integrazioni, siano essere delle semplici note (note di redazione, le n.d.r., o il [sic!] ) o delle aggiunte (di parole, ma anche di semplici lettere all'interno della parole) o altre modificazioni (sostituzione di parole o parte di esse) volte a rendere più comprensibile il testo, qualsiasi manipolazione va segnatala mettendo tra parentesi quadre ogni frammento non originale.

Un altro possibile uso, molto particolare, di entrambi i tipi di parentesi, è quello delle parentesi endolessematiche[17], mutuato dalla filologia, dove le parentesi sono usate internamente alla parola, suggerendone una doppia lettura. È un utilizzo retorico delle parentesi che evidenzia un doppio senso, un paio d'esempi tratti da titoli di saggi linguistici sono (Situ)azione delle parentesi[18] e La [pro]posizione parentetica[19]; alle parentesi quadre viene riconosciuta preminentemente una funzione sottrattiva.

Lineetta[modifica | modifica wikitesto]

Virgolette[modifica | modifica wikitesto]

Lo stesso argomento in dettaglio: Virgolette.

Le virgolette sono un segno interpuntivo obbligatoriamente doppio, nel senso che vanno usate sempre in coppia: una in apertura e una in chiusura. Graficamente i due segni, di apertura e chiusura, possono essere uguali (″ ″), complementari (“ ”) per ragioni estetiche, o in una variante alto-basso (“ „) nell'uso manoscritto.

Conseguentemente alla loro resa grafiche si usa classificarle in alte (o apici) o basse, doppie o semplici (o singole):

  • alte e doppie: ... (o ..., o ...), dette anche inglesi;
  • alte e semplici: ... (o ..., o ...) dette anche tedesche;[20]
  • basse e doppie: «...», dette anche francesi;
  • basse e semplici: ...;

per la loro forma le virgolette basse sono anche denominate aguzze, acute o uncinate[20], o, per somiglianza ai gradi militare, caporali (o a caporale) o sergenti (o a sergente)[21]. Non esiste una norma grammaticale che vincoli o guidi all'uso di un tipo di virgolette in base alla funzione: è tutto lasciato dal gusto dell'autore o alle scelte editoriali, anche se le più utilizzate sono le doppie, particolarmente quelle basse (« ») nell'editoria; inoltre nessuna norma vieta di utilizzare differenti tipi di virgolette in uno medesimo testo con differenti funzioni[22], l'unico vincolo rimane sempre quello coerenza negli utilizzi e di uniformita di formato in apertura e in chiusa.

Gli usi delle virgolette possono essere così grossolanamente sintetizzati:

  1. racchiudere parole riportate (citazioni, dialoghi...): virgolette citazionali;
  2. evidenziare espressioni all'interno di un testo;
  3. indicare un particolare uso (con riserva) delle parole: improprio, ironico, presa di distanza...

Le virgolette citazionali vengono proprio usate delimitare i confini di una citazione, per indicare l'opera non è fonte primache di quelle parole (l'autore potrebbe fare un'autocitazione tratta da un'altra opera) o voler far intendere ciò (citare un passo da un pseudobiblium, scaricare su altri la responsabilità delle proprie parole); per le citazioni brevi [23], però, è facile frequente anche l'uso del corsivo - il quale, ovviamente, tende del tutto superflua la presenza delle virgolette.
La citazione s'intende non solo da fonti scritte ma anche verbali, le virgolette vengono infatti usate anche per riportare qualsiasi forma di discorso diretto reale o anche nella finzione, come, ad esempio, i dialoghi in un'opera narrativa; specie in quest'ultimo caso, le virgolette soffrono la concorrenza delle lineette, o meglio della lineetta essendo solo quella introduttiva. Le virgolette sono, però, l'indicatore per eccellenza delle parole non dette, cioè delle parole supposte (quelle introdotto da locuzione tipo: che voleva significare..., nel senso di...) e dei pensieri riportati sotto forma di discorso diretto, ma comunque non sono dati per pronunciati.[24]
Come uso estensivo della citazione possiamo considerare le virgolette usate per contrassegnare le parole date come realmente scritte nella realtà, concreta o immaginaria che sia, descritta dal testo (ad es.: sullo zerbino c'era scritto «Benvenuto!»). Come citazioni sui generis possono essere considerati i richiami di frasi fatte (proverbi, modi di dire, motti, ecc.) o locuzioni tipiche di una realtà e riportate in un altro contesto (ad es.: questo concetto di "ricerca del tempo perduto" si trova anche in altri tipi di espressione)[25].

Le virgolette possono essere usate anche con la funzione meri evidenziatori grafici, in parte in casi sovrapponibili ai precedenti, per attirare l'attenzione del lettore su una locuzione perché parte centrale del discorso o perché si vuole porre l'accento su di essa, ma anche per segnalare semplicemente i confini di un titolo di qualsiasi tipo (giornale, libro, opera, ecc.); in tutti questi casi è, però, facile trovare il corsivo, quando possibile, nel testo dattiloscritto, perché ritenuto graficamente meno invadente, mentre nell'uso manoscritto rimane praticamente l'unica soluzione possibile.
Riservato, invece, soltanto gli apici (' ') è la segnalazione del valore metalinguistico di una parola, si tratta, però, anche in questo caso, di una funzione che più spesso svolta dal corsivo. Affine, e anche complementare alla precedente, è l'uso di racchiudere tra apici le espressioni che designano il significato delle parole citate metalinguisticamente; ovviamente, se gli apici sono già impiegati per racchiudere la parola, il suo significato verrà racchiuso tra virgolette doppie[20].

Con le virgolette, l'autore può anche voler segnalare che le parole che usa vanno prese con riserva. Si può voler comunicare una presa di distanza dalle parole usate, o per meglio dire riportate (visto che se ne addossa implicitamente la responsabilità ad altri o genericamente all'uso comune), perché non si condividono o vengono ritenute esagerate, abnormi; le virgolette hanno praticamente lo setto valore di un distanziatore verbale (cosiddetto, sedicente, preteso, si fa per dire, per modo di dire, tra virgolette, ecc ) o di un commento d'incredulità (figuriamoci!, addirittura!)[26].
In altre occasioni si può rimarcare il valore ironico-sarcastico delle parole, come quando si usano formule eufemistiche o iperboliche, dove la mancanza del tono ironico può portare a fraintendimenti. Infine, le virgolette possono evidenziare o segnalare un uso improprio ma consapevole di un'espressione rispetto al suo significato (un slittamento semantico di una parola comune usata al posto di una più specifica) o al contesto (utilizzo di un'espressione al di fuori del proprio contesto di pertinenza: un tecnicismo in un contesto informale).
In questo ultimo gruppo di casi, l'utilizzo delle virgolette non può essere considerato obbligatorio, ma è lasciato alla discrezionalità dell'autore, il quale si trova una strumento in più per chiarire meglio il senso delle sue parole al lettore, un uso eccessivo, però, può essere visto un segno di sfiducia nelle capacità del lettore di comprendere un linguaggio figurato.

Puntini di sospensione[modifica | modifica wikitesto]

I puntini di sospensione (o di reticenza), oggi sempre in numero di tre (..., ma presso alcuni autori, per licenza, anche più numerosi[27]), sono un segno d'interpunzione dai molteplici usi, non sempre ben definibili con precisione; i principali sono:

  • indicare l'omissione in una citazione (puntini di omissione) o una ellissi
  • comunicare un senso di continuazione o di ripresa in un esempio, un dialogo, una lista, ecc.
  • indicare una pausa, ma anche un tono sospensivo, reticente o allusivo nel parlato così come nello scritto.

Nelle citazioni i puntini di omissione, racchiusi tra parentesi quadre ([...]), indicano l'omissione di parti del testo originario ritenute secondarie o superflue ai fine della citazione. I punti di omissione in posizione iniziale o finale, sempre tra parentesi, si mettono, per scrupolo, solo se l'inizio o la fine della citazione non corrispondono con quelli naturale della frase; tuttavia, per brevità, è facile che vengano omessi nelle riprese successive della citazione (specie se in corpo e se già in precedenza riportate integralmente) le parentesi o anche gli stessi puntini, i quali, però, se vengono lasciati, devono essere questa volta direttamente attaccati alla prima parola della citazione e all'ultima, per indicare l'ellissi.
L'uso dei puntini con intento ellittico si ha anche quando si evitare di mettere uno specifico termine per dare un carattere di maggiore genericità a un esempio, si vede l'esempio preso dal Prontuario di punteggiatura:

«[il trattino] mette i componenti di una coppia in rapporto analogo a quello che si stabilirebbe ricorrendo a costrutti analitici (con da...a...; tra...e; di...e).»

Anteposti a una frase - attaccati direttamente alla prima parola -, la «inseriscono [...] nel flusso di un discorso cominciato in precedenza»[28] il cui pregresso può essere reale e presente altrove, o di finzione e lasciato all'intuito del lettore. È l'espediente utilizzato nei dialoghi per comunicare un senso di una ripresa in un discorso interrotto, ma nulla vieta di usarlo anche in un paragrafo descrittivo, nel mezzo o all'inizio, o addirittura al principio assoluto di un opera, o perfino nel titolo ([Lo chiamavano Trinità] ...continuavano a chiamarlo Trinità). Ovviamente, dopo questi puntini "introduttori" non va messa la maiuscola iniziale - a meno che non ci sia un nome proprio - perché la frase è l'ideale continuazione di un discorso già iniziato.
Posposti, invece - e sempre direttamente accatti all'ultima parola -, suggeriscono un senso di continuità e prosecuzione del discorso (i cui termini vengono tralasciati: per brevità in una citazione, per non annoiare il lettore in un discorso prolisso, ecc.) o di indeterminatezza in un'enumerazione. Hanno praticamente lo stesso valore frasale di un eccetera, la cui presenza esclude, logicamente, quella dell'espediente interpuntivo.

In altri casi i puntini danno, invece, indicazione sul tono che avrebbe la frase se fosse pronunciata, aiutando a chiarirne il significato. Sono usati per indicare una sospensione sia nel parlato che nel narrato, suggerendo l'idea di un'interruzione improvvisa, di un discorso interrotto o per creare suspense; ma possono marcare anche i cambiamenti repentini del intento espositivo (caratterizzati da un procedere a singhiozzo o anacoluti), tipici degli stati di confusione, incertezza, ripensamento, turbamento, forti emozioni, ecc.; possono, altresì, indicare il rimanere letteralmente "senza parole" perché allibiti, scandalizzati, ecc.
In altri casi, invece, sono usati con vero e proprio intento ellittico per suggerire il "tacere": un tacere dovuto a reticenza (l'autore vorrebbe dire, ma non può per diverse ragioni: paura, vergogna, pudore, inopportunità) o per fini allusivi, una sorta di preterizione (il tacere è soltanto un artifizio retorico, perché il lettore viene spronato e messo nelle condizione di capire il "non detto"). Il "tacere" nasconde, in quest'ultimo caso, un esplicito invito al lettore a completare la frase, perché il proseguimento è ovvio e scontato (ad es.:come fa il detto? meglio soli che...), o il ragionamento, traendo da sé le ovvie conclusioni dal "già detto"; un tipico esempio le reticenze ironiche. Naturale estensione di sono i puntini che segnalano la presenza di una battuta di spirito, di un doppio senso, o di un gioco di parole; particolarmente frequente è questo stratagemma anche nelle definizioni enigmistiche.

Per quanto riguarda la compresenza di altri segni interpuntivi, i puntini sospensivi assorbono dentro di sé graficamente eventuali punti fermi o di abbreviazione - per questo va scritto ecc. e non *ecc... -, mentre si accompagnano tranquillamente con gli altri segni; una piccola può essere interessante per quanto riguarda i punti intonativi (esclamativo e affermativo): essi possono presentarsi sia prima che dopo - sono presenti nella tradizione letteraria italiana in entrambe le forme: ?..., ...?; !..., ...! - ovviamente con intenti comunicativi diversi.
Relativamente all'uso della maiuscola, essa va messa laddove i puntini hanno inglobato il punto fermo e quindi anche il relativo valore demarcativo.

Asterisco[modifica | modifica wikitesto]

L'asterisco è uno dei segni interpuntivi più rari: può essere usato da solo (*) o in serie di tre (***), l'utilizzo più frequente è quello di segnalare l'omissione volontaria di un dato, una parola o una frase, similmente ai puntini di reticenza; anche se, rispetto a quest'ultimi, più che di reticenza si potrebbe parlare di autocensura, poiché non lasciano un vuoto da riempire, ma sostituiscono la parola come se questa venisse cifrata; ovvero tradiscono un maggiore intento da parte dell'autore di dare l'informazione, ma ragioni di opportunità lo impediscono.
Esemplare è l'uso sistematico che ne fa il Manzoni per celare i luoghi e riferimenti geografici che potrebbero portare a una identificazione dei suoi personaggi nei Promessi sposi, dato che il romanzo viene spacciato per rifacimento di un'opera precedente di un autore sconosciuto: «Il padre Cristoforo da *** era un uomo [...]. Era figliuolo d'un mercante di *** (questi asterischi vengon tutti dalla circospezione del mio anonimo)» o «il giorno avanti, il cardinal Federigo Borromeo, arcivescovo di Milano, era arrivato a ***»

Altri utilizzi frequenti, ma più tecnici che grammaticali, sono l'uso come esponente di nota, o per marcare forme agrammaticalmente scorrette in linguistica e di ricostruzioni non documentate in etimologia.

Trattino[modifica | modifica wikitesto]

Il trattino (-), da tener ben distinto dalla lineetta, è usato con due principali funzioni:

  1. una quasi ortografica, nel segnalare l'incompletezza di una parte della parola o l'unione occasionale fra due parola;
  2. una più sintattica, nel designare diverti tipi di legame tra le parole

Ortograficamente, il trattino è richiesto in fin di riga quando si va a capo spezzando la parola - nella scrittura manoscritta si usa una specie di = - o nei suoi morfemi citati separatamente (prefissi: ri-, suffissi: -ato, infissi: -ic-; radici: radic-, desinenze: -i; ma anche singole lettere). Il trattino è, inoltre, frequente anche coi prefissoidi nei composti occasionali (socio-linguistica, maxi-tamponamento), i quali, però, possono essere scritti anche univerbati (sociolinguistica, maxitamponamento), specie se così frequenti da essere entrati a far parte dell'uso comune o da non essere avvertiti dai parlanti come somma di singoli significati.
Assieme a questi può anche essere citato l'uso del trattino come espediente per indicare una pronuncia scandita della parola: spelling o sillabazione («Vivo capisci? De-li-zi-o-sa-men-te, nell'assoluto di una pura forma astratta». Pirandello, Il piacere dell'onesta).[29]

In altri casi, invece, il trattino indica una serie di relazioni sintattiche di viario genere tra le parole cui è posto. In un gruppo molto consistente di casi, indica relazioni che altrimenti dovrebbero essere esplicitate, a seconda dei casi, coi costrutti: da... a..., tra... e..., di... e...[30], designando principalmente o un intervallo tra due (o più) estremi o un rapporto di relazione tra due (o più) soggetti. Il concetto di intervallo è da intendersi in senso veramente ampio: esso può intendersi geograficamente (la linea Massa-Senigallia; la tratta Milano-Bologna), temporalmente (la guerra del '15-18, orario di apertura: lunedì-venerdì 9-12), quantitativamente (2-3 compresse al giorno; dista venti-venticinque chilometri) ma anche cui vi siano estremi appartenenti a una qualsiasi serie (vedi p. 23-25, Iscrizione matricole A-D [può indicare la liste dove si devono iscrivere le matricole con iniziali del cognome tra A e D]). I rapporti di relazione per cui è impiegato, invece, sottintendono quasi sempre un rapporto di collaborazione/antagonismo o incontro/scontro: la legge Bossi-Fini, il derby Milan-Inter, l'Asse Roma-Berlino; talvolta la collaborazione è soltanto ideale, quando è con nomi propri per l'attribuzione della paternità di una scoperta a più persone: la costante di Eulero-Mascheroni.

Cogli aggettivi è presente nei composti per giustapposizione, dove il primo elemento è sempre declinato al maschile singolare, mentre il secondo si accorda invece col sostantivo cui sono legati: comitato tecnico-scientifico, comitati tecnico-scientifici; commissione tecnico-scientifica, commissioni tecnico-scientifiche.

Il trattino può essere presente anche in numerosi composti formati per giustapposizione tra due sostantivi, in cui le parole accostate formano tra loro legami semantici di vario tipo, coordinati (come se fossero legare da una semplice coniugazione coordinativa) o subordinati (determinato-determinatone, valore appositivo, ecc.). Si tratta per lo più di composti occasionali (il Celentano-pensiero) o recenti o derivanti da calchi dall'inglese (calcio-mercato, ascolti-record), la cui particolarità principale, però, è quella di non avere una forma grafica stabile, nel senso che sono largamente attestate, di solito, sia grafie con che senza trattino[30].

Sbrarretta[modifica | modifica wikitesto]

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ Garavelli, p. 96
  2. ^ a b Serianni, I.215-216
  3. ^ Garavelli, p. 98
  4. ^ Serianni, .217
  5. ^ Gadda, La cognizione del dolore
  6. ^ Frescaroli, p. 92
  7. ^ Malagoli, § 144
  8. ^ Garavelli, pp. 95, 98.
  9. ^ Serianni, I.236
  10. ^ Serianni, I.237
  11. ^ a b Garavelli, p.40
  12. ^ Garavelli, p. 106
  13. ^ Garavelli, p. 107
  14. ^ Frescaroli, p. 117-18
  15. ^ Roberto Lesina. Il nuovo manuale di stile. § 6.7
  16. ^ a b Malagoli, § 149
  17. ^ Garavelli, p. 108-110
  18. ^ Marello. (Situ)azione delle parentesi Carte segrete XI
  19. ^ Luca Cignetti. (Situ)azione delle parentesi. Studi di grammatica italiana, XX
  20. ^ a b c Garavelli, pp. 28-31
  21. ^ Pignolescamente, proprio per richiamo alla grado, i caporali sarebbero le virgolette semplici (‹ ›), e sergenti quelle doppie(« »)
  22. ^ Dardano e Trifone nella loro Grammatica italiana segnalano come le virgolette alte siano più usare per indicare gli usi particolari di una parole, le basse invece per i dialoghi e le citazioni, mentre gli apici per i significati (§17.11)
  23. ^ Serianni, I.228
  24. ^ Garavelli, p. 35
  25. ^ Roberto Lesina Nuovo manuale di stile Zanichelli, 1994. §3.5.2
  26. ^ Garavelli, pp. 110-12
  27. ^ Gadda, per esempio, utilizzava sempre quattro puntini.
  28. ^ Serianni, I.224
  29. ^ Serianni, I.168
  30. ^ a b Garavelli, pp. 36-40

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

Altro
  • Template:Bibliografia
  • Nicoletta Maraschio. Appunti per uno studio della punteggiatura in Studi di linguistica italiana per Giovanni Nencioni. Firente, 1981. pp. 185-209
  • Vincenzo Scherma. Sulle funzioni della punteggiatura; spunti applicativi in Orientamenti pedagogici n. XXX. 1983. pp.391-422.
  • Template:Bibliografia

Collegamenti esterni[modifica | modifica wikitesto]