Utente:Facquis/Sandbox/Agricoltura in Italia

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Storia[modifica | modifica wikitesto]

Preistoria[modifica | modifica wikitesto]

Diversi ritrovamenti archeologici mostrano che i primi insediamenti agricoli sono iniziati in Italia attorno al 5000 a.C. Gli archeologi hanno chiaramente identificato i percorsi seguiti dai primi contadini dell'Anatolia che diffusero la rivoluzione neolitica in tutto il continente europeo, in primo luogo sulla costa mediterranea e lungo il Danubio. Inizialmente giunsero in Sicilia via mare, dove fondarono villaggi agricoli affini a quelli della Mezzaluna Fertile. Più tardi, dopo aver attraversato l'arco Alpino, i contadini venuti dal Danubio, costruirono villaggi con le stesse caratteristiche di quelli del Neolitico nei Balcani, che, nello spazio di un millennio registrarono notevoli sviluppi.

Storia antica[modifica | modifica wikitesto]

Nell'età del bronzo, tutta la pianura padana fu colonizzata grazie alle cosiddette "terramare", abitazioni simili a palafitte, questi abitanti avevano perfezionato i metodi di coltivazione e di allevamento adottati nel periodo neolitico.

Nell'età del ferro, l'Italia divenne il centro della Repubblica e dell'Impero Romano. L'Oriente aveva sviluppato grandi imperi basati sulla coltivazione di cereali, principalmente frumento e orzo: Roma, che si impose al centro della penisola, ha conquistato molte delle grandi pianure del mondo allora conosciuto, assegnando a ciascuna di esse una specifica funzione in base ai suoi piani di dominazione economica e militare.

I Paesi i cui confini non sono stati minacciati da nemici potenti vennero sfruttati per alimentare la popolazione di Roma, "ventre" dell'Impero, dove centinaia di migliaia di ex-contadini guerrieri, spogliati dei loro terreni da parte dell'aristocrazia e della classe mercantile, rivendicavano il loro diritto di ricevere, come cittadini dello Stato, panem et circenses[1]. Paesi vicini ai confini minacciati, come il Reno e il Danubio, erano responsabili per la produzione del grano necessario ad alimentare le legioni accampate ai margini, come nel caso della Francia.

Per soddisfare l'alta domanda di beni alimentari proveniente dalle zone centrali dell'impero, e dalla stessa Roma, soprattutto da parte delle classi più abbienti, vennero sviluppate le prime tecniche di coltura, frutta e verdura, di allevamento, suini, ovini, pollame, a carattere pre-industriale. Analizzando le caratteristiche di questa agricoltura, progettata per soddisfare la forte domanda, sia in termini di quantità che di qualità, lo spagnolo Lucio Giunio Moderato Columella, titolare dei vigneti tra i "Castelli Romani", scrisse il primo trattato scientifico inerente alle tecniche dell'agricoltura nel mondo occidentale.

Storia medievale[modifica | modifica wikitesto]

Dopo la fine dell'Impero, e per quasi mille anni, l'agricoltura e l'economia vissero un periodo di regressione tecnologica, più vicina a quella dell'età del bronzo sia in Grecia che nelle regioni dell'Italia Romana. La produttività si ridusse, ma la popolazione rurale, abitante in piccoli villaggi sparsi in un territorio di boschi e paludi, riuscì comunque a ricavare una parte significativa del loro sostentamento da habitat naturali, come prati e paludi: carne, pesce, miele, pellicce, tessuti.

Verso la fine del Medioevo, quando si svilupparono in Europa le prime compagnie dell'artigianato e del commercio, nuovi sistemi agricoli comparvero nelle Fiandre, in Val Padana e nelle pianure minori del centro Italia. Nella Pianura Padana si è assistito allo sviluppo di un nuovo sistema di relazioni tra uomo e risorse naturali e di un'agricoltura basata sull'irrigazione. Naturalmente, in Medio Oriente, l'irrigazione ha consentito, migliaia di anni fa, un'enorme produzione di grano su un terreno che è poi divenuto deserto a causa dello sfruttamento. L'agricoltura tardo medievale italiana era basata su un allevamento particolarmente intensivo, e sulla produzione di materie tessili, frutta e verdura su larga scala.

Storia moderna[modifica | modifica wikitesto]

Favorite dall'abbondanza di cibo, le città italiane divennero l'area di maggiore esportazione di tutti i prodotti più ricercati del momento: lana, armi, vetro, formaggio di una qualità inimitabile, e in grado di conservarsi per lunghi periodi. Purtroppo questa straordinaria ricchezza delle città italiane, non vennero adeguatamente protette da una forza politica e militare proporzionate alla loro opulenza, per cui stimolò l'invidia delle due maggiori potenze dell'epoca, Francia e Spagna, che inviarono i loro eserciti. Per due secoli, i campi fertili della penisola, trasformarono uno dei più ricchi paesi del continente in una terra di miseria economica e civile, di cui le cronache del Seicento ci portano testimonianza.

Durante l'Illuminismo, l'agricoltura lombarda riprese la sua crescita aumentando la ricchezza delle campagne che circondavano Milano, con prodotti quali formaggio[2] e seta, rendendo questa città una delle più ricche in Europa, divenendo una delle grandi capitali culturali di questo straordinario periodo della storia europea.

Storia contemporanea[modifica | modifica wikitesto]

Il XIX secolo fu il periodo del "Risorgimento", un movimento al quale le classi contadine non presero parte. Questo movimento si tradusse in una forma di governo in cui i proprietari terrieri, i beneficiari di un'agricoltura arretrata, erano maggioranza, per cui colsero l'occasione per sfruttare a proprio vantaggio la condizione della classe contadina per rafforzare i propri privilegi. Alla fine del secolo, possiamo dire che scaricare i costi della crisi agraria sui coltivatori fu l'unica preoccupazione dei primi parlamenti unitari.

Il periodo straordinario che inizia alla fine del secolo, con i governi di Giovanni Giolitti, aprirono l'Italia a nuovi orizzonti di progresso economico e sociale, progresso interrotto troppo presto dalla Grande Guerra e seguito da un lungo periodo di stagnazione politica. Questo convinse le sempre potenti famiglie dei grandi proprietari terrieri a far ricorso al fascismo, con una politica agricola mirata ad aumentare la produzione di grano per fornire l'energia necessaria alla risurrezione degli splendori dell'antica Roma. Tutti gli altri aspetti del progresso agricolo vennero completamente ignorati.

Alla fine della seconda guerra mondiale, la produzione alimentare nel paese non poteva contare che su un'agricoltura più arretrata, ostacolata anche dai danni prodotti dalla guerra. In quel periodo divenne ministro dell'agricoltura Giuseppe Medici, celebre agronomo e uomo di stato di caratura internazionale. Anche grazie ai suoi interventi, l'Italia fu il primo paese ad ospitare una conferenza internazionale di ricercatori agricoli, conferenza che consentì la creazione di collegamenti tra programmi di ricerca in grado di aumentare le interazioni e gli scambi, al fine di aumentare l'efficienza produttiva in agricoltura.

Giuseppe Medici, più volte ministro dell'agricoltura

Nei trent' anni che seguirono la guerra si ebbe la nascita, nella nostra penisola, di una generazione di grandi agronomi, scienziati impegnati sul territorio al di fuori dei tradizionali schemi. In Europa vennero completamente rinnovate le tecniche agricole e create le prime imprese di allevamento di bestiame sul modello americano, basato sulla coltura del granturco ibrido, si delineò un quadro produttivo completamente nuovo nel settore della frutta e della viticoltura, che sarà poi in grado di competere, nei decenni successivi, con l'agricoltura francese.

Questa "età dell'oro" termina bruscamente nel 1980: i radicali cambiamenti della politica agricola della Comunità europea furono il primo colpo. Successivamente, scomparsa la metà dei terreni agricoli, abbandonati a causa della cementificazione, si ridusse notevolmente il potenziale produttivo di una delle pianure più fertili del continente. Più di recente, il movimento ambientalista, il più radicale in Europa, chiese alla classe politica la fine della ricerca agricola all'avanguardia. L'Italia si ritrova costretta a produrre su una superficie ridotta, con mezzi sempre più obsoleti. A Roma, il dibattito sul futuro dell'agricoltura nazionale si rese confuso e incomprensibile.[3]

Dati[modifica | modifica wikitesto]

Lavoro e superficie agricola nel 1970 e 1982. La tavola fa parte dell'Atlante Tematico realizzato dall'Ufficio Cartografico del TCI con il CNR - Consiglio Nazionale delle Ricerche (1989-1992).[4]
Lavoro e aziende agricole nel 1970 e 1982: giornate di lavoro per azienda e (in basso) tipi di manodopera.[4]
Agricoltura in Italia nel 1990. A sinistra: lavoro famigliare. A destra: produttività giornaliera. In basso: produttività giornaliera per prodotto.[4]
Occupazione agricola 1951-1981 (sinistra). Superficie agricola 1948-1982 (destra). Produttività per azienda (in basso).[4]

Di seguito sono riportati i dati relativi alla superficie (in ettari) delle aziende agricole per le regioni italiane.[5]

Territorio 1999 2003 2005 2007
Piemonte 1.533.894 1.467.267 1.459.843 1.403.893
Valle D'Aosta 135.927 127.458 159.842 147.741
Lombardia 1.392.331 1.235.447 1.355.039 1.258.471
Liguria 184.884 138.509 153.851 135.065
Trentino Alto Adige 999.714 991.674 987.294 983.005
Bolzano - Bozen 558.442 551.503 554.969 549.966
Trento 441.272 440.170 432.325 433.039
Veneto 1.067.788 1.171.604 1.170.343 1.121.386
Friuli Venezia Giulia 386.922 299.603 392.692 361.868
Emilia Romagna 1.576.967 1.368.911 1.440.156 1.340.654
Toscana 1.664.674 1.495.329 1.543.548 1.458.301
Umbria 588.372 634.615 622.100 585.144
Marche 818.809 686.552 694.702 671.481
Lazio 1.128.164 1.024.701 1.020.391 940.447
Abruzzo 753.945 623.341 640.545 657.272
Molise 316.797 261.876 281.762 265.463
Campania 839.235 769.198 822.277 777.493
Puglia 1.547.972 1.377.721 1.342.587 1.317.444
Basilicata 748.278 702.417 694.127 715.784
Calabria 837.877 781.893 822.403 757.943
Sicilia 1.739.829 1.459.612 1.426.513 1.415.233
Sardegna 1.901.397 1.614.842 1.586.844 1.527.457
Nord-Ovest 3.247.036 2.968.681 3.128.575 2.945.170
Nord-Est 4.031.391 3.831.791 3.990.485 3.806.913
Centro 4.200.019 3.841.197 3.880.742 3.655.373
Sud 5.044.104 4.516.447 4.603.701 4.491.399
Isole 3.641.226 3.074.455 3.013.356 2.942.690
Italia 20.163.776 18.232.570 18.616.859 17.841.544

Agricoltura[modifica | modifica wikitesto]

L'ente nazionale che si occupava della gestione dell'agricoltura in generale era la Federconsorzi, fino al 1991.

La superficie agricola italiana è pari a 17,8 milioni di ettari, di cui 12,7 utilizzati. La superficie agricola utilizzata si concentra soprattutto nel Mezzogiorno (45,7%). Da notare che il 10% della manodopera agricola è straniera[6].

Nel 2010 il valore complessivo della produzione agricola era pari 48,9 miliardi di euro. Per quanto riguarda la produzione vegetale, che incide per 25,1 miliardi, i maggiori prodotti in termini di valore sono stati il vino (1803 milioni di euro), il granoturco (1434), l'olio (1398) e i pomodori (910). Per quantità prodotte, invece, i prodotti principali dell'agricoltura italiana sono il granoturco (84 milioni di quintali), i pomodori (66), il frumento duro (38) e l'uva da vino (35)[6].

Al 2016 il fatturato del settore agroalimentare (comprensivo di Selvicoltura, pesca e Bevande) è stato stimato al valore dei 130 miliardi di euro, occupando circa 385.000 persone e confermandosi in linea con i dati tendenziali del quadriennio precedente[7][8]. Il fatturato aggregato delle imprese di settore al 2017 si attesta intorno ai 135 miliardi di euro[7][9].

Problemi[modifica | modifica wikitesto]

Fattori naturali[modifica | modifica wikitesto]

L'agricoltura italiana è penalizzata da diversi fattori ambientali; se non ci fossero questi ultimi, le attività agricole potrebbero avere una maggiore produttività[11].

Nome Descrizione
Morfologia del suolo Essendo il territorio italiano costituito solo dal 23% di pianure, risulta difficoltoso nei campi italiani l'impiego di mezzi meccanici motorizzati e dei trasporti dei prodotti agricoli. Anche se alcune colture sono possibili in montagna, queste ultime rendono di meno rispetto alle stesse in pianura.[11]
Composizione dei suoli In montagna, dove è possibile praticare l'agricoltura, i suoli sono generalmente poveri di sali minerali e di humus.

Anche la terra rossa, tipica delle doline e delle zone carsiche, e la zona ciottolosa dell'alta pianura padano-veneta, sono poco fertili.

Scarsi, di fatto, i terreni naturalmente fertili:

  • quelli situati nella bassa Padania e nelle altre pianure alluvionali
  • quelli di origine vulcanica, come la pianura campana e la piana di Catania[11]
Clima Talvolta, le colture nelle zone litoranee possono essere danneggiate dai venti marini.

Nelle zone montane più elevate, alcune colture non sono possibili e il freddo riduce la durata del ciclo vegetativo.

Nella penisola e nelle isole, la scarsità di piogge è presente nei periodi più caldi, da maggio a settembre, proprio quando le piogge rivestono notevole importanza per le colture arboree ed erbacee. Al sud, come se non bastasse, le elevate temperature fanno evaporare più rapidamente l'acqua, riducendo o addiriturra annullando tutti i vantaggi riportati dalle piogge.[11]

Corsi d'acqua Nelle regioni centro-meridionali e nelle isole, i corsi d'acqua scarseggiano e, se sono presenti, di solito hanno un regime torrentizio. L'agricoltura, spesso, si attinge dai corsi d'acqua per irrigare i campi.[11]
Cambiamenti climatici negli anni 2010 Infine, negli anni 2010 l'agricoltura italiana è stata danneggiata dai cambiamenti climatici. Infatti, questi ultimi hanno causato a tale attività agricola danni per 14 miliardi di euro, per via dell'alternarsi dei fenomeni estremi, come lunghi periodi di siccità o violente ondate di maltempo, che hanno arrecato gravi danni alle colture.[12]
Agricoltura di sussistenza[modifica | modifica wikitesto]

In molte regioni italiane si pratica ancora l'agricoltura di sussistenza: nel Molise, ad esempio, dove i terreni sono montuosi, collinari e aridi, l'agricoltura è generalmente organizzata in aziende di modeste dimensioni, pertanto quest'attività agricola è scarsamente meccanizzata e razionalizzata.[13]

Allevamento[modifica | modifica wikitesto]

Nel comparto della produzione di origine animale spiccano latte di vacca e di bufala (4.040 milioni di euro per 11.200 migliaia di tonnellate), carni bovine (3.109 e 1.409 rispettivamente), carni suine (2.459 e 2.058) e pollame (2.229 e 1.645)[6].

I bovini risultato il punto debole dell'allevamento italiano, mentre è stabile quello degli ovini e dei caprini ed è in espansione quello dei suini, dei conigli e del pollame[14].

Variazione della produzione di carni e derivati in Italia dal 1960 al 1985[10]

Pesca[modifica | modifica wikitesto]

La produzione complessiva della pesca marittima e lagunare, comprensiva di crostacei e molluschi, si attesta nel 2010 a 2.247 milioni di euro[6].

Distribuzione delle imbarcazioni da pesca (a sinistra) e distribuzione della produzione (a destra) in Italia nel 1988.[10]

Auto-approvvigionamento agro-alimentare[modifica | modifica wikitesto]

L'Italia, purtroppo, non è autosufficiente nel settore agroalimentare: infatti, nonostante la diversità dei prodotti agricoli coltivati da essa, la bilancia commerciale agroalimentare è in perdita dal 1970.[15] Comunque il saldo negativo della bilancia agroalimentare ha mostrato un sensibile miglioramento nel periodo 2007-2011 (-11,3%), dovuto più al miglioramento del saldo negativo della bilancia dell'industria alimentare (-4,2%) che non al peggioramento di quello del settore agricolo (+28,1%)[16]. Inoltre il saldo negativo della bilancia agroalimentare, dovute a cause strutturali, diminuisce in fasi recessive e aumenta in fasi espansive.[16] Solo nel 2021 questo problema sembra risolto, dal momento che nei primi sei mesi di quell'anno le esportazioni sono state di 24,81 miliardi di euro, a fronte di 22,95 miliardi per le importazioni.[17]

Percentuali del fabbisogno agroalimentare coperto dalla produzione nazionale[modifica | modifica wikitesto]

Anni 1990
1991 1992 1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 Media anni 1991-1999
Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali su dati ISTAT[18] 89% 91% 92% 91% 88% 88% 86% 86% 87% 88,7%

Anni 2000

2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 Media anni 2000
Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali su dati ISTAT[18] 87% 85% 82% 80% 83% 85% 82% 83% 85% 81% 83,6%

Anni 2010

2010 2011 2012 2013 2014 2015 Media anni 2010-2015
Centro Studi Confagricoltura su dati ISMEA[19] - - 83% 83% 76% 78% vedi sotto
Coldiretti[20] - - 75% - - - vedi sotto
Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali su dati ISTAT[18] 79% 82% - - - - vedi sotto
Media fra questi valori 79% 82% 79% 83% 76% 78% 79,5%

Legenda:

  • In rosso gli anni nei quali la produzione copre almeno il 50%, ma meno dell'80%, delle richieste interne
  • In giallo gli anni nei quali la produzione copre almeno l'80%, ma meno del 100%, delle richieste interne

Dettagli per prodotto agricolo[modifica | modifica wikitesto]

Gli unici prodotti agricoli che sono risultati sufficienti ai consumi interni sono:

  • riso, pomodoro nel 2012-2013[15][21][22]
  • agrumi dal 2012 al 2016 secondo il rapporto del Centro Studi Confagricoltura[23] (secondo un rapporto Coop, però, hanno coperto il 98% del fabbisogno nel 2013[15])
  • frutta fresca dal 2012 al 2016 secondo il rapporto del Centro Studi Confagricoltura[23]
  • vino dal 2012 al 2015 secondo il rapporto del Centro Studi Confagricoltura, mancano i dati del 2016[23]

Non sempre gli ortaggi sono stati sufficienti al fabbisogno interno, secondo il rapporto del Centro Studi Confagricoltura: hanno coperto infatti il 98% del fabbisogno nel 2013 e il 99% nel 2015; mentre nel 2012 e nel 2014 erano appena sufficienti e nel 2016 poco più che sufficienti.[23]

Tutti gli altri prodotti agroalimentari devono essere importati, ad esempio:

2012 2013 2014 2015 Note
grano duro 76%[23] 65%[15]-73%[23] 62%[23] 70%[23] importato da Canada, Stati Uniti, Sudamerica[15]
grano tenero 44%[23] 38%[15]-45%[23] 40%[23] 39%[23] importato da Canada, Francia, Australia, Messico, Turchia[15]
mais 75%[23] 67%[23]-81%[15] 67%[23] 66%[23]
orzo 66%[23] 56%[15]-59%[23] 58%[23] 60%[23]
soia 27%[23] 32%[23] 41%[23] 54%[23]

Complessivamente nel 2012 l'Italia ha importato circa 11 milioni di tonnellate di cereali su circa 17 milioni di tonnellate richieste dal fabbisogno cerealicolo italiano.[24]

Altri prodotti agroalimentari insufficienti alle richieste interne sono:

2012 2013 2014 2015 2016 Note
frutta in guscio 59%[23] 48%[23] 54%[23] 49%[23] 47%[23]
girasole 49%[23] 54%[23] 60%[23] 62%[23]
legumi 33%[21] insufficiente[15] n.d. importati principalmente da Stati Uniti, Canada, Messico, Argentina, Medio Oriente e Cina. Causa: drastica riduzione delle relative coltivazioni a partire dagli anni '50[15]
olio di oliva e sansa 77%[23] 74%[15]-78%[23] 76%[23] 38%[23] 86%[23] nonostante l'Italia ne è stato il secondo produttore mondiale ed europeo dopo la Spagna nel periodo 2004-2005, comunque il maggior consumatore mondiale nel 2003[25]
patate 69%[21] 80%[15] 92% (+15% YoY)[26] Al 2014 la produzione è di 15 milioni di quintali di patate, mentre la richiesta è di 20 milioni di quintali.[26]
zucchero 34%[21] 24%[15] importato soprattutto dal Brasile[15]

Auto-approvvigionamento da parte dell'allevamento[modifica | modifica wikitesto]

Insufficienti al fabbisogno interno, in generale, sono anche i prodotti dell'allevamento.[27] Questa è la tabella delle percentuali del fabbisogno coperto dalla produzione nazionale.

Fonti:

2012 2013 2014 2015 2016 Media anni 2012-2016
Burro 70% [28] - - - - 70%
Carni 72% [21] - - - - 72%
Carni avicole 108% [19] 108% [19] 107% [19] 107% [19] 110% [19] 108%
Carne bovina - 76% [15] 53% [19] 54% [19] 55% [19] 59,5%
Carni ovicaprine - - 22% [19] 35% [19] 31% [19] 29,3%
Carne di pollame - 108% [15] - - - 108%
Carni suine e salumi - - 58% [19] 61% [19] 64% [19] 61%
Formaggi 86% [28] - - - - 86%
Formaggi duri - 134% [15] - - - 134%
Latte 64% [21] 44% [15] - - - 54%
Latte bovino e derivati 68% [19] 69% [19] 70% [19] 71% [19] 76% [19] 70,8%
Miele 64% [28] - - - - 64%
Uova 101%[21] 100% [15] - - - 100,5%

Legenda:

  • In rosso scuro i prodotti la cui produzione copre meno del 50% delle richieste interne in un determinato anno
  • In rosso i prodotti la cui produzione copre almeno il 50%, ma meno dell'80%, delle richieste interne in un determinato anno
  • In giallo i prodotti la cui produzione copre almeno l'80%, ma meno del 100%, delle richieste interne in un determinato anno
  • In verde i prodotti la cui produzione raggiunge o eccede le richieste interne in un determinato anno

Cause del problema[modifica | modifica wikitesto]

Oltre ai problemi già discussi, quelli che riducono la produttività dei campi, abbiamo altre cause dell'insufficienza agro-alimentare in Italia.

Nome Dettagli
Deficit di suolo agricolo dovuto al progressivo abbandono e alla cementificazione[29] Nel 2012 l'Italia aveva bisogno di 61 milioni di ettari di terreno agricolo utilizzato per coprire i consumi della propria popolazione, mentre la superficie di tale terreno superava all'epoca di poco i 12 milioni.[30]

Secondo i dati raccolti da Coop, la superficie coltivabile è diminuita da 18 milioni di ettari nel 1970 a 13 milioni di ettari nel 2013, al contrario della popolazione, cresciuta invece del 10%[15].

Questa è la causa principale di questo problema.

Sprechi alimentari In Italia vengono sprecati in media 149 kg/pro capite all'anno di cibo, con una perdita di circa 450 euro all'anno per famiglia.

Secondo il Barilla Center for Food and Nutrition, vengono sprecati dai 10 ai 20 milioni di tonnellate di cibo per un valore di circa 37 miliardi di euro.

Secondo la Coldiretti, tutto il cibo sprecato servirebbe a sfamare 44 milioni di persone, circa tre quarti di tutta la popolazione italiana.

Inoltre, il cibo sprecato contribuisce a sprecare acqua, terra e fertilizzanti necessari a riprodurre il cibo.[31]

Politiche restrittive dell'Unione Europea[15] Sono stabilite specifiche quote di produzione per determinati prodotti (vedasi le quote latte o quella delle arance in Sicilia).

Auto-approvvigionamento agro-alimentare a livello regionale[modifica | modifica wikitesto]

Come è facile capire, ci sono regioni italiane la cui agricoltura non è in grado di soddisfare le richieste interne.

La Lombardia, ad esempio, nel 2012 è stata in grado di soddisfare solo per il 60% il fabbisogno agro-alimentare interno[32], mentre la Sardegna è costretta ad importare i 2/3 delle derrate agro-alimentari consumate.[senza fonte]

Per contro il Molise, nonostante l'agricoltura di sussistenza, riesce generalmente a soddisfare il fabbisogno agro-alimentare interno, anche se solo una piccola parte dei prodotti agro-alimentari viene esportata.[33]

Auto-approvvigionamento da parte della pesca[modifica | modifica wikitesto]

Nemmeno il pescato italiano è sufficiente alle richieste interne. Secondo un rapporto targato Coop del 2013, infatti, il pesce lavorato ha coperto solo il 16% del fabbisogno interno, mentre il pesce congelato ha coperto solo il 41% del fabbisogno interno.[15]

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ Trad.Lat.:"Pane e giochi del circo"
  2. ^ Economia casearia, Lombardia ‘700, entità esportazioni, Antonio Saltini, Storia delle Scienze agrarie vol. III, 85,
  3. ^ Si riportano i contributi pubblicati su Wikisource di Antonio Saltini professore di storia dell'agricoltura presso l'Università degli Studi di Milano. Questo specialista ha pubblicato una storia di Scienze Agrarie occidentale per 2500 anni, in 7 volumi, in corso di traduzione in inglese.
  4. ^ a b c d e f g h La tavola fa parte dell'Atlante Tematico d'Italia, realizzato dall'Ufficio Cartografico del Touring Club Italiano con il CNR - Consiglio Nazionale delle Ricerche (1989-1992)
  5. ^ Istat: Monitoraggio della struttura aziendale e della sua evoluzione nel tempo attraverso la rilevazione di caratteri riguardanti le superfici dedicate alle diverse coltivazioni, le dimensioni degli allevamenti, la forma organizzativa, i rapporti dell'azienda con il mercato, ecc..
  6. ^ a b c d Copia archiviata (PDF), su inea.it. URL consultato il 7 giugno 2012 (archiviato dall'url originale il 30 ottobre 2012).
  7. ^ a b Scheda di sintesi del settore agroalimentare, su infomercatiesteri.it. URL consultato l'8 gennaio 2019 (archiviato l'8 gennaio 2019).
  8. ^ Industria alimentare, su mise.gov.it. URL consultato l'8 gennaio 2019 (archiviato l'11 gennaio 2016).
    «L’industria agroalimentare è il secondo settore manifatturiero nazionale. Con 132 miliardi di euro di fatturato, copre il 13% della produzione industriale nazionale.»
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Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

https://www.storiaagricoltura.it/