Utente:Arasmuseo/Sandbox2

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Voce principale: Magliano Sabina.

Questa voce riguarda la storia del paese di Magliano Sabina in base a ritrovamenti archeologici dalla preistoria fino alla conquista romana con particolare attenzione per la nascita e lo sviluppo degli insediamenti e la cultura sabina.


Storia[modifica | modifica wikitesto]

Il paese è dislocato sul confine tra Lazio ed Umbria si trova ai confini con la provincia di Terni e la provincia di Viterbo. Il centro abitato sorge a 222 metri di altitudine su una collina che domina la Valle del Tevere e proprio grazie alla posizione sul Tevere che si sviluppò concretizzandosi la cultura sabina tra l'epoca orientalizzante (VII sec. a.C.) fino al VI-III sec. a.C. ovvero fino a quando non fu sovrastata dalla cultura falisca che veicolò la conquista romana (290 a.C.)[1][2]
Le attestazioni della persenza dell'uomo in questa area territoriale risalgono a ben prima dell'epoca pre-romana e sono conservate presso il Museo Archeologico di Magliano Sabina. Il recupero delle informazioni è avvenuto attraverso studi archeologici svoltisi nel corso di decenni in seguito ad ogni tipo di intervento eseguito sul territorio,sia agricolo sia di servizio, da alcuni appassionati locali riunitisi in un gruppo di ricerca il cui scopo era quello di salvare e conservare memorie del passato del territorio.

Preistoria[modifica | modifica wikitesto]

Le prime attestazioni di frequentazioni della zona risalgono al paleolitico superiore e medio. Dagli studi effettuati sembra che alle origini il territorio fosse ricoperto dal mare, successivamente da un lago, detto Tiberino. Nel Pliocene emersero le colline attuali[3], dove ossidiane e selci lavorate indicano la comparsa dell'uomo[4] I principali rinvenimenti sono avvenuti a Grappignano, Colli Oti, Macchia Grande e, dalle varie ricognizioni, sia raccolte di superficie sia ricognizioni programmate, è emersa un'ingente collezione raccolta nel territorio di Magliano Sabina che permette di illustrare la panoramica della produzione litica di questa area geografica essenzialmente costituita dai terrazzi che si affacciano sul Tevere.[5]
Poichè l'area è di rilevanza archeologica, è stata inserita nel quadro delle ricognizioni sistematiche condotte dalla Regione Lazio verso la metà degli anni ottanta sul territorio dei vari comuni della Sabina tiberina e questi ritrovamenti sono stati importanti per la conoscenza e per lo studio del Paleolitico in Sabina.[6] Queste ricognizioni territoriali, cui si è affiancato il programma di catalogazione e documentazione delle collezioni dei musei civici voluto dalla Direzione Regionale Cultura, hanno permesso una lettura più puntuale dell’organizzazione territoriale in Sabina in questa prima fase di vita dell’umanità.[7].


Protostoria[modifica | modifica wikitesto]

Età del Bronzo[modifica | modifica wikitesto]

Con l'espressione preistoria e protostoria si indica quella parte della storia d'Italia che parte dal Paleolitico fino ad arrivare all'età del ferro, periodo nel quale iniziano ad apparire i primi documenti scritti. L'età del Bronzo dell'area della Sabina Tiberina non fa eccezione anche se lo schema degli insiediamenti nell'età del Bronzo è più complessa: i ritrovamenti a Moje- Santa Cristina e a Castellano (Bronzo medio) a Fontanelle, Maglianello e Collicello, centro sabino di Magliano (Bronzo finale), dimostrano che la valle tiberina e le vie naturali che collegavano le zone interne e i connessi percorsi di transumanza,sono state fondamentali nelle scelte insediative.[8]pp.13-16

  • Bronzo antico e medio .

Le testimonianze della situazione durante il primo periodo del Bronzo provengono da piccoli insediamenti, localizzati su terrazzi di montagna (Le Cese, Tancia) o collina (Moje di Castellano, San Salvatore, Vignale) o su piccolo pianoro (Poggio Sommavilla) o altura (Caprignano)[9]. Il sito di Moje di Castellano, che è stato individuato su un terrazzo posto sul fianco di una dorsale a breve distanza da una sorgente e da un corso d’acqua, fornisce maggiori informazioni perché agli alla fine degli anni 80 del 900, è stato oggetto di una raccolta di superficie mirata.
Altri siti da cui proviene una documentazione degna di nota sono quelli di Tancia e Caprignano.
La cultura materiale, rappresentata dai frammenti studiati, mostra che la Sabina in questa epoca rientra nella facies archeologica dell’area medio-tirrenica definita di Grotta Nuova, diffusa dalla Toscana al Lazio centro meridionale.
L'attento studio dei materiali raccolti fa presumere che provengano da contesti insediativi; l’esiguità dei dati, però, non consente di fare ipotesi sulle modalità di occupazione del territorio e sulle connotazioni socio-culturali delle comunità che lo abitavano. Si può ad ogni modo affermare che questa area geografica riveste una notevole importanza nel quadro delle comunicazioni tra territori interni e la valle del Tevere, in relazione soprattutto alle vie di transumanza.

  • Bronzo recente e finale .

Il popolamento del territorio mostra la presenza di villaggi di maggiori dimensioni rispetto all’epoca precedente: una costante sembra quella dell’occupazione di siti che rivestono una funzione strategica di controllo del territorio. Nei casi di Monte S. Martino e Monte Calvo è evidente trattandosi di rilievi dominanti ampie porzioni di territorio e probabilmente anche di punti obbligati di transito.
Per l’evoluzione storica successiva l’attenzione va focalizzata sui rinvenimenti di Maglianello e Fontanelle, situati all’interno dell’attuale centro di Magliano Sabina e su Collicello, probabile sepolcreto, posto su di un’altura tufacea dominante la valle del Tevere, che rispondono pienamente alle caratteristiche sopra descritte.
Questa organizzazione territoriale porta ad ipotizzare un’accentuazione, rispetto all’epoca precedente, dei fattori di controllo politico del territorio, in accordo con i dati relativi alla maggiore diffusione ed articolazione dell’armamento testimoniata, in quest’area, dal notevole numero di armi presenti nel ripostiglio di Piediluco, numerose lance, alcune spade ed un probabile morso equino.
I materiali rinvenuti attribuiti a queste fasi portano le tipiche caratteristiche dello stile proto villanoviano presente in Italia dal XII al X secolo a.C..[10]

Età del Ferro[modifica | modifica wikitesto]

É stato riscontrato che, nella fase recente dell’età del ferro, alcuni insediamenti si presentano con caratteri più precisi, destinati ad evolvere nel corso del VII secolo a.C. in forme che possono essere definite urbane.
In questa fase nell’area della Sabina, in particolare quella più settentrionale, vicina al confine col i territori occupati dalla popolazione degli Umbri, si nota una nuova fase di popolamento, testimoniata dai dati della cultura materiale e dalla strategia insediativa, da attribuire secondo i dati delle fonti all’espandersi nella valle del Tevere della popolazione italica dei Sabini: noti negli studi come i Sabini del Tevere.
Si riconoscono fondamentalmente tre insediamenti:

  1. San Vittore; è un piccolo pianoro che si affaccia sul Tevere, delimitato su tre lati da ripidi pendii, che si raccorda alle formazioni collinari retrostanti.
  2. Poggio Sommavilla[11]; dove le testimonianze relative all’insediamento protostorico interessano le pendici terminali del colle dove sorge l’attuale paese, e l’area in vocabolo Grotti che si estende verso il torrente L’Aia.
  3. Campo del Pozzo; pianoro proteso alla confluenza del Farfa nel Tevere, distinto su tre lati da ripidi pendii è aperto su un ampio terrazzo fluviale[11]; in corrispondenza di tale lato pare riconoscere nella fotografia aerea una struttura artificiale di difesa.

Le caratteristiche di questi insediamenti trovano una puntuale corrispondenza con quanto, nello stesso periodo si riscontra nella parte meridionale della Sabina tiberina negli abitati di Cures Sabini ed Eretum.
Ricerche e scavi a Cures hanno permesso di mettere in luce una capanna, articolata in due vani[11].

  • Il primo di questi rettangolare, con pavimento in brecciolino ed alcune cavità destinate ad alloggiare dolii per derrate alimentari, conteneva, data la scoperta di numerosi pesi di terracotta, anche un telaio.
  • Il secondo vano di pianta semicircolare, posto ad un livello leggermente più alto, aveva al centro un forno, all’interno del quale sono stati ritrovati semi di farro in notevole quantità. I due ambienti dovevano essere divisi da una sottile parete. Le pareti della capanna erano con buona probabilità costituite da frasche ed argilla.

Questo modello abitativo risulta un fossile guida per immaginare l’aspetto anche degli altri insediamenti sopracitati. C'è corrispondenza tra i grandi abitati estesi su colli da pendii ben delimitati, senza mura ma talora con opere di difesa nei punti più aperti dei versanti, e le alture vicine che ospitano ampie necropoli con tombe a fossa o a camera con corredi. Da questi è stato possibile ricostruire l’organizzazione sociale degli abitanti. Dall’esame del materiale recuperato in questi siti, si nota in primo luogo una sostanziale uniformità tipologica della produzione ed una evidente appartenenza della Sabina tiberina ad una koinè che nel corso della fase recente dell’età del ferro la accomuna al Latium vetus ed all’area capenate e veiente. Alcuni tipi che presentano confronti con materiali dell’area medio-adriatica e dell’Abruzzo interno, attribuibili alla circolazione di uomini e tradizioni artigiane lungo le direttrici delle valli fluviali e delle rotte appenniniche, percorse da questa popolazione nella discesa verso la valle del Tevere.
[12][11].

Età Orientalizzante ed Arcaica e il passaggio alla Storia[modifica | modifica wikitesto]

In base agli studi e alle ricerche effettuate, l'età orientalizzante e arcaica ha inizio con l'età del ferro e risulta essere caratterizzata dagli insediamenti di dimensione urbana con dei riscontri di attività di vita ininterrotti e sembra concludersi nel VI secolo a. C. con la diffusa adozione del tipo di tomba a camera nelle necropoli, oggetto di studio e di indagini sin dall’ottocento[13].
Questa espansione si concretizza con l’adattamento a condizioni topografiche non sempre adeguate allo sviluppo di grandi centri urbani e per rimediare agli ostacoli di una morfologia poco favorevole, come nel caso di un versante di una collina, si rendeva necessario effettuare lavori di terrazzamento per la costruzione di edifici.
Con la nuova organizzazione degli abitati viene distinto lo spazio dei vivi da quello dei morti[13], quindi sui pianori delle colline che prospettano gli insediamenti sorgono necropoli con tombe a fossa ed a camera. La carta della sabina tiberina mostra come i siti più importanti si trovano lungo il corso del Tevere, ad una distanza modulare di quasi 10 Km, ciascuno con il proprio territorio, organizzato secondo un sistema gerarchico nel quale ciascun centro secondario riveste una funzione strategica o commerciale o destinato allo sfruttamento del suolo.
Tutti i siti studiati presentano lo stesso modello strategico e mostrano una forte gravitazione sul Tevere, che è stato il tramite di un’osmosi continua con le culture situate al di là del fiume soprattutto con i territori di Falerii, Capena e Veio[14] dando vita ad una koinè culturale del Tevere.
L’organizzazione degli abitati sembra favorire la nascita di una società che si polarizza intorno a figure di capi guerrieri che detengono il potere e che intrattengono rapporti con i capi di altre comunità e che si distinguono nelle sepolture delle necropoli (seconda metà del VII secolo a.C.).
L’importanza di queste figure è altresì testimoniata dalla conoscenza della scrittura che compare su vasi di produzione locali trovati nelle tombe di Magliano e Poggio Sommavilla[13][15]che documentano la lingua sabina come una lingua italica che aveva adottato, per quanto riguarda la scrittura[16], un alfabeto greco, giunto nella valle del Tevere attraverso contatti con i Greci, tramite i commerci e le correnti culturali che percorrevano la valle tiberina.[17]

Magliano: insediamento e necropoli [18] Lo studio sistematico condotto sui materiali recuperati sia nell’ambito dell’attuale centro di Magliano Sabina sia nelle campagne circostanti prima dell’esposizione, ha permesso di recuperare alla storia degli studi sui Sabini del Tevere uno degli insediamenti più importanti della Sabina tiberina settentrionale. L’evidenza archeologica testimonia una rioccupazione del sito nel corso della fase recente dell’età del ferro, dopo le presenze , già ricordate, del bronzo finale (Fontanelle, Maglianello e Collicello).
A partire dalla seconda metà dell’VIII secolo e nella prima metà del VII secolo a.C. si rileva una scarna documentazione archeologica, che ad ogni modo permette di affermare l’esistenza di un insediamento sparso, costituito da nuclei di capanne che occupano le pendici dell’alture di Magliano, sia nel versante occidentale, volto verso le colline, sia in quello orientale volto verso la valle del Tevere[13]. Si tratta di piccoli abitati costituiti da nuclei di capanne con ampi spazi per attività di allevamento e lavorazione di utensili domestici. Con l’avvento dell’epoca orientalizzante si manifesta una maggiore densità di insediamenti, cui fa seguito nell’epoca arcaica una occupazione generalizzata dei pianori di sommità delle alture che costituiscono, sotto il profilo orografico il sito di Magliano Sabina, separate da piccole vallecole, di cui resta ancora traccia nella topografia del paese.[19]
In questo periodo si può constatare un'organizzazione dell’abitato secondo il modello di tipo etrusco laziale.
Nella seconda metà del VII secolo a.C. ii ritrovamenti databili a questo livello cronologico, di numerosi nuclei di argilla concotta stanno ad indicare la presenza di capanne che comunque verso la fine del secolo vengono sostituite da case con copertura in tegole e coppi.
All’organizzazione dell’insediamento nella seconda metà del VII secolo a.C. corrisponde l’organizzazione delle aree di necropoli. A questo fine vengono scelte le alture, che prospettano Magliano al di là del fosso delle Gioie[20]:

  • il Giglio
  • San Biagio
  • Madonna Grande.

Queste fasce collinari, che costituiscono un’unica unità orografica, vengono destinate a zona di necropoli[21] dalla seconda metà del VII secolo a.C., almeno questo è quello che emerge in base alla documentazione archeologica che è rappresentata quasi esclusivamente da materiali raccolti durante campagne di ricognizione e non da scavi regolari.
Nel corso della seconda metà del VII secolo a.C. si assiste al sorgere di una società di tipo aristocratico con figure dominanti di principi guerrieri, ben riconoscibile nei corredi delle sepolture delle necropoli, che deteneva la gestione delle greggi come quella dei commerci terrestri e fluviali[22].
Nella necropoli del Giglio[23]sono presenti tombe a camera semicostruita con ricche deposizioni maschili sia nel fondo San Vincenzo de’ Paoli sia nel fondo Varasconi. Queste deposizioni sono databili entro la seconda metà del VII secolo a.C. e mostrano nella composizione del corredo un voluto adeguamento a modi di vita di tipo etrusco[24]. Nelle tombe la composizione del corredo comprende olle d’impasto bruno, decorate ad incisione ed excisione con motivi geometrici o animalistici nei quali prevale la figura del cavallo, altre olle in impasto bruno -di notevoli proporzioni- presumibilmente destinate alla conservazione di granaglie, mentre la presenza di vasi in bucchero, nei tipi di calici e kantharoi, ci testimoniano commerci con l’area etrusca. Nelle tombe della fine del secolo –inizio del VI secolo a.C.–il corredo delle deposizioni maschili comprende la serie completa dei vasi per bere e per versare e per miscelare il vino in impasto bruno. Costante la presenza di armi, punte di lancia e spade, in ferro, come nelle altre deposizioni delle necropoli della Sabina tiberina.
Con il VI secolo a. C. compaiono le tombe a camera con più deposizioni, ma continua l’uso delle tombe a fossa[13]. I corredi di queste deposizioni, mostrano una più generalizzata diffusione della ricchezza.[25]
Ad officine attive a Magliano sono da attribuire due produzioni di vasi particolari dirimenti: i calici a corolla, che compaiono alla fine del VII secolo e la cui produzione e perdura nella prima metà del VI secolo a.C. e soprattutto quella delle così dette "anforette sabine". Sono vasi[13] realizzati in impasto bruno o grigio che rielaborano localmente influenze e suggestioni di produzioni ceramiche dell’Etruria interna e settentrionale con la quale avevano contatti. Gli ornati a cilindretto sulla spalla offrono un ricco repertorio decorativo, non solo di tipo geometrico ma anche con decorazioni complesse con teoria di cavalieri o scene di caccia, che aprono una finestra sulla vita sociale di queste comunità. La produzione di questi vasi da localizzare a Magliano o Poggio Sommavilla ha una stretta diffusione locale.
Lo sviluppo dell’insediamento di Magliano è strettamente legato alla sua posizione dominante sul Tevere, che ha determinato il suo coinvolgimento nelle correnti commerciali che attraversavano l’Etruria interna, facendo della valle del Tevere la direttrice preferenziale per mettere in contatto i centri della bassa valle del Tevere con il distretto volsiniese e l’alto Fiora in alternativa alla rotta dell’Etruria costiera.[26]
Contemporaneamente la situazione geografica di Magliano, quale avamposto verso la valle del Tevere e punto di convergenza di una serie di percorsi verso le aree adriatiche attraverso i passi dell’Appennino, pone l’insediamento in una posizione di preminenza per la diffusione di materiali di pregio[27], tradizioni culturali (scrittura) ed artigiane verso le aree adriatiche.[28] Di pari passo si strutturano gli insediamenti e si assiste all’organizzazione del territorio con piccoli abitati, che sono dislocati lungo le valli di corsi d’acqua o direttrici che collegavano Magliano con le zone più interne. Sono insediamenti non molto estesi, con le necropoli in aree contigue, con tombe i cui corredi, dimostrano che partecipano alla stessa evoluzione di cultura materiale del centro principale.
Sono probabilmente legati a famiglie emergenti che detenevano il controllo del territorio in punti nevralgici. Quello che mostra una continuità di vita più evidente degli altri, sulla base dei materiali raccolti è quello di Castellano. Occupa la sommità pianeggiante di un’altura, che domina la valle del Chiorano; la necropoli, individuata lungo le dolci pendici dell’altura, era costituita da tombe a fossa.

L’insediamento sabino di Magliano in epoca tardo classica.

Le testimonianze archeologiche di una continuità di vita dell’insediamento di Magliano in questa fase cronologica è evidenziata non tanto dalle attestazioni dell’area dell’abitato, che comunque offrono una documentazione abbastanza ampia, quanto dai ritrovamenti delle necropoli. Nel IV secolo sono sfruttate come zone preferenziali di seppellimento la necropoli del Giglio e quella di Madonna Grande con la presenza di tombe a fossa, delimitate da blocchi di tufo squadrati. La composizione dei corredi comprende in massima parte vasi a figure rosse di produzione falisca , vasi a vernice nera con decorazione suddipinta, accompagnata da ceramica d’impasto[29]. Il medesimo panorama culturale è offerto dalla tomba, individuata nella necropoli di Castellano, riutilizzata dal periodo precedente. In questa fase particolarmente importante risulta la documentazione dell’insediamento di Foglia[30]. Poco a sud della foce del torrente Campana si alza sul Tevere la rupe di Foglia: l’occupazione tardo medievale del sito ne accentua l’aspetto naturalmente fortificato. Le ricognizioni topografiche , condotte nell’ottocento, come in tempi più recenti, vi hanno identificato un piccolo insediamento di epoca arcaica, ma l’evidenza archeologica testimonia un fiorire dell’abitato e delle sue necropoli in epoca tardo classica[31]. Le necropoli, indagate nell’ottocento come negli anni 80 del novecento dalla Soprintendenza competente, risultano costituite da tombe a camera a pianta trapezoidale con banchine di deposizione o loculi parietali chiuse da tegole.

L’insediamento di Poggio Sommavilla.

Scendendo lungo il Tevere, su una altura che domina a distanza la confluenza del torrente L’Aia nel Tevere, sorgeva l’altro importante insediamento sabino di quest’area: Poggio Sommavilla. Se nell'età del bronzo e nella fase recente del ferro le aree pianeggianti, dove si colloca l'attuale paese di Poggio Sommavilla, documentano la presenza di insediamenti, con l'epoca orientalizzante si assiste a un cambiamento della struttura che prevede la conversione di questa area a necropoli mentre l'insediamento abitato viene spostato sull'ampio versante della collina che volge verso il Tevere.
La ricognizione topografica, come un intervento di emergenza condotto dalla Soprintendenza del Lazio e dal Museo, ha evidenziato come le abitazioni fossero costruite su ampi terrazzi, che venivano realizzati scavando il paleosuolo dell’altura. Questi stessi criteri furono senza dubbio usati anche nel VI secolo a.C. quando Poggio Sommavilla raggiunge una notevole estensione e viene occupato tutto il versante come la sommità pianeggiante della collina.[32]
L’indagine topografica[33] ha identificato il limite orientale dell’abitato, segnato da un fossato, scavato nella sella che collega questa altura a quella retrostante che si allunga verso l’area di Monte le Palme, che prospetta il Soratte e l’ansa che il corso del Tevere descrive.
Qui nel corso del VI secolo a.C. sorge un piccolo insediamento con evidente funzione di controllo.

Le necropoli di Poggio Sommavilla

I primi scavi nelle necropoli di Poggio Sommavilla[34] furono condotti negli anni 1836-1838 da Melchiade Fossati nei terreni Piacentini in vocabolo Ara de Gelsi e Collina.
Alla fine del secolo, nel fervore che caratterizzò le ricerche nell’agro falisco, Fausto Benedetti riprese gli scavi nelle necropoli in vocabolo Collina e Grotti. Sono le zone che si estendono alla base del colle di Poggio Sommavilla.
Negli anni 80 del secolo scorso la Soprintendenza Archeologica del Lazio dette l’avvio ad una serie di campagne di scavo, che hanno definito in maniera più puntuale l’estensione e il periodo d’uso delle sepolture e la cultura materiale dell’insediamento[35].
La tipologia tombale prevede sullo scorcio del VII secolo a.C. tombe a fossa ed a camera semi costruita, mentre con l’inizio del VI secolo a.C. viene definitivamente adottata la tomba a camera ipogea con loculi o banchine di deposizione sulle pareti.
Degna di nota nel panorama tipologico delle tombe l’influenza di modelli che venivano dalla città etrusca di Caere (camera con tetto displuviato con scolpita la travatura del tetto) o dall’Etruria interna tiberina (camera divisa da un tramezzo centrale in due ambienti).[36][37]

La romanizzazione[modifica | modifica wikitesto]

La vicinanza con la cultura agro-falisca da parte dei sabini è una condizione nota sin dalle prime ricerche e studi effettuati sulle tombe di Poggio Sommavilla che furono immediatamente atribuite ai falisci nonostante fossero collocate in riva al Tevere.[38].
Falerii, attuale città di Civita Castellana limitrofa a Magliano Sabina, aveva mantenuto degli accordi militari e territoriali con Veio per opporsi all'invasione romana ma quando Veio venne conquistata per opera di Furio Camillo nel 396 a.C.[39], l'Agro Falisco fu conseguentemente più semplice da conquistare da parte di Roma e questo facilitò l'accesso dei romani nella Sabina Tiberina.[40] Dopo la conquista della Sabina nel 290 a. C. ad opera di Manio Curio Dentato, la zona entrò a far parte del territorio di Roma[41]; questo evento dette l’avvio a cambiamenti molto rilevanti non solo nell’assetto politico e sociale[42], ma soprattutto nella strategia insediativa. Magliano, il più settentrionale insediamento della Sabina tiberina, pare abbia risentito di un contraccolpo immediato da questo nuovo ordinamento politico e, a partire dai primi anni del III secolo a.C., va incontro ad un lento spopolamento. Nel suo territorio al contrario si assiste ad uno sviluppo degli insediamenti rustici (prima fattorie, poi nel II e I secolo a.C. villae), progressivamente potenziato da un sistema viario, basato sulla via d’acqua, costituita dal Tevere e dal 220 a.C. dalla via Flaminia, sempre più ramificato e funzionale[43].
Non è possibile ricostruire con esattezza l’aspetto delle fattorie che sorgono in quest’epoca considerato che i dati in possesso derivano da raccolte di superficie casuali, ma gli studi e le nuove ricognizioni svolte poi ulteriormente sviluppati, permettono di offrire un quadro abbastanza puntuale delle attività che vi si svolgevano.
Per quanto riguarda le villae, queste hanno lasciato sul terreno segni più evidenti. Con il termine villae i romani indicavano entità diverse sia dal punto di vista architettonico che funzionale. Comprendevano una pars rustica , dedicata a strutture destinate alle attività produttive e strutture abitative per gli schiavi ed una pars urbana , dove soggiornava il padrone. Questa parte era costituita da complessi edilizi che prospettavano le vallate per poter godere della natura in funzione dell’otium[43], che costituiva un aspetto della cultura dei nobili romani a partire dalla seconda metà del I secolo a.C..

Una fattoria di epoca repubblicana: Colle Rosetta.

Lo stanziamento di Colle Rosetta costituisce l’esempio meglio documentato per l’epoca repubblicana.
In una zona particolarmente favorevole-dominante il punto di arrivo al Tevere della principale via est ovest della Sabina tiberina settentrionale, che un traghetto connetteva con una via corrispondente dal lato opposto del fiume, che raggiungeva i principali abitati dell’agro falisco-l’area ha restituito una notevole quantità di materiali. I più antichi sono databili tra la fine del IV secolo a.C. e gli inizi del III secolo e potrebbero appartenere ad un piccolo apprestamento sul Tevere, anteriore alla conquista romana, sviluppatosi poi in forme più complesse fino al II secolo a. C.[44].
Nell’area adiacenti ai casali è una cisterna con volta a botte ed in questa zona sono stati raccolti materiali connessi con attività agricole: frammenti di dolii(per la conservazione di derrate e granaglie), anfore per il trasporto del vino (anfore greco- italiche).
Altri materiali sono indicativi della vita quotidiana degli abitanti: oltre numerosi frammenti di olle da fuoco, bacini e brocche, e ceramica a vernice nera nelle forme delle brocche, coppe, piattelli Genucilia.[45]
La presenza dei pesi da telaio sono indizio di attività di filatura[46].


La villa di San Sebastiano. Come esempio di villa, che ebbe una lunga vita tra la fine del I secolo a.C. al II secolo d.C. è presentata la villa di San Sebastiano. Negli anni 70 del secolo scorso fotografie, scattate in un momento favorevole prima di ulteriori scassi, permisero di identificare e documentare resti di strutture murarie di probabile pertinenza della pars rustica.
Nel tempo in seguito a diverse campagne di raccolta sono stai recuperati numerosi materiali sia pertinenti alle attività agricole sia alla vita quotidiana.[47]
Sono state recuperate due macine per cereali in pietra lavica, composte da una parte superiore detta catillus, che veniva fatta ruotare sulla parte inferiore detta meta per schiacciare le granaglie.
Alcuni dei recuperi consistono in strumenti agricoli in ferro, anfore per il vino, ceramica d’uso comune e una campionatura di ceramica da mensa in sigillata italica dal caratteristico colore rosso nella forma di coppe e piattelli, sui quali appaiono graffiti con nomi propri.[48]}
Alla pars urbana della villa sono da riferire materiali architettonici e decorativi[49]: frammenti di cornici in marmo, frammenti di intonaci con decorazione geometrica in colori vivaci, antefisse in forma di vittorie alati, frammenti di lastre di vetro di pertinenza delle finestra.

La villa di Ponti Novi Altri frammenti sono quelli recuperati dall’area della villa di Ponti Novi, materiali oggetto di studi e ricerche che hanno permesso di identificare forse il luogo della villa della gens Manlia, già ricordata dall’Eroli nel 1878.
Il sito si trova ai piedi dell’altura di Colle Pineto su un terrazzo fluviale, prospiciente il Tevere, che scorreva presso la villa, prima dei lavori intrapresi per rettificare il percorso.
Rinvenimenti in quest’area furono segnalati nel corso dell’ottocento e dei primi del novecento: da questo luogo proverrebbero le colonne ora nella chiesa di S. Pietro a Magliano Sabina, come l’ara sepolcrale, conservata a Palazzo Solimani Mariotti. Forse da qui proviene anche l’altra ara sepolcrale, da sempre conservata preso il Palazzo Comunale ed oggi al pian terreno del Museo (dedicata a M. Fulvius Leitus dai decurioni).
Nell’anno 2000,in occasione dei lavori della realizzazione della terza corsia dell’autostrada del Sole nei pressi del casello di Magliano Sabina, dagli sbancamenti è venuta alla luce una notevolissima quantità di materiale archeologico. frammenti di ceramica comune quali brocche, olle e bacini e ceramiche da fuoco, frammenti di anfore Dressel 2/4 e olearie Dressel 20 che attestano un’attività di produzione di vino ed olio in piena età imperiale.[50]


Medio Evo[modifica | modifica wikitesto]

Dopo la guerra goto-bizantina, i Longobardi occupano Catiliano, posto al confine con lo Stato della Chiesa, e si stanziano nel “luogo chiamato Malliano” (VIII secolo), dove si trovano la chiesa di Santa Eugenia e quella di San Giovenale (817). Qui nasce il primo nucleo urbano, che subisce dall'876 al 913 le incursioni dei Saraceni. A difesa si costruisce il castello di Santa Eugenia[51]. Nel XII secolo Magliano è già una fortezza ben munita e importante, tanto che ospita nel 1155 Adriano IV e Federico Barbarossa[52] ed è soggetto al papato.[53] Nel 1278 gli abitanti sono circa 1.500. In questo periodo si scontra con il comune Narni, con cui stabilisce un patto di amicizia. Nel 1311 il senatore capitolino, Ludovico di Savoia, assoggetta Magliano al Comune di Roma[54].

Rinascimento[modifica | modifica wikitesto]

Nel secolo XV, grazie al porto fluviale, Magliano gode di una sostanziale ricchezza. Alessandro VI (1495) elegge Magliano sede della Diocesi Sabina e lo fregia del titolo di città[55]. Il 26 gennaio 1593 il cardinale Paleotti istituisce il Seminario Sabino[56], vi sono sette chiese parrocchiali, alcuni conventi ed un istituto di ospitalità. Conta circa 3500 anime. La costruzione di Ponte Felice (1598-1623), voluta da Sisto V, elimina il porto fluviale, fonte di ricchezza, ma la deviazione del Tevere per la costruzione del ponte genera acque stagnanti, che diffondono epidemie. Magliano si avvia verso una diffusa miseria[57].

Il Seicento e il Settecento[modifica | modifica wikitesto]

Nel 1600 «Ha questa Città, oggidì per le miserie de' tempi, assai scaduta dal suo antico splendore, e che non gli rimasto poco più altro di onore, se non quello del Trono Vescovile, il territorio non è molto fertile, né meno, per la scarsezza del popolo, molto coltivato»[58]. Il capo priore manda gli elenchi dei miserabili e i debiti della Comunità, al posto delle previsioni di bilancio. Nel 1700 « … questa Città videsi nella dura necessità, che questa Popolazione dovesse abbandonare le proprie Case, e fissare la rispettiva residenza chi negli Orti esistenti dentro la medesima, e chi nelle proprie Campagne... ». Inoltre «Nella Comunità di Magliano in Sabina per causa di terremoti, e tempi di piogge, molte famiglie oneste muoiono per la fame, per cui si deve provvedere... »[59]. La popolazione si riduce a circa 1800 abitanti.

Ottocento[modifica | modifica wikitesto]

Nel periodo napoleonico Magliano è sede di cantone ed entra nel Dipartimento del Tevere[60]. Agli inizi del 1800 la comunità conta 1214 abitanti; negli anni Venti ha 1387 anime, che diventano 1634 al tempo del cardinale Carlo Odescalchi (1833-1836)[61]. Nel 1847 Pio IX toglie al Comune di Roma i diritti di vassallaggio su Magliano dopo 536 anni. Passata la breve esperienza della Seconda Repubblica Romana, la città entra nella Delegazione di Rieti (1850) e ha una popolazione di circa 2000 abitanti.

Nel Regno d'Italia[modifica | modifica wikitesto]

Dal 1860 al 1870 è terra di confine fra lo Stato Pontificio e il Regno d'Italia, ed appartiene alla Provincia dell'Umbria (in seguito di Perugia). La popolazione passa da circa 2000 abitanti del 1860 ai 3108 del 1870, nonostante una violenta epidemia di colera (1867) avesse mietuto circa cento vittime in tre mesi. Alla vigilia della presa di Roma, nel settembre 1870, il Generale Raffaele Cadorna insedia a Magliano il suo stato maggiore per attaccare lo Stato Pontificio[62].

Ricchezza e scioperi dei contadini[modifica | modifica wikitesto]

L'apertura verso Roma, grazie alla linea ferroviaria Roma-Orte (1866), dà un forte impulso al commercio e all'agricoltura. Nel 1904 scoppiano moti contadini di risonanza nazionale[63]. Nella Prima Guerra Mondiale Magliano registra molti caduti al fronte. Nel 1919-1920, i contadini occupano le terre da coltivare, e si scontrano con le squadre fasciste. Durante il Fascismo i territori dei Comuni e delle Province vengono modificati: Magliano passa dalla Provincia di Perugia a quella di Roma (1923), e nel 1927 a quella di Rieti[64].

Epoca contemporanea[modifica | modifica wikitesto]

Negli anni fra le due guerre mondiali beneficia di un'economia florida, ma con la guerra va verso un'inesorabile decadenza. Nel Dopoguerra si riprende, ma nel 1956 una stagione inclemente colpisce l'agricoltura e spopola le campagne. I lavori per la costruzione dell'Autostrada del Sole (fine anni Cinquanta) portano lavoro e benessere. Dopo l'inaugurazione del casello dell'A1 (1963) Magliano conta intorno a 4.000 abitanti, che negli anni settanta scendono notevolmente a circa 3.500, per attestarsi a poco più di 3.800, quanti risultano oggi.


Note[modifica | modifica wikitesto]

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Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

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Collegamenti esterni[modifica | modifica wikitesto]