Omotesandō

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Disambiguazione – Se stai cercando la stazione della metropolitana, vedi Omotesandō (metropolitana di Tokyo).
Omotesandō
表参道
Veduta di Omotesandō
StatoBandiera del Giappone Giappone
CittàTokyo
QuartiereShibuya, Minato
Data istituzione1919
Mappa di localizzazione: Tokyo
Omotesandō
Omotesandō
Omotesandō (Tokyo)
Sito webomotesando.or.jp
Coordinate: 35°39′54.47″N 139°42′44.93″E / 35.66513°N 139.71248°E35.66513; 139.71248

«A Tokyo una delle più cospicue [strade eleganti] è costituita da quel bel vialone alberato, vagamente parigino, di nome Omote-sandô, che mette in comunicazione il viale d'Aoyama col parco del sacrario Meiji. Il viale Omote-sandô, lungo circa un chilometro, prima in lieve discesa, poi in graduale risalita, riunisce due colline. Gli edifici che lo fiancheggiano vanno dal mostruoso al neutro, ed in qualche caso dal neutro al notevole, all'interessante, al quasi bello, ma nel complesso ci offrono un altro esempio, forse un po' più ricercato del solito, di quel caos architettonico che predomina sfacciato in tutte le città giapponesi.»

Omotesandō (表参道?) è un viale a due corsie situato tra Shibuya e Minato a Tokyo, in Giappone, che si estende dall'ingresso al santuario Meiji fino ad Aoyama-dōri, in prossimità della stazione omonima. Per Omotensadō si intende quindi anche l'intera area che va dalla zona di Harajuku, compresa la vicina stazione, fino al quartiere di Aoyama.

Il viale, ornato per tutta la sua lunghezza da una serie di zelkove giapponesi, è una famosa via dello shopping che ospita sia boutique di moda che grandi centri commerciali.

Storia[modifica | modifica wikitesto]

Il viale di Omotesandō fu inizialmente progettato come accesso principale per il santuario Meiji

Omotesandō fu inizialmente progettata nell'era Taishō come via principale per il santuario Meiji, e lo stesso toponimo significa letteralmente "accesso frontale". Come altre zone di Tokyo, Omotesandō è il risultato delle diverse campagne di ricostruzione che la capitale dovette approntare in seguito al terremoto del 1923, ai bombardamenti della seconda guerra mondiale e al boom economico dei decenni immediatamente successivi. Inoltre, la natura commerciale della zona è da attribuire alla crescita esponenziale del consumismo in Giappone, conseguenza a sua volta dell'apertura delle frontiere durante la seconda metà del XIX secolo, quando gli shōtengai (grandi spazi commerciali simili a quelli occidentali) divennero la norma[1].

L'incrocio tra Aoyama-dōri e Omotesandō

Omotesandō divenne così un importante catalizzatore per lo sviluppo commerciale nonché un crocevia essenziale nell'economia del trasporto urbano di Tokyo. Negli anni funse da nesso tra la cultura giapponese e quella occidentale, grazie alla sua vicinanza al parco di Yoyogi, il quale servì da accampamento per i soldati statunitensi durante il periodo di occupazione e da centro di ritrovo per gli atleti stranieri durante le olimpiadi del 1964. Proprio la costruzione del villaggio olimpico permise l'ampliamento della strada e l'edificazione di numerosi negozi pensati per una clientela non necessariamente giapponese[1].

Oggi Omotesandō è conosciuta come una delle più importanti vie dello shopping al mondo, con una moltitudine di negozi monomarca e boutique di moda a breve distanza l'uno dall'altro[1].

Monumenti e luoghi d'interesse[modifica | modifica wikitesto]

La stazione di Omotesandō
Omotesandō Hills

L'area attorno al quartiere di Harajuku è universalmente nota per essere una fucina di stili di strada e di tendenze giovanili estremamente innovative, ma - rispetto alla vicina Takeshita-dōri - l'immagine di Omotesandō risulta essere più sofisticata e raffinata[2]. La zona offre numerose boutique di marchi internazionali, che vanno dai negozi di fascia alta come Louis Vuitton (Jun Aoki, 2002), Prada (Herzog & de Meuron, 2003), Tod's (Toyo Ito, 2004), Dior (SANAA, 2004), Chanel e Bulgari (presenti all'interno del complesso commerciale Gyre, MVRDV, 2007)[1][3], ai rivenditori fast fashion come Forever 21, H&M e Zara[4]. Omotesandō è considerato una delle location di Tokyo più adatte a ospitare un negozio di beni di lusso[5], ed è comunemente indicato come la Champs-Élysées di Tokyo[6].

La maggiore attrazione è rappresentata da Omotesandō Hills[7], un centro commerciale progettato nel 2005 da Tadao Andō e di proprietà della Mori Building[8]. Omotesandō è anche la sede del negozio di giocattoli Kiddyland[9], del Laforet, un centro commerciale la cui merce è rivolta principalmente a un target di giovani donne[10], e dell'Oriental Bazaar, un negozio di souvenir popolare tra i turisti internazionali[11]. Nelle viuzze laterali, note come Ura-Harajuku, si possono invece trovare piccoli café, bar e ristoranti, così come boutique specializzate in qualsiasi cosa, dalle borse alle cartoline, fino all'antiquariato[4].

Cultura[modifica | modifica wikitesto]

Ogni anno il viale ospita la parata della festa di san Patrizio[12].

Servizi[modifica | modifica wikitesto]

Stazioni[modifica | modifica wikitesto]

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ a b c d Anderson, Frampton e Maki, 2012, pp. 42-43.
  2. ^ (EN) Omotesando, su Harajuku, Japan-guide.com. URL consultato l'11 dicembre 2015.
  3. ^ Cenerini Bova, 2011, pp. 147-148.
  4. ^ a b Goss, 2014, p. 27.
  5. ^ Chevalier, 2012.
  6. ^ Cenerini Bova, 2011, p. 145.
  7. ^ (EN) Omotesando, su Tokyo Guide: Aoyama, Japanvisitor.com. URL consultato il 10 dicembre 2015.
  8. ^ (EN) Julian Worrall e Charles Spreckley, The view from the Hills. Minoru Mori defends the Omotesando Hills development and reveals big plans for Tokyo, in Metropolis, 3 febbraio 2006. URL consultato il 10 dicembre 2015 (archiviato dall'url originale il 19 novembre 2006).
  9. ^ (EN) Omotesando, su Att-Japan.net. URL consultato il 10 dicembre 2015 (archiviato dall'url originale il 22 dicembre 2015).
  10. ^ (EN) Misha Janette e Samuel Thomas, Harajuku and Omotesando: Where pop and luxury fashion are friendly neighbors, in The Japan Times, 12 maggio 2014. URL consultato il 10 dicembre 2015.
  11. ^ Cenerini Bova, 2011, p. 247.
  12. ^ (EN) St. Patrick’s Day 2015, in The Japan Times. URL consultato il 10 dicembre 2015 (archiviato dall'url originale il 4 febbraio 2017).

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

Voci correlate[modifica | modifica wikitesto]

Altri progetti[modifica | modifica wikitesto]

Collegamenti esterni[modifica | modifica wikitesto]

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