Petasites hybridus

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Farfaraccio maggiore
Petasites hybridus
Classificazione APG IV
Dominio Eukaryota
Regno Plantae
(clade) Angiosperme
(clade) Mesangiosperme
(clade) Eudicotiledoni
(clade) Eudicotiledoni centrali
(clade) Superasteridi
(clade) Asteridi
(clade) Euasteridi
(clade) Campanulidi
Ordine Asterales
Famiglia Asteraceae
Sottofamiglia Asteroideae
Tribù Senecioneae
Sottotribù Tussilagininae
Genere Petasites
Specie P. hybridus
Classificazione Cronquist
Dominio Eukaryota
Regno Plantae
Divisione Magnoliophyta
Classe Magnoliopsida
Sottoclasse Asteridae
Ordine Asterales
Famiglia Asteraceae
Sottofamiglia Asteroideae
Tribù Senecioneae
Genere Petasites
Specie P. hybridus
Nomenclatura binomiale
Petasites hybridus
(L.) Gaertn. & al., 1801

Il farfaraccio maggiore (nome scientifico Petasites hybridus (L.) Gaertn. & al., 1801) è una specie di pianta angiosperma dicotiledone della famiglia delle Asteraceae (sottofamiglia Asteroideae).[1]

Etimologia[modifica | modifica wikitesto]

Il nome generico (Petasites) deriva da petàsos, un cappello a grandi falde usato dai viaggiatori del passato, e si riferisce alle grandi foglie di queste piante.[2][3]. L'epiteto specifico (hybridus = ibrido) probabilmente fa riferimento ad una possibile origine ibrida di questa specie. Mentre il nome comune (maggiore) sta ad indicare che questa specie è quella che raggiunge le dimensioni maggiori in altezza.

Il binomio scientifico attualmente accettato (Petasites hybridus) è stato proposto da Carl von Linné (Rashult, 23 maggio 1707 – Uppsala, 10 gennaio 1778), biologo e scrittore svedese, da Joseph Gaertner (Calw, 12 marzo 1732 – Tubinga, 14 luglio 1791), botanico tedesco, e da altri botanici (Dr Bernhard Meyer (24 agosto 1767 – 1º gennaio 1836) e Johannes Scherbius (1769-1813) ) nella pubblicazione "Oekonomisch-Technische Flora der Wetterau" (Oekon. Fl. Wetterau 3(1): 184 ) del 1801.[4]

Descrizione[modifica | modifica wikitesto]

Descrizione delle parti della pianta
Il portamento
Le foglie
Infiorescenza
I fiori
I frutti

Habitus. Sono piante perenni che possono raggiungere anche i 120 cm di altezza durante la fruttificazione (dimensioni minime 15 cm) e presentano un forte dimorfismo tra le foglie cauline e quelle radicali. La forma biologica della specie è geofita rizomatosa (G rhiz); ossia sono piante perenni erbacee che portano le gemme in posizione sotterranea. Durante la stagione avversa non presentano organi aerei e le gemme si trovano in organi sotterranei chiamati rizomi, un fusto sotterraneo dal quale, ogni anno, si dipartono radici e fusti aerei (riproduzione vegetativa); altrimenti queste piante si possono riprodurre anche a mezzo seme.[5][6][7][8][9][10]

Radici. Le radici in genere sono secondarie da rizoma.

Fusto.

  • Parte ipogea: la parte sotterranea consiste in un rizoma grosso-carnoso, tuberoso e strisciante.
  • Parte epigea: i fusti aerei sono grossi e tubolosi (cavi) di colore bruno-arrossato. Il portamento è eretto e non sono ramificati. Nella parte iniziale dello sviluppo (fino alla fioritura) il fusto è ricoperto da squame, poi si allunga (a volte anche il doppio) e contemporaneamente incominciano a formarsi le foglie radicali. Gli scapi fiorali sono lunghi 1 - 4 dm.

Foglie. Le foglie sono di due tipi: basali e caulinari e sono picciolate.

  • Foglie basali: le foglie radicali sono grandi, reniformi-triangolari e picciolate. Il bordo è grossolanamente dentato e l'insenatura basale (il punto d'inserzione del picciolo) è ampia. Le due pagine fogliari sono entrambe verdi e sub-glabre di sotto (in realtà inizialmente la pagina inferiore è ricoperta da una lanugine biancastra che poi scompare). Il picciolo è profondamente scanalato e arrossato. Normalmente queste foglie si formano dopo la fioritura. Dimensioni massime: larghezza 80 cm; lunghezza 45 cm.
  • Foglie cauline: quelle cauline sono sessili e abbraccianti il caule; la loro forma è lanceolata con un debole ripiegamento all'apice e rimpiccioliscono lievemente verso l'infiorescenza. Il loro colore è bruno-arrossato.

Infiorescenza. Le sinflorescenze sono formate da diversi capolini sub-sessili. La struttura delle sinflorescenze, tutte terminai, è una via dimezzo tra una forma corimbosa e una a pannocchia. La struttura dei capolini (l'infiorescenza vera e propria) è quella tipica delle Asteraceae: un peduncolo sorregge un involucro campanulato (o sub-cilindrico) composto da diverse (da 12 a 15) brattee lineari e non tutte uguali, disposte in modo embricato in un'unica serie (a volte anche in 2 - 3 serie) che fanno da protezione al ricettacolo nudo (senza pagliette), piano o leggermente convesso, ma alveolato, sul quale s'inseriscono due tipi di fiori: i fiori femminili, quelli esterni ligulati (assenti in questa specie), e i fiori ermafroditi quelli centrali tubulosi. Gli involucri hanno un colore bruno-rossiccio. Le brattee sulla superficie hanno da 1 a 5 nervi, mentre il bordo è scarioso. I capolini sono i più grandi del genere.

Queste piante sono fondamentalmente dioiche in quanto le infiorescenze (rispetto alla composizione dei capolini) possono essere di due tipi[2][11]:

  • Androdiname - piante maschili: alla periferia i fiori femminili sono pochi (da 1 a 20) in un'unica serie; mentre nella zona centrale del disco i fiori ermafroditi sono pochissimi in quanto quasi sempre lo stilo è sterile e quindi in maggioranza i fiori risultano maschili (da 10 a 80); in queste piante inoltre il racemo si presenta più ovale e i fiori appassiscono subito dopo la fioritura. Dimensione dei capolini maschili: 5 – 9 mm.
  • Ginodiname – piante femminili: alla periferia non sono presenti i fiori femminili, mentre nella zona centrale del disco la maggioranza è composta da fiori femminili (da 30 a 130) e pochissimi fiori ermafroditi (o maschili: da 1 a 12); in questo caso l'infiorescenza assomiglia di più ad una pannocchia allargata e l'infiorescenza è più persistente (questo per dare il tempo agli ovari di trasformarsi in frutti). Dimensione dei capolini femminili 2 – 6 mm.

Fiori. I fiori sono tetra-ciclici (formati cioè da 4 verticilli: calicecorollaandroceogineceo) e pentameri (calice e corolla formati da 5 elementi).

*/x K , [C (5), A (5)], G 2 (infero), achenio[12]
  • Calice: i sepali del calice sono ridotti ad una coroncina di squame.
  • Corolla: tutti i fiori (maschili - femminili) hanno delle corolle tubulari a 5 denti (non sono presenti i fiori ligulati); solo quelli femminili in posizione radiale hanno la corolla sempre a tubo ma troncata obliquamente (o lievemente ligulata). Il colore dei fiori è bianco-rossastro tendente al violetto e sono quasi inodori (eventualmente emanano un odore sgradevole).
  • Androceo: gli stami sono 5 con dei filamenti liberi. La parte basale del collare dei filamenti può essere dilatata. Le antere invece sono saldate fra di loro e formano un manicotto che circonda lo stilo. Le antere sono senza coda ("ecaudate") e alla base sono ottuse. La struttura delle antere è di tipo tetrasporangiato, raramente sono bisporangiate. Il tessuto endoteciale è radiale o polarizzato. Il polline è tricolporato (tipo "helianthoid").[13]
  • Gineceo: lo stilo è unico, articolato con uno stimma filiforme o ovale e sporgente dal tubo corollino. Le superfici stigmatiche sono continue. L'ovario è infero uniloculare formato da 2 carpelli.
  • Antesi: da marzo a maggio.

Frutti. I frutti sono degli acheni con pappo. La forma dell'achenio è sub-cilindrica con superficie solcata (5 – 10 coste) e glabra. All'apice è presente un pappo biancastro formato da diversi peli lunghi (da 60 a 100), molli e denticolati. Lunghezza del pappo: 10 mm.

Biologia[modifica | modifica wikitesto]

Impollinazione: l'impollinazione avviene tramite insetti (impollinazione entomogama tramite farfalle diurne e notturne).
Riproduzione: la fecondazione avviene fondamentalmente tramite l'impollinazione dei fiori (vedi sopra).
Dispersione: i semi (gli acheni) cadendo a terra sono successivamente dispersi soprattutto da insetti tipo formiche (disseminazione mirmecoria). In questo tipo di piante avviene anche un altro tipo di dispersione: zoocoria. Infatti gli uncini delle brattee dell'involucro (se presenti) si agganciano ai peli degli animali di passaggio disperdendo così anche su lunghe distanze i semi della pianta. Inoltre per merito del pappo il vento può trasportare i semi anche a distanza di alcuni chilometri (disseminazione anemocora).

Distribuzione e habitat[modifica | modifica wikitesto]

Distribuzione della pianta (Distribuzione regionale[14] – Distribuzione alpina[15])

Geoelemento: il tipo corologico (area di origine) è Eurasiatico.

Distribuzione: questa pianta è comune in tutto il territorio escluse le isole. Sui rilievi europei si trova nelle seguenti zone: Massiccio Centrale, Massiccio del Giura, Vosgi, Foresta Nera, Carpazi e Monti Balcani. Fuori dall'Europa si trova in Asia settentrionale e occidentale. Si trova anche in Anatolia, Transcaucasia e Iran. Vive anche in America del nord, ma anche questa specie come altre probabilmente è stata introdotta accidentalmente dall'Europa nel periodo coloniale e quindi si è naturalizzata facilmente in quanto pianta invasiva.

Habitat: l'habitat tipico di questa specie sono i luoghi umidi, le sponde e i bordi dei ruscelli, e in generale le zone fresche e ombrose ma anche ghiaiose e petrose. Il substrato preferito è sia calcareo che siliceo con pH neutro, alti valori nutrizionali del terreno che deve essere un po' umido (pianta nitrofila).

Distribuzione altitudinale: sui rilievi alpini queste piante si possono trovare fino a 1.650 m s.l.m.; frequentano quindi i seguenti piani vegetazionali: collinare e montano.

Fitosociologia[modifica | modifica wikitesto]

Areale alpino[modifica | modifica wikitesto]

Dal punto di vista fitosociologico alpino la specie di questa scheda appartiene alla seguente comunità vegetale:[15]

Formazione: delle comunità perenni nitrofile
Classe: Artemisietea vulgaris
Ordine: Galio-Alliarietalia
Alleanza: Aegopodion podagrariae

Areale italiano[modifica | modifica wikitesto]

Per l'areale completo italiano Petasites hybridus appartiene alla seguente comunità vegetale:[16]

Macrotipologia: vegetazione erbacea sinantropica, ruderale e megaforbieti.
Classe: Galio aparines-Urticetea dioicae Passarge ex Kopecký, 1969
Ordine: Galio aparines-Alliarietalia petiolatae Oberdorfer ex Görs & Müller, 1969
Alleanza: Petasition officinalis Sill., 1933 em. Kopecky, 1969

Descrizione. L'alleanza Petasition officinalis è relativa alle comunità con prevalenza di specie perenni in orli forestali mesofili o meso-igrofili che si sviluppano in habitat ricchi di nutrienti dei climi temperati ed umido del mediterraneo. La comunità è povera di specie perenni a foglia larga. Distribuzione: l'alleanza è ampiamente distribuita sia in Europa che in Italia.[17]

Specie presenti nell'associazione: Cirsium erisithales, Elymus caninus, Orobanche flava, Petasites hybridus, Petasites kablikianus, Valeriana sambucifolia, Telekia speciosa, Aconitum napellus, Aconitum variegatum, Aruncus dioicus, Athyrium filix-foemina, Cardamine amara, Carduus personata, Chrysosplenium alternifolium, Conocephalum conicum, Crepis paludosa, Knautia maxima, Lamiastrum montanum, Milium effusum, Oxalis acetosella, Pellia epiphylla, Petasites albus, Primula elatior, Ranunculus lanuginosus, Saxifraga rotundifolia, Senecio ovatus, Stellaria nemorum, Veronica urticifolia, Vicia sylvatica, Chaerophyllum hirsutum, Festuca gigantea, Geranium phaeum, Impatiens noli-tangere e Stachys sylvatica.

Tassonomia[modifica | modifica wikitesto]

La famiglia di appartenenza di questa voce (Asteraceae o Compositae, nomen conservandum) probabilmente originaria del Sud America, è la più numerosa del mondo vegetale, comprende oltre 23.000 specie distribuite su 1.535 generi[18], oppure 22.750 specie e 1.530 generi secondo altre fonti[19] (una delle checklist più aggiornata elenca fino a 1.679 generi)[20]. La famiglia attualmente (2021) è divisa in 16 sottofamiglie; la sottofamiglia Asteroideae è una di queste e rappresenta l'evoluzione più recente di tutta la famiglia.[1][8][9]

Filogenesi[modifica | modifica wikitesto]

Il genere di questa voce appartiene alla sottotribù Tussilagininae della tribù Senecioneae (una delle 21 tribù della sottofamiglia Asteroideae). La sottotribù descritta in tempi moderni da Bremer (1994), dopo le analisi di tipo filogenetico sul DNA del plastidio (Pelser et al., 2007) è risultata parafiletica con le sottotribù Othonninae e Brachyglottidinae annidiate al suo interno. Attualmente con questa nuova circoscrizione la sottotribù Tussilagininae s.s. risulta suddivisa in quattro subcladi.[9]

Il genere di questa voce appartiene a un subclade abbastanza ben supportato comprendente i generi Endocellion, Homogyne, Petasites e Tussilago. Questi generi prediligono climi temperato/boreali in areali prevalentemente settentrionali e con una distribuzione eurasiatica con un unico rappresentante nel Nord America, vale a dire il polimorfo Petasites frigidus.[9]

All'interno del genere le specie di questa voce fanno parte della sezione delle EUPETASITES. sezione caratterizzata dall'avere infiorescenze con numerosi capolini spesso organizzati in un racemo allungato (a fine fioritura); con le corolle dei fiori radiali troncate (o lievemente ligulate); con foglie-brattee caulinari sempre lanceolate-acuminate indipendentemente dalla posizione che possono avere lungo il fusto (basale o apicale).[2]

La specie Petasites hybridus è individuata dai seguenti caratteri:[10]

  • le foglie sono grandi (40 - 60 cm di diametro) e sono irregolarmente dentate sui bordi;
  • la superficie delle foglie è glabra o sparsamente pubescente;
  • i fiori periferici tubulosi femminili sono da 25 a 80 con stigmi lunghi 0,5 - 1,3 mm.

Il numero cromosomico della specie è 2n = 60.[10]

Variabilità[modifica | modifica wikitesto]

Per questa specie sono riconosciute le seguenti entità intraspecifiche:

  • Petasites hybridus subsp. hybridus (è la stirpe principale).
  • Petasites hybridus subsp. ochroleucus (Boiss. & A.Huet) Šourek, 1962 - Distribuzione: Penisola Balcanica e Ucraina.

Sinonimi[modifica | modifica wikitesto]

Sono elencati alcuni sinonimi per questa entità:

  • Cineraria hybrida (L.) Bernh., 1800
  • Petasites officinalis var. hybridus (L.) P.Fourn., 1939
  • Tussilago hybrida L., 1753
  • Tussilago petasites var. hybrida (L.) Boenn., 1824

Specie simili[modifica | modifica wikitesto]

Le uniche quattro specie (relative al territorio italiano) del genere Petasites possono essere confuse tra di loro, specialmente a fioritura finita quando le piante presentano solamente le foglie radicali. Si distinguono per i seguenti caratteri:

  • Petasites albus (L) Gaertn. - Farfaraccio bianco: il fusto è verde mentre i fiori sono decisamente bianchi; le foglie sono reniformi;
  • Petasites hybridus (L.) Gaertn. - Farfaraccio maggiore: il fusto è rossiccio-bruno; i fiori sono roseo-chiaro: le foglie sono cuoriformi con una evidente insenatura all'inserimento del picciolo; è la specie più alta;
  • Petasites paradoxus (Retz.) Baumg. - Farfaraccio niveo: il fusto e i fiori sono come il “Farfaraccio maggiore”, ma l'infiorescenza è più lassa e le foglie hanno una forma più triangolare;
  • Petasites fragrans (Vill.) Presl. - Farfaraccio vaniglione: il fusto e i fiori sono come il “Farfaraccio maggiore”, ma l'infiorescenza è più contratta e le foglie sono rotondeggianti.

Inoltre il "farfaraccio maggiore" può essere confuso con la specie di un altro genere Adenostyles alliariae (Gounan) Kerner – Cavolaccio alpino, in quanto entrambe le specie convivono negli stessi ambienti, questo però se si tratta di individui ridotti alle sole foglie. Si possono distinguere comunque in quanto la lamina dell'Adenostyles è più triangolare e le nervature sono disposte in modo alterno (mentre quelle delle foglie del “farfaraccio” sono opposte e più simmetriche).

Usi[modifica | modifica wikitesto]

Erboristica[modifica | modifica wikitesto]

Le informazioni riportate non sono consigli medici e potrebbero non essere accurate. I contenuti hanno solo fine illustrativo e non sostituiscono il parere medico: leggi le avvertenze.
  • Sostanze presenti: olii essenziali, glucoside, mucillagini, tannini, e sali minerali vari.
  • Proprietà curative: nella medicina popolare queste piante vengono usate per le loro proprietà vulnerarie (guarisce le ferite), sedative (calma stati nervosi o dolorosi in eccesso), bechiche (azione calmante della tosse), diaforetiche (agevola la traspirazione cutanea), cardiotoniche (regola la frequenza cardiaca) ed emmenagoghe (regola il flusso mestruale)[21].
  • Parti usate: rizomi, capolini e foglie. Le foglie hanno la proprietà di calmare la tosse, invece appena raccolte vengono applicate sulle ulcere per ottenere una rapida cicatrizzazione

Cucina[modifica | modifica wikitesto]

Viene sconsigliato l'uso edule in quanto questa pianta contiene alcuni alcaloidi epatotossici (alcaloidi pirrolizidinici)[21].

Giardinaggio[modifica | modifica wikitesto]

Raramente queste piante vengono usate nel giardinaggio in quanto sono abbastanza invasive e occupano vaste aree.

Galleria d'immagini[modifica | modifica wikitesto]

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ a b (EN) The Angiosperm Phylogeny Group, An update of the Angiosperm Phylogeny Group classification for the ordines and families of flowering plants: APG IV, in Botanical Journal of the Linnean Society, vol. 181, n. 1, 2016, pp. 1–20.
  2. ^ a b c Motta 1960
  3. ^ Botanical names, su calflora.net. URL consultato il 14 settembre 2009.
  4. ^ The International Plant Names Index, su ipni.org. URL consultato il 22 febbraio 2023.
  5. ^ Pignatti 1982, vol.3 pag.1.
  6. ^ Strasburger 2007, pag. 860.
  7. ^ Judd 2007, pag.517.
  8. ^ a b Kadereit & Jeffrey 2007, p. 230.
  9. ^ a b c d Funk & Susanna 2009, p. 503.
  10. ^ a b c Pignatti 2018, vol.3 pag. 882.
  11. ^ Sandro Pignatti, Flora d'Italia. Volume terzo, Bologna, Edagricole, 1982, p. 111, ISBN 88-506-2449-2.
  12. ^ Judd-Campbell-Kellogg-Stevens-Donoghue, Botanica Sistematica - Un approccio filogenetico, Padova, Piccin Nuova Libraria, 2007, p. 520, ISBN 978-88-299-1824-9.
  13. ^ Strasburger 2007, Vol. 2 - p. 760.
  14. ^ Checklist of the Italian Vascular Flora, p. 141.
  15. ^ a b Flora Alpina, Vol. 2 - p. 524.
  16. ^ Prodromo della vegetazione italiana, su prodromo-vegetazione-italia.org. URL consultato il 30 giugno 2021.
  17. ^ Prodromo della vegetazione italiana, su prodromo-vegetazione-italia.org. URL consultato il 30 giugno 2021.
  18. ^ Judd 2007, pag. 520.
  19. ^ Strasburger 2007, pag. 858.
  20. ^ World Checklist - Royal Botanic Gardens KEW, su powo.science.kew.org. URL consultato il 18 aprile 2021.
  21. ^ a b Plants For A Future, su pfaf.org. URL consultato il 16 settembre 2009.

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

  • Kadereit J.W. & Jeffrey C., The Families and Genera of Vascular Plants, Volume VIII. Asterales., Berlin, Heidelberg, 2007.
  • V.A. Funk, A. Susanna, T.F. Steussy & R.J. Bayer, Systematics, Evolution, and Biogeography of Compositae, Vienna, International Association for Plant Taxonomy (IAPT), 2009.
  • Judd S.W. et al, Botanica Sistematica - Un approccio filogenetico, Padova, Piccin Nuova Libraria, 2007, ISBN 978-88-299-1824-9.
  • Strasburger E, Trattato di Botanica. Volume secondo, Roma, Antonio Delfino Editore, 2007, ISBN 88-7287-344-4.
  • Sandro Pignatti, Flora d'Italia., Bologna, Edagricole, 1982, ISBN 88-506-2449-2.
  • Sandro Pignatti, Flora d'Italia., Bologna, Edagricole, 2018, ISBN 978-88-506-5244-0.
  • Alfonso Susanna et al., The classification of the Compositae: A tribute to Vicki Ann Funk (1947–2019, in Taxon, vol. 69, n. 4, 2020, pp. 807-814.
  • Giacomo Nicolini, Enciclopedia Botanica Motta., Milano, Federico Motta Editore., 1960.
  • D.Aeschimann, K.Lauber, D.M.Moser, J-P. Theurillat, Flora Alpina. Volume 2, Bologna, Zanichelli, 2004, p. 534-550.
  • 1996 Alfio Musmarra, Dizionario di botanica, Bologna, Edagricole.
  • F.Conti, G. Abbate, A.Alessandrini, C.Blasi, An annotated checklist of the Italian Vascular Flora, Roma, Palombi Editore, 2005, p. 163-164, ISBN 88-7621-458-5.
  • Wolfgang Lippert Dieter Podlech, Fiori, TN Tuttonatura, 1980.

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