Razza (categorizzazione umana): differenze tra le versioni
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Per gli antropologi Lieberman e Jackson (1995), ad ogni modo, vi sono dei profondi problem metodologici e concettuali nell’uso della cladistica per supportare il concetto di razza. Entrambi ritengono che “i sostenitori di questo modello molecolare e biochimico, usano esplicitamente delle categorie raziali nel loro raggruppamento iniziale”. Ad esempio il grande e diversificato gruppo macroetnico degli indiani d’America, dei nordafricani e degli europei sono giudicati tutti come caucasici a prescindere dalle variazioni del loro DNA. <ref name="Lieberman 1995" /> |
Per gli antropologi Lieberman e Jackson (1995), ad ogni modo, vi sono dei profondi problem metodologici e concettuali nell’uso della cladistica per supportare il concetto di razza. Entrambi ritengono che “i sostenitori di questo modello molecolare e biochimico, usano esplicitamente delle categorie raziali nel loro raggruppamento iniziale”. Ad esempio il grande e diversificato gruppo macroetnico degli indiani d’America, dei nordafricani e degli europei sono giudicati tutti come caucasici a prescindere dalle variazioni del loro DNA. <ref name="Lieberman 1995" /> |
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Gli scienziati ad ogni modo non discutono sulla validità e l’importanza della ricerca cladistica, ma solo sul suo rapporto col concetto di razza. |
Gli scienziati ad ogni modo non discutono sulla validità e l’importanza della ricerca cladistica, ma solo sul suo rapporto col concetto di razza. |
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===Costrutti sociali=== |
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{{Vedi anche|Razzismo}} |
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Come hanno evidenziato antropologi ed altri studiosi del campo evoluzionista oggi si tende ad utilizzare il termine “popolazione” per parlare di differenze genetiche, anche se storici, antropologi culturali e altri scienziati sociali hanno riconcettualizzato il termine “razza” come una categoria culturale o un costrutto sociale, un modo cioè con cui le persone parlano di sé e degli altri. |
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Molti scienziati hanno rimpiazzato la parola razza con la parola “etnicità” per riferirsi a gruppi autoidentificatisi come tali basandosi sulla cultura, antenati comuni, storia. Accanto a problemi di natura empirica e concettuale con la “razza”, dopo la [[Seconda Guerra Mondiale]] si è generalmente ritenuto che essa sia stata sfruttata per giustificare discriminazioni, apartheid, schiavitù e genocidi. Questa questione ha avuto grande rilevanza negli anni ’60 negli Stati Uniti in concomitanza con l’esplodere delle teorie del [[movimento per i diritti civili]] e l’emergenza di numerosi movimenti anticoloniali nel mondo. Da quel momento si è iniziato a ritenere la razza come un costrutto sociale, un concetto cioè utilizzato unicamente a livello sociale e non più scientifico.<ref name="Gordon 1964" /> |
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Craig Venter e Francis Collins del National Institute of Health hanno annunciato nel 2000 una mappatura del genoma umano. Analizzando i dati della mappatura del genoma, Venter ha realizzato che le variazioni nelle specie umane sono nell’ordine dell’ 1–3% (anziché del solo 1% come in precedenza si riteneva). Venter riporta a tal proposito che la "razza è un concetto sociale. Non uno scientifico. Non vi sarebbero linee chiaramente emergenti se comparassimo i genomi di ogni individuo sul pianeta. Quando cerchiamo di applicare la scienza a questi concetti, essa decade a prescindere."<ref name="FORA.tv 2008" /> |
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Stephan Palmié disse che la razza "non è nient’altro che una relazione sociale";<ref name="Palmie 2007" /> o, nelle parole di [[Katya Gibel Mevorach]], "una [[metonimia]], un’invenzione umana per differenziare gli uomini tra di loro senza che vi siano differenze biologiche fisse."<ref name="Mevorach 2007" /> |
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====Il Brasile==== |
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{{Vedi anche|Razze in Brasile}} |
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[[File:Redenção.jpg|thumb|190px|Ritratto di "Redenção do Can" (1895), che mostra una famiglia brasiliana del XIX secolo: ad ogni generazione i suoi membri divengono sempre più “bianchi”.]] |
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Se comparato agli Stati Uniti del XIX secolo, il Brasile del XX secolo è caratterizzato da una sostanziale assenza di gruppi razziali definiti. Secondo l’antropologo [[Marvin Harris]], questo marker rifletterebbe una storia e differenti relazioni sociali all’interno di quella stessa società. |
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Sostanzialmente, la razza in Brasile è stata “biologizzata” in un modo tale che riconoscere le differenze tra gli antenati (che determinano il [[genotipo]] ed il [[fenotipo]]) è molto difficile. Ogni individuo, infatti, essendo spesso frutto di unioni miste a loro volta magari provenienti da unioni miste, ha reso perlopiù impossibile mantenere uno schema di discendenza rigido,<ref name="Harris 1980" /> da estendere a tutti i parenti e creare così dei gruppi razziali differenti.<ref>Parra et alli, Color and genomic ancestry in Brazilians. http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC140919/#id2601616</ref> |
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Sulla popolazione brasiliana infatti si possono contare una dozzina di categorie razziali che possono variare come il colore degli occhi, la forma dei capelli, il colore della pelle, ecc. in quanto nessuna categoria si è mai completamente isolata dalle altre. E’ necessario quindi studiare a fondo i vari genotipi e la loro evoluzione perché non è detto che una persona considerata “bianca” non abbia avuto antenati “neri” e viceversa, come invece è chiaramente ravvisabile ad esempio tra gli europei.<ref name="BBC delves into Brazilians' roots">[http://news.bbc.co.uk/2/hi/americas/6284806.stm BBC delves into Brazilians' roots] accessed July 13, 2009</ref> La complessità della classificazione razziale della popolazione brasiliana riflette gli intenti di misgenetica della società locale, una società che rimane altamente ma non strettamente stratificata per colori, seppur con diverse eccezioni come il caso dei ''[[pardo]]s'', le persone “miste”, che hanno iniziato a dichiararsi “bianche” o “nere” a seconda del loro status sociale,<ref>RIBEIRO, Darcy. O Povo Brasileiro, Companhia de Bolso, fourth reprint, 2008 (2008).</ref> e divenendo quindi sempre più “bianche” man mano che il loro status migliora socialmente.<ref>Levine-Rasky, Cynthia. 2002. "Working through whiteness: international perspectives. SUNY Press (p. 73) "Money whitens" If any phrase encapsulates the association of whiteness and the modern in Latin America, this is it. It is a cliché formulated and reformulated throughout the region, a truism dependant upon the social experience that wealth is associated with whiteness, and that in obtaining the former one may become aligned with the latter (and vice versa)"."</ref> |
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! colspan="4" |Self-reported ancestry of people from<br />Rio de Janeiro, by race or skin color (2000 survey)<ref name="Telles">{{Cite book |pages=81–84 |title=Race in Another America: The significance of skin color in Brazil |first=Edward Eric |last=Telles |chapter=Racial Classification |date=2004 |publisher=Princeton University Press |isbn=0-691-11866-3}}</ref> |
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! Ancestry!! ''brancos'' !! ''pardos''!! ''pretos'' |
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| European only |
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| 48% || 6%||- |
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| African only |
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| – ||12%||25% |
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| Amerindian only |
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| – ||2%||- |
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| African and European |
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| 23% ||34%||31% |
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| Amerindian and European |
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| 14% ||6%||- |
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| African and Amerindian |
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| – ||4%||9% |
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| African, Amerindian and European |
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| 15% ||36%||35% |
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| Total |
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| 100% ||100%||100% |
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| Any African |
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| 38% ||86%||100% |
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La fluidità di queste categorie razziali, la "biologificazione" della razza del Brasile è un caso particolarissimo che ha attirato gli studi di molti scienziati del settore. In molti test genetici realizzati, la popolazione con meno del 60-65% di discendenza europea e col 5-10% di discendenza amerinda solitamente è indicate come afro-brasiliana.<ref name="plosone.org" /><ref name="afrobras">[https://web.archive.org/web/20101124105905/http://www.afrobras.org.br/index.php?option=com_content&task=view&id=2112&Itemid=2 Negros de origem européia]. afrobras.org.br</ref><ref>{{cite journal|title=Genetic signatures of parental contribution in black and white populations in Brazil |doi=10.1590/S1415-47572009005000001|date=2009|last1=Guerreiro-Junior|first1=Vanderlei|last2=Bisso-Machado|first2=Rafael|last3=Marrero|first3=Andrea|last4=Hünemeier|first4=Tábita|last5=Salzano|first5=Francisco M.|last6=Bortolini|first6=Maria Cátira|journal=Genetics and Molecular Biology|volume=32|pages=1–11|pmid=21637639|issue=1|pmc=3032968}}</ref><ref>{{cite journal|title=Genetic heritage variability of Brazilians in even regional averages, 2009 study |doi=10.1590/S0100-879X2009005000026|date=2009|last1=Pena|first1=S.D.J.|last2=Bastos-Rodrigues|first2=L.|last3=Pimenta|first3=J.R.|last4=Bydlowski|first4=S.P.|journal=Brazilian Journal of Medical and Biological Research|volume=42|issue=10|pages=870–6|pmid=19738982 }}</ref> |
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==Bibliografia== |
==Bibliografia== |
Versione delle 20:10, 25 mar 2016
Razza è un costrutto sociale, un gruppo di persone che presentano medesime e distinte caratteristiche fisiche.[1][2][3][4][5][6] Il primo utilizzo attestato del termine nel linguaggio comune risale al XVII secolo quando essa iniziò ad essere utilizzato come fenotipo nei trattati. Il termine venne utilizzato in senso biologico e tassonomico,[7] a partire dal XIX secolo per denotare le differenze genetiche nella popolazione umana, definibile appunto per fenotipi.[8][9]
Il concetto sociale di gruppi razziali sono variate nel corso del tempo, coinvolgendo anche una forma di tassonomia popolare[10] che definisce dei tipi essenziali degli individui basati sui tratti percepibili. Gli scienziati considerano oggi l'essenzialismo biologico come ormai superato,[11] e generalmente scoraggiano le spiegazioni razziali per differenziazioni collettive sia per tratti fisici che comportamentali.[12][13][14][15][16]
Sebbene vi sia un accordo scientifico ormai internazionale sul fatto che le concettualizzazioni di razza non siano da considerare come valide, alcuni scienziato hanno oggi recuperato in maniera molto mutata tale concetto.[17] Nel caso dell'uomo[12] o in maniera più semplice,[18] si è suggerito di recente che il concetto di razza non abbia un significato tassonomico, dal momento che essa raduna in sé semplicemente tutti gli individuo appartenenti alla specie Homo Sapiens ed alla sua sottospecie Homo sapiens sapiens.[19][20]
Dalla seconda metà del XX secolo, l'associazione del concetto di razza con le ideologie sorte dal lavoro degli antropologi del XIX secolo ha portato ad una problematicità nell'uso del termine razza. Pur continuando ad essere utilizzato in contesti generali, la parola razza viene oggi infatti spesso rimpiazzata con altre parole meno ambigue come popolazione, popolo, etnia o comunità a seconda del contesto.[7][21]
Complicazioni e varie definizioni del concetto
È comunemente accettato che le categorie razziali oggi siano dei costrutti di uso comune pur non risultando corrette e che i gruppi razziali non possano essere definiti biologicamente.[22][23][24][25][26][27] Ad ogni modo, alcuni studiosi suggeriscono che le categorie razziali possano essere collegate ai tratti biologici (fenotipi) ed a certi marcatori genetici che si trovano con una certa frequenza in alcune popolazioni umane, alcuni dei quali corrispondono più o meno a gruppi razziali. Per questa ragione, attualmente non vi è un consenso universale sull’uso e la validità delle categorie razziali.[28]
Quando le persone cercano di definire o di parlare a proposito di un certo concetto di razza, creano una realtà sociale attraverso la quale la categorizzazione sociale si espleta.[29] In questo senso, le razze sono dei costrutti sociali.[30] Questi costrutti si sviluppano in contesti legali, economici, sociopolitici e possono essere l’effetto piuttosto che la causa di una più ampia situazione sociale.[31] Sebbene il concetto di razza per la maggior parte sia ritenuto un costrutto sociale, esso presenta ad ogni modo anche degli effetti materiali in base alle pratiche culturali, alla preferenza, alla discriminazione.
Fattori socioeconomic, combinati con le primitive visioni di razza, hanno portato ad un duro scontro su questo argomento, portando considerevoli svantaggi ad alcuni gruppi.[32] La discriminazione razziale solitamente coincide con una mentalità razzista, dove le ideologie individuali o di un gruppo riescono ad emergere ed a scagliarsi contro gli appartenenti ad altri gruppi che vengono percepiti come inferiori.[33] Come tale i singoli gruppi razziali hanno ben poca possibilità di reagire quando tali ideali permeano direttamente una società.[34] Il razzismo ha portato tra l’altro a molte altre tragedie nel corso della sua storia come la schiavitù ed il genocidio.[35]
In alcuni paesi, la razza è divenuta coincidente con degli stereotipi che così facendo vengono incrementati anziché sminuiti; questo avviene perché in molte società i gruppi razziali corrispondono strettamente con alcune stratificazioni sociali e per gli studiosi della ineguaglianza sociale la razza può avere in questi casi un significato variabile a seconda dei contesti.[36][37] Nelle scienze sociali ed in lavori ad esse affiliate come la teoria critica della razza vengono investigate le implicazioni della razza come costrutto sociale indagando come le immagini, le idee e gli assunti della razza possano essere espresse nella vita quotidiana. Molti studiosi hanno anche notato come il concetto di razza sia entrato nel linguaggio legale e criminale, portando quindi all’incarcerazione di un numero spropositato di persone appartenenti a determinati gruppi.
Origini storiche della classificazione razziale
Gruppi di uomini si sono sempre identificati come differenti e distinti da altri gruppi coi quali confinavano territorialmente, ma queste differenze non sono state intese come naturali, immutabili e globali. Queste caratteristiche mostrano come sia usato oggi il concetto di razza. In questa linea l’idea di razza come è oggi concepita è figlia di un processo storico di esplorazione e conquista portato Avanti dagli europei entrati in contatto con gruppi di differenti continenti, nonché dell’ideologia di classificazione e tipologia nelle scienze naturali.[38]
Razza e colonialismo
Il concetto europeo di “razza” assieme a tutte le ideologie ad esso associate, iniziò a farsi strada con la rivoluzione scientifica che introdusse gli studi sulla natura umana, oltre che con l’età del colonialismo europeo che stabilì relazioni politiche e commerciali tra gli europei e popoli con distinte tradizioni politiche e culturali.[38][39] Quando gli europei incontrarono persone provenienti da differenti parti del mondo, discutevano naturalmente sulle differenze fisiche, sociali e culturali tra i vari gruppi umani. L’inizio della tratta atlantica degli schiavi che gradualmente portò ad un vero e proprio commercio schiavista su vasta scala, creò un ulteriore incentive alla categorizzazione umana di modo da subordinare gli schiavi africani agli schiavisti.[40] Già dall’età classica vi erano interazioni di questo tipo (ad esempio l’ostilità tra il popolo inglese e quello irlandese dato dale forti differenze tra i due popoli[41]) e gli europei iniziarono ben presto a classificare i vari gruppi sulla base del loro aspetto fisico, o ad attribuire a persone specifiche capacità o comportamenti come collegati all’aspetto. Una serie di credenze popolari collegava le differenze razziali anche con differenti eredità intellettuali, comportamentali e morali.[42] Idee simili ad ogni modo si sono sviluppate in tutte le culture,[43] ad esempio in Cina dove il concetto di razza viene tradotto come la discendenza dall’Imperatore Giallo, discriminando quindi quanti non appartenessero a questo gruppo.[44]
I primi modelli tassonomici
La prima classificazione umana post-classica sembra essere quella operata da François Bernier nel suo Nouvelle division de la terre par les différents espèces ou races qui l'habitent ("Nuova divisione della Terra per differenti speci e razze che la abitano"), pubblicata nel 1684.[45] Nel XVIII secolo le differenze tra i gruppi umani si focalizzò sempre più sulla ricerca scientifica dei fenotipi, ma essa spesso si confondeva con l’ideale razzista dell’innata predisposizione di differenti gruppi, spesso attribuendo caratteristiche positive ai bianchi, agli europei. La classificazione di Carl Linnaeus del 1735, inventore della tassonomia zoologica, divise per la prima volta la razza umana Homo sapiens in varietà continentali come ‘’europeus’’, ‘’asiaticus’’, ‘’americanus’’ e ‘’afer’’, associandoli a differenti umori: sanguigno, melanconico, collerico e flemmatico rispettivamente.[46][47] L’ Homo sapiens europaeus venne descritto come attivo, intelligente e avventuroso, mentre l’ Homo sapiens afer venne detto essere furbo, pigro e senza pietà.[48] Nel 1775 il trattato "The Natural Varieties of Mankind" di Johann Friedrich Blumenbach proponeva cinque divisioni: la razza caucasoide, la razza mongoloide, la razza etiope (poi denominate Negroide per non essere confuse con la razza etiope vera e propria), la razza amerindia e quela malayana, ma non propose alcuna gerarchia tra queste razze.[48] Blumenbach inoltre mostra come queste divisioni non siano in fondo così nette ma vi siano delle compenetrazioni tra gruppi confinanti arrivando a sostenere che “una varietà umana passa così impercettibilmente nell’altra che non si possono descrivere alla fine i limiti tra le due".[49]
Tra il XVII ed il XIX secolo, quindi, iniziarono a cercarsi anche spiegazioni scientifiche a queste differenze, lasciando così spazio all’ “Ideologia della razza”.[39] Secondo questa ideologia, le razze sono primordiali, naturali, permanenti e distinte. È stato anche suggerito nel corso della storia come specifici gruppi siano appunto un insieme di più gruppi a loro volta rimescolatisi, ma un attento studio può distinguere ancora oggi le razze ancestrali che si sono combinate per produrre questi gruppi misti.[44] Altre classificazioni successive si sono avute grazie a Georges Buffon, Petrus Camper e Christoph Meiners i quali contribuiono alla classificazione dei “negri” come inferiori agli europei.[48] Negli Stati Uniti risultarono influenti le teorie razziali di Thomas Jefferson: egli riteneva che gli africani fossero inferiori ai bianchi in particolare per l’intelletto e per il naturale appetito sessuale, mentre tendeva a ritenere i nativi americani come egualitari nei confronti dei bianchi.[50]
Razza e poligenia
Nelle ultime due decadi del XVIII secolo, si fece strada la teoria della poligenia, una credenza che le differenti razze si fossero evolute separatamente in ciascun continente senza antenati comuni,[51] così come dissero lo storico inglese Edward Long e l’anatomista Charles White, oltre agli etnografi tedeschi Christoph Meiners e Georg Forster, ed il francese Julien-Joseph Virey. Negli Stati Uniti, Samuel George Morton, Josiah Nott e Louis Agassiz promossero questa teoria a metà del XIX secolo. La poligenia fu uno dei fattori che portarono poi alla fondazione della Società Antropologica di Londra (1863) durante il periodo della Guerra Civile Americana, opponendosi alla Società Etnologica di Londra, che era nota per le proprie simpatie abolizioniste.[52]
Il dibattito moderno
Modelli dell’evoluzione umana
Attualmente, tutti gli umani sono classificati come appartenenti alla specie ‘’Homo sapiens’’ ed alla sottospecie ‘’Homo sapiens sapiens’’. Ad ogni modo questa non è la prima specie di homininae: il primo genere di specie Homo, l’ Homo habilis, venne teorizzato come evolutosi in Africa orientale almeno 2.000.000 di anni fa che riuscirono a popolare l’Africa in tempi relativamente brevi. L’ Homo erectus si pensa sia nato circa 1.800.000 anni fa, e da 1.500.000 anni fa sia passato in Europa ed in Asia. Virtualmente tutte gli antropologi sono concordi nel ritenere che l’ Homo sapiens arcaico (un gruppo che include le specie H. heidelbergensis, H. rhodesiensis e H. neanderthalensis) si sia evoluto dall’ Homo erectus africano ((sensu lato) o Homo ergaster).[53][54]
Attualmente gli antropologi ritengono che l’ Homo sapiens sapiens si sia evoluto in Nord Africa o in Africa orientale direttamente dall’ H. heidelbergensis e che migrò dall’Africa poi mischiandosi e rimpiazzando gli stessi H. heidelbergensis e H. neanderthalensis in Europa ed in Asia, e l’ H. rhodesiensis nell’Africa sub-sahariana (una combinazione del modern modello multiregionale).[55]Template:Verify source
Classificazione biologica
All’inizio del XX secolo, molti antropologi accettarono l’idea che le distinte razze fossero isomorfiche con distinzioni linguistiche, culturali e sociali, unendo a questo l’eugenetica ed il cosiddetto razzismo scientifico.[56] Dopo il programma eugenetico nazista, l’essenzialismo razzista perse la propria rilevanza precedente. Gli antropologi della razza si concentrarono quindi maggiormente sul concetto di fenotipo.[57][58]
Il primo a mutare radicalmente il concetto di razza sul campo empirico fu l’antropologo Franz Boas, il quale mostrò l’evidenza della plasticità dei fenotipi sulla base di fattori comportamentali,[59] seguito poi da Ashley Montagu che si occupò della parte genetica.[60] E. O. Wilson quindi cambiò il concetto di prospettiva generale sistematica, rigettando il concetto di "razza" intesa come “sottospecie”.[61]
Secondo Jonathan Marks,[38]
«Dalla metà degli anni ‘70, E’ divenuto ormai chiaro che (1) gran parte delle differenze tra gli uomini sono unicamente culturali; (2) ciò che non è culturale è principalmente polimorfico – ovvero che si può trovare con frequenze diverse in diversi gruppi; (3) ciò che non è culturale né polimorfico è principalmente da ritenersi clinico (4) ciò che ancora resta è parte del comportamento umano che comunque influisce in minima parte. Come conseguenza non esiste alcun altro preconcetto che possa avere una natura scientifica.»
Il termine “razza” in biologia è utilizzato oggi con cautela dal momento che esso può risultare ambiguo. Generalmente è utilizzato come sinonimo di “sottospecie”.[62] (per gli animali, l’unica categoria tassonomica sotto il livello delle specie è quella delle sottospecie;[63])
I genetisti della popolazione hanno dibattuto a lungo sul concetto anche di “popolazione” che può essere basato sul concetto di razza. Popolazione è oggi definita come un “gruppo di organismi della stessa specie che occupa un particolare spazio in un particolare tempo”.[64] Waples e Gaggiotti identificano due tipologie di definizione della popolazione; alcune ricadono nel “paradigma ecologico”, altre nel “paradigma evoluzionario”:
- Paradigma ecologico: un gruppo di individui della stessa specie che concorrono in uno spazio-tempo e hanno opportunità di interagire gli uni con gli altri.
- Programma evoluzionario: un gruppo di individui della stessa specie che vivono vicini a tal punto che ciascuno può potenzialmente unirsi con qualsiasi altro membro.[64]
Differenze morfologiche delle popolazioni
Tradizionalmente, le sottospecie sono viste come popolazioni differenti isolate e geneticamente differenti.[65] Pertanto la, "designazione delle sottospecie è utilizzata per indicare una microevoluzione delle differenze"[19] Un’obiezione a questa idea è che non vi sono canoni specifici per le differenziazioni. Pertanto ogni popolazione che presenti delle differenze biologiche può essere considerate una sottospecie, persino a livello della popolazione locale. Templeton comprese quindi che era necessario dare dei canoni per la designazione delle sottospecie[65] e pertanto che era necessario raggiungere un considerevole livello di differenza per essere riconosciuta come sottospecie. Dean Amadon propose nel 1949 che le sottospecie fossero definite sulla base della loro differenza del 75% della popolazione, presentando dunque differenze e caratteri morfologici evidenti.[66]
Nel 1978, Sewall Wright suggerì che le popolazioni umane che avessero vissuto a lungo separate dal resto delle parti del mondo, in generale, fossero considerate come sottospecie. Wright comprese come non fosse necessario disporre di affermati antropologi per dividere e classificare gli inglesi, gli africani e I cinesi con un’accuratezza del 100% sulla base del colore della pelle, del tipo dei capelli e altro.[67]
Sull'altro fronte, le sottospecie sono spesso facilmente osservabili nelle loro diversità a livello fisico, ma non vi è necessariamente un significato evolutivo in queste differenze e pertanto questa forma di classificazione è oggi meno accettata dai biologi evoluzionisti.[68] Questo approccio tipologico alla razza è generalmente guardato con discredito sia dai biologi che dagli antropologi.
Per la difficoltà nel classificare le sottospecie a livello morfologico, molti biologi hanno trovato il concetto troppo problematico, citando le seguenti problematiche:[19]
- Le differenze fisiche visibili non sempre sono collegate le une alle altre, portando così a differenti classificazioni per lo stesso organismo individuale.
- L'evoluzione parallela può portare all'esistenza di apparenti similitudini tra gruppi di organismi che non sono parti della stessa specie.
- Le popolazioni isolate senza sottospecie precedentemente designate si sono trovate.
- I criteri di classificazione possono essere arbitrari se ignorano la variazione graduale nei tratti.
Popolazioni differenziate ancestralmente
La cladistica è un altro metodo di classificazione. Un clade è un gruppo tassonomico di organismi aventi un medesimo antenato commune a tutti i discendenti di quel gruppo. Ciascuna creatura riprodottasi per via sessuata ha due lignaggi immediati, uno paterno ed uno materno.[69] Se Linneo stabilì una tassonomia per gli organismi viventi basata su similitudine e differenze anatomiche, la cladistica ha cercato di stabilire una tassonomia (il cosiddetto albero filogenetico) basato su similitudini e differenze genetiche tentando anche di tracciare il processo di acquisizione delle diverse caratteristiche da parte degli organismi. Molti ricercatori hanno cercato di spiegare l’idea di razza equiparandola all’idea biologica di clade. Solitamente il DNA mitocondriale o Cromosoma Y è utilizzato per studiare le antiche migrazioni umane. Per questo molti individui provenienti anche da continenti diversi rischiano di assomigliarsi molto più che altri viventi nel medesimo ambiente.
Per gli antropologi Lieberman e Jackson (1995), ad ogni modo, vi sono dei profondi problem metodologici e concettuali nell’uso della cladistica per supportare il concetto di razza. Entrambi ritengono che “i sostenitori di questo modello molecolare e biochimico, usano esplicitamente delle categorie raziali nel loro raggruppamento iniziale”. Ad esempio il grande e diversificato gruppo macroetnico degli indiani d’America, dei nordafricani e degli europei sono giudicati tutti come caucasici a prescindere dalle variazioni del loro DNA. [70] Gli scienziati ad ogni modo non discutono sulla validità e l’importanza della ricerca cladistica, ma solo sul suo rapporto col concetto di razza.
Costrutti sociali
Come hanno evidenziato antropologi ed altri studiosi del campo evoluzionista oggi si tende ad utilizzare il termine “popolazione” per parlare di differenze genetiche, anche se storici, antropologi culturali e altri scienziati sociali hanno riconcettualizzato il termine “razza” come una categoria culturale o un costrutto sociale, un modo cioè con cui le persone parlano di sé e degli altri.
Molti scienziati hanno rimpiazzato la parola razza con la parola “etnicità” per riferirsi a gruppi autoidentificatisi come tali basandosi sulla cultura, antenati comuni, storia. Accanto a problemi di natura empirica e concettuale con la “razza”, dopo la Seconda Guerra Mondiale si è generalmente ritenuto che essa sia stata sfruttata per giustificare discriminazioni, apartheid, schiavitù e genocidi. Questa questione ha avuto grande rilevanza negli anni ’60 negli Stati Uniti in concomitanza con l’esplodere delle teorie del movimento per i diritti civili e l’emergenza di numerosi movimenti anticoloniali nel mondo. Da quel momento si è iniziato a ritenere la razza come un costrutto sociale, un concetto cioè utilizzato unicamente a livello sociale e non più scientifico.[71]
Craig Venter e Francis Collins del National Institute of Health hanno annunciato nel 2000 una mappatura del genoma umano. Analizzando i dati della mappatura del genoma, Venter ha realizzato che le variazioni nelle specie umane sono nell’ordine dell’ 1–3% (anziché del solo 1% come in precedenza si riteneva). Venter riporta a tal proposito che la "razza è un concetto sociale. Non uno scientifico. Non vi sarebbero linee chiaramente emergenti se comparassimo i genomi di ogni individuo sul pianeta. Quando cerchiamo di applicare la scienza a questi concetti, essa decade a prescindere."[72]
Stephan Palmié disse che la razza "non è nient’altro che una relazione sociale";[73] o, nelle parole di Katya Gibel Mevorach, "una metonimia, un’invenzione umana per differenziare gli uomini tra di loro senza che vi siano differenze biologiche fisse."[74]
Il Brasile
Se comparato agli Stati Uniti del XIX secolo, il Brasile del XX secolo è caratterizzato da una sostanziale assenza di gruppi razziali definiti. Secondo l’antropologo Marvin Harris, questo marker rifletterebbe una storia e differenti relazioni sociali all’interno di quella stessa società.
Sostanzialmente, la razza in Brasile è stata “biologizzata” in un modo tale che riconoscere le differenze tra gli antenati (che determinano il genotipo ed il fenotipo) è molto difficile. Ogni individuo, infatti, essendo spesso frutto di unioni miste a loro volta magari provenienti da unioni miste, ha reso perlopiù impossibile mantenere uno schema di discendenza rigido,[75] da estendere a tutti i parenti e creare così dei gruppi razziali differenti.[76]
Sulla popolazione brasiliana infatti si possono contare una dozzina di categorie razziali che possono variare come il colore degli occhi, la forma dei capelli, il colore della pelle, ecc. in quanto nessuna categoria si è mai completamente isolata dalle altre. E’ necessario quindi studiare a fondo i vari genotipi e la loro evoluzione perché non è detto che una persona considerata “bianca” non abbia avuto antenati “neri” e viceversa, come invece è chiaramente ravvisabile ad esempio tra gli europei.[77] La complessità della classificazione razziale della popolazione brasiliana riflette gli intenti di misgenetica della società locale, una società che rimane altamente ma non strettamente stratificata per colori, seppur con diverse eccezioni come il caso dei pardos, le persone “miste”, che hanno iniziato a dichiararsi “bianche” o “nere” a seconda del loro status sociale,[78] e divenendo quindi sempre più “bianche” man mano che il loro status migliora socialmente.[79]
Self-reported ancestry of people from Rio de Janeiro, by race or skin color (2000 survey)[80] | |||
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Ancestry | brancos | pardos | pretos |
European only | 48% | 6% | - |
African only | – | 12% | 25% |
Amerindian only | – | 2% | - |
African and European | 23% | 34% | 31% |
Amerindian and European | 14% | 6% | - |
African and Amerindian | – | 4% | 9% |
African, Amerindian and European | 15% | 36% | 35% |
Total | 100% | 100% | 100% |
Any African | 38% | 86% | 100% |
La fluidità di queste categorie razziali, la "biologificazione" della razza del Brasile è un caso particolarissimo che ha attirato gli studi di molti scienziati del settore. In molti test genetici realizzati, la popolazione con meno del 60-65% di discendenza europea e col 5-10% di discendenza amerinda solitamente è indicate come afro-brasiliana.[81][82][83][84]
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