Vincenzo Ragusa

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Vincenzo Ragusa

Vincenzo Ragusa (Palermo, 8 luglio 1841Palermo, 13 marzo 1927) è stato uno scultore italiano, fondatore dell'Istituto d'Arte di Palermo, oggi intitolato a lui e alla moglie Otama Kiyohara. Nel 1860 partecipò alla Spedizione dei Mille.

Tra il 1876 e il 1882 introdusse in Giappone le tecnologie di fusione del bronzo e altre tecniche europee di scultura con armature e modellato, esercitando un ruolo significativo nello sviluppo delle moderne arti scultoree giapponesi. Fece parte del primo corpo di insegnanti e del gruppo di consulenti scelti dal governo Meiji per la fondazione della Scuola tecnica di belle arti di Tokyo[1]. Fu peraltro notevole la sua attività di intermediazione culturale tra l'Italia e il Giappone, svolta insieme alla moglie Otama Kiyohara.

Le sue sculture sono in diversi musei e importanti collezioni in Italia e in Giappone.

Biografia[modifica | modifica wikitesto]

Ragusa nacque da Michele Ragusa e Dorotea Filippelli[2], famiglia modesta di Partanna, un sobborgo di Palermo. Fu allievo di Salvatore Lo Forte.[3]

A 19 anni, nel 1860, dopo lo sbarco dei Mille a Marsala, prese parte alla Spedizione dei Mille.[4] Il 1º ottobre, agli ordini di Nino Bixio e insieme ad altri artisti, tra cui vi era Francesco Lojacono, partecipò alla Battaglia del Volturno.

Nel 1875 ricevette il diploma dell'Accademia di Brera ad honorem.[4]

La carriera nel Giappone Meiji[modifica | modifica wikitesto]

Nello stesso anno, insieme all'architetto Giovanni Cappelletti (†1885) e al pittore Antonio Fontanesi, e sotto gli auspici di Alessandro Fè d'Ostiani, ambasciatore italiano a Tokyo, vinse un concorso istituito dal Giappone[5] per creare un gruppo di consulenti e il corpo insegnanti della neonata Scuola tecnica di belle arti,[6] la prima scuola d'arte governativa fondata in Giappone sotto la supervisione del Ministero dell'Industria.[1]

Nel corso dei decenni successivi i tre artisti esercitarono una forte influenza sullo sviluppo dell'architettura e dell'arte giapponese.

Attore giapponese, 1880. Museo dell'Università delle Arti di Tokyo.

Con l'insediamento dell'Imperatore Mutsuhito nel 1868 era iniziato il rinnovamento del Giappone, ed erano state avviate importanti riforme politiche, culturali e strutturali: il paese si stava velocemente aggiornando sull'uso delle tecniche e tecnologie occidentali.[6] La politica ufficiale del governo giapponese aveva deciso di accettare le consulenze militari dalla Francia, quelle industriali dalla Gran Bretagna, quelle agricole degli Stati Uniti e quelle giuridiche, e mediche dalla Germania. L'Italia era il paese in cui scegliere i consulenti artistici. I consulenti stranieri erano chiamati oyatoi gaikokujin, e vennero assunti sia nel settore pubblico che in quello privato.

Dato che nel periodo Meiji la popolarità del buddhismo giapponese era in declino, la pratica della scultura tradizionale sopravviveva ancora nelle arti minori, con la realizzazione di ornamenti architettonici, bambole tradizionali (ningyō), maschere Nō e netsuke. Rispetto ai pittori gli scultori erano quindi pochi, così la scuola fu presentata con una certa enfasi nei confronti della scultura.

Vincenzo Ragusa si trasferì dunque in Giappone nel novembre del 1876,[5] allestì uno studio nella sua residenza di Mita, nel quartiere di Minato a Tokyo e ricevette anche un incarico di insegnamento presso la Scuola d'Arte Industriale di Yokohama.[3] Rimase in Giappone fino al 1882 insegnando le tecniche europee di scultura, modellato e fusione del bronzo, ricevendo dal governo giapponese un alloggio, l'assistenza sanitaria e uno stipendio di 3.300 yen al mese.[5] La sua attività didattica esercitò un ruolo molto importante nello sviluppo delle moderne arti scultoree del paese.

Nel 1878 realizzò un busto bronzeo, ritratto dell'allora diciassettenne Tama Kiyohara,[7] che fu la prima persona giapponese a posare per un artista europeo. I giapponesi provavano un certo imbarazzo verso il realismo dell'arte europea,[8] ma quell'opera fu il primo di diversi ritratti di gente comune, attori e notabili, che l'artista palermitano realizzò nel paese del Sol Levante.

Nel febbraio 1879 fu ricevuto dall'Imperatore Mutsuhito. Lavorò quindi presso la Corte imperiale realizzando diverse opere, tra cui il ritratto dell'Imperatore stesso.[4]

La collezione di oggetti giapponesi[modifica | modifica wikitesto]

Durante la sua permanenza nel Paese raccolse diversi oggetti e opere d'arte giapponese. Tra il 1888 e il 1916, probabilmente per finanziare il suo progetto di creazione di una scuola d'arte a Palermo, cedette la collezione al Museo Etnografico Pigorini di Roma, dove è attualmente custodita, ma non visibile al pubblico.[9] Composta da 4172 pezzi, tra cui dipinti, xilografie, lacche, statue bronzee, armi, vasi in bronzo e ceramica, strumenti musicali, maschere teatrali, abiti, e oggetti di uso quotidiano, costituisce la più importante raccolta di oggetti giapponesi antichi esistente in Italia. La raccolta ha anche un grande valore di testimonianza della cultura giapponese precedente all'apertura verso l'Occidente[10]

Il 25 luglio 2018 viene inaugurata al Museo Etnografico Pigorini di Roma "Geisha - l'arte, la persona" con un'esposizione dei materiali raccolti in Giappone dallo scultore palermitano tra il 1876 e il 1882, a fargli da cornice la mostra "La Geisha, tra tradizione e modernità" con le foto di Fabrizio e Federico Bonifazi.

Ritratto di Tama Kiyohara, 1883. Galleria d'Arte Moderna, Palermo.

Il ritorno a Palermo[modifica | modifica wikitesto]

A seguito di una probabile riduzione dei finanziamenti per l'arte in Giappone, nel 1882 tornò a Palermo.[11] Lo seguirono la pittrice Tama Kiyohara, con la sorella, esperta di ricamo giapponese e il marito di lei, esperto nell'uso delle lacche, Ragusa intendeva infatti importare in Sicilia il sapere delle arti applicate giapponesi.

A Palermo, sulla scia dell'esperienza di William Morris, fondò una Scuola Superiore d'Arte Applicata orientale.[4] Nel 1884, con fondi pubblici, aprì a Palazzo Belvedere la scuola d'arte Museo Artistico Industriale - Scuole Officine di Palermo.[12] La scuola esiste ancora ed è l'attuale Liceo Artistico intitolato a Vincenzo Ragusa e Otama Kiyohara.[13]

Nel 1889 si sposò con la pittrice Tama Kiyohara che prese il nome italiano di Eleonora Ragusa. In questa fase cade il Monumento a Giuseppe Garibaldi per Palermo, fuso a Roma nel 1882 da Alessandro Nelli.

Morì a 85 anni, il 13 maggio 1927 a Palermo, dove è sepolto nel Cimitero di Santa Maria dei Rotoli. Nel 1985 fu portata dal Giappone e tumulata con lui un'urna con metà delle ceneri della moglie, morta in Giappone nel 1939[14].

Opere[modifica | modifica wikitesto]

Donna giapponese. Bronzo, 1881. Museo Nazionale di Tokyo.

Diverse opere di proprietà della Famiglia imperiale del Giappone, tra cui un Ritratto dell'Imperatore Mutsuhito e una Statua di Napoleone, sono custodite presso il Kunaichō (sede amministrativa del Casa Imperiale), al Kōkyo (Residenza dell'Imperatore) a Tokyo.

Al suo rientro in Giappone dopo la morte del marito, Otama Ragusa donò sedici sculture di Ragusa alla Scuola Imperiale d'Arte di Tokyo. Le opere si trovano attualmente presso il Museo dell'Università delle Arti di Tokyo.

Onorificenze[modifica | modifica wikitesto]

Cavaliere di V Classe dell'Ordine del Sol Levante - nastrino per uniforme ordinaria

Premi e riconoscimenti[modifica | modifica wikitesto]

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ a b La Scuola tecnica di belle arti (Kōbu Bijutsu Gakkō) fu poi parte della University of Technology e successivamente del Tokyo Institute of Technology.
  2. ^ (JA) Scheda biografica su Vincenzo Ragusa Archiviato il 15 maggio 2011 in Internet Archive. del Museo Nazionale di Kyushu. URL consultato il 1º marzo 2011.
  3. ^ a b Vincenzo Ragusa, cenni biografici Archiviato l'11 novembre 2007 in Internet Archive.. URL consultato il 21 gennaio 2010.
  4. ^ a b c d Vincenzo Ragusa. Pagina dell'Archivio biografico del Comune di Palermo Archiviato il 2 aprile 2010 in Internet Archive. URL consultato il 21 gennaio 2010.
  5. ^ a b c (EN) Kenjiro Kumamoto. Vincenzo Ragusa and his work Archiviato il 3 agosto 2020 in Internet Archive.. National Research Institute for Cultural Properties, Tokyo. URL consultato il 25 ottobre 2010.
  6. ^ a b (EN) After Feudalism: Westernization and National Identity Archiviato il 21 marzo 2015 in Internet Archive. URL consultato il 21 gennaio 2010.
  7. ^ a b Ritratto di Tama Kiyohara Archiviato il 29 ottobre 2013 in Internet Archive., scultura di Vincenzo Ragusa. Bronzo, 1878. URL consultato il 21 gennaio 2010.
  8. ^ Tama Ragusa, Takeshi Kimura. Ragusa OTama Jijoden (Autobiografia di Otama Ragusa). 314 pag. Tokyo, Kobunsha, 1980.
  9. ^ Francesco Morena. I dipinti di Kiyohara Tama e la collezione di Vincenzo Ragusa al Museo Pigorini di Roma Archiviato il 22 luglio 2011 in Internet Archive. OrientArt, 29 giugno 2010. URL consultato il 10 marzo 2011.
  10. ^ Le Collezioni asiatiche del Museo Etnografico di Roma Archiviato il 27 gennaio 2010 in Internet Archive.. URL consultato il 21 gennaio 2010.
  11. ^ Non esistono prove documentarie di un suo eventuale licenziamento dalla scuola in cui insegnava Archiviato l'11 novembre 2007 in Internet Archive. URL consultato il 21 gennaio 2010.
  12. ^ V. Crisafulli. 1884. Vincenzo Ragusa e l'Istituto d'Arte di Palermo. Palermo, Kalos, 2004. ISBN 88-89224-06-1
  13. ^ Istituto Statale d'Arte di Palermo - Vincenzo Ragusa Otama Kiyohara. URL consultato il 21 gennaio 2010.
  14. ^ la fiaba triste di o' tama giapponese di sicilia - la Repubblica.it, in Archivio - la Repubblica.it. URL consultato il 6 febbraio 2017.
  15. ^ Ritratto di Tama Kiyohara Archiviato l'8 dicembre 2012 in Internet Archive.. URL consultato il 23 gennaio 2010.
  16. ^ Lista delle Opere della Galleria d'Arte Moderna di Palermo (secondo piano) Archiviato il 17 maggio 2009 in Internet Archive.. URL consultato il 10 marzo 2011.
  17. ^ Ritratto di Tama Kiyohara, Galleria d'Arte Moderna, Palermo[collegamento interrotto]. URL consultato il 26 gennaio 2010.
  18. ^ L'Esposizione universale di Vienna del 1873 illustrata ..., Milano :. URL consultato il 28 dicembre 2016.

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

  • (EN) Kenjiro Kumamoto. Vincenzo Ragusa and his work Archiviato il 3 agosto 2020 in Internet Archive.. Tokyo, National Research Institute for Cultural Properties, 1937. Consultato il 24 gennaio 2010.
  • (EN) Yamada, Chisaburo. Japanese Modern Art. Monumenta Nipponica, Vol. 3, No. 2 (Jul., 1940), pp. 567–578
  • (JA) Tama Ragusa, Takeshi Kimura. Ragusa OTama Jijoden (Autobiografia di Otama Ragusa). 314 pag. Tokyo, Kobunsha, 1980.
  • (JA) Etsuko Kaji. Ragusa Tama, Joryu Yogaka Daiichigo No Shogai (La vita di Tama Ragusa, la prima giapponese che dipinse all'occidentale). Tokyo, Nihon Hoso Shuppan Kyokai, 1984. ISBN 4-14-003022-4
  • Lorenza Restivo, “Lo scultore Vincenzo Ragusa e un'occasione perduta: il fallito tentativo di un giapponismo artistico in Sicilia”, in Il Giappone, vol. XXXVIII, pp. 115–122. Roma, IsIAO, 1998.
  • (EN) Mason, Penelope. History of Japanese Art. Prentice Hall, 2001. ISBN 0-13-117602-1
  • (EN) Sadao Tsuneko, et al. Discovering the Arts of Japan: A Historical Overview. Oxford University Press, 2003. ISBN 4-7700-2939-X
  • V. Crisafulli. 1884. Vincenzo Ragusa e l'Istituto d'Arte di Palermo. Palermo, Kalos, 2004. ISBN 88-89224-06-1
  • S. Grandesso, F. Mazzocca, A. Purpura, L. Martorelli, G. Barbera, G. Puglisi. Galleria d'Arte Moderna di Palermo. Catalogo delle opere. Milano, Silvana Editoriale, 2007. ISBN 88-366-0845-0
  • Maria Antonietta Spadaro, O'Tama e Vincenzo Ragusa. Echi di Giappone in Italia. Palermo, Kalòs, 2008. ISBN 88-89224-46-0
  • V. Crisafulli, L. Paderni, M. Riotto (a cura di). Kiyohara Tama. La collezione dipinta. Palermo, Sellerio Editore, 2009. ISBN 978-88-7681-178-4
  • Lentini Rosario, ''Mercanti, imprenditori e artisti a Palermo nella seconda metà dell'Ottocento'', in ''Francesco Lojacono 1838-1915'', Silvana Editoriale, Milano 2005, pp. 119–149.
  • Maria Antonietta Spadaro (a cura di), O'Tama e Vincenzo Ragusa. Un ponte tra Tokyo e Palermo, Catalogo della mostra allestita a Palazzo Sant'Elia (Palermo,12 maggio - 28 luglio 2017), Edizioni Fondazione Sant'Elia, Palermo 2017. ISBN 978-88-90886-44-7

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