Questione adriatica: differenze tra le versioni

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Inquadramento storico

Nonostante la ricerca scientifica abbia, fin dagli anni novanta del XX secolo, sufficientemente chiarito gli avvenimenti[1][2], la conoscenza dei fatti nella pubblica opinione permane distorta ed oggetto di confuse polemiche politiche, che ingigantiscono o sminuiscono i fatti a seconda della convenienza ideologica.[3][4]

Gli eccidi delle foibe ed il successivo esodo costituiscono l'epilogo di una secolare lotta per il predominio sull'Adriatico orientale, che fu conteso da popolazioni slave (prevalentemente croate e slovene, ma anche serbe) e italiane. Tale lotta si inserisce all'interno di un fenomeno più ampio e che fu legato all'affermarsi degli stati nazionali in territori etnicamente misti.

La composizione etnica di Venezia Giulia e Dalmazia

Lo stesso argomento in dettaglio: Istria, Storia della Dalmazia e Diffusione dello sloveno in Italia.
Alla fine del 700 i Franchi estesero il loro dominio anche sul Carso e la parte interna dell'Istria. Poiché tali terre erano scarsamente popolate, in quanto impervie, i Franchi e poi le autorità del Sacro Romano Impero consentirono l'insediamento degli slavi.
La Repubblica di Venezia estese
il suo dominio soprattutto sulle cittadine costiere dell'Istria e
della Dalmazia abitate da popolazioni romanizzate.
La suddivisione linguistica
nel 1880 rispecchiava la precedente divisione politica durata per oltre 1000 anni.

Prima del XIX secolo, in Venezia Giulia e Dalmazia, avevano convissuto, in modo talvolta conflittuale e talvolta pacifico, popolazioni autoctone di lingua romanza e popolazioni di stirpe e lingua slava. Queste ultime, spinte a ovest dagli Avari e dagli Unni, giunsero a ridosso della pianura friulana all'inizio del VII secolo [5] e si stabilirono, a partire dal IX secolo, nelle zone scarsamente popolate dell'Adriatico orientale[6] e nelle zone della pianura friulana e dell'Istria interna spopolate a causa delle incursioni ungare del X secolo[7] e delle successive pestilenze del XV e XVI secolo. Le ricorrenti tensioni non erano dovute ad ancor inesistenti concetti di nazionalità, essendo ben noti - peraltro - fin dall'antichità i concetti di stirpe e di tribù, (le diverse etnie, viceversa, erano, sotto il dominio asburgico, in larga misura mischiate).[8]

Vi era una differenza di carattere linguistico - culturale fra città e costa (prevalentemente romanzo-italiche) e le campagne dell'entroterra (in parte slavi o slavizzati).
Le classi dominanti (aristocrazia e borghesia) erano dovunque di lingua e cultura italiana, anche qualora di origine slava.

Gli opposti nazionalismi

Con la Primavera dei Popoli del 1848-49, anche nell'Adriatico orientale, il sentimento di appartenenza nazionale cessò di essere una prerogativa delle classi elevate e cominciò, gradualmente, a estendersi alla masse[9][10]. Fu solo a partire da tale anno che il termine "italiano" (ad esempio) cessò, anche in queste terre, di essere una mera espressione di appartenenza geografica o culturale e cominciò ad implicare l'appartenenza a una "nazione" italiana[11]. Analogo processo subirono gli altri gruppi nazionali: si vennero pertanto a definire i moderni gruppi nazionali: italiani, sloveni, croati e serbi.

Lo scontro nazionale in Venezia Giulia

File:MORLACCHI.QUARNARO.jpg
Suddivisione linguistica dell'Istria e del Quarnero in base al censimento austriaco del 1910.

     italiano (veneto e istrioto)

     serbocroato

     sloveno

     istrorumeno

Dopo il 1848-49 pertanto, in Venezia Giulia, il senso di identità nazionale, precedentemente prerogativa di parti della nobiltà e della borghesia italiane, cominciò ad investire tutti gli ambienti urbani. Al di fuori di città e borghi, fu il clero che svolse un ruolo fondamentale nel "risveglio nazionale" delle popolazioni slovene e croate (allora genericamente "slave"), maggioritarie nelle campagne.

L'affermarsi delle nazionalità portò a una suddivisione della società in chiave nazionale, divisione che coincise approssimativamente con la precedente divisione fra centri urbani (prevalentemente costieri) e comunità rurali (prevalentemente dell'interno). Si vennero a creare le contrapposizioni nazionali: le tradizionali élite economiche e politiche, già culturalmente italiane, si riscoprirono tali anche su un piano di identificazione nazionale, seguite dal popolo. Dall'altra parte nacquero delle élite di sentimenti slavi, inizialmente formate dal clero, ma successivamente anche da nuovi borghesi, che si fecero portavoce delle rivendicazioni culturali e politiche slave, progressivamente coinvolgendo anche i pastori e contadini slavi. Le élite italiane cercarono di mantenere il tradizionale predominio politico, economico e culturale, contrastando le ambizioni slave (favorite in questo da Vienna). Fu così che, specie a partire dal 1866, la contrapposizione nazionale caratterizzò la vita e la cultura dell'Istria, di Fiume e di Trieste. Tale contrapposizione fu la causa remota dei massacri delle foibe[senza fonte], ed è un fenomeno che ancor oggi è tipico di diverse zone ad etnia mista (come in Irlanda del Nord, nei Paesi Baschi o nell'ex Jugoslavia)[senza fonte].

Lo scontro nazionale in Dalmazia

Lo stesso argomento in dettaglio: Dalmati italiani, Croatizzazione e Partito Autonomista.
Antonio Bajamonti in una cartolina propagandistica dei primi del '900

«La nazionalità italiana in Dalmazia è una parola vuota di senso, trovata dall'interesse, dall'impostura.»

«Nessuna gioia, solo dolore e pianto, dà l'appartenere al partito italiano in Dalmazia. A noi, italiani della Dalmazia, non rimane che un solo diritto, quello di soffrire.»

In Dalmazia[13] il primo ideale di nazionalità si concretizzo nel concetto di una nazione dalmata, che racchiudeva in sé radici slave e romanze.

Col nascere del nazionalismo croato, questo ideale venne combattuto dal Partito del Popolo croato (Narodna stranka), che richiedeva l'unione fra Dalmazia e Croazia, negava l'esistenza stessa di una componente italiana in Dalmazia e invocava l'eliminazione dell'uso dell'italiano nella vita pubblica e la croatizzazione delle scuole. La Dalmazia veniva considerata integralmente croata fin dall'alto medioevo. Gli italiani venivano considerati una realtà estranea (come i pieds noirs in Algeria), frutto di "invasioni straniere" che avevano italianizzato parte della popolazione croata originaria.

In conseguenza della politica del Partito del Popolo, che conquistò gradualmente il potere, in Dalmazia si verificò una costante diminuzione della popolazione italiana, in un contesto di repressione che assunse anche tratti violenti[14]. Nel 1845 i censimenti austriaci registravano quasi il 20% di Italiani in Dalmazia, mentre nel 1910 erano ridotti a circa il 2,7%.

Tutto ciò spinse sempre più gli autonomisti ad identificare sé stessi come italiani, fino ad approdare all'irredentismo.

Dopo la nascita del Regno d'Italia, il sorgere dell'irredentismo italiano portò il governo asburgico, tanto in Dalmazia, quanto in Venezia Giulia, a favorire il nascente nazionalismo di sloveni[15] e croati, nazionalità ritenute più leali ed affidabili rispetto agli italiani[15][16]. Si intendeva così bilanciare non solo il potere delle ben organizzate comunità urbane italiane[17], ma anche l'espansionismo serbo[senza fonte], che mirava ad unificare tutti gli slavi del sud.

Grande Guerra e annessione all'Italia

Nel 1915 l'Italia entrò nella Grande Guerra a fianco della Triplice Intesa, in base ai termini del Patto di Londra, che le assicuravano il possesso dell'intera Venezia Giulia e della Dalmazia settentrionale - incluse molte isole. La città di Fiume, invece, veniva espressamente assegnata quale principale sbocco marittimo di un eventuale futuro stato croato o del Regno d'Ungheria, se la Croazia avesse continuato ad essere un banato dello stato magiaro o della Duplice Monarchia[18].

Al termine della guerra, il regio esercito occupò i territori previsti dal trattato, cosa che provocò le reazioni opposte delle diverse etnie, con gli italiani che acclamarono alla "redenzione" delle loro terre, e gli slavi che guardavano con ostilità e preoccupazione i nuovi arrivati. La contrapposizione nazionale subì un nuovo e forte inasprimento. Successivamente, la definizione dei confini fra l'Italia e il nuovo stato jugoslavo, fu oggetto di una lunga ed aspra contesa diplomatica, che trasformò il contrasto nazionale in una contrapposizione fra stati sovrani, che coinvolse vasti strati dell'opinione pubblica esasperandone ulteriormente i sentimenti. Forti tensioni suscitò in particolare la questione di Fiume, che fu rivendicata all'Italia sulla base dello stesso principio di autodeterminazione che aveva fatto assegnare al regno jugoslavo le terre dalmate, già promesse all'Italia.

La questione dei confini fu infine risolta coi trattati di Saint Germain e di Rapallo.

Cartina della Dalmazia e della Venezia Giulia coi confini previsti dal Trattato di Londra
e quelli invece effettivamente ottenuti dall'Italia con il Trattato di Rapallo (1920)

L'Italia ottenne solo parte di ciò che le era stato promesso a Londra.

In base alla dottrina Wilson, le fu infatti negata la Dalmazia (dove ottenne solo la città di Zara e alcune isole).

Col trattato di Rapallo Fiume venne eretta a stato libero, per poi essere annessa all'Italia nel 1924 (con l'esclusione di Sussak/Porto Barros).

Parte del territorio abitato quasi esclusivamente da Sloveni, assegnato al Regno d'Italia in base al trattato di Rapallo

In base al trattato di Rapallo 356.000 sudditi dell'Impero austro-ungarico di lingua italiana ottennero finalmente la cittadinanza italiana, mentre circa 15.000 di essi divennero sudditi del Regno dei Serbi, Croati e Sloveni.

Contemporaneamente però si ritrovarono entro i confini del Regno d'Italia anche 490.000 Croati e Sloveni (di cui circa 170.000 Croati e circa 320.000 Sloveni - di questi ultimi circa 190.000 risiedevano nei distretti di Tolmino, Gorizia-circondario, Sesana, Volosca, Idria e Fusine, Vipacco, Postumia e Bisterza, nei quali gli Sloveni rappresentavano la quasi totalità (99%) della popolazione.[19][20])

Il dopoguerra e il "fascismo di confine"

Nel 1919-20 (il "biennio rosso"), l'Italia fu attraversata da un'ondata di tensioni sociali, che coinvolsero anche la Venezia Giulia, dove scoppiarono proteste e agitazioni. Contemporaneamente, l'ostilità slava (e soprattutto slovena) alla riunificazione della Venezia Giulia all'Italia, già palesata con il boicottaggio nei confronti dei civili italiani di ritorno dai campi di concentramento di Wagna e Tapiosuly, si esprimeva con l'accumulo di armi provenienti dal confinante Regno dei Serbi, Croati e Sloveni e con attentati. Queste tensioni, sommate alle preesistenti tensioni nazionali e allo spandersi del cosiddetto "mito della vittoria mutilata", furono fertile terreno per lo sviluppo, in regione, del movimento fascista, che qui assunse particolari connotati (il "fascismo di confine").

Varie furono le azioni violente compiute dagli squadristi fascisti, spesso con il tacito appoggio delle autorità, che li sfruttarono per sedare i disordini: i fascisti si presentarono infatti come i tutori dell'italianità e del mantentimento dell'ordine nazionale e sociale della Venezia Giulia. Il fascismo fu considerato risolutivo da parte di chi temeva la crescita del movimento socialista e di chi voleva risolvere drasticamente il "problema slavo".

L'Hotel Balkan sede del Narodni Dom dopo l'incendio (1920)

Fra gli episodi violenti, il più noto fu l'incendio del Narodni dom ("Casa nazionale slovena") di Trieste, compiuto da squadristi a seguito dell'assassinio da parte di uno sloveno del cuoco o cameriere italiano Giovanni Nini nel corso di una manifestazione antijugoslava provocata dall'assassinio a Spalato di due militari della Regia Marina (tenente Gulli e motorista Rossi) sbarcati disarmati per sedare un tumulto sui moli[21]. Tale incidente assunse a posteriori un forte significato simbolico, venendo ricordato come l'inizio dell'oppressione italiana contro gli slavi.

Violenze per molti versi simili furono compiute anche contro le minoranze (incluse quelle italiane) rimaste sotto l'amministrazione jugoslava (si vedano, ad esempio, gli incidenti di Spalato e la domenica di sangue di Marburgo).

L'italianizzazione fascista

Lo stesso argomento in dettaglio: Italianizzazione (fascismo).
Province della Venezia Giulia nel 1924, dopo l'annessione di Fiume (elencate dall'alto verso il basso): Gorizia, Trieste, Pola, Fiume.

La situazione degli slavi si deteriorò con l'avvento al potere del fascismo, nel 1922. Fu gradualmente introdotta in tutta Italia una politica di assimilazione delle minoranze etniche e nazionali:

  • Gran parte degli impieghi pubblici furono assegnati agli appartenenti al gruppo etnico italiano.
  • Nelle scuole fu vietato l'insegnamento del croato e dello sloveno in tutte le scuole della regione. Con l'introduzione della Legge n. 2185 del 1/10/1923 (Riforma scolastica Gentile), fu infatti abolito nelle scuole l'insegnamento delle lingue croata e slovena. Nell'arco di cinque anni tutti gli insegnanti croati delle oltre 160 scuole con lingua d'insegnamento croata e tutti gli insegnanti sloveni delle oltre 320 scuole con lingua d'insegnamento slovena, furono sostituiti con insegnanti originari dell'Italia, che imposero agli alunni l'uso esclusivo della lingua italiana[22][23]
  • Nell'intento di cancellare ogni traccia di presenza slava, con R. Decreto N. 800 del 29 marzo 1923 furono imposti d'ufficio nomi italiani a tutte le centinaia di località dei territori assegnati all'Italia col Trattato di Rapallo, anche laddove precedentemente prive di denominazione in lingua italiana, in quanto abitate quasi esclusivamente da croati o sloveni: così Boljun divenne Bogliuno [...] Dolina - San Dorligo della Valle, Dekani – Villa Decani [...] Jelšane – Elsane [...] Moščenice – Moschenizza [...] Tinjan – Antignana [...] Veprinac – Apriano, ...[24]
  • In base al Regio Decreto Legge N. 494 del 7 aprile 1926 le autorità fasciste riuscirono a italianizzare i cognomi a decine di migliaia di croati e sloveni: Adamich in Adami [...] Dimnik in Dominici [...] Klun in Coloni [...] Polh in Poli ...[25]. Una legge del 1928 i parroci e gli uffici anagrafici ricevettero il divieto di iscrivere nomi stranieri nei registri delle nascite.[26]

Simili politiche di assimilazione forzata erano all'epoca assai comuni in Europa, venendo applicate, fra gli altri, anche da paesi come la Francia[27], o il Regno Unito, oltre che dalla stessa Jugoslavia nei confronti soprattutto delle proprie minoranze tedesche, ungheresi e albanesi[28].

La politica di "bonifica etnica" avviata dal fascismo fu tuttavia particolarmente pesante, in quanto l'intolleranza nazionale, talora venata di vero e proprio razzismo, venne affiancata e coadiuvata dalle misure repressive tipiche di un regime totalitario[29].

L'azione del governo fascista annullò l'autonomia culturale e linguistica di cui le popolazioni slave avevano goduto durante la dominazione asburgica e esasperò i sentimenti di avversione nei confronti dell'Italia. Le società segrete irredentiste slave, preesistenti allo scoppio della Grande Guerra, si fusero in gruppi più grandi a carattere eversivo, come la Borba e il TIGR, che si resero responsabili di numerosi attacchi a militari, civili e infrastrutture italiane. Alcuni elementi di queste società segrete furono catturati dalla polizia italiana e condannati a morte dal Tribunale speciale per la difesa dello stato.

L'invasione della Jugoslavia

Lo stesso argomento in dettaglio: Operazione 25.

Nell'aprile del 1941 l'Italia partecipò all'attacco dell'Asse contro la Jugoslavia, la quale, dopo la resa dell'esercito, avvenuta il giorno 17[30], e l'inizio della politica di occupazione, fu smembrata e parte dei suoi territori furono annessi agli stati invasori.

Divisione della Jugoslavia dopo la sua invasione da parte delle Potenze dell'Asse.
In verde le aree assegnate all'Italia:
l'area costituente la Provincia di Lubiana,
l'area accorpata alla Provincia di Fiume e le
aree costituenti il Governatorato di Dalmazia

A seguito del trattato di Roma l'Italia annesse parte della Slovenia, parte della Banovina di Croazia nord-occidentale (che venne accorpata alla Provincia di Fiume), parte della Dalmazia e le Bocche di Cattaro (che andarono a costituire il Governatorato di Dalmazia), divenendo militarmente responsabile della zona che comprendeva la fascia costiera, ed il relativo entroterra, della ex-Jugoslavia.

In Slovenia fu costituita la Provincia di Lubiana, dove, a fini politici ed in contrapposizione con i tedeschi, si progettò, senza successo, di instaurare un'amministrazione rispettosa delle peculiarità locali[31]. Nella Provincia di Fiume e nel Governatorato di Dalmazia fu invece instaurata fin dall'inizio una politica di italianizzazione forzata, che incontrò una decisa resistenza da parte della popolazione a maggioranza croata.

La Croazia fu dichiarata indipendente col nome di Stato Indipendente di Croazia, il cui governo fu affidato al partito ultranazionalista degli ustascia, con a capo Ante Pavelić.

La nascita della resistenza jugoslava

Lo stesso argomento in dettaglio: Resistenza jugoslava.

La resa dell'esercito jugoslavo non fermò i combattimenti ed in tutto il paese crebbe un'intensa attività di resistenza che proseguì fino al termine della guerra e che vide da un lato la contrapposizione tra eserciti invasori e collaborazionisti e dall'altro la lotta fra le diverse fazioni etniche e politiche.

Repressione, conflitti etnici e crimini contro i civili

Durante tutta la durata del conflitto vennero perpetrate da tutte le parti in causa numerosi crimini di guerra[32].

Vista del campo di concentramento di Arbe usato per l'internamento della popolazione civile slovena
Monumento alle vittime dell'eccidio di Podhum.[33]

Nella Provincia di Lubiana, fallito il tentativo di instaurare un regime di occupazione morbido, emerse presto un movimento resistenziale: la conseguente repressione italiana fu dura ed in molti casi furono commessi crimini di guerra con devastazioni di villaggi e rappresaglie contro la popolazione civile. Le sanguinose rappresaglie attuate dal Regio Esercito italiano, per reprimere le azioni di guerriglia partigiana aumentarono il risentimento della popolazione slava nei confronti degli italiani.

«Si procede ad arresti, ad incendi [. . .] fucilazioni in massa fatte a casaccio e incendi dei paesi fatti per il solo gusto di distruggere [. . .] La frase »gli italiani sono diventati peggiori dei tedeschi«, che si sente mormorare dappertutto, compendia i sentimenti degli sloveni verso di noi»

A scopo repressivo, numerosi civili sloveni furono deportati nei campi di concentramento di Arbe e di Gonars[35].

Nei territori annessi, accorpati alla Provincia di Fiume ed al Governatorato della Dalmazia, fu avviata una politica di italianizzazione forzata del territorio e della popolazione. In tutto il Quarnero e la Dalmazia, sia italiana che croata, si innescò dalla fine del 1941 una crudele guerriglia, contrastata da una repressione che raggiunse livelli di massacro dopo l'estate 1942.

«. . . Si informano le popolazioni dei territori annessi che con provvedimento odierno sono stati internati i componenti delle suddette famiglie, sono state rase al suolo le loro case, confiscati i beni e fucilati 20 componenti di dette famiglie estratti a sorte, per rappresaglia contro gli atti criminali da parte dei ribelli che turbano le laboriose popolazioni di questi territori . . .»

Nello Stato Indipendente di Croazia, il regime ustascia scatenò una feroce pulizia etnica nei confronti dei serbi, nonché di zingari ed ebrei, simboleggiata dall'istituzione del campo di concentramento di Jasenovac, e contro il regime e gli occupanti presero le armi i partigiani di Tito, plurietnici e comunisti, ed i cetnici, nazionalisti monarchici a prevalenza serba.[36], i quali perpetrarono a loro volta crimini contro la popolazione civile croata che appoggiava il regime ustascia e si combatterono reciprocamente. A causa dell'annessione della Dalmazia costiera al Regno d'Italia, cominciarono inoltre a crescere le tensioni tra il regime ustascia e le forze d'occupazione italiane; venne perciò a formarsi, a partire dal 1942, un'alleanza tattica tra le forze italiane ed i vari gruppi cetnici: gli italiani incorporarono i cetnici nella Milizia volontaria anticomunista (MVAC) per combattere la resistenza titoista, provocando fortissime tensioni con il regime ustascia[senza fonte].

Dopo la guerra la Jugoslavia chiese di giudicare i presunti responsabili di questi massacri (come il generale Mario Roatta), ma l'Italia negò la loro estradizione grazie ad alcune amnistie[37]

  1. ^ Pupo 1996: «...dietro l'apparente caoticità delle situazioni e degli interventi sembra possibile discernere con una certa chiarezza le spinte fondamentali dell'onda di violenza politica che spazza la regione, fino a ricostruire le linee essenziali di una proposta interpretativa generale, che certo andrà vagliata ed integrata alla luce dei nuovi apporti documentari, ma i cui connotati di fondo appaiono già delineati in maniera sufficientemente nitida.»
  2. ^ Pupo, Spazzali, p. XI
  3. ^ Pupo, Spazzali, p. X, 110: «A tutt'oggi, nonostante esse [N.d.R.: le tesi militanti] abbiano dimostrato tutta la loro fragilità sul piano scientifico, continuano a essere largamente diffuse, anche perché si prestano a un uso politico che non è mai venuto meno…»
  4. ^ Raoul Pupo, "Il lungo esodo", BUR, 2005, ISBN 88-17-00949-0, pp. 17-24.
  5. ^ Paolo Diacono, Historia Longobardorum
  6. ^ Placito del Risano
  7. ^ Boris Gombač, Atlante storico dell'Adriatico orientale, Bandecchi & Vivaldi Editori, Pontedera 2007
  8. ^ "L'Adriatico orientale e la sterile ricerca delle nazionalità delle persone" di Kristijan Knez; [[La Voce del Popolo (quotidiano di Fiume)]] del 2/10/2002, su xoomer.alice.it, Consultato il 10 luglio 2009. Wikilink compreso nell'URL del titolo (aiuto) «... è privo di significato parlare di sloveni, croati e italiani lungo l'Adriatico orientale almeno sino al XIX secolo. Poiché il termine nazionalità è improponibile per un lungo periodo, è più corretto parlare di aree culturali e linguistiche, perciò possiamo parlare di dalmati romanzi, dalmati slavi, di istriani romanzi e slavi.» «Nel lunghissimo periodo che va dall'alto Medioevo sino alla seconda metà del XIX secolo è corretto parlare di zone linguistico-culturali piuttosto che nazionali. Pensiamo soltanto a quella massa di morlacchi e valacchi (...) che sino al periodo su accennato si definivano soltanto dalmati. Sino a questo periodo non esiste affatto la concezione di stato nazionale, e come ha dimostrato lo storico Federico Chabod, nell'età moderna i sudditi erano legati soltanto alla figura del sovrano e se esisteva un patriottismo, questo era rivolto soltanto alla città d'appartenenza.»
  9. ^ Sul conflitto fra italiani e slavi a Trieste si veda: Tullia Catalan, I conflitti nazionali fra italiani e slavi alla fine dell'impero asburgico, scheda in Pupo, Spazzali, p. 25-39
  10. ^ Sul conflitto nazionale fra italiani e slavi nella regione istriana, si consultino i seguenti link (sito del "Centro Di Documentazione della Cultura Giuliana Istriana Fiumana Dalmata"):[1][2]
  11. ^ AA.VV., "Istria nel tempo", Centro Ricerche Storiche di Rovigno, 2006, cap. V, par. 3,4
  12. ^ Cartoline storiche di Istria, Quarnaro e Dalmazia (contiene un commento critico del testo citato), su istriadalmaziacards.com, Consultato il 10 luglio 2009.
  13. ^ Sul conflitto nazionale fra italiani e croati in Dalmazia, si consultino i seguenti link (sito del "Centro Di Documentazione della Cultura Giuliana Istriana Fiumana Dalmata"): [3][4]
  14. ^ Raimondo Deranez, Particolari del martirio della Dalmazia, Stab.Tipografico dell'ORDINE, Ancona, 1919
  15. ^ a b Relazione della Commissione storico-culturale italo-slovena, Relazioni italo-slovene 1880-1956, "Capitolo 1980-1918", Capodistria, 2000
  16. ^ L.Monzali, Italiani di Dalmazia (...), cit. p. 69
  17. ^ Pupo, Spazzali, p. 38
  18. ^ Si vedano la voce Trattato di Londra e il testo integrale del trattato su Wikisource
  19. ^ Boris Gombač - Atlante storico dell'Adriatico orientale - Bandecchi&Vivaldi Editori - Pontedera Dicembre 2007 - ISBN 978-88-8641-327-8
  20. ^ AA.VV. - Slovenski zgodovinski atlas - Nova revija - Ljubljana, 2011 - ISBN 978-961-6580-89-2
  21. ^ Attilio Tamaro, Venti anni di storia, Editrice Tiber, Roma, 1953, pp. 79:"Mentre si svolgeva l'imponente comizio e Francesco Giunta, segretario del fascio, parlava, uno slavo uccise un fascista, che s'era intromesso per salvare un ufficiale da quello aggredito
  22. ^ Pavel Strajn, La comunità sommersa – Gli Sloveni in Italia dalla A alla Ž, - Editoriale Stampa Triestina, Trieste 1992
  23. ^ Boris Gombač, Atlante storico dell'Adriatico orientale (op.cit.)
  24. ^ Paolo Parovel, L'identità cancellata, Eugenio Parovel Editore, Trieste 1986
  25. ^ Paolo Parovel, L'identità cancellata, Eugenio Parovel Editore, Trieste 1985
  26. ^ Alojz Zidar, Il popolo sloveno ricorda e accusa (op.cit.)
  27. ^ Fabio Ratto Trabucco, Il regime linguistico e la tutela delle minoranze in Francia, su "Il politico (Rivista italiana di scienze politiche)", Anno 2005, Volume 70)
  28. ^ Sull'assimilazione della minoranza tedesca in Slovenia si veda Harald Heppner (Hrsg.), Slowenen und Deutsche im gemeinsamen Raum: neue Forschungen zu einem komplexen Thema. Tagung der Südostdeutschen Historischen Kommission (Maribor), September 2001, Oldenbourg, München 2002. Per la situazione dei tedeschi del Gottschee: Sito sui tedeschi del Gottschee (Slovenia). Sulle politiche di assimilazione cui furono soggetti gli ungheresi della Vojvodina, si veda, ad esempio: Károly Szilágyi, Good Neighbors or Bad Neighbors? Hungarians and Serbs during the centuries, Budapest 1999. Per la situazione della minoranza albanese, Robert Elsie, Kosovo: in the heart of the powder keg, Columbia University Press, New York 1997.
  29. ^ Relazione della Commissione storico-culturale italo-slovena; Periodo 1918 - 1941. Consultato il 1 settembre 2010
  30. ^ L'atto di resa fu firmato a Belgrado alla presenza del Ministro degli esteri Aleksandar Cincar-Marković e del generale Janković in rappresentanza della Jugoslavia, del generale Maximilian von Weichs per la Germania e del colonnello Bonfatti per l'Italia. V. Salmaggi e Pallavisini, La seconda guerra mondiale, Mondadori, 1989, pag. 119.
  31. ^ Regio decreto-legge del 3 maggio 1941, n. 291 (istituzione della Provincia di Lubiana: "ART. 2- Con decreti reali (...) saranno stabiliti gli ordinamenti della provincia di Lubiana, la quale, avendo una popolazione compattamente slovena, avrà un ordinamento autonomo con riguardo alle caratteristiche etniche della popolazione, alla posizione geografica del territorio e alle speciali esigenze locali"
  32. ^ Diari di guerra: Il diario di Renzo Pagliani, bersagliere nel battaglione "Zara", su digilander.libero.it. URL consultato il 10 novembre 2009.
  33. ^ Il 12 luglio 1942 nel villaggio di Podhum, per rappresaglia furono fucilati da reparti militari italiani per ordine del Prefetto della Provincia di Fiume Temistocle Testa tutti gli uomini del villaggio di età compresa tra i 16 ed i 64 anni.
    Sul monumento che oggi sorge nei pressi del villaggio sono indicati i nomi delle 91 vittime dell'eccidio. Il resto della popolazione fu deportata nei campi di internamento italiani e le abitazioni furono incendiate. Si veda Dino Messina Crimini di guerra italiani, il giudice indaga. Le stragi di civili durante l'occupazione dei Balcani. I retroscena dei processi insabbiati (articolo sul Corriere della Sera, del 7 agosto 2008); Alessandra Kersevan, Lager italiani. Pulizia etnica e campi di concentramento per civili jugoslavi 1941-1943, Nutrimenti editore, 2008, p.61; Giacomo Scotti "Quando i soldati italiani fucilarono tutti gli abitanti di Podhum" sul sito Anpi.it (PDF).
  34. ^ Angelo del Boca, Italiani, brava gente?, pagina 236, Vicenza 2005, ISBN 88-545-0013-5
  35. ^ Alessandra Kersevan, Un campo di concentramento fascista. Gonars 1942-1943, Kappa VU, Udine, 2003 e Idem, Breve storia del confine orientale nel Novecento, in Giuseppe Aragno (a cura di), Fascismo e foibe. Ideologia e pratica della violenza nei Balcani, La Città del Sole, Napoli, 2008
  36. ^ L'Italia in guerra e il Governatorato di Dalmazia, su arcipelagoadriatico.it, Centro Di Documentazione Della Cultura Giuliana Istriana Fiumana Dalmata, 2007. URL consultato il 10 novembre 2009.
  37. ^ Fondo Gasparotto presso Fondazione ISEC (Istituto per la Storia dell'Età Contemporanea, Sesto S.Giovanni, Mi); War Crimes Commission ONU, Crowcass (Central register of war criminals and security sospects) presso Wiener Library, Londra rintracciato dalla storica Caterina Abbati; BBC, Fascist legacy, Londra 1990. (video documentario) di Ken Kirby, curato dallo storico Michael Palumbo; Filippo Focardi e Lutz Klinkhammer (a cura di), La questione dei "criminali di guerra" italiani e una Commissione di inchiesta dimenticata, in Contemporanea, a. IV, n.3, luglio 2001, pp. 497-528; Mimmo Franzinelli, Salvate quei generali! Ad ogni costo e La memoria censurata, in Millenovecento n. 3 gennaio 2003, pp. 112-120: Nicola Tranfaglia, Come nasce la repubblica. Documenti CIA e italiani 1943/1947, Bompiani, Milano 2004. Documenti custoditi nel Fondo Affari Politici del Ministero degli Affari Esteri italiano, in particolare il Telespresso N. 1506 del Ministero degli Affari Esteri, Direzione Generale Affari Politici, VIII, datato Roma, 28 Ottobre 1946, indirizzato al Ministero della Guerra, Gabinetto e al Ministero della Giustizia, Gabinetto, Oggetto: Criminali di guerra Italiani richiesti dalla Jugoslavia, firmato da Pietro Nenni, e il Pro Memoria allegato al documento, in cui si legge testualmente: “La Legazione di Jugoslavia ha presentato al Ministero degli Affari Esteri una serie di Note Verbali in data 16,18,27 e 30 dicembre 1947, con le quali, in applicazione all'Art. 45 del Trattato di Pace, richiede la consegni di 27 presunti criminali di guerra italiani, specificando per ciascuno di essi vari capi d'accusa”. Interessante è anche la nota n. 10599.7./15.2 della Presidenza del Consiglio dei Ministri, Gabinetto, datata Roma, 16 febbraio 1948 e firmata dal Sottosegretario di Stato Giulio Andreotti, a cui è acclusa copia conforme della lettera protocollata Segr. Pol. 875, datata Roma, 20 agosto 1949, inviata all'Ammiraglio Franco Zannoni, Capo Gabinetto Ministero della Difesa