Jean Dubuffet

Jean Dubuffet (Le Havre, 31 luglio 1901 – Parigi, 12 maggio 1985) è stato un pittore e scultore francese. È considerato il fondatore del movimento artistico dell'Art Brut.
Biografia[modifica | modifica wikitesto]

Dopo aver frequentato per due anni l'Accademia d'Arte locale, nel 1918 si reca a Parigi per frequentare l'Académie Julian, che lascia dopo appena sei mesi. In questo periodo frequenta Suzanne Valadon, Fernand Léger e Raoul Dufy, ed ha una forte influenza su di lui il libro L'arte dei folli (Bildnerei der Geisteskranken, Berlin, 1922) dello psicoterapeuta amante dell'arte Hans Prinzhorn.
Dubuffet è anche affascinato dalla produzione dei popoli primitivi, dall'arte africana e dai disegni tracciati dai bambini.
Nel 1923 vive in Italia e nel 1924 in Sudamerica. Smette di dipingere per molti anni, lavorando come disegnatore industriale. Per un lungo periodo si occupa della gestione dell'Azienda vinicola familiare di Buenos Aires. La scelta di diventare pittore è avvertita in lui fin dai tempi dell'Académie Julian ma poi, più volte ritrattata, diventa definitiva nel 1942 e, nel 1944, tiene la sua prima mostra personale alla Galerie René Drouin di Parigi. In questo periodo lo stile delle sue opere è influenzato dall'astrattismo di Paul Klee.
L'attività artistica[modifica | modifica wikitesto]

Inizia nel 1945 il vero e più sentito percorso artistico di Dubuffet, quando teorizza e introduce il concetto di Art Brut, lavori che sono spontanei, immediati, prodotti da persone prive di specifica formazione artistica, come i malati mentali, i bambini. Nel 1947, assieme ad André Breton, Paulhan e Drouin fonda la "Compagnie de l'art brut": il termine definisce l'attività creativa di "artisti loro malgrado", che creano senza intenzioni estetiche, per una personale pulsione emotiva confluente in una comunicazione immediata e sintetica. Contemporaneamente organizza una mostra esponendo i disegni di bambini e alienati mentali.
Organizza la sua prima personale americana che si svolgerà a New York, alla Pierre Matisse Gallery. Sin dall'inizio della sua avventura artistica, Jean Dubuffet rivendica delle posizioni anticulturali, poiché secondo lui la cultura impoverisce, soffoca, livella, genera tenebre e, per dirla in altri termini, è asfissiante. Il suo obiettivo è quello di liberarsi della tradizione artistica, per andare alla ricerca di forze artistiche originali e tracciare una nuova strada per l'arte.
Seguendo l'esempio di numerosi pittori dell'avanguardia, quali Kandinskij, Mirò o Klee, Dubuffet presta un'attenzione speciale ai disegni infantili. Confrontando un grande numero di disegni e dipinti eseguiti da Dubuffet tra gli anni Quaranta e Cinquanta con opere infantili che egli ha avuto tra le mani e che hanno suscitato il suo interesse, è facile riscontrare una serie di influenze iconografiche e formali. Il disegno infantile non costituisce per lui un modello estetico. Se a livello formale sono presenti alcune similitudini con l'arte infantile, questo elemento deve essere letto come il riflesso di un'influenza determinante di tutt'altra portata, che permea il suo approccio filosofico e ideologico. New York lo colpisce, e vi risiede dal 1951 al 1952; dopodiché torna a Parigi, dove ha luogo nel 1954 una retrospettiva al Cercle Volney. Dal 1949 al 1960 si dedica a vari cicli di opere: Paysage Grotesque (1949-1950), Corps de Dames e Sols et Terrains (1950-1952), Assemblage e Texturologie (1953-1959), Materiologìes (1959-1960). Sperimenta anche in campo musicale, assieme all'amico Asger Jorn. Nel 1957 lo Schloss Morsbroich a Leverkusen, in Germania, è il primo museo che gli dedica una retrospettiva. Lo seguiranno successivamente il Musée des Arts Décoratifs di Parigi, il Museum of Modern Art di New York, l'Art Institute di Chicago, lo Stedelijk Museum di Amsterdam, la Tate Gallery di Londra e la Solomon R. Guggenheim Museum di New York. Venezia ospita le sue opere a Palazzo Grassi nel 1964, con l'esposizione dei quadri di una serie iniziata nel 1962, l'Hourloupe.[1]
Viene pubblicata una raccolta di scritti, Prospectus et tous écrits suivants nel 1967, anno in cui inizia la realizzazione di strutture architettoniche da lui progettate; poco dopo inizia varie sculture monumentali commissionategli per esterni. Nel 1971 realizza i suoi primi oggetti scenici, i "practicables". Nel 1980-1981 ha luogo una ricca retrospettiva all'Akademie der Künste di Berlino, al Museum Moderner Kunst di Vienna e alla Joseph-Haubrichkunsthalle di Colonia. Nel 1981 il Solomon R. Guggenheim Museum di New York gli dedica una mostra in occasione dell'ottantesimo compleanno. Dubuffet muore a Parigi il 12 maggio 1985.
La sua collezione dedicata all'Art Brut è ora ospitata presso la Collection de l'art brut di Losanna, in Svizzera. La collezione viene spesso definita un "museo senza muri", in quanto trascendeva i confini nazionali ed etnici e abbatteva efficacemente le barriere tra nazionalità e culture.[2]
Argomento ed opera[modifica | modifica wikitesto]
È stata notata in Dubuffet una vicinanza all'approccio satirico per quanto riguarda la sua visione artistica: questi deforma satiricamente la realtà, svalorizzando intenzionalmente l'immagine. Se nel contesto della pittura novecentesca il lavoro di Dubuffet è stato inserito nella tendenza rappresentata da una schiera di artisti che mostrano un chiaro discredito verso la realtà figurata quali ad esempio Lucio Fontana, Alberto Burri, Antonio Tàpies, nel suo caso la figura, anche se deformata, non viene abbandonata e pur subendo una satirica deformazione non ne rappresenta una caricatura, ma viene ad essere lo sguardo unico dell'artista.[3]
Nell'opera di Dubuffet troviamo il superamento dell'antitesi arte figurativa - arte astratta. «Egli sostenne la necessità di un altro linguaggio (art autre), nel quale la materia non si pone più come passiva, ma come attiva e determinante della creazione artistica, (...)».[4]
Ancora, che occorre fare attenzione a confondere la materia di un artista e l'opera che ha creato operando una metamorfosi e che Dubuffet, a proposito dei suoi Sols ha dichiarato che i suoi suoli non sono pittoreschi, fatti di rovine storiche o lussuriosi, bensì pavimenti sporchi o terra nuda polverosa che nessuno si prenderebbe la briga di notare e ancor meno di dipingere e che invece per lo stesso artista sono tele di incanto e di giubilo[5], non discostando di fatto il suo sguardo da un motto di Giovan Battista Marino: «È del poeta il fin la meraviglia».[6] Da notare che durante il soggiorno italiano del giovane artista l'Editore Nerbini pubblica l'Adone del Cav. Marino, illustrato con «Quadri originali di Fabio Fabbi».[7] A proposito degli scritti quelli di Dubuffet sono innumerevoli e, è stato scritto, «molti scrittori professionisti potrebbero invidiargli le invenzioni verbali in uno stile audacissimo, gli innumerevoli aneddoti, i veloci ritratti di personaggi». Tra l'altro «Dubuffet è l'unico pittore, assieme a Picasso, che abbia sistematicamente documentato e pubblicato tutta la sua opera: più di quaranta volumi illustrati con una messe di note tecniche estremamente dettagliate» a cui «vi si dedicò senza interruzione a partire dal 1942»[8]. Nei testi datati dal 1946 (Prospectus, Commentari), l'artista, «insofferente della estetica tradizionale, lontana dalle esperienze dell'uomo comune, portò alla luce (...) quelle forme di arte spontanea che sono proprie dei bambini e degli alienati (→ art brut)» in realtà volendo indicare «ogni genere di manifestazione espressiva bruta, spontanea e immediata, priva di intenzioni culturalie di sovrastrutture estetche».[9]
Dubuffet spezza la tradizione francese che ritiene «inaccettabile che un artista sia coinvolto nel mondo degli affari», dove dimostrò effettivamente notevole abilità, e «non poteva essere più lontano dall'artista alla Van Gogh: è un pittore di una pasta completamente nuova e il simbolo di una nuova epoca», i primi interessi più legati alla letteratura che alla pittura. Interessi che insieme alla pittura vanno da Dostoevskij, ai balletti russi di Diagilev, a Terenzio, a San Gregorio di Tours.[8]
Dubuffet dal 1942 si dedica definitivamente al lavoro artistico, un processo lento scansionato da crisi come quella del 1933, quando il grossista di vini apre uno studio di pittura dove opera nel tempo che si ritaglia dall'attività commerciale, mettendo così in crisi il proprio matrimonio, non sopportando la moglie una vocazione imprevista del marito, vocazione che la porterà tra l'altro ad accusare Dubuffet, l'amante alla luce del sole «della bella moglie di Léger», di omosessualità.[8] Realizza allora cicli pittorici e scultorei come Metériologies (1958 - 1960), Paris Circus (1961 - 1962) e L'Hurloupe, la cui idea nasce nel luglio 1962 dalle tracce casuali che lo stesso artista esegue mentre è al telefono.[10]
Dubuffet e il graffitismo[modifica | modifica wikitesto]
A suo tempo fu scritto che con la mostra di Palazzo Grassi a Venezia del 1964 Dubuffet appariva quasi un epigono di Picasso quando, all'alba del XXI secolo, viene considerato «il padre fondatore del graffitismo, come il Doganiere lo fu dei naïf». Tale la lettura della sua opera nella mostra a Brescia, Palazzo Martinengo, primavera - autunno 2002, Dubuffet e l'arte dei graffiti. L'arte di Dubuffet non è più di popolo, ma nemmeno di élite. «Ci appare come un cortocircuito tra l'individuale e il collettivo. (...) Per molti giovani è un modo aggressivo, massificato, autistico per "gridare sui muri" la propria presenza»[11].
Scritti[modifica | modifica wikitesto]
- (FR) Jean Dubuffet, Prospectus et tous écrits suivants, Tome I, II, Paris 1967; Tome III, IV, Gallimard: Paris 1995
- (EN) Jean Dubuffet, Asphyxiating Culture and other Writings. New York: Four Walls Eight Windows, 1986
ISBN 0-941423-09-3
Note[modifica | modifica wikitesto]
- ^ Peggy Guggenheim Collection, Logogrifo di pale, Venezia, 31 marzo 1969. URL consultato il 4 settembre 2023.
- ^ (EN) Kent Minturn, Dubuffet, Lévi-Strauss, and the Idea of Art Brut, in Res: Anthropology and aesthetics, vol. 46, 2004-09, pp. 247–258, DOI:10.1086/resv46n1ms20167651. URL consultato il 12 marzo 2023.
- ^ José Corredor - Matheos, Daniel Giralt Miracle, La pittura oggi, in gt Grandi Temi, Catalogo 28309, Novara, Istituto Geografico De Agostini, 1976 ©1973 Barcellona e Losanna, p. 118.
- ^ L'Enciclopedia tematica, in Arte, Arte / A - Fir, n. 1, Rizzoli Larousse, 2005.
- ^ (FR) Joseph - Émile Muller, La fin de la peinture, in Idées, n. 455, Paris, Éditions Gallimard, 1982, pp. 77 - 82.
- ^ Massimo Presciutti, Microsolchi dell'arte. Viaggio a cavallo dei secoli XV e XVI attraverso l'opera di Giuliano Presciutti, Firenze, PresciArt, aprile 2019, p. 102.
- ^ Giambattista Marino, L'Adone. A cura di Gustavo Balsamo-Crivelli, Firenze, Casa Editrice Nerbini, 1922.
- ^ a b c Laurent Danchin, Jean Dubuffet, Rusconi libri srl, Santarcangelo di Romagna 2003, © Paris 1993, pp. 28 - 38
- ^ Giorgio Cusatelli e Giovanni Raboni (Collaboratori delle Redazioni Garzanti), Enciclopedia dell'arte Garzani, Milano, Aldo Garzanti Editore, 1973.
- ^ (FR) Jacinto Lageira, Dubuffet. Le monde de l'Hourloupe, in Hors série Découverte Gallimard Centre Pompidou, Paris, Gallimard - Zanardi, 2001.
- ^ Riccardo Barletta, E Dubuffet diventò un graffitaro, in Corriere della Sera, Milano, lunedì 27 maggio 2002, p. 27.
Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]
Catalogo ragionato[modifica | modifica wikitesto]
- (FR) Catalogue des travaux de Jean Dubuffet, Fascicule I-XXXVIII, Pauvert: Paris, 1965–1991
- (FR) Sophie Webel, L’Œuvre gravé et les livres illustrés par Jean Dubuffet. Catalogue raisonné. Lebon: Paris 1991
Studi critici[modifica | modifica wikitesto]
- (FR) George Limbour, L'Art brut de Jean Dubuffet (Tableau bon levain à vous de cuire la pâte), Paris, Éditions Galerie René Drouin, 1953
- (EN) Michel Ragon, Dubuffet, New York: Grove Press, 1959 (tradotto dal francese da Haakon Chevalier)
- (EN) Peter Selz, The Work of Jean Dubuffet, New York: The Museum of Modern Art, 1962
- (FR) Max Loreau, Jean Dubuffet, délits déportements lieux de haut jeu, Paris: Weber, 1971
- (DE) Andreas Franzke, Jean Dubuffet, Basel: Beyeler, 1976 (tradotto dal tedesco da Joachim Neugröschel)
- (EN) Andreas Franzke, Jean Dubuffet, New York: Harry N. Abrams, Inc. 1981 (tradotto dal tedesco da Erich Wolf)
- (FR) Michel Thévoz, Jean Dubuffet, Geneva: Albert Skira, 1986
- (EN) Mildred Glimcher, Jean Dubuffet: Towards an Alternative Reality. New York: Pace Gallery 1987
- (DE) Mechthild Haas, Jean Dubuffet, Berlin: Reimer, 1997
- (FR) Jean Dubuffet, Paris: Centre Georges Pompidou, 2001
- (EN) Laurent Danchin, Jean Dubuffet, New York: Vilo International, 2001
- (EN) Jean Dubuffet: Trace of an Adventure, ed. by Agnes Husslein-Arco, München: Prestel, 2003
- (DE) Michael Krajewski, Jean Dubuffet. Studien zu seinem Fruehwerk und zur Vorgeschichte des Art brut, Osnabrück: Der andere Verlag, 2004
Voci correlate[modifica | modifica wikitesto]
Altri progetti[modifica | modifica wikitesto]
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Collegamenti esterni[modifica | modifica wikitesto]
- (IT, DE, FR) Jean Dubuffet, su hls-dhs-dss.ch, Dizionario storico della Svizzera.
- (EN) Jean Dubuffet, su Enciclopedia Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc.
- Opere di Jean Dubuffet, su openMLOL, Horizons Unlimited srl.
- (EN) Opere di Jean Dubuffet, su Open Library, Internet Archive.
- (FR) Pubblicazioni di Jean Dubuffet, su Persée, Ministère de l'Enseignement supérieur, de la Recherche et de l'Innovation.
- (EN) Bibliografia di Jean Dubuffet, su Internet Speculative Fiction Database, Al von Ruff.
Controllo di autorità | VIAF (EN) 64004844 · ISNI (EN) 0000 0001 2136 3204 · SBN CFIV086308 · BAV 495/91193 · Europeana agent/base/62908 · ULAN (EN) 500019113 · LCCN (EN) n79134984 · GND (DE) 118527681 · BNE (ES) XX1053485 (data) · BNF (FR) cb119008529 (data) · J9U (EN, HE) 987007260490905171 · NSK (HR) 000170194 · NDL (EN, JA) 00438303 · CONOR.SI (SL) 16559459 · WorldCat Identities (EN) lccn-n79134984 |
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