Utente:MBL72/Lampada dentale a Led

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La Lampada dentale a Led viene utilizzata in odontoiatria per illuminare il campo operatorio, cavità orale. Essa genera un fascio luminoso uniforme e proveniente da più punti. Può essere montata sul riunito (poltrona dentale), a tetto, a parete o su piantana. Il sistema di illuminazione principale (detto "testa lampada") è collegato al braccio snodabile per permettere il direzionamento del fascio luminoso sulla zona da operare.

Introduzione[modifica | modifica wikitesto]

La finalità di una lampada dentale è di fornire adeguati livelli di illuminazione nella zona di trattamento, garantendo il comfort del paziente e del professionista. La “qualità” della luce è di fondamentale importanza in quanto essenziale per una corretta visione degli oggetti (messa a fuoco, esaltazione dei contrasti, …) e una fedele visione dei colori, ma anche per l’influenza esercitata sui processi fisiologici dell’osservatore. Diversi studi hanno infatti messo in evidenza come le caratteristiche di una sorgente luminosa, in termini di temperatura di colore e di intensità luminosa, possano influire sullo stato di concentrazione dell’operatore, migliorando l’esecuzione di attività cognitive complesse e riducendo la possibilità di errore. L’insieme di questi fenomeni va sotto il nome di effetti non visivi della luce.

Nella valutazione di una lampada dentale si prendono in considerazione generalmente tre parametri:

  1. intensità luminosa;
  2. temperatura di colore;
  3. indice di resa cromatica.

L’ intensità luminosa e la temperatura di colore influiscono sulla percezione dei colori. Il colore infatti non è un attributo fisico di un oggetto ed è funzione della luce che riceve. La percezione cromatica di un oggetto varia, quindi, se lo stesso è visto sotto differenti sorgenti luminose. Le lampade dentali sono sorgenti di luce bianca, la cui tonalità è relazionata alla temperatura di colore.

Una sorgente luminosa altamente performante richiede la possibilità di poter regolare tanto l’intensità luminosa, in modo da poter adattare la lampada alle esigenze del professionista e migliorare la visibilità dei tessuti riducendo la fatica visiva, quanto la temperatura di colore, in modo da garantire una fedele presa del colore ed esaltare i contrasti mettendo in evidenza anche i minimi dettagli del campo operatorio.

Alcune lampade dentali basate sulla tecnologia LED (Light Emitting Diode), possono consentire la regolazione della temperatura di colore.

La luce[modifica | modifica wikitesto]

La luce è una forma di radiazione elettromagnetica, ossia un campo elettromagnetico che si propaga nello spazio e nel tempo, nel vuoto e nella materia. La radiazione elettromagnetica mostra una duplice natura, corpuscolare e ondulatoria: i processi in cui essa viene generata o assorbita sono spiegabili supponendo che sia costituita di particelle, dette fotoni, mentre la sua propagazione nello spazio e nel tempo è relativa ad un comportamento di tipo ondulatorio (fig. 1).

Ad ogni onda elettromagnetica è possibile associare i seguenti parametri:

  • lunghezza d’onda;
  • ampiezza;
  • frequenza.

La lunghezza d’onda (λ) è la distanza percorsa dall’onda durante un ciclo completo di oscillazione, ovvero la distanza tra una cresta dell’onda e la successiva. La frequenza (f) è il numero di cicli completi di oscillazione che avvengono in ogni secondo. L’ampiezza è in modulo il valore massimo assunto dall’onda elettromagnetica (fig. 2).                                           

 L’insieme delle onde elettromagnetiche costituisce lo spettro elettromagnetico. L’occhio umano riesce a percepire solo una parte di tale spettro e precisamente quella compresa nel range di lunghezze d'onda tra 380 nm (limite dell’ultravioletto) e i 760 nm (limite dell’infrarosso). 

Le principali tipologie di sorgenti luminose in uso in ambito odontoiatrico sono ( fig. 3):

Le sorgenti alogene sono costituite da filamenti di tungsteno che percorsi da corrente si surriscaldano, emettendo luce.

La sorgenti LED (Light Emitting Diode) utilizzano le proprietà ottiche di alcuni materiali semiconduttori per produrre fotoni a partire dalla ricombinazione di coppie elettrone-lacuna.

Effetti visivi e non visivi della luce[modifica | modifica wikitesto]

La luce entrante nell’occhio viene convogliata su una superficie sensibile ai raggi luminosi, la retina, per mezzo di una lente, il cristallino, e una apertura, la pupilla, la cui ampiezza può essere modificata al fine di aumentare o diminuire il passaggio della luce. La retina è responsabile della trasduzione del messaggio luminoso in segnale elettrico3. Il segnale elettrico raggiunge il cervello mediante due percorsi neuronali: il primo porta il segnale alla corteccia visiva ed è responsabile della formazione dell’immagine (effetto visivo della luce); il secondo porta l’informazione al nucleo soprachiasmatico (SNC) e alla ghiandola pineale ed influisce sui ritmi biologici (effetto non visivo della luce) 4.

La luce produce quindi sia effetti visivi che non visivi.

La visione è il processo tramite il quale la luce riflessa dagli oggetti presenti nell’ambiente viene tradotta in immagine mentale. I fotorecettori sono i responsabili della trasduzione del segnale luminoso in segnale elettrico. I fotorecettori presentano infatti una membrana cellulare contenente i pigmenti visivi, i fotopigmenti (vedere Tabella 1),  sensibili alla luce. A seguito dell’assorbimento della luce  si avvia una cascata di reazioni chimiche che porta alla produzione del segnale elettrico.

Esistono due tipologie di fotorecettori (vedere Figura 6):

I bastoncelli sono responsabili della visione notturna, a bassi livelli di illuminazione (visione scotopica), mentre i coni sono responsabili della visione diurna, ad alti livelli di illuminazione (visione fotopica). È possibile inoltre suddividere, in funzione delle differenti curve di assorbimento, i coni in tre famiglie (vedere Figura 7)5:

In tabella 1 è riportata per ciascuna tipologia di fotorecettore il fotopigmento di cui si costituisce, il picco di assorbimento e il colore di massima sensibilità. 

Fotorecettore

Visione

Pigmento

Picco di assorbimento

Colore di massima sensibilità

Coni-S

fotopica

cianolabile

437 nm

blu-violetto

Coni-M

fotopica

clorolabile

533 nm

verde

Coni-L

fotopica

eritrolabile

564 nm

rossi

Bastoncelli

scotopica

rodopsina

507 nm

Tabella 1. Tipologie di fotorecettori  

Il segnale elettrico prodotto dai fotorecettori subisce delle elaborazioni ad opera delle cellule orizzontali, bipolari, amacrine e neuroni gangliari (vedere Figura 8) di cui si costituisce la retina5. L’informazione così processata è inviata tramite il nervo ottico al chiasma ottico, quindi al nucleo genicolato laterale e arriva alla corteccia visiva, dove dal segnale si ricostruiranno forme e colori degli oggetti.

Per effetti non visivi della luce si intendono tutti i fenomeni relativi al messaggio luminoso e non associabili alla formazione dell’immagine. Gli effetti non visivi sono funzione della intensità e della distribuzione spettrale della luce.

Il fotorecettore responsabile degli effetti non visivi della luce è la melaopsina, contenuta in una parte, circa il 3%, delle cellule gangliari6. Il segnale elettrico generato è inviato attraverso il tratto retinico-ipotalamico (RHT) al nucleo soprachiasmatico (SNC) e successivamente, mediante il nucleo paraventricolare (PVN) e il ganglio cervicale superiore, alla ghiandola pineale. Questo percorso è noto come asse retinico-ipotolamico-pineale7.

Nel nucleo soprachiasmatico (SNC) ha sede l’orologio biologico e il segnale elettrico derivante dalla trasduzione del segnale luminoso influisce sul ritmo circadiano8. Il ritmo circadiano è un ritmo biologico giornaliero. L’uomo ha un ritmo circadiano per la maggior parte delle funzioni corporee: pressione arteriosa, temperatura corporea, processi metabolici3. I ritmi biologici seguono, in prima approssimazione, una curva sinusoidale che cresce fino ad un massimo, l’acrofase, e il cui valore medio è detto mesor (vedere Figura 9).

Nella ghiandola pineale, il segnale luminoso influisce sulla secrezione dell’ormone melatonina nel verso di ridurla9. In particolare la diminuzione di melatonina è tanto maggiore quanto più è elevata l’intensità luminosa e quanto maggiore è la temperatura di colore della luce. La melatonina è responsabile della regolazione del ciclo sonno-veglia. La combinazioni di elevati valori di intensità luminosa con elevate temperature di colore aumentano lo stato di veglia e di conseguenza lo stato di concentrazione dell’operatore, riducendo la possibilità di errore durante l’esecuzione di una attività cognitiva.

Riduzioni nella secrezione di melatonina, durante il giorno, comportano un innalzamento della temperatura corporea (circa).  Le performance, in termini di memoria di lavoro, stato di allerta, attenzione visiva e tempo di risposta migliorano, per valori di temperatura corporea prossimi al valore di picco circadiano10.

Gli effetti non visivi sono quindi riassumibili in:

L’ottimizzazione dell’intensità luminosa e della temperatura di colore consente quindi di poter realizzare un disteso stato di concentrazione e di evitare la possibilità di affaticamento mentale e fisico, riducendo la possibilità di errori.

Attributi della percezione del colore[modifica | modifica wikitesto]

Il colore viene spesso definito come un attributo della luce percepita dall’occhio umano1. Il colore tuttavia non è un attributo fisico di un oggetto. Quando l’energia luminosa colpisce i fotorecettori dell’occhio umano, il cervello identifica la sensazione come colore. Pertanto l’attributo significativo di un oggetto non è il colore ma il modo in cui esso trasmette, riflette o emette lunghezze d’onda all’interno dello spettro visibile. Il colore di un oggetto dipende dalla luce che riceve, in termini di intensità e composizione spettrale. L’occhio umano è in grado di percepire l’esistenza degli oggetti e le loro relazioni spaziali grazie alla luce che raccoglie. La visione del colore dipende da un processo molto complesso in cui i fattori fisiologici e psicologici si sovrappongono in maniera determinante a quelli fisici. A ogni determinata composizione spettrale della luce (proveniente da una sorgente primaria o riflessa da un oggetto) corrisponde un colore ben definito. È possibile individuare delle caratteristiche della percezione di colore che consentono, in una certa misura, di descrivere, classificare, scomporre il colore percepito. Queste caratteristiche vengono chiamate attributi della percezione del colore11-13. Gli attributi della percezione di un colore possono essere distinti in: [[|thumb|Figura 10. Albero dei colori. Figura 10. Albero dei colori. L’asse centrale è formato da campioni neutri, ordinati dal basso verso l’alto secondo una scala che va dal nero al bianco. Da questo asse si estendono campioni della stessa tinta, ordinati con saturazione crescente verso l’esterno. Dall’alto al basso i colori sono ordinati secondo una scala che va dal chiaro allo scuro. ]]

  • attributi di base;
  • attributi relativi.

Gli attributi di base sono:

  1. brillanza: l’attributo di una percezione visiva secondo il quale un’area appare emettere (o riflettere) più o meno luce;
  2. tinta: l’attributo di una sensazione visiva secondo il quale un’area osservata appare simile a un colore rosso, giallo, verde, blu (tinte uniche) o a una loro combinazione (tinta binaria);
  3. pienezza: l’attributo della percezione di colore secondo il quale un’area appare esibire una quantità (intensità) maggiore o minore di tinta. I colori acromatici per definizione non hanno tinta e dunque hanno pienezza nulla. Man mano che aumenta la quantità di tinta (a brillanza costante) aumenta la pienezza.

Gli attributi relativi sono:

  1. chiarezza: è la brillanza di un’area giudicata relativamente alla brillanza di un’area similmente illuminata che appare bianca. Quindi riferendosi alla quantità di luce in maniera assoluta, si giudica la brillanza; mentre riferendosi alla quantità di luce in relazione al bianco si considera la chiarezza;
  2. croma: l’attributo di una sensazione visiva che riguarda la pienezza di un'area in proporzione alla brillanza di un'area similmente illuminata che appare bianca, ovvero l’intensità della tinta a parità di livello di illuminazione;
  3. saturazione: la pienezza di un'area giudicata in proporzione alla sua brillanza (cioè pienezza relativa alla sua brillanza). 

Proprietà ottiche di una sorgente luminosa[modifica | modifica wikitesto]

Per caratterizzare una sorgente luminosa sono in generale utilizzati tre parametri:

  1. temperatura di colore;
  2. indice di resa cromatica;
  3. intensità luminosa.

La temperatura di colore è definita come la temperatura assoluta alla quale deve essere portato un corpo nero (corpo che assorbe tutta la radiazione elettromagnetica incidente senza rifletterla) affinché emetta radiazione con cromaticità uguale a quella della sorgente in esame1.

L’indice di resa cromatica (CRI) è una misura quantitativa della capacità di una sorgente luminosa di riprodurre i colori dei vari oggetti fedelmente se comparata con una sorgente di luce ideale o naturale1. Elevati indici di resa cromatica permettono riproduzioni altamente fedeli dei colori.

La percezione dei colori è funzione della temperatura di colore e dell’intensità luminosa. In base agli studi condotti da Kruithof14 è possibile individuare in funzione delle combinazioni di illuminamento e temperatura di colore tre zone di sensazione visiva (vedere Figura 11). La zona A è caratterizzata dalla visione di colori irreali. Nella zona B l’illuminazione fornisce un’impressione di penombra (a basse temperature di colore) o di colori freddi (ad alte temperature di colore). La zona C è relativa alla illuminazione ottimale con combinazioni ottimali caratterizzate da luce con bassa temperatura di colore quando il livello luminoso è basso e luce con elevata temperatura di colore quando il livello luminoso è alto.

La possibilità di variare entrambi questi parametri è un aspetto di particolare importanza.       

La temperatura di colore della luce consente inoltre di realizzare una classificazione delle sorgenti in calde (sorgenti con temperature di colore basse) e fredde (sorgenti con temperature di colore elevate). A 2.000 K la luce emessa presenta toni di giallo-arancio, a causa della presenza di lunghezze d’onda elevate. Se la temperatura aumenta a 20.000 K la luce appare blu, essendo preponderanti le lunghezze d’onda minori. Sorgenti con temperature di colore elevate (> 5000 K) sono in grado di riprodurre artificialmente la luce solare a mezzogiorno (≅5400 K)

 

L’intensità luminosa di una sorgente di luce influisce sulla:

  • realizzazione di un adeguato livello di illuminamento;
  • acutezza visiva;
  • fatica visiva.

 

La realizzazione di un adeguato di livello di illuminamento è la caratteristica prestazionale minimale di una qualunque sorgente luminosa. Una illuminazione non corretta esalta il fenomeno della fatica visiva ed aumenta notevolmente le possibilità di errore in sede di intervento.

L'acuità o acutezza visiva è definita come la capacità dell'occhio di risolvere e percepire dettagli fini di un oggetto. L’acuità visiva dipende dall’età del soggetto, dallo stimolo (illuminazione, tempo di esposizione, contesto luminoso), dal potere di rifrazione dell’occhio (astigmatismo, miopia, ipermetropia ne causano la diminuzione), dal diametro pupillare, dall’integrità della retina, soprattutto dei coni retinici, e, infine, dal fatto che sia valutata in visione monoculare o binoculare. In Figura 12 è riportato l’andamento dell’acuità visiva in funzione dell’intensità luminosa ottenuto mediante prove psicofisiche (prove nelle quali si studia la relazione tra uno stimolo, relativo a una grandezza fisica, e la risposta, di natura psicologica, del soggetto1).

La fatica visiva può essere determinata da un impegno continuativo e prolungato in operazioni che richiedono una visione ravvicinata o anche da condizioni scorrette di illuminazione (scarso illuminamento, abbagliamenti, presenza di riflessi, ecc.). Per consentire una visione nitida degli oggetti nella visione ravvicinata vengono attivate due funzioni associate tra loro: l'accomodazione e la convergenza. Per accomodazione si intende la capacità del cristallino di variare, mediante la contrazione del muscolo ciliare, il suo potere di rifrazione. I raggi divergenti, provenienti da una distanza finita, si riuniscono in fuoco sulla retina dando luogo a un'immagine nitida. Per convergenza, invece, si intende la capacità di far convergere gli assi visivi. Tale funzione è regolata dall'attività dei muscoli estrinseci degli occhi. L'eccessiva e prolungata contrazione dei muscoli impegnati nell'accomodare e nel convergere durante la visione da vicino può indurre affaticamento visivo. Condizioni non corrette di illuminazione, ostacolando la buona visione, costringono l'occhio ad un maggiore impegno e ne determinano, di conseguenza, un precoce affaticamento. La possibilità di variare i livelli di illuminazione del campo operatorio, consentendo la possibilità di adattare la lampada alla esigenza dell’operatore, riduce sensibilmente il fenomeno della fatica visiva.          

         

Lampada dentale a led con regolazione temperatura colore[modifica | modifica wikitesto]

Se ne deduce che la scelta di una lampada dentale con opportune caratteristiche è di fondamentale importanza, in quanto la luce emessa influisce:

  • sulla corretta visione degli oggetti (messa a fuoco, acutezza, …);
  • sulla corretta visione dei colori;
  • sui processi fisiologici dell’osservatore.

Una lampada dentale deve garantire elevate prestazioni in termini di intensità luminosa e distribuzione spettrale della luce. Le lampade dentali attualmente consentono in generale una variazione della intensità luminosa ma non della temperatura di colore

Alcune nuove lampade introducono in tale contesto una importante innovazione: la possibilità di regolare la temperatura di colore della luce (vedi brevetto G.COMM). 

Le tecnologia led applicata alle lampade dentali permette di ottenere un campo luminoso privo di aberrazioni. Inoltre grazie alla studiata geometria delle parabole a cui è accoppiata ciascuna delle sorgenti LEDs consente di realizzare un fascio luminoso omogeneo, pulito e privo di ombre.

Le più avanzate lampade dentali inoltre offrono l’effetto scialitico che è il risultato della sovrapposizione di vari campi luci individuali (esempio una lampada con 10 campi luci per ogni parabola avrà una sovrapposizione di 100 campi individuali) che rendono impercettibile sul campo operatorio l’offuscamento di parte della lampada e del suo fascio luminoso.

Le lampade dentali con regolazione della temperatura colore, a differenze di quelle sprovviste di questa tecnologia, possono essere utilizzate anche in presenza di sostanze fotopolimerizzanti, essendo trascurabile l’emissione nell’intervallo di lunghezza d’onda che interagiscono con tali composti. Infatti l’esposizione di tali sostanze alla luce prodotta dalle lampade dentali con regolazione della temperatura colore per elevate intensità e tempi prolungati non induce fotopolimerizzazione.

Le lampade dentali con regolazione della temperatura colore inoltre possono emettere inoltre luce fredda e priva di radiazione UV.

La luce fredda, cioè priva nello spettro di emissione di radiazione infrarossa (IR), evita:

  • il riscaldamento della zona di trattamento associata ad una sensazione di fastidio nel paziente;
  • la possibilità di disidratazione dei tessuti biologici esposti per lungo tempo al fascio luminoso (essendo l’acqua il principale elemento interagente con la radiazione infrarossa);
  • il riscaldamento delle aree dell’operatore esposte alla luce con relativa sensazione di fastidio, sudorazione e conseguente deconcentrazione dello stesso.

Gli effetti della radiazione UV sulla pelle comprendono eritema, invecchiamento, immuno-soppressione locale o sistemica3. A livello molecolare la radiazione UV causa il danneggiamento del DNA. L’assenza di radiazione UV elimina le problematiche ad essa associate.

Le lampade dentali a led con regolazione della temperatura colore, rispetto alle sorgenti alogene tradizionali, permettono inoltre di:

  • ottenere elevate prestazioni con consumi energetici ridotti;
  • ridurre la produzione di calore;
  • realizzare elevate velocità di accensione e di spegnimento;
  • aumentare il tempo di vita del dispositivo.

La tecnologia LED consente di ottenere elevatissime prestazioni con consumi energetici ridotti. Ridurre i consumi introduce vantaggi sul lungo periodo se si pensa alle elevate ore di utilizzo della lampada. Inoltre i ridotti valori di corrente e di tensione richiesti per alimentare la sorgente luminosa, minimizzano la produzione di calore, rendendo in generale non necessaria la ventola di raffreddamento (assenza di rumore). Il LED si accende e si spegne in tempi rapidi rispetto alle sorgenti alogene ed emette istantaneamente tutta la potenza luminosa. I tempi di vita di una sorgente LED sono molto elevati. Dal confronto con sorgenti luminose alogene (vedi Figura 14) si ricava che le durate sono decisamente superiori (durata minima stimata circa 50.000 ore).

Dal punto di vista clinico le lampade dentali con regolazione della temperatura colore trovano la loro massima applicazione nelle situazioni in cui l’odontoiatra si trova quotidianamente ad operare e in particolare:

L’uso delle lampade dentali con regolazione della temperatura colore permette una presa del colore molto più vicina alla realtà rispetto ad una sorgente alogena esaltando sfumature cromatiche altrimenti non visibili, e permette un confronto più costruttivo, nella presa del colore, tra medico e odontotecnico, riducendo il margine di errore.

L’importanza del valore cromatico nella determinazione del colore per lo sbiancamento dentale e il suo confronto dopo lo stesso, diventa un momento fondamentale anche da un  punto di vista medico legale, per evitare contenziosi a seguito del trattamento.

Durante gli interventi chirurgico/parodontali, la possibilità di variare la temperatura di colore permette di visualizzare con maggiore nitidezza i tessuti, rendendo possibile una maggiore definizione del campo operatorio. La modulazione della temperatura di colore, durante un intervento chirurgico con notevole componente ematica, apporta un indubbio vantaggio all’operatore che può utilizzare il microscopio o i sistemi di ingrandimento contando su un ottimo sistema di illuminazione, in quasi totale assenza di fastidiosi coni d’ombra grazie agli specchi parabolici che ogni LED possiede.

Note[modifica | modifica wikitesto]


Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

  • 1 Claudio Oleari, Misurare il colore. Spettrometria, fotometria e colorimetria. Fisiologia e percezione. Hoepli, 2002
  •  2 Pietro Palladino, Lezioni di illuminotecnica. Tecniche nuove, 2002
  •  3 Silverthorn, Fisiologia umana. Casa editrice ambrosiana, 1995
  •  4  Berson DM, Strange vision: ganglion cells as circadian photoreceptors; Trends in Neuroscience 26:314-320, 2003
  • 5 Emanuele Biondi, La bioingegneria dei sistemi sensoriali, Volume II, 1994
  •  6  Berson, D.M., Dunn, F.A., Motoharu Takao, Phototransduction by retinal ganglion cells that set the circadian clock; Science, February 8, 2002
  • 7 Boyce P., Human  factor in lighting; Tayolor & Francis, 2003
  • 8 Inoue ST, Kawamura H, Persistence of circadian rhythmicity in a mammalian hypothalamic island containing the suprachiasmatic nucleus; Proc Natl Accad Sci 76:5962 5966, 1979
  • 9  Joseph Brennan, Effects of Light on Humans; Society of Light and Lighting, 2007
  • 10 K.P. Wright, J. T. Hull, C. A. Czeisler, Relationship between alertness, performance and body temperature in humans, Am J Physiol Regul Integr Comp Physiol; 283:1270 1377,2002
  • 11 W.G. Hunt, Measuring Colour. Fountan Press, 1998 (III ed.)
  • 12 D. Fairchild, Color Appearance Models. Addison Wesley, 1998
  • 13 CIE, International Lighting Vocabulary; 1970 (III ed.)
  • 14 Kruithof A.A., Tubular luminescence lamps for general illumination; Philips Technical Review; vol. 6: 65-73, 1941