Ugo Bignami

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Ugo Bignami
NascitaMilano, 4 agosto 1869
MorteRoma, 8 dicembre 1949
Dati militari
Paese servitoBandiera dell'Italia Regno d'Italia
Forza armataRegio esercito
ArmaFanteria
CorpoGranatieri
Anni di servizio1888 - 1920
GradoGenerale di divisione
GuerrePrima guerra mondiale
CampagneCampagna di Libia (1913-1921)
Fronte italiano (1915-1918)
BattaglieBattaglia degli Altipiani
Decorazionivedi qui
dati tratti da Combattenti Liberazione[1]
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Ugo Bignami (Milano, 4 agosto 1869Roma, 8 dicembre 1949) è stato un generale italiano, decorato con la medaglia d'oro al valor militare a vivente nel corso della prima guerra mondiale[2].

Biografia[modifica | modifica wikitesto]

Nacque a Milano il 4 agosto 1869, figlio di Emilio e Enrichetta Marzorati.[1] Frequentò il Collegio militare di Roma e poi quello di Milano, entrando successivamente nella Regia Accademia Militare di Fanteria e Cavalleria di Modena uscendone nel 1888 dopo con la nomina a sottotenente in forza al 1º Reggimento "Granatieri di Sardegna".[1] Promosso capitano fu assegnato al 2º Reggimento "Granatieri di Sardegna" con il quale, dal settembre 1912 al gennaio 1913 prese parte alle operazioni di consolidamento della conquista italiana in Libia.[1] All'atto dell'entrata in guerra del Regno d'Italia, avvenuta il 24 maggio 1915, partì per la zona di operazioni al comando del I Battaglione.[1] Nel mese di novembre si distinse sul Monte Sabotino, rimanendo ferito e venendo decorato di medaglia d'argento al valor militare.[1] Rientrato in servizio dopo la convalescenza rientrò al I Battaglione e fu promosso a tenente colonnello.[1] Nel corso della strafexpedition austro-ungarica in Trentino del maggio 1916 fu inviato con il suo reparto sull'altopiano di Asiago. Dal 28 maggio prese posizione a sbarramento della Val Canaglia, fra quota 1152 e Cesuna, sostenendo durissimi combattimenti.[2] Il 3 giugno, al termine di un aspro combattimento, combattuto anche corpo a corpo con il nemico, le truppe nemiche minacciarono di occupare il comando di battaglione.[3] Uscito dal rifugio imbracciò un fucile ed iniziò a sparare, uccidendo un ufficiale e quattro soldati bosniaci,[4] mentre il sottotenente Teodoro Capocci che era corso in suo aiuto, cadde ai suoi piedi ucciso da tre proiettili.[3] Fu poi costretto ad arrendersi al fine di evitare una strage in quanto gli austro-ungarici stavano sparando entro una caverna dove si trovavano numerosi soldati feriti che si trovava alle sue spalle,[3] e divenuto prigioniero di guerra rientrò in Italia al termine del conflitto.[1] Con Regio Decreto del 4 luglio 1920 fu insignito della medaglia d'oro al valor militare a vivente.[1] Nell'agosto 1919 fu promosso colonnello assumendo il comando del 1º Reggimento granatieri, venendo collocato in posizione ausiliaria nel corso del 1920.[1] Successivamente fu promosso generale di brigata nel 1925 e poi generale di divisione nel 1938.[1] Fu organizzatore e per molti anni presidente del Museo storico dei Granatieri e dal 23 agosto 1943 al 14 dicembre 1945 presidente dell'Associazione Nazionale Granatieri di Sardegna.[5] Si spense a Roma l'8 dicembre 1949.[1] Hanno portato il suo nome le scuole elementari di Cesuna. Portano il suo nome una via di Milano e una di Roma.

Onorificenze[modifica | modifica wikitesto]

Medaglia d'oro al valor militare alla memoria - nastrino per uniforme ordinaria
«Comandante di un battaglione su di una posizione molto estesa e di vitale importanza, con singolare perizia e pur con scarsissimi mezzi seppe improvvisarne la difesa, e moltiplicando il valore delle proprie truppe col fascino del suo illuminato ed energico comando, per ben sette giorni consecutivi, superando straordinarie difficoltà di ogni specie, costituì il baluardo contro cui si infransero i ripetuti e sempre più violenti attacchi delle ognor crescenti forze nemiche. Gravemente minacciato su di un fianco dai progressi dell’avversario in un contiguo tratto della fronte, con le proprie già scarse forze, logorate ormai da sanguinose perdite, mantenne incrollabile la fede e la rinsaldò nei dipendenti, i quali, animati dal suo fulgido esempio, continuarono con indomito coraggio nell’impari ed accanita lotta. Vista infine la propria linea spezzata in tanti piccoli nuclei, accerchiati dai sopraggiunti rincalzi dell’attaccante, dopo un’ora di ansiosa e terribile, quanto vana, attesa di rinforzi, trovatosi circondato assieme ad un nucleo di superstiti, impugnò egli stesso un fucile, e, confermando ancora una volta l’insigne valore personale, già in altre circostanze dimostrato, abbattè successivamente un ufficiale e quattro soldati nemici, che lo premevano più da presso, tenacemente persistendo nell’epica lotta fin quando, per evitare che l’ira dell’assalitore continuasse a sfogarsi anche sui nostri feriti e moribondi, fu costretto a cedere alla inesorabile evidenza dell’inutilità di ogni ulteriore sacrificio. Tresch - Cesuna - quota 1152 (Asiago), 28 maggio - 3 giugno 1916.[6]»
— Regio Decreto del 4 luglio 1920.
Medaglia d'argento al valor militare - nastrino per uniforme ordinaria
«Quale comandante di battaglione, lo conduceva brillantemente in varie operazioni di guerra, nell'ultima delle quali dando mirabile esempio di coraggio personale, lo trascinava nonostante le forti perdite, con slancio ed entusiasmo, alla conquista di una forte posizione avversaria, in difficili condizioni di terreno e sotto violento fuoco nemico, rimanendo egli stesso ferito alla testa e, più gravemente al ginocchio. Monte Sabotino, 28 ottobre-20 novembre 1915
Medaglia d'argento al valor militare - nastrino per uniforme ordinaria
« Comandante di un battaglione a difesa di una importante posizione, in condizioni tattiche particolarmente difficili, per più giorni oppose ostinata ed accanita resistenza ai ripetuti e violenti attacchi di sempre crescenti forze nemiche. Con le proprie truppe logore da sanguinose perdite per l'intenso fuoco avversario di artiglieria e fucileria, deluso nella speranza dell'arrivo dei rinforzi, vista rotta in più punti la sua linea ed egli stesso circondato da ogni parte presso la caverna del comando, ove trovavasi per meglio dirigere, impugnò un fucile, abbattendo successivamente parecchi nemici e continuò nella lotta finché cadde prigioniero. Treschè, Cesuna, 28 maggio - 3 giugno 1916»
— Regio Decreto 26 ottobre 1919.
Commendatore dell'Ordine della Corona d'Italia - nastrino per uniforme ordinaria
Ufficiale dell'Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro - nastrino per uniforme ordinaria
Medaglia commemorativa della guerra italo-austriaca 1915 – 18 - nastrino per uniforme ordinaria
Medaglia commemorativa dell'Unità d'Italia - nastrino per uniforme ordinaria
Medaglia commemorativa italiana della vittoria - nastrino per uniforme ordinaria
avanzamento per merito di guerra - nastrino per uniforme ordinaria
avanzamento per merito di guerra
«Valoroso combattente della guerra libica e della grande guerra, decorato di medaglie d'oro al valore, lasciato il servizio attivo e posto alla direzione di un centro di singolare importanza storica, dava nuove prove di spirito di corpo e di alto sentimento di devozione alla Patria
— Regio Decreto 31 luglio 1938.[8]

Note[modifica | modifica wikitesto]

Annotazioni[modifica | modifica wikitesto]


Fonti[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ a b c d e f g h i j k l Combattenti Liberazione.
  2. ^ a b Carolei, Greganti, Modica 1968, p. 190.
  3. ^ a b c Bonelli 2016, p. 76.
  4. ^ Bonelli 2016, p. 75.
  5. ^ Granatieri di Sardegna.
  6. ^ Medaglie d'oro al valor militare sul sito della Presidenza della Repubblica
  7. ^ Supplemento Ordinario alla Gazzetta Ufficiale del Regno d'Italia n.178 del 30 luglio 1941, pag.1.
  8. ^ Registrato alla Corte dei conti il 22 agosto 1938, registro 23, foglio 375.

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

  • Gaetano Carolei, Guido Greganti e Giuseppe Modica, Le Medaglie d'oro al Valor Militare dal 1915 al 1916, Roma, Tipografia regionale, 1968, p. 190.
  • Massimo Coltrinari e Giancarlo Ramaccia, 1916. L'anno d'angoscia: Dalla spedizione punitiva alla presa di Gorizia. Le “spallate” sull'Isonzo, Roma, Edizioni Nuova Cultura, 2018.
Pediodici
  • Ernesto Bonelli, La Strafexpedition. L'epopea del Cengio (2ª parte), in Rivista Militare, n. 5, Roma, Stato Maggiore dell'Esercito, settembre-ottobre 2016.

Voci correlate[modifica | modifica wikitesto]

Collegamenti esterni[modifica | modifica wikitesto]