Nuestra Señora de las Maravillas

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Nuestra Señora de las Maravillas
Descrizione generale
Tipogaleone
CantiereReal Astillero de Basanoaga
Varo1647
Destino finalepersa per naufragio il 4 gennaio 1656
Caratteristiche generali
Dislocamento861
Armamento velicomisto (quadre e latine)
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Il galeone Nuestra Señora de las Maravillas fu nave ammiraglia della Flotta spagnola del tesoro, e andò persa per naufragio il 4 gennaio 1656, mentre trasportava un enorme tesoro.

Storia[modifica | modifica wikitesto]

Il galeone Nuestra Señora de las Maravillas fu costruito nel 1647 nel cantiere navale di Basanoaga dal costruttore Martín de Urnieta, e come polena aveva un imponente leone d'oro a prua.[1] Il 10 luglio 1654 salpò come nave ammiraglia della flotta de Tierra Firme comandata dal capitano generale Francisco Núñez de Guzmán, marchese di Montealegre.[1] Il convoglio arrivò a Cartagena de Indias il 22 agosto e doveva unirsi all'Armada del Sur a Portobelo, Panama.[1] Prima dell'inizio della stagione degli uragani, la flotta, che aveva perso una nave affondata per aver colpito una scogliera, dovette ritardare il suo ritorno in Spagna.[1]

Il 1º luglio 1655 il marchese di Montealegre ricevette l'ordine di rientro, un viaggio che durò ancora qualche mese per la presenza di navi inglesi nella zona.[1] Il Nuestra Señora de las Maravillas aveva prelevato un importante carico di argento proveniente da Lima e trasportava alcuni dei tesori recuperati del naufragio del galeone Jesús Maria de la Limpia Concepción de Nuestra Señora.[1] Dopo aver lasciato l'Avana, costeggiando la costa settentrionale di Cuba il Nuestra Señora de las Maravillas entrò nel canale delle Bahamas. Alla mezzanotte del 4 gennaio 1656, con un mare calmo, la Flotta delle Indie si trovava a circa 70 chilometri a nord dell'arcipelago, in una zona di acque poco profonde.[1] Il capitano del galeone Nuestra Señora de la Concepción cercò di evitare un banco di sabbia, e mentre virava, speronò la nave ammiraglia, il Nuestra Señora de las Maravillas.[1]

In poco meno di mezz'ora, la nave, al comando dall'almirante Matías de Orellana, proveniente dall'Estremadura, impattò contro una scogliera ed affondò.[1] Delle 650 persone che si erano imbarcate all'Avana solo 45 sopravvissero, il resto morì annegato o ucciso dagli squali.[1] Al di là delle perdite umane, il naufragio fu una battuta d'arresto per le casse della monarchia ispanica.[1] Nei due decenni successivi furono organizzate diverse spedizioni per cercare di recuperare il carico.[1] Furono recuperati 36 cannoni di bronzo e circa 2,9 milioni di pesos, monete d'argento del valore di otto reales.[1] Due scialuppe di salvataggio che erano riuscite a recuperare parte del carico affondarono a sud di Gorda Cay (ora Castaway Cay).[2] I sopravvissuti seppellirono i preziosi fino all'arrivo dei soccorsi.[2]

Ritrovamento[modifica | modifica wikitesto]

Il relitto venne trovato dal cercatore di tesori Robert Marx nel 1972 e in quella occasione furono recuperati numerosi beni preziosi, due cannoni con le insegne di re Filippo V di Spagna, le ancore, 5 tonnellate d'argento, e 50.000 monete d'argento.[3]

Note[modifica | modifica wikitesto]

Annotazioni[modifica | modifica wikitesto]


Fonti[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ a b c d e f g h i j k l m El Cultural.
  2. ^ a b Wrecksite.
  3. ^ Saunders 2005, p. 204.

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

  • (EN) Hillary Hauser, Call to Adventure, Longmont, Bookmakers Guild, 1987.
  • (ES) Cayetano Hormaechea, Isidro Rivera e Manuel Derqui, Los galeones españoles del siglo XVII, Tomo I, Barcelona, Associació d'Amics del Museu Marítim de Barcelona, 2012.
  • (ES) Cayetano Hormaechea, Isidro Rivera e Manuel Derqui, Los galeones españoles del siglo XVII, Tomo II, Barcelona, Associació d'Amics del Museu Marítim de Barcelona, 2012.
  • (EN) Mary Burton King, Fool Me Once...Final Resolution, Bloomington, XLibris Corporation, 2012.
  • (EN) Robert F. Marx, Quest for Treasure, Dallas, Ram Books, 1982.
  • (EN) Nicholas J. Saunders, The Peoples of the Caribbean: An Encyclopedia of Archaeology and Traditional Culture, Santa Barbara, ABC-CLIO, 2005.

Voci correlate[modifica | modifica wikitesto]

Collegamenti esterni[modifica | modifica wikitesto]

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