Nirvana

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«Quando un monaco ha compreso ciò che è sorto, e non ha più brama alcuna per questa o altre vite, attraverso la scomparsa di ciò che è sorto, egli non va più incontro a nuove esistenze»

Statua del Buddha Shakyamuni del monastero di Baolian, nell'isola di Lantau, Hong Kong, Cina

La parola nirvana[1][2][3][4][5], dal sanscrito nirvāṇa (devanāgarī: निर्वाण, pāli: निब्बान nibbāna, cinese: 湼槃S, nièpánP, coreano: 열반?, 涅槃?, yeolbanLR, yŏlbanMR, giapponese: 涅槃 nehan, vietnamita: niết-bàn) esprime un concetto proprio delle religioni buddhista e giainista, successivamente introdotto anche nell'induismo. Ha un ruolo fondante soprattutto nel buddhismo, dove possiede il significato di 'estinzione' (da nir + va, cessazione del soffio, estinzione). Secondo una diversa etimologia proposta da un commentario buddhista di scuola Theravāda, significa libertà dal desiderio (nir + vana)[6].

Nel Buddhismo[modifica | modifica wikitesto]

Lo stesso argomento in dettaglio: Buddhismo.

Nel Buddhismo il nirvana è il fine ultimo della vita, lo stato in cui si ottiene la liberazione dal dolore (duḥkha). La dottrina del nirvana nel Buddhismo solitamente non viene definita con termini positivi, ma negativi: dato che il nirvana è al di là del pensiero razionale e del linguaggio, non è possibile affermare quello che è ma, piuttosto, quello che non è. Occorre precisare che la dottrina del nirvana acquisisce significati diversi a seconda della scuola buddhista, del periodo storico e del luogo in cui essa fu esposta.

Natura del nirvana[modifica | modifica wikitesto]

Il Buddhismo crede nella rinascita di ogni specie.[7] Se il karma della vita è negativo la vita può continuare nella sofferenza, se invece si ha un karma positivo la vita continua attraverso l'illusione del piacere.
Secondo il Buddhismo dei Nikāya la fine delle sofferenze, dei dolori e delle passioni, ivi comprese quelle piacevoli, è raggiungibile solo con il nirvana. Il nirvana è riuscire a liberarsi dei tre difetti fondamentali: la brama, l'odio e l'illusione. Nirvana non è il "nulla", esso non viene mai descritto e chi lo ha realizzato lo indica come un'immensa, inimmaginabile e imperturbabile consapevolezza ed è raggiunto solo dagli arhat.
Lo spirito raggiunge il più alto grado di consapevolezza che si possa raggiungere.

Statue di Buddha.

Per il Buddhismo Mahāyāna il nirvana delle scuole del Buddhismo dei Nikāya, e quindi quello degli arhat, è un nirvana inferiore che non corrisponde allo stato di Buddha pienamente illuminato (sanscrito Samyak-sam-buddha). È un nirvana statico (sans. pratisthita nirvana) a cui il Mahāyāna oppone il nirvana non statico (sans. apratishtita nirvana). Coloro che raggiungono il nirvana del Mahāyāna (i Buddha pienamente illuminati e i bodhisattva mahāsattva) non ricadono nelle attività samsariche (saṃsāra) ma neanche nella staticità del nirvana delle scuole del Buddhismo dei Nikāya, ovvero rifiutano sia le passioni ma anche l'imperturbabilità del nirvana statico, questo almeno finché ci sono esseri sofferenti da salvare.

Per le scuole Mahāyāna, Madhyamika e Cittamatra, non vi è peraltro differenza tra saṃsāra e nirvana e quindi non vi è un luogo al di fuori dell'ordinario in cui realizzare la verità ultima e lo stesso nirvana. Così secondo Nāgārjuna:

«Non vi è la minima differenza fra saṃsāra e nirvana, né la minima differenza fra nirvana e saṃsāra»

Nel Buddhismo il nirvana è il traguardo ultimo della propria pratica del Dharma. Il nirvana inteso come "cessazione" è esposto, praticato e realizzato dai praticanti del Lignaggio Theravada e tale nirvana viene realizzato tramite la realizzazione della Vacuità del Sé della persona mentre viene ignorata la Vacuità del Sé dei fenomeni; il praticante Theravāda pratica e realizza il Nobile ottuplice sentiero e le Quattro Nobili Verità, della sofferenza, della sua origine, della sua cessazione e del sentiero che porta alla sua cessazione e, realizzando la mancanza del Sé della sua propria persona in uno stato di completo assorbimento in questa realizzazione tramite l'aver completamente padroneggiato la pratica di shamata e vipashyana ottiene il nirvana con rimanenza: per "rimanenza" in questo caso si intende che esiste ancora una rimanenza data dai cinque skanda, aggregati. Con la morte l'Arhat ottiene la Liberazione dai cinque aggregati e dimora in uno stato non macchiato o contaminato da alcuna impurità dovuta al Karma o alle Afflizioni Mentali e la natura di questo nirvana è Pace, come dice il quarto dei Quattro Sigilli del Buddhismo "Il nirvana è Pace".

Il nirvana Mahāyāna è definito nirvana-non-dimorante siccome non dimora né nel saṃsāra né nel nirvana Hīnayāna della pace individuale ma è lo stato completamente risvegliato di un Buddha ed è dotato del trikaya, i Tre Corpi di un Buddha che sono il Dharmakaya, il Sambhogakaya e il Nirmanakaya. Il nirvana Mahāyāna viene realizzato attraversando i Cinque Sentieri e i Dieci Bhumi, Terreni, dei Bodhisattva, meditando ripetutamente la duplice Vacuità del Sé della Persona, Pudgalanairatmya e del Sé dei Fenomeni, Dharmanairatmya e impegnandosi strenuamente nella Pratica delle due Bodhicitta, quella dell'aspirazione e quella dell'Applicazione che sono la Bodhicitta Relativa e la Bodhicitta Ultima che è precisamente la meditazione sulla duplice Vacuità. Tutti gli esseri senzienti (per senzienti si intende aventi una mente) rinascono continuamente nei vari reami del saṃsāra e, benché la Natura di Buddha sia a loro inerente, non realizzano il nirvana non-dimorante poiché non detengono la capacità e la possibilità di meditare. In questo modo, sebbene abbiano la potenzialità per realizzare il nirvana non lo fanno e continuano indefinitamente a rinascere nella sofferenza del saṃsāra.

Il nirvana Mahāyāna non è una cosa imprecisa o una semplice pace libera da inquietudini ma è lo stato dotato delle Saggezze Ultime e dotato dei Kaya che possono essere suddivisi in differenti modi come in due, Dharmakaya e Rupakaya, tre, Dharmakaya, Sambhogakaya e Nirmanakaya quattro con lo Svabavikakaya ecc. È la consapevolezza originaria di una mente primordialmente non-oscurata che dimora della natura ultima, l'elemento fondamentale, la Dharmata. Quando si parla di identità tra saṃsāra e nirvana si intende, tra tante altre cose, che il saṃsāra non ha altro luogo dove dimorare che non sia la mente che in essenza è la natura ultima di tutti i fenomeni, il Dharmadhatu e il nirvana non può essere trovato indipendentemente dal saṃsāra poiché è basandosi sulla Verità Convenzionale che si può realizzare la Verità Ultima, come ha detto Nagarjuna: "Senza basarsi sulla Verità Convenzionale la Verità Ultima non può essere realizzata e senza realizzare la Verità Ultima il nirvana non può essere raggiunto". Da qua saṃsāra e nirvana sono inscindibili, se c'è la saggezza di un Arya si ha il nirvana altrimenti si ha solo il saṃsāra. Il Nirvana è lo stadio ultimo degli spiriti illuminati.

Nel Buddhismo Zen quando si parla di Nirvana, facendo riferimento alla tradizione induista che denomina con il termine nirvana l'azione di spegnere a fine giornata il fuoco sacro acceso all'interno del tempio, si intende molto più semplicemente l'estinzione o cessazione della sofferenza o insoddisfazione che può derivare solo dallo spegnimento dell'attaccamento a tutto ciò che è impermanente. Il termine viene anche utilizzato per indicare la cessazione definitiva della sofferenza che avviene con la morte.

Nel Giainismo[modifica | modifica wikitesto]

Lo stesso argomento in dettaglio: Giainismo.

Nel giainismo la dottrina insegna pratiche di rilassamento e di ritrovamento del proprio essere, in alcuni concetti si avvicina alla filosofia del non essere o essere, per il resto è un complesso di insegnamenti spirituali. Cosa importante di questa dottrina è l'obbligo morale della ricerca della verità, in ogni contesto o luogo. Un caposaldo del nirvana nel giainismo è quello che spiega che la vita ha il suo completamento nella perseveranza della verità, e che la mancanza di verità porta sofferenza; inoltre, un popolo lontano dalla verità non potrà mai ascendere alla luce dell'essenza e sarà violento e smarrito. Per questo motivo la verità deve essere la ragione dell'esistenza.

Nell'Induismo[modifica | modifica wikitesto]

Lo stesso argomento in dettaglio: Induismo.

Nell'Induismo il nirvana indica l'estinguersi dei desideri mondani e la realizzazione della liberazione (mukti o moksa) dall'illusione (maya). Nella Bhagavadgītā viene definito come brahmanirvāṇa, l'estinzione dell'io nel Brahman, nelle Upaniṣad è chiamato turīya. Da precisare che nell'Induismo il termine nirvana non ha la stessa diffusione e centralità che ricopre nel Buddhismo, ciò è da attribuire al vasto utilizzo che ne fecero le scuole fondate dal Buddha Shakyamuni.

Nella filosofia[modifica | modifica wikitesto]

Il nirvana (l'"ascesi" al nirvana) si ritrova nel [[pensiero di Schopenhauer]].

Nella letteratura[modifica | modifica wikitesto]

L'idea del nirvana è presente nel pensiero del poeta indiano Rabindranath Tagore e nel romanzo Siddharta di Hermann Hesse.

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ «Nirvana», in Il nuovo Zingarelli, Bologna, Zanichelli, 1983, p. 1237
  2. ^ Nirvana, in Treccani.it – Vocabolario Treccani on line, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. URL consultato il 25 dicembre 2022.
  3. ^ Aldo Gabrielli, Nirvana, su Dizionario della Lingua Italiana, Hoepli. URL consultato il 27 dicembre 2022 (archiviato dall'url originale l'8 luglio 2012).
  4. ^ Nirvana, su Il Sabatini Colletti. Dizionario della lingua italiana.
  5. ^ Bruno Migliorini, Nirvana, su Dizionario d'ortografia e pronunzia. URL consultato il 26 aprile 2010 (archiviato dall'url originale il 5 marzo 2016).
  6. ^ Dalla voce nibbāna del Buddhist Dictionary - Manual of Buddhist Terms & Doctrines del ven. Ñanatiloka Thera.
  7. ^ «Dottrinalmente il Buddhismo parla della trasformazione dinamica dell'esistenze. Tuttavia, nella sua influenza sul pensiero popolare, questa dottrina è assimilata a ogni altra dottrina sulla trasmigrazione» (Masaharu Anesaki, alla voce "Trasmigration (Buddhist)" in The Buddhists. Encyclopaedia of Buddhism, a cura di Subodh Kapoor, Cosmo Publications, New Delhi 2001, vol. V, pag. 1451).

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