Alfredo Serranti

Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
Vai alla navigazione Vai alla ricerca
Alfredo Serranti
NascitaRoma, 25 maggio 1896
MorteCulqualber (Africa Orientale Italiana), 21 novembre 1941
Cause della mortecaduto in combattimento
Dati militari
Paese servitoBandiera dell'Italia Italia
Forza armataRegio Esercito
ArmaArtiglieria
Carabinieri
CorpoRegio corpo truppe coloniali della Tripolitania
Anni di servizio1915-1941
GradoMaggiore in s.p.e.
GuerrePrima guerra mondiale
Guerra d'Etiopia
Seconda guerra mondiale
BattaglieBattaglia del solstizio
Battaglia di Culqualber
Decorazionivedi qui
dati tratti da La battaglia del passo di Culqualber[1]
voci di militari presenti su Wikipedia

Alfredo Serranti (Roma, 25 maggio 1896Culqualber, 21 novembre 1941) è stato un militare italiano, Maggiore dell'Arma dei Carabinieri fu insignito della Medaglia d'oro al valor militare alla memoria nel corso della seconda guerra mondiale per l’eroico comportamento tenuto durante la difesa del passo di Culqualber.

Biografia[modifica | modifica wikitesto]

Targa dedicata al maggiore dei carabinieri Alfredo Serranti, Medaglia d'oro al valor militare alla memoria.

Nacque a Roma il 25 maggio 1896,[1] figlio di Angelo Serranti e Celeste Boni, e dopo aver conseguito il diploma di ragioniere presso i locale Istituto Tecnico “Leonardo da Vinci”, nel 1915 si arruolò volontario nel Regio Esercito, assegnato all'artiglieria. In forza al 26º reggimento artiglieria da campagna combatté durante la prima guerra mondiale, e nel corso delle operazioni belliche si distinse sul Monte Sabotino[1] nel settembre 1917, dove continuò a combattere noncurante del fuoco nemico che colpiva la sua postazione, e poi, nel giugno 1918, sul Montello,[1] dove portatosi in prima linea contribuì ad arrestare l’avanzata nemica. Divenuto poi Tenente di complemento[1] al termine del conflitto risultava decorato con due Medaglie di bronzo al valor militare,[1] e nel 1920, dietro sua domanda, transitò[1] nell’Arma dei Carabinieri in forza alla Legione di Bologna. Assegnato nel 1924 al Regio corpo truppe coloniali della Tripolitania,[1] fu promosso capitano nel corso del 1931,[1] rientrando poi in Italia distaccato dapprima presso la Legione di Roma e poi a quella di Palermo, dove rimase fino al 1936. Allo scoppio della guerra d'Etiopia fu trasferito in Somalia ed assegnato alle Bande autocarrate dei Carabinieri distinguendosi nella battaglia di Gunu Gadu[1] (Ogaden), dove venne decorato con la terza[1] Medaglia di bronzo al valor militare per il coraggio dimostrato in un combattimento, e nel successivo rastrellamento alla ricerca del nemico. Maggiore nel 1938, fu destinato a prestare servizio in Etiopia, e all’atto dell’entrata in guerra dell’Italia, il 10 giugno 1940 assunse il comando del Gruppo Carabinieri di Gondar,[2] successivamente ridenominato I Gruppo Carabinieri mobilitato.[3] Dal 6 agosto 1941 insieme al suo Gruppo fu destinato, per ordine del generale Guglielmo Nasi,[3] alla difesa del caposaldo di Culqualber, la cui caduta avrebbe comportato anche quella di Gondar.[3] La cui situazione a Culqualber era divenuta critica per la penuria di viveri, acqua, armi e mezzi, causata dall’assedio nemico.[3] Alla metà del mese di ottobre lo sforzo degli inglesi a Culqualber si intensificò, investendo proprio i settori difesi dal I Gruppo Carabinieri[N 1] (i “Roccioni” ed il passo stesso), suddiviso in due compagnie assegnate a due posizioni strategiche, una denominata “Sperone del km 39” e una “Costone dei roccioni”.[2] Per riuscire a razziare al nemico i viveri e le armi necessarie alla sopravvivenza, i carabinieri eseguirono numerose sortite contro le posizioni tenute dai britannici, tra cui quella del 18 ottobre a Lambà Mariam,[2] da lui condotta. Attaccando di sorpresa alla baionetta l’accampamento nemico, debellarono ogni difesa, respingendo anche il successivo contrattacco nemico, e proteggendo così il rientro delle nostre truppe cariche dei materiali catturati.[2] Il 13 novembre i carabinieri respinsero con successo un attacco in forze condotto dai guerriglieri etiopi contro le cui più vulnerabili posizioni tenute dagli italiani.[1] Dopo aver circondato le posizioni avversarie, il giorno 21 i britannici attaccarono in forze a partire dalle 03.00[3] del mattino fino al tardo pomeriggio, impiegando ogni mezzo a disposizione, con intensi attacchi aerei e fuoco concentrato delle artiglierie terrestri, alternati all'assalto 20 000[3] tra abissini, sudanesi ed indiani, inquadrati da ufficiali inglesi con appoggio di carri armati e autoblindo per aprire varchi nelle difese.[4] Portatosi al “Costone dei roccioni”,[N 2] dove si trovava attestata la 2ª Compagnia, ingaggiò alla testa dei suoi uomini violenti combattimenti all’arma bianca, e cadde ucciso da un colpo di baionetta all’addome mentre conduceva l'ultimo, disperato contrattacco.[4] Per onorarne la memoria dopo la fine del conflitto gli fu concessa la Medaglia d'oro al valor militare,[1] che, per la strenua difesa del passo di Culqualber, venne data anche alla bandiera di guerra dell’Arma dei Carabinieri.[4]

Nel dopoguerra gli sono stati intitolati una via di Roma, una caserma dei carabinieri a Moncalieri e più avanti il 141º corso Allievi Carabinieri Ausiliari.

Onorificenze[modifica | modifica wikitesto]

Medaglia d'oro al valor militare - nastrino per uniforme ordinaria
«Nel corso di aspro e sanguinoso combattimento, instancabile nell'accorrere con pieno sprezzo del pericolo nei punti più minacciati, infondeva nei propri subordinati tenacia, saldezza, alto senso di abnegazione, indomito ardore combattivo. In successiva lotta serrata e cruenta contro preponderanti forze avversarie guidava carabinieri e zaptié al compimento di epiche gesta. Colpito una prima volta da arma da fuoco, rifiutava di farsi medicare per non lasciare il suo posto alla testa dei propri uomini che, attorno a lui, s'immolavano numerosi nella visione ideale della Patria e nell'adempimento del dovere. Travolto da una furibonda mischia all'arma bianca e trafitto da una tremenda baionettata che gli squarciava l'addome, raccoglieva le languenti forze per lanciare al nemico l'ultima sfida e rivolgere, ai pochi superstiti, le ultime parole d'incitamento alla più strenua resistenza. Fulgido esempio di eroismo che nobilita le tradizionali virtù ed il secolare valore dell'Arma. Culqualber (Africa Orientale), 13 - 21 novembre 1941.»
— Decreto del Capo Provvisorio dello Stato 9 dicembre 1947
Medaglia di bronzo al valor militare - nastrino per uniforme ordinaria
«Con sprezzo del pericolo dava rinnovata prova del suo sereno coraggio abituale, slanciandosi volontariamente, attraverso ad una zona scoperta ed intensamente battuta dal tiro nemico, ed animando i dipendenti con l’esempio, disponeva energicamente per lo isolamento di un incendio sviluppatosi in seguito a tiro avversario fra una colonna di autocarri carichi di munizioni, in prossimità di un deposito pure di munizioni. Alto Sabotino, 27 settembre 1917.»
— Decreto Luogotenenziale 22 dicembre 1918[5]
Medaglia di bronzo al valor militare - nastrino per uniforme ordinaria
«Durante otto giorni di accanita lotta, si recava, spontaneamente in linea per meglio aggiustare il tiro della batteria cooperando validamente, col fuoco dei suoi pezzi, ad arrestare l’avanzata nemica. Montello, 23 giugno 1918.»
— Regio Decreto, 9 ottobre 1919[6]
Medaglia di bronzo al valor militare - nastrino per uniforme ordinaria
«Vicecomandante di banda CC.RR. autocarrata in aspro combattimento e durante il rastrellamento di zone ancora occupate da nuclei nemici annidati in caverne, fu esempio costante di coraggio e sprezzo del pericolo, contribuendo col suo valoroso contegno al pieno successo del compito affidato alla banda. Gunu Gadu (A.O.), 24 aprile 1936.»
— Regio Decreto 2 dicembre 1937[7]

Note[modifica | modifica wikitesto]

Annotazioni[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ Tale forza comprendeva 7 ufficiali, 219 tra sottufficiali e carabinieri italiani e 180 carabinieri indigeni (Zaptié).
  2. ^ Tale posizione fu poi denominata “via dei cadaveri”.

Fonti[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ a b c d e f g h i j k l m Cuomo 1994, p. 17.
  2. ^ a b c d Cuomo 1994, p. 16.
  3. ^ a b c d e f Magnani 2010, p. 3.
  4. ^ a b c Cuomo 1994, p. 19.
  5. ^ Bollettino Ufficiale 1918, Disp. 84ª, pag.6936.
  6. ^ Bollettino Ufficiale 1919, Disp. 97ª, pag. 5948.
  7. ^ Bollettino Ufficiale 1938, pag.402.

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

Periodici[modifica | modifica wikitesto]

  • Vittorio Cuomo, La battaglia del passo di Culqualber, in Storia Militare, n. 11, Parma, Ermanno Albertelli Editore, agosto 1994, p. 14-18.
  • Carlo Maria Magnani, I Carabinieri: “Usi obbedir tacendo”, in Il Nastro Azzurro, n. 5, Roma, Istituto del Nastro Azzurro, settembre-ottobre 2010, p. 3.

Collegamenti esterni[modifica | modifica wikitesto]