Valgio Rufo
Gaio Valgio Rufo (in latino: Gaius Valgius Rufus; 65 a.C. circa – I secolo a.C.) è stato un poeta, grammatico, retore e politico romano.
Biografia[modifica | modifica wikitesto]
Gaio Valgio Rufo apparteneva al ceto elevato romano e visse nella seconda metà del I secolo a.C..
Ebbe una buona formazione retorica, come era prassi per i giovani che si avviavano alla politica: si collocò, infatti, politicamente nell'area vicina ad Augusto e fu consul suffectus[1] (cioè entrò in carica in sostituzione del console ordinario poiché questo morì prima della fine del mandato) nel 12 a.C.[2] insieme a Publio Sulpicio Quirinio. Fece parte del Circolo di Mecenate[3] dove venne apprezzato anche da Orazio, che lo menzionò nella Satira (I, 10) e gli indirizzò l'Ode (II, 9).[3]
Nel contempo, si avvicinò anche al Circolo di Messalla Corvino[1] intorno al 31 a.C., dove si coltivava la poesia pastorale e si esaltava la pace della campagna e l'amoreː fu, infatti, vicino a Tibullo nell'ispirazione bucolica e scrisse versi elegiaci in cui cantava un giovane di nome Miste[1]. Proprio Tibullo lo cita in un suo distico[4] dove il tema principale è quello della pace affiancato, tuttavia, dall'orrore della guerra e dall'accusa all'uomo o all'invenzione di aver rotto un'armonia con la natura:
(LA)
«Divitis hoc vitium est auri, nec bella fuerunt, |
(IT)
«Questo è il malanno dell'oro opulento; guerre non c'erano |
(Tibullo, Elegie (I, 10,vv. 7-14)) |
Ancora, un riferimento a Valgio è nel Panegyricus Messallae (elogio delle imprese di Messalla) facente parte della fine del III libro (IV, 1) nel quale convergono componimenti dell'intero Circolo di Messalla:
(LA)
«Non ego sum satis ad tantae praeconia laudis, |
(IT)
«Ma non mi bastano le forze per divulgare una così grande gloria, |
(Tibullo, Elegie (IV, 1,vv. 178-183)) |
Opere[modifica | modifica wikitesto]
Diventò noto come scrittore di elegie e epigrammi[1][3] ed i suoi contemporanei lo credevano capace di grandi cose nell'epica[3], anche se Valgio non si limitò alla poesia, ma discusse questioni grammaticali per corrispondenza[3],tradusse in latino ed elaborò il manuale di retorica Tèchne rhetorikè[1] del suo maestro Apollodoro di Pergamo[3] e cominciò un trattato sulle piante medicinali, dedicato ad Augusto[3], che viene ricordato da Plinio il Vecchio.
Restano, dunque, scarsi frammenti delle sue opere: in primo luogo, le Elegiae, che cantavano il dolore per il giovane amico Miste[7], anche se nei frammenti pervenuti il tema non è affrontato. Infatti, il primo frammento presenta un quadretto di vita bucolico-pastorale.
(LA)
«sed nos ante casam tepidi mulgaria lactis |
(IT)
«ma perché le secchie del latte appena munto e il mastello |
(Gaio Valgio Rufo, Fr. 1 M.) |
Il secondo frammento mostra la gioia di un navigante dopo l'approdo.
(LA)
«hic mea me longo succedens prora remulco |
(IT)
«qui mi depone festante la mia prora |
(Gaio Valgio Rufo, Fr. 2 M.) |
Probabilmente dalle elegie provengono citazioni di un'opera intitolata Epigrammata, che sarebbe una sezione delle precedenti.
All'attività erudita di Valgio riconducono il De medicina herbarum ad Augustum, incompiuto[9] e la Tèchne, traduzione dell'opera di Apollodoro, tradotta in latino, che Quintiliano elogiò[10], come anche il De rebus per epistulam quaesitis (in 2 o più libri)[11].
Note[modifica | modifica wikitesto]
- ^ a b c d e Enciclopedia Treccani On-Line, 2011.
- ^ Der Neue Pauly, 1999
- ^ a b c d e f g Enciclopedia Britannica, 1911.
- ^ NUOVO Genius Loci, 2011, p. 335.
- ^ Traduzione di F. Della Corte in NUOVO Genius Loci, 2011, pp. 335-337.
- ^ Traduzione tratta da Tibullo, Elegie.
- ^ Orazio ne parla nelle Odi (II, 9).
- ^ a b Traduzione di Vincenzo Guarracino dai Frammenti di Caio Valgio Rufo.
- ^ Plinio il Vecchio In XXV 2,4 scrive su Valgio:
«post eum (Catone) unus inlustrium temptavit Gaius Valgius eruditione spectatus inperfecto volumine ad divum Augustum, inchoata etiam praefatione religiosa, ut omnibus malis humanis illius potissimum principis semper mederetur maiestas.»
- ^ Institutio Oratoria (III 1,18) e Institutio Oratoria (V 10,4)
- ^ Aulo Gellio, Noctes Atticae (XII 3,1).
Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]
- (DE) coll. 1218-1219, in Der Neue Pauly, T. 12/1, 1999.
- (LA) Weichert, Jonathan August, Altri, De Caio Valgio Rufo Poeta, in Poetarum Latinorum Hostii, Laevii, C. Licinii Calvi, C. Helvii Cinnae, C. Valgi Rufi, Domitii Marsi aliorumque vitae et carminum reliquiae, Volume Unico, 1ª edizione, Lipsia, Sumptibus et typis B. G. Teubneri, 1830, pp. 203-240. URL consultato il 2 agosto 2011.
- Valgio Rufo, in Treccani.it – Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
- Testimonianze dei Poeti Minori dell’Età Augustea (PDF) [collegamento interrotto], su Frammenti di Caio Valgio Rufo, Bulgarini, p. 2. URL consultato il 19 giugno 2011.
Voci correlate[modifica | modifica wikitesto]
Altri progetti[modifica | modifica wikitesto]
Wikisource contiene una pagina dedicata a Valgio Rufo
Collegamenti esterni[modifica | modifica wikitesto]
- Vàlgio Rufo, Gaio, su Treccani.it – Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
- Cesare Giarratano, VALGIO Rufo, in Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 1937.
- (LA) Opere di Valgio Rufo, su Musisque Deoque.
- (LA) Opere di Valgio Rufo, su PHI Latin Texts, Packard Humanities Institute.
Controllo di autorità | VIAF (EN) 19568488 · ISNI (EN) 0000 0000 5456 841X · CERL cnp00406435 · LCCN (EN) nr95016524 · GND (DE) 119509970 · WorldCat Identities (EN) lccn-nr95016524 |
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