Tempio di Nettuno (Roma)
Il tempio di Nettuno (in latino Aedes Neptuni) era un tempio di Roma antica dedicato a Nettuno, situato in prossimità del Circo Flaminio, nella IX regione augustea.
Storia
[modifica | modifica wikitesto]Il tempio di Nettuno fu edificato nel 220 a.C., anche se la prima menzione di un tempio o altare dedicato a Nettuno risale al 206 a.C.; Livio e Cassio Dione citano le sue porte e l'altare a proposito del prodigio della sudorazione dell'altare[1][2][3].
Un nuovo tempio fu edificato dal console Gneo Domizio Enobarbo per commemorare la sua vittoria navale a Filippi contro Gneo Domizio Calvino (potrebbe aver fatto voto di un tempio a Nettuno la sera della vigilia della battaglia affinché ne uscisse vittorioso). Intraprese la costruzione del tempio poco dopo il suo ritorno a Roma nel 32 a.C. e vi pose una scultura di Scopas raffigurante Nettuno, Teti e Achille circondati da Nereidi, Tritoni e mostri marini[4][3]. Non è però possibile stabilire se Gneo Domizio avesse edificato un tempio ex novo o se avesse restaurato quello già esistente nel circo Flaminio[3].
Il tempio di Nettuno in circo Flaminio è citato in un'iscrizione dell'età Flavia[5].
Una moneta di Gneo Domizio Enobarbo, coniata tra il 42 e il 38 a.C., rappresenta un tempio tetrastilo e riporta la legenda Nept. Cn. Domitius M. f. Imp., indicando che il tempio fu votato almeno in questo periodo; non può però essere stato edificato prima del 32, quando Gneo Domizio si riconciliò con Augusto e ottenne il consolato[3]. Il gruppo di Scopas fu da lui trasportato a Roma probabilmente dalla Bitinia, provincia di cui era stato governatore.
Il giorno di dedicazione di questo tempio era il I dicembre[6].
Fregio
[modifica | modifica wikitesto]Probabilmente, proviene da questo tempio un grande fregio che raffigura una lustratio dell'esercito romano del periodo antecedente Gaio Mario (forse era un memoriale della vittoria dell'antenato del costruttore del tempio) e un tiaso marino (questo fregio è in parte conservato al Museo del Louvre e in parte alla Glyptothek di Monaco di Baviera), che era custodito presso Palazzo Santacroce[3]. Per stile e tecnica esecutiva il fregio risale alla seconda metà del I secolo a.C. e doveva racchiudere o un altare o, più probabilmente, un piedistallo, all'interno del tempio[3].
Ubicazione
[modifica | modifica wikitesto]Si ignora l'esatta posizione del tempio, che doveva però sorgere in prossimità del Circo Flaminio. Resti di sostruzioni e di sei colonne di un tempio picnostilo, molto verosimilmente appartenenti al tempio di Nettuno, furono rinvenuti a nordovest di Piazza San Salvatore in Campo[3].
Planimetria del Campo Marzio meridionale |
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Vari studi hanno ipotizzato quella che poteva essere l'area occupata dal tempio, tra queste anche l'area situata all'angolo di via del Portico di Ottavia e vicolo Costaguti, sotto l'abitazione nota come di Lorenzo Manlio[7], adiacente al palazzo Costaguti e alla Cappella del Carmelo, per il fatto che nel luogo si trovasse altro palazzo Santacroce. Ma i noti fregi marini vennero conservati in epoca storica nella chiesa di S. Salvatore de domno Campo, cioè nel luogo delle vestigia del Tempio di Marte, e solo per via dei lavori di ampliamento del 'nuovo' palazzo Santacroce vi furono spostati, essendo adiacente.
Ecco quindi alcuni indizi per gli studiosi: il Tempio di Nettuno era adiacente quello di Marte; collocato più verso il fiume e in posizione rialzata; era visibile a quanti sul fiume passassero per i Navalia; era a tolos come quello di Ostia e il nuovo dedicante lo rifondò prostilo in segno di discontinuità; il precedente patrono era della cerchia di Pompeo, nel quadrante dell'Urbe da questi plasmato col teatro, la curia e l'urbanistica collegata[8].
Note
[modifica | modifica wikitesto]- ^ Tito Livio, Ab Urbe Condita Libri, XXVIII.1.4.
- ^ Cassio Dione, 17 fr. LVII.60: ἱδρῶτι πολλῷ αἵ τε θύραι τοῦ Ποσειδωνίου καὶ ὁ βωμὸς ἐρρύη.
- ^ a b c d e f g Samuel Ball Platner (completato e rivisto da Thomas Ashby), A Topographical Dictionary of Ancient Rome, Oxford University Press, Londra, 1929, pp. 360‑361.
- ^ Plinio il Vecchio, Naturalis Historia, XXXVI.26.: in delubro Cn. Domitii in circo Flaminio.
- ^ CIL VI, 8423: Abascanti Aug. lib. aedituo aedis Neptuni quae est in circo Flaminio.
- ^ Fasti Amiternini: ad Kal. Dec., CIL I2 p. 245, 335
- ^ Pier Luigi Tucci, Dov'erano il tempio di Nettuno e la nave di Enea? in Bullettino della Commissione Archeologica Comunale di Roma, Vol. 98 (1997), pp. 15-42 (28 pages)
- ^ (EN) Dominik Maschek, Not Census but Deductio : Reconsidering the ‘ Ara of Domitius Ahenobarbus’, in Journal of Roman Studies, vol. 108, 2018-11, pp. 27–52, DOI:10.1017/S0075435818000515. URL consultato il 15 agosto 2024.
Bibliografia
[modifica | modifica wikitesto]- L. Richardson, jr, A New Topographical Dictionary of Ancient Rome, Baltimora - Londra, 1992, ISBN 0801843006, p. 267.
- Samuel Ball Platner (completato e rivisto da Thomas Ashby), A Topographical Dictionary of Ancient Rome, Oxford University Press, Londra, 1929, pp. 360‑361.
- Alessandra Valentini, Mari potens: Gneo Domizio Enobarbo e l'aedes Neptuni, in: Tomaso Maria Lucchelli, Francesca Rohr Vio, VIRI MILITARES. Rappresentazione e propaganda tra Repubblica e Principato, EUT Edizioni Università di Trieste, Trieste, 2015, ISBN 9788883036248, pp. 131-155.
Voci correlate
[modifica | modifica wikitesto]Altri progetti
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