Taphozous melanopogon

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Taphozous melanopogon
Stato di conservazione
Rischio minimo[1]
Classificazione scientifica
Dominio Eukaryota
Regno Animalia
Phylum Chordata
Classe Mammalia
Superordine Laurasiatheria
Ordine Chiroptera
Sottordine Microchiroptera
Famiglia Emballonuridae
Sottofamiglia Taphozoinae
Genere Taphozous
Specie T.melanopogon
Nomenclatura binomiale
Taphozous melanopogon
Temminck, 1841
Sinonimi

T.bicolor, T.solifer

Taphozous melanopogon (Temminck, 1841) è un pipistrello della famiglia degli Emballonuridi diffuso nel Subcontinente indiano e nell'Ecozona orientale.[1][2]

Descrizione[modifica | modifica wikitesto]

Dimensioni[modifica | modifica wikitesto]

Pipistrello di medie dimensioni, con la lunghezza della testa e del corpo tra 67 e 86 mm, la lunghezza dell'avambraccio tra 55 e 68 mm, la lunghezza della coda tra 20 e 32 mm, la lunghezza del piede tra 8 e 15 mm, la lunghezza delle orecchie tra 16 e 24 mm e un peso fino a 29 g.[3]

Aspetto[modifica | modifica wikitesto]

La pelliccia è corta. Le parti dorsali variano dal bruno-grigiastro al bruno-giallastro, mentre le parti ventrali sono più chiare, talvolta bianche. La testa è relativamente piatta e triangolare, il muso è conico, con una depressione tra gli occhi, privo di peli e con una chiazza di lunghi peli nerastri sul mento. È privo della sacca golare, sostituita da una zona ricoperta di diversi piccoli pori che secernono una sostanza untuosa. Sul labbro inferiore è presente un solco longitudinale superficiale. Gli occhi sono relativamente grandi. Le orecchie sono triangolari con la punta smussata, rivolte all'indietro, separate tra loro, con diverse pieghe sulla superficie interna del padiglione auricolare. Il trago è corto, largo e con l'estremità leggermente arrotondata, mentre l'antitrago è lungo, semi-circolare e si estende quasi fino all'angolo posteriore della bocca. Le membrane alari sono lunghe e strette. È presente una sacca ghiandolare tra l'avambraccio ed il primo metacarpo. Le ali sono attaccate posteriormente sulla caviglia. La coda è lunga e fuoriesce dall'uropatagio a circa metà della sua lunghezza. Il calcar è lungo.

Ecolocazione[modifica | modifica wikitesto]

Emette ultrasuoni a basso ciclo di lavoro sotto forma di impulsi di breve durata a frequenza quasi costante tra 25 e 29 kHz. Sono presenti cinque armoniche.

Biologia[modifica | modifica wikitesto]

Comportamento[modifica | modifica wikitesto]

Si rifugia in gruppi da pochi individui fino a diverse migliaia all'interno di grotte, grosse fenditure rocciose e templi, spesso in zone ben illuminate come le entrate. I sessi vivono separati. Il volo è rapido ed alto.

Alimentazione[modifica | modifica wikitesto]

Si nutre di insetti catturati sopra la volta forestale.

Riproduzione[modifica | modifica wikitesto]

Danno alla luce un piccolo all'anno durante l'inverno dopo una gestazione di 120-125 giorni. Sono frequenti anche parti gemellari.

Distribuzione e habitat[modifica | modifica wikitesto]

Questa specie è diffusa nel Subcontinente indiano, Cina, Indocina, Indonesia e Filippine.

Vive in ambienti forestali fino a 800 metri di altitudine. È frequente nelle aree urbane.

Tassonomia[modifica | modifica wikitesto]

Sono state riconosciute 4 sottospecie:

Conservazione[modifica | modifica wikitesto]

La IUCN Red List, considerato il vasto areale, la popolazione presumibilmente numerosa e la presenza in diverse aree protette, classifica T.melanopogon come specie a rischio minimo (Least Concern)).[1]

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ a b c (EN) Csorba, G., Bumrungsri, S., Helgen, K., Francis, C., Bates, P., Gumal, M., Balete, D., Heaney, L., Molur, S. & Srinivasulu, C. 2008, Taphozous melanopogon, su IUCN Red List of Threatened Species, Versione 2020.2, IUCN, 2020.
  2. ^ (EN) D.E. Wilson e D.M. Reeder, Taphozous melanopogon, in Mammal Species of the World. A Taxonomic and Geographic Reference, 3ª ed., Johns Hopkins University Press, 2005, ISBN 0-8018-8221-4.
  3. ^ Smith & Xie, 2008.
  4. ^ Coral Cay Conservation, Report of the Perhentian Phase 2005 (PDF), in Malaysia Tropical Forest Conservation Project, 2005. URL consultato il 20 luglio 2016 (archiviato dall'url originale il 16 agosto 2016).

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

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