Battaglia di Abrittus

Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
Vai alla navigazione Vai alla ricerca
Battaglia di Abrittus
parte Invasioni barbariche del III secolo
Datagiugno 251
LuogoAbrittus (moderna Razgrad, Bulgaria)
EsitoDecisiva vittoria dei Goti
Schieramenti
Comandanti
Effettivi
70.000
Voci di battaglie presenti su Wikipedia

La battaglia di Abrittus fu combattuta tra i Goti e i Romani, ad Abrittus, località a nord di Nicopoli, nel giugno del 251. I Romani furono sconfitti, e nella battaglia morirono gli imperatori Decio ed Erennio Etrusco, i primi a cadere in battaglia contro i barbari nella storia romana.

Contesto storico[modifica | modifica wikitesto]

La pressione dei barbari lungo le frontiere settentrionali e contemporaneamente dei Sasanidi in Oriente, non solo si era intensificata, ma dava l'idea che l'impero fosse totalmente accerchiato da un anello di tribù nemiche.[1] La vecchia diplomazia usata fin dai tempi di Augusto, basata sulla minaccia dell'uso della forza o la creazione di dissidi interni tra le diverse tribù per tenerli impegnati fra loro, era ormai inefficace. Era necessario ricorrere subito alla forza, schierando armate superiori tatticamente, capaci di intercettare il più rapidamente possibile ogni possibile via di invasione dei barbari, ma con la difficoltà di dover presidiare immensi tratti di frontiera con contingenti militari per lo più scarsi.[2] Molti degli imperatori che vennero via via proclamati dalle legioni in questi anni, non riuscirono neppure a metter piede a Roma, né tanto meno a mettere mano a riforme interne durante i loro brevissimi regni, poiché permanentemente occupati nelle lotte contro altri pretendenti al trono imperiale o a difesa del territorio contro i nemici esterni.

Casus belli[modifica | modifica wikitesto]

Nel 249-250 un esercito di 70.000 Goti, sotto la guida del loro capo Cniva, passò il Danubio inferiore ed invase la Mesia. Nonostante l'opposizione del generale e futuro imperatore Treboniano Gallo, l'orda penetrò nella fertile Tracia. Tito Giulio Prisco, governatore della provincia, aveva nel frattempo radunato un esercito a Filippopoli: era necessario resistere fino all'arrivo dell'imperatore Decio, che proveniva dall'Occidente a marce forzate. All'arrivo dell'imperatore, l'esercito romano fu attaccato a sorpresa e disperso e Filippopoli fu saccheggiata; tuttavia, in breve tempo Decio raccolse sul Danubio un nuovo esercito: intendeva attaccare i Goti quando questi, carichi di bottino, si fossero rimessi sulla via del ritorno.

Battaglia[modifica | modifica wikitesto]

I Goti si schierarono su tre linee, disponendo la terza dietro uno stagno. In uno dei primi scontri cadde Erennio Etrusco, il figlio dell'imperatore. Il dolore per la morte del figlio sconvolse l'animo di Decio che attaccò imprudentemente i Goti non accorgendosi che lo schieramento barbaro su tre linee nascondeva un'insidia.[senza fonte] Le truppe romane riuscirono a rompere le prime due linee, ma nel tentativo di forzare la terza Decio cadde in combattimento e non si riuscì neppure a trovare il suo cadavere. Nell'esercito si sparse la voce che colpevole della morte di Decio fosse Treboniano Gallo, il quale si sarebbe preventivamente accordato coi Goti e avrebbe attirato l'imperatore verso una zona paludosa. Ecco come venne tramandato da Zosimo:

«Insediato Gallo sulle rive del Tanai,[3] egli stesso marciò contro i superstiti; e poiché le cose procedevano secondo i suoi piani, Gallo, deciso a ribellarsi, invia messaggeri presso i barbari, invitandoli a partecipare al complotto contro Decio. Accolta con molto piacere la proposta, mentre Gallo era di guardia i barbari si divisero in tre schiere e disposero il primo contingente di forze in un luogo dinanzi al quale si estendeva una palude. Dopo che Decio ebbe ucciso molti di essi, subentrò il secondo contingente, e quando anche questo venne messo in fuga, comparvero presso la palude pochi soldati del terzo contingente. Gallo allora fece segno a Decio di attraversare la palude e di lanciarsi contro di loro, e l’imperatore, che non conosceva quei luoghi, si spinse all’attacco sconsideratamente: bloccato dal fango con tutto l’esercito e colpito da ogni parte dalle frecce dei barbari fu ucciso insieme ai suoi, non avendo alcuna possibilità di fuga. Questa fu la fine di Decio, dopo avere regnato in modo eccellente.»

Questa la tragica narrazione degli eventi di Giordane:

«E subito il figlio di Decio cadde mortalmente trafitto da una freccia. Alla notizia il padre, sicuramente per rianimare i soldati, avrebbe detto "Nessuno sia triste, la perdita di un solo uomo non deve intaccare le forze della Repubblica". Ma poco dopo, non resistendo al dolore di padre, si lanciò contro il nemico cercandovi o la morte o la vendetta per il figlio. [...] Perse pertanto impero e vita.»

Decio aveva cinquant'anni circa e regnava da tre: fu il primo imperatore romano morto in battaglia contro il nemico. Rimase imperatore il figlio minore, Ostiliano, il quale fu a sua volta adottato dall'allora legato delle due Mesie, Treboniano Gallo, a sua volta acclamato imperatore in quello stesso mese. Gallo, accorso sul luogo della battaglia, concluse una pace poco favorevole con i Goti di Cniva: non solo permise loro di tenersi il bottino, ma anche i prigionieri catturati a Filippopoli, molti dei quali di ricche famiglie nobili. Inoltre, furono loro garantiti sussidi annui, dietro alla promessa di non rimettere più piede sul suolo romano.[4]

Conseguenze[modifica | modifica wikitesto]

Gallo negoziò un duro trattato con i Goti, che permetteva loro di tenere il bottino e di tornare dall'altra parte del Danubio, ottenendo al contempo un tributo annuale da pagare finché il territorio romano fosse stato rispettato. E non a caso Ammiano Marcellino considerò questa tra le maggiori sconfitte dell'impero, assieme alla sconfitta di Varo nella Battaglia della Foresta di Teutoburgo, le incursioni dei Marcomanni durante il regno di Marco Aurelio e la Battaglia di Adrianopoli.[5]

A partire dal 260 fino al 274 circa, l'Impero romano subì la secessione di due vaste aree territoriali, che però ne permisero la sopravvivenza. Ad ovest gli usurpatori dell'Impero delle Gallie, come Postumo (260-268[6]), Leliano (268), Marco Aurelio Mario (268-269), Vittorino (269-271), Domiziano II (271) e Tetrico (271-274), riuscirono a difenderne i confini delle province di Britannia, Gallia e Spagna. La situazione di crisi migliorò nettamente sotto Aureliano e Diocleziano grazie ad alcune importanti riforme, soprattutto militari, che bloccarono queste forze disgregatrici.

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ R. Rémondon, p. 74.
  2. ^ Williams, p. 23.
  3. ^ Qui Zosimo confonde il Don con il Danubio, fiume di riferimento.
  4. ^ Zosimo, Storia nuova, I, 24.2.
  5. ^ Ammiano Marcellino, Res Gestae, libro 31.5.12-17.
  6. ^ Eutropio, Breviarium ab urbe condita, 9, 9.

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

Fonti antiche
Fonti storiografiche moderne

Voci correlate[modifica | modifica wikitesto]