Post-punk revival

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Post-punk revival
Origini stilisticheIndie rock
Post-punk
New wave
Alternative rock
Garage rock
Garage punk
Britpop
Origini culturalifine anni novanta / inizio anni duemila, Stati Uniti d'America ed Europa
Strumenti tipicivoce, batteria, chitarra, basso, sintetizzatore, tastiera, batteria elettronica, Campionatori
Categorie correlate
Gruppi musicali post-punk revival · Musicisti post-punk revival · Album post-punk revival · EP post-punk revival · Singoli post-punk revival · Album video post-punk revival

Il Post-punk revival, anche conosciuto come garage rock revival[1][2], new wave revival[3] e new rock revolution[2][4] è un sottogenere dell'indie rock che si sviluppò tra la fine degli anni '90 e l'inizio dei '00 ispirato dalle sonorità originarie del garage rock degli anni '60, dalla New wave e dal post-punk della fine '70/inizio '80[1][3].

Definizione e caratteristiche[modifica | modifica wikitesto]

Interpol, una delle band fondatrici del post-punk revival in una foto del 2019

Il termine post-punk fu coniato sul finire degli anni '70 per descrivere gruppi che pur ispirandosi all'energia del punk rock mantenendone la posizione iconoclasta ne contestavano l'eccessiva semplificazione, sperimentando strutture musicali e temi lirici più complessi e un'immagine consapevolmente collegata all'arte contemporanea[5].

All'inizio degli anni 2000, emerse a livello mainstream una nuova generazione di band che suonava una versione scarna e basica di rock chitarristico, venendo spesso catalogati come parte di un revival garage rock, new wave o post-punk[3][6][7][8]. Le loro influenze spaziavano dal blues tradizionale, alla new wave al grunge[9], in composizioni che andavano dalle tracce atonali di band come Liars alle canzoni pop melodiche di gruppi come the Sounds[3], rendendo popolari i suoni distorti delle chitarre[10]. Queste band condividevano tra loro l'enfasi sulla necessità di concerti energici e usavano l'estetica (nei capelli e nei vestiti) strettamente allineata con i loro fan[11], spesso attingendo alla moda degli anni '50 e '60[9], con "cravatte sottili, cinture bianche e tagli di capelli"[4]. L'enfasi era spesso puntata sull'"autenticità del rock" vista come reazione agli eccessi commerciali di quei gruppi del nu metal, dell'hip hop[11] e del post-Britpop che guardavano ad MTV[12].

Justine Frischmann in concerto con gli Elastica il 21 agosto 1995

Siccome queste nuove band provenivano da paesi di tutto il mondo, citavano influenze molto diverse tra loro ed adottavano stili di abbigliamento diversi, la loro unità come genere è stata spesso contestata. Per lo storico del garage rock Eric James Abbey, si trattava di band diverse che si appropriarono (o ricevettero) l'etichetta "garage" per ottenere un certo grado di credibilità[9]. AllMusic ha affermato che piuttosto che un revival, la storia del post-punk era più un continuum dalla metà degli anni '80 in poi, con un disseminarsi di band che includevano Big Flame, World Domination Enterprises e Minimal Compact che estendevano il genere. A metà degli anni '90, band degne di nota in questo senso includevano Six Finger Satellite, Brainiac ed Elastica[3]. All'inizio del secolo, il termine "post-punk" iniziò nuovamente a comparire sulla stampa musicale, con un certo numero di critici che ripresero questa etichetta per descrivere un nuovo coacervo di band che condividevano parte dell'estetica dell'era post-punk originaria. Il critico musicale Simon Reynolds ha notato che band come The Rapture e Franz Ferdinand sono state influenzate dalla tensione più spigolosa del post-punk, in particolare da band come Wire e Gang of Four[13]. Altri hanno identificato questo movimento come un'altra ondata di revivalismo garage rock, con NME nel 2003 che lo descrisse come una "nuova rivoluzione garage rock"[11], o semplicemente una "nuova rivoluzione rock"[4]. Secondo il critico musicale Jim DeRogatis, gli Strokes, i White Stripes e the Hives avevano tutti un suono "in qualche misura radicato nel garage rock dell'era dei Nuggets"[7].

Storia[modifica | modifica wikitesto]

Retroterra[modifica | modifica wikitesto]

The White Stripes nel 2007

Nel 2000 le scene musicali locali di diversi paesi avevano band che suonavano musica alternativa e indie, guardando con interesse al garage rock ed agli elementi del punk negli anni '80 e '90[14]. La scena rock di Detroit includeva i White Stripes ed i Von Bondies[15]. La città era un terreno cruciale per i Black Keys dell'Ohio. La scena di New York includeva Strokes, Interpol, Yeah Yeah Yeahs, TV on the Radio, LCD Soundsystem, the Walkmen, the Rapture e Liars[16]. A Los Angeles e San Francisco, la scena era incentrata sui Black Rebel Motorcycle Club, the Brian Jonestown Massacre, Dandy Warhols e sui Silversun Pickups. Altri paesi avevano le proprie band locali che incorporavano musica post-punk[17][18][19].

2001-2006: Svolta commerciale[modifica | modifica wikitesto]

Franz Ferdinand on stage in 2006

Queste scene iniziarono a suscitare interesse commerciale prima nel Regno Unito[20], con un piccolo gruppo di band. Gli Strokes sono emersi dalla scena dei club di New York con il loro album di debutto, Is This It (2001), che raggiunse il numero 2 nel Regno Unito e ha scalato la Top 50 in America. Gli White Stripes di Detroit, hanno pubblicato il loro terzo album, White Blood Cells (2001), che si è classificato decentemente sia negli Stati Uniti che nel Regno Unito, oltre a generare due singoli transatlantici nella Top 25. Gli svedesi the Hives sono diventati un successo mainstream con la loro compilation Your New Favourite Band (2001) che ha raggiunto la posizione numero 7 nelle classifiche del Regno Unito. Sempre nel 2001, l'album di debutto dei Black Rebel Motorcycle Club ha raggiunto il numero 5 nel Regno Unito. Gli australiani The Vines hanno pubblicato Highly Evolved nel 2002, che è stato uno dei primi 5 successi sia in Inghilterra che in Australia, e ha raggiunto la posizione numero 11 negli Stati Uniti[21]. Insieme a Strokes, White Stripes, Hives e altri, furono soprannominati "i salvatori del rock 'n' roll"[22], spingendo la rivista Rolling Stone a dichiarare su la sua copertina del settembre 2002, "Rock is Back!"[23]. Questa attenzione della stampa, a sua volta, ha portato ad accuse di eccessivo clamore[22], e alcuni hanno additato questa scena come non originale, consapevole dell'immagine e stonata[23], sebbene secondo Reynolds, "a parte forse i White Stripes, nessuno potrebbe davvero essere descritto come retrò"[24].

Arctic Monkeys on stage in 2006

Sulla scia di questa attenzione, gruppi già esistenti come Yeah Yeah Yeahs sono stati in grado di firmare per le principali etichette discografiche[25]. Una seconda ondata di band che è riuscita a ottenere il riconoscimento internazionale come risultato del movimento includeva Interpol, Black Keys, the Killers, Kings of Leon, Modest Mouse, the Shins, the Bravery, Spoon, the Hold Steady e the National negli Stati Uniti[7], e Franz Ferdinand, Bloc Party, the Futureheads, the Cribs, the Libertines[26], Kaiser Chiefs and the Kooks nel Regno Unito[27]. Gli Arctic Monkeys sono stati l'esperienza più importante per il loro successo commerciale connesso all'uso del social networking su Internet, con due singoli n. 1 Whatever People Say I Am, That's What I'm Not (2006), che è diventato l'album di debutto più venduto nella storia delle classifiche britanniche[28].

2007-2010: Popolarità in declino[modifica | modifica wikitesto]

In quanto a forza commerciale mainstream, la rinascita fu di breve durata. Nel 2007, il successo iniziale del movimento stava cominciando a diminuire, portando i commentatori a discutere del suo declino come fenomeno e sostenere che era stato superato da fenomeni musicalmente ed emotivamente più complessi, con gruppi indie rock come gli Arcade Fire (che, tuttavia, sono stati descritti dalla critica come caratterizzati da influenze e suoni post-punk[29][30][31]) e Death Cab for Cutie[4].

Entro la fine del decennio, molte delle bande del movimento si erano sciolte, erano in pausa o si erano trasferite in altre aree musicali e pochissime avevano un impatto significativo sulle classifiche[10][32][33]. Le band che sono tornate a registrare e fare tournée negli anni 2010 includevano Franz Ferdinand, Arctic Monkeys[34], the Strokes[35] e Interpol[36].

2011-presente: Rinascita[modifica | modifica wikitesto]

Black Country, New Road dal vivo nel 2020

Quando il post-punk è tornato nell'underground, band in tutto il mondo hanno iniziato a spuntare e ad accumulare seguaci di culto, come Parquet Courts, Protomartyr e Geese (Stati Uniti), Preoccupations (Canada), Iceage (Danimarca) e Viagra Boys (Svezia)[37][38][39].

Tra la metà e la fine degli anni '10 e l'inizio degli anni '20, è emersa una nuova ondata di band post-punk dalla Gran Bretagna e dall'Irlanda. I gruppi in questa scena sono stati descritti con il termine "Crank Wave" da NME e The Quietus nel 2019 e come "Post-Brexit New Wave" dallo scrittore di NPR Matthew Perpetua nel 2021[40][41][42]. Perpetua descrive i gruppi sulla scena come "band britanniche che parlano un po' cantando sulla musica post-punk, ed a volte è più simile al post-rock"[42].

Molti di questi esempi sono associati al produttore Dan Carey e alla sua etichetta discografica Speedy Wunderground[41]. Gli artisti che sono stati identificati come parte dello stile includono Black Midi, Squid, Black Country, New Road, Dry Cleaning, Shame, Sleaford Mods, Fontaines D.C., The Murder Capital e Idles[40][41][42].

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ a b J. Stuessy and S. D. Lipscomb, Rock and roll: its History and Stylistic Development (London: Pearson Prentice Hall, 5th edn., 2006), ISBN 0-13-193098-2, p. 451.
  2. ^ a b Kayley Kravitz, Revisiting the Post-Punk Revival, in Huffington Post, 23 dicembre 2012. URL consultato il 23 gennaio 2017.
  3. ^ a b c d e New Wave/Post-Punk Revival, AllMusic (archiviato dall'url originale il 16 febbraio 2011)..
  4. ^ a b c d M. Spitz, "The 'New Rock Revolution' fizzles", May 2010, Spin, vol. 26, no. 4, ISSN 0886-3032, p. 95.
  5. ^ S. T. Erlewine, "Post Punk", in V. Bogdanov, C. Woodstra and S. T. Erlewine, eds, AllMusic Guide to Rock: the Definitive Guide to Rock, Pop, and Soul (Milwaukee, WI: Backbeat Books, 3rd edn., 2002), ISBN 0-87930-653-X, p. 1338.
  6. ^ H. Phares, Franz Ferdinand: Franz Ferdinand (Australia Bonus CD), AllMusic (archiviato dall'url originale il 16 febbraio 2011)..
  7. ^ a b c J. DeRogatis, Turn on your Mind: Four Decades of Great Psychedelic Rock (Milwaukee, WI: Hal Leonard Corporation, 2003), ISBN 0-634-05548-8, p. 373.
  8. ^ M. Roach, This Is It-: the First Biography of the Strokes (London: Omnibus Press, 2003), ISBN 0-7119-9601-6, p. 86.
  9. ^ a b c E. J. Abbey, Garage Rock and its Roots: Musical Rebels and the Drive for Individuality (Jefferson, NC: McFarland, 2006), ISBN 0-7864-2564-4, pp. 105–12.
  10. ^ a b J. Lipshutz e K. Rutherford, Top 10 garage rock revival bands: where are they now?, in Billboard, 23 marzo 2011. URL consultato il 23 dicembre 2011.
  11. ^ a b c S. Borthwick and R. Moy, Popular Music Genres: an Introduction (Edinburgh: Edinburgh University Press, 2004), ISBN 0-7486-1745-0, p. 117.
  12. ^ M. Roach, This Is It: the First Biography of the Strokes (London: Omnibus Press, 2003), ISBN 0-7119-9601-6, pp. 42 and 45.
  13. ^ W. Neate, Simon Reynolds interview: Part 2 of 2, in Perfect Sound Forever (archiviato dall'url originale il 25 maggio 2011)..
  14. ^ P. Simpson, The Rough Guide to Cult Pop (London: Rough Guides, 2003), ISBN 1-84353-229-8, p. 42.
  15. ^ E. Berelian, "The Von Bondies", in P. Buckley, ed., The Rough Guide to Rock (London: Rough Guides, 3rd edn., 2003), ISBN 1-84353-105-4, p. 1144.
  16. ^ B. Greenfield, and R. Reid, New York City (London: Lonely Planet, 4th edn., 2004), ISBN 1-74104-889-3, p. 33.
  17. ^ R. Holloway, "Billy Childish", in P. Buckley, ed., The Rough Guide to Rock (London: Rough Guides, 3rd edn., 2003), ISBN 1-84353-105-4, pp. 189–90.
  18. ^ "Review: The (International) Noise Conspiracy, A New Morning; Changing Weather", New Music Monthly November–December 2001, p. 69.
  19. ^ C. Rowthorn, Japan (Lonely Planet, 8th edn., 2003), ISBN 1-74059-924-1, p. 37.
  20. ^ C. Morris, "Are new rockers earning the buzz?", Billboard, December 14, 2002, vol. 114, no. 51, ISSN 0006-2510, p. 67.
  21. ^ P. Buckley, The Rough Guide to Rock (London: Rough Guides, 3rd edn., 2003), ISBN 1-84353-105-4, pp. 498–9, 1040–1, 1024–6 and 1162-4.
  22. ^ a b C. Smith, 101 Albums That Changed Popular Music (Oxford: Oxford University Press, 2009), ISBN 0-19-537371-5, p. 240.
  23. ^ a b I. Youngs, New bands race for rock stardom, BBC News, 22 ottobre 2002 (archiviato dall'url originale il 4 gennaio 2009)..
  24. ^ Simon Reynolds, Simon Reynolds's Notes on the noughties: Clearing up the indie landfill, in The Guardian, UK, 2009. URL consultato il 15 dicembre 2011.
  25. ^ H. Phares, Yeah Yeah Yeahs: Biography, AllMusic (archiviato dall'url originale il 15 giugno 2011)..
  26. ^ D. Else, Great Britain (London: Lonely Planet, 2007), ISBN 1-74104-565-7, p. 75.
  27. ^ M. Newman and P. Sexton, "The British are coming", Billboard, April 9, 2005, vol. 117 (13).
  28. ^ A. Kumi, Arctic Monkeys make chart history, in The Guardian, 30 gennaio 2006 (archiviato dall'url originale il 23 agosto 2011).
  29. ^ Murray, Noel, Arcade Fire: The Suburbs, in The A.V. Club, Onion Inc., 3 agosto 2010. URL consultato il 21 marzo 2012.
  30. ^ Shaw, Andrew, A Post-Punk Flavored Trip Around the Cult Indie Neighborhood, in Buzzine Music, 3 agosto 2010. URL consultato il 21 marzo 2012 (archiviato dall'url originale il 5 giugno 2013).
  31. ^ Truss, Si, Arcade Fire: The Suburbs review — Month of May, in MusicRadar, 3 agosto 2010. URL consultato il 21 marzo 2012 (archiviato dall'url originale il 10 agosto 2012).
  32. ^ T. Walker, Does the world need another indie band?, in Independent, 21 gennaio 2010 (archiviato dall'url originale il 4 marzo 2010)..
  33. ^ G. Cochrane, 2009: 'The year British indie guitar music died', in BBC Radio 1 Newsbeat, 21 gennaio 2010 (archiviato dall'url originale il 25 novembre 2010)..
  34. ^ A. Leahey, Arctic Monkeys, AllMusic (archiviato dall'url originale l'8 settembre 2011).
  35. ^ H. Phares, The Strokes, AllMusic (archiviato dall'url originale il 25 ottobre 2011)..
  36. ^ Heather Phares, El Pintor - Interpol, su allmusic.com, AllMusic. URL consultato il 24 settembre 2014.
  37. ^ (EN) Jon Dolan, Geese Are Legit Indie-Rock Prodigies, Straight Out of High School, su Rolling Stone, 28 ottobre 2021. URL consultato il 31 dicembre 2021.
  38. ^ (FR) Deeper, espoirs post-punk à Chicago, su RTBF radio, 5 dicembre 2021. URL consultato il 31 dicembre 2021.
  39. ^ (EN) Viagra Boys Set the Bar High with Brash Post-Punk Hijinks on 'Welfare Jazz' (ALBUM REVIEW), su Glide Magazine, 7 gennaio 2021. URL consultato il 31 dicembre 2021.
  40. ^ a b Mark Beaumont, Mark, My Words: I give you crank wave, the start of the subculture revival, su NME, 10 settembre 2019. URL consultato il 7 dicembre 2021.
  41. ^ a b c (EN) John Doran, The Quietus: Black Sky Thinking - Idle Threat: Who Are The True Champions Of DIY Rock In 2020?, su The Quietus. URL consultato il 7 dicembre 2021.
  42. ^ a b c (EN) Matthew Perpetua, The Post-Brexit New Wave, su NPR, 6 maggio 2021. URL consultato il 7 dicembre 2021.