Legis actio per iudicis arbitrive postulationem

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Con la locuzione latina legis actio per iudicis arbitrive postulationem si esprime uno dei 5 modi di lege agere in uso presso il risalente diritto romano. Era un'azione di accertamento.

Caratteristiche[modifica | modifica wikitesto]

A differenza della legis actio sacramento che era generalis, alla legis actio per iudicis arbitrive postulationem poteva farsi ricorso solo in determinati casi previsti dalla legge. Inoltre essa aveva il vantaggio di pervenire più rapidamente alla fase in iure, e non comportava il sacramentum (giuramento) e la poena sacramenti che ne conseguiva per chi fosse sconfitto nella lite, ciò ne faceva una procedura non pericolosa.[1]

Il procedimento ci viene descritto da Gaio nel IV commentario delle sue Istituzioni:

(LA)

«Per iudicis postulationem agebatur, si qua de re ut ita ageretur lex iussisset sicuti lex XII tabularum de eo quod ex stipulatione petitur. eaque res talis fere erat. qui agebat sic dicebat: EX SPONSIONE TE MIII X MILIA SESTERTIORVM DARE OPORTERE AIO: ID POSTVLO AIAS AN NEGES. aduersarius dicebat non oportere. actor dicebat: QVANDO TV NEGAS, TE PRAETOR IVDICEM SIVE ARBITRVM POSTVLO VTI DES. itaque in eo genere actionis sine poena quisque negabat. item de hereditate diuidenda inter coheredes eadem lex per iudicis postulationem agi iussit. idem fecit lex Licinnia, si de aliqua re communi diuidenda ageretur. itaque nominata causa ex qua agebatur statim arbiter petebatur»

(IT)

«Si agiva per iudicis postulationem, se una legge avesse prescritto che si agisse in tal modo, come ad esempio nel caso della legge delle dodici tavole per ciò che viene chiesto in base ad una stipulatio. E così si svolgeva: colui che agiva pronunciava le seguenti parole "Affermo che tu sei obbligato a dare a me ex sponsione dieci mila sesterzi: chiedo se tu affermi o neghi ciò". L'avversario diceva di non essere obbligato. L'attore diceva: Poiché tu lo neghi, chiedo a te pretore di dare un giudice (o un arbitro). E così in questo genere di azione non vi era pena per chi negava. La stessa legge prevedeva che si potesse agire per iudicis postulationem in caso di divisione ereditaria tra coeredi. Lo stesso stabilì la Legge Licinnia, se si agiva per la divisione di cosa comune. E così nominata la causa per la quale si agiva immediatamente veniva richiesto l'arbitro.»

In pratica, si poteva esercitare o in seguito ad una lite per una sponsio o per la divisione tra coeredi di un asse ereditario o per lo scioglimento di una comunione.[1]

Agere per sponsionem[modifica | modifica wikitesto]

La scienza giuridica romana elaborò a partire dalla legis actio per iudicis arbitrive postulationem uno schema processuale che permettesse di utilizzare questo procedimento anche su fattispecie non inizialmente previste, come una rivendica su una cosa, senza dover incorrere nella pericolosità del sacramentum. I due litiganti, in sede extragiudiziale, compivano una sponsio riguardo alla controversia; in questo modo potevano ricorrere alla iudicis arbitrive postulationem con oggetto, appunto, la sponsio ma con l'effetto di arrivare a risolvere il tema della controversia originale. Questo meccanismo prese il nome di agere per sponsionem.[1]

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ a b c Lovato, 2014, pp. 48-49.

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

  • Antonio Guarino, Diritto privato romano, 12ª ed., Napoli, Jovene, 2001, ISBN 8824313728.
  • Matteo Marrone, Manuale di diritto privato romano, Torino, G. Giappichelli Editore, 2004, ISBN 88-348-4578-1.
  • Andrea Lovato, Salvatore Puliatti e Laura Solidoro Maruotti, Diritto privato romano, Torino, G. Giappichelli Editore, 2014, ISBN 9788834848494.

Voci correlate[modifica | modifica wikitesto]

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