Fonti e storiografia su Giulio Cesare

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Voce principale: Gaio Giulio Cesare.
Un'altra scultura raffigurante Giulio Cesare, conservata all'Altes Museum di Berlino.

Per fonti e storiografia su Giulio Cesare si intendono le principali fonti (letterarie, numismatiche, archeologiche, ecc.) contemporanee alla vita del dittatore romano Gaio Giulio Cesare, nonché la descrizione degli eventi di quel periodo e l'interpretazione datane dagli storici, formulandone un chiaro resoconto (logos), grazie anche all'utilizzo di più discipline ausiliarie.

Fonti biografiche[modifica | modifica wikitesto]

Le principali fonti per la vita e il ruolo di Giulio Cesare sono rappresentate dalla biografia di Svetonio (Vite dei dodici Cesari) e di Plutarco (Vite parallele), oltre a Appiano di Alessandria (Historia Romana), Cassio Dione Cocceiano (Historia Romana), Velleio Patercolo (Historiae Romanae), Marco Tullio Cicerone (Orationes Philippicae, Orationes in Catilinam, Epistulae ad Atticum, Orationes: pro Marcello, pro Ligario, pro Deiotaro, De provinciis consularibus), Marco Anneo Lucano (Pharsalia), e lo stesso Cesare con i Commentarii De bello Gallico e De bello civili.

Giudizi storici[modifica | modifica wikitesto]

Giulio Cesare nella storiografia antica[modifica | modifica wikitesto]

Tra gli innumerevoli ritratti che di lui ci sono stati conservati, particolarmente significativi sono tre: quello del suo aspetto fisico, tracciato da Svetonio nelle sue Vite dei Cesari, e quelli morali, tra i quali uno fu tracciato dal suo grande avversario Cicerone in un passo della seconda Filippica, l'altro dall'amico Gaio Sallustio Crispo nel De Catilinae coniuratione.

Ecco quello di Svetonio:

«Cesare era di alta statura e ben formato, aveva una carnagione chiara, il viso pieno e gli occhi neri e vispi. Godeva di florida salute, ma negli ultimi tempi era solito rimanere vittima di svenimenti e incubi notturni; nell'esercizio delle sue funzioni, fu anche colto due volte da un attacco di epilessia. Nella cura del corpo fu alquanto meticoloso al punto che non solo si tagliava i capelli e si radeva con diligenza, ma addirittura si depilava, cosa che alcuni gli rimproveravano. Sopportava malissimo il difetto della calvizie per la quale spesso fu offeso e deriso, e per questo si era abituato a tirare giù dalla cima del capo i pochi capelli. Tra tutti gli onori che il popolo e il senato gli decretarono, infatti, non ne ricevette o abusò mai nessuno più volentieri che il diritto di portare sempre una corona di alloro. Dicono che fosse ricercato anche nel vestire: usava infatti un laticlavio frangiato fino alle mani e si cingeva sempre al di sopra di esso con una cintura assai lenta. [...] Molti lo descrissero come estremamente desideroso di lusso ed eleganza.»

Non meno incisivo quello di Cicerone:

«Egli ebbe ingegno, equilibrio, memoria, cultura, attività, prontezza, diligenza. In guerra aveva compiuto gesta grandi, anche se fatali per lo stato. Non aveva avuto per molti anni altra ambizione che il potere, e con grandi fatiche e pericoli l'aveva realizzata. La moltitudine ignorante se l'era conquistata coi doni, le costruzioni, le elargizioni di viveri e banchetti. I suoi li aveva acquistati con premi, gli avversari con manifestazioni di clemenza, insomma aveva dato a una città, ch'era stata libera, l'abitudine di servire, in parte per timore, in parte per rassegnazione.»

Infine quello di Sallustio, che raffronta Cesare e Catone:

«Dunque, per la nascita, l'età, l'eloquenza, più o meno si equivalevano. Eguale la grandezza dell'animo e la gloria; ma nelle altre cose diversi: Cesare tenuto in gran conto per la generosità, la larghezza, Catone per l'integrità della vita; il primo salito alla celebrità per la mitezza e la clemenza, il secondo per il rigore. Cesare ha raggiunto la fama a forza di donare, soccorrere, perdonare, Catone con il non concedere mai nulla a nessuno. L'uno, il rifugio dei poveri, l'altro, il flagello dei malvagi; di uno era lodata la condiscendenza, dell'altro la fermezza; Cesare, infine, s'era proposto di lavorare, vigilare e, per tener dietro agli interessi dei suoi amici, trascurare i propri e non rifiutare mai nulla che valesse la pena di regalare; ambiva a un comando importante, a un esercito, a una guerra nuova, nella quale potesse emergere il suo valore. Catone era incline alla modestia, al decoro e, soprattutto, all'austerità. Non gareggiava di lusso con i ricchi, d'influenze con gli intriganti, ma di valore con il prode, di riserbo con il modesto, d'integrità con l'onesto. Preferiva essere virtuoso che parerlo e, di questo passo, quanto meno inseguiva la gloria tanto più essa lo seguiva.»

I suoi gusti nella sfera sessuale furono spesso motivo di pettegolezzo e canzonatura da parte sia dei suoi detrattori sia dei suoi stessi soldati. La sua fama di rubacuori a tutto campo veniva sintetizzata da Cicerone secondo cui egli era "il marito di tutte le mogli e la moglie di tutti i mariti". Infatti, la pratica dell'omosessualità, molto diffusa in Oriente, era guardata con sospetto a Roma, dove veniva considerata un atto di sottomissione di un uomo nei confronti di un altro uomo. Dopo decenni dalla presunta relazione di Cesare con Nicomede IV di Bitinia, infatti, i legionari, durante le celebrazioni del trionfo sulla Gallia nel 46 a.C., intonavano, secondo Svetonio, queste strofette scherzose, che godevano di immensa popolarità in tutta l'Urbe:[1]

«Cesare sottomise le Gallie, Nicomede sottomise Cesare:
ecco ora trionfa Cesare che sottomise le Gallie,
e non trionfa Nicomede, che sottomise Cesare!»

Anche altri, d'altronde, canzonavano Cesare per il suo presunto rapporto con Nicomede. Licinio Calvo scrisse dei versi, anch'essi conosciutissimi, che recitavano: Tutto quel che Bitinia / e lo stuprator di Cesare mai ebbe; Dolabella lo definì rivale della regina, mentre un tale Ottavio, che aveva salutato Pompeo Magno come re, salutò Cesare come regina; Cicerone, dopo aver scritto nelle sue Epistulae che in Bitinia il discendente di Venere, introdotto dalle guardie nella stanza del re, era giaciuto con una veste purpurea nell'aureo letto, dove aveva perduto il fiore della sua gioventù, quando in senato lo stesso Cesare, nel perorare la causa della figlia di Nicomede, accennò ai benefici ricevuti dal padre, rispose: "Passiamoci sopra, in quanto è ben noto cosa tu abbia dato a lui e lui a te".[2]

Gaio Valerio Catullo[3] sostenne che Cesare e il suo ufficiale Mamurra avessero avuto una relazione, ma più tardi si scusò: in quest'episodio Cesare dimostrò tutta la sua clementia, concedendo al poeta il suo perdono e lasciandogli frequentare la sua domus.[4] Marco Antonio, infine, insinuò, nel tentativo di diffamare il suo avversario durante la guerra civile, che Cesare avesse avuto un rapporto anche con il nipote Ottaviano, e che la causa della sua adozione fosse stata proprio la loro relazione amorosa.

In merito ai suoi amori femminili, Svetonio[5] gli attribuisce numerose relazioni, che gli costarono anche notevoli somme di denaro; lo stesso autore dice peraltro che il suo più grande amore fu Servilia, madre di Marco Giunio Bruto, che fu sua amante per moltissimi anni e alla quale fece favolosi doni. Proprio questo rapporto sarebbe all'origine della celebre frase pronunciata nei confronti di Bruto mentre veniva colpito da quest'ultimo.

Vexata quaestio anche per gli storici antichi fu, poi, lo stato di salute di Cesare: Plutarco racconta che più volte egli rimase vittima di attacchi di mal di testa e di epilessia,[6] e anche Svetonio, oltre che nel suddetto ritratto, fa più volte riferimento al non perfetto stato di salute di Cesare.[7] Tuttavia, risulta tuttora difficile credere che Cesare abbia potuto portare così brillantemente a compimento le sue campagne in un cattivo stato di salute: gli attacchi di epilessia, infatti, a differenza di quelli di mal di testa, sono stati attestati solo negli ultimi anni della sua vita. La sua salute cagionevole non è poi tra le motivazioni che i suoi detrattori addussero nelle loro orazioni anticesariane, ed è perciò da escludersi che una qualsiasi forma di epilessia si fosse manifestata durante la giovinezza. I sintomi descritti tanto sommariamente da Plutarco e Svetonio, che subito li ricondussero al morbus comitialis, potrebbero, alla luce delle odierne conoscenze, ricondursi a più cause, come un trauma cranico,[8] una malattia del nervo vago, un tumore[8][9] o anche una semplice ipoglicemia.[10] Poiché è altamente probabile che Augusto abbia poi fatto censurare ogni documento che accennava alla malattia del suo illustre zio, è impossibile reperire notizie certe, ma resta comunque probabile che Cesare, che aveva tra l'altro raggiunto un'età venerabile, fosse affetto, durante i suoi ultimi anni, da qualcosa di differente dall'epilessia: un recente studio pubblicato su Neurological Sciences ha ipotizzato che i casi di svenimento e perdita di conoscenza possano essere manifestazioni sincopali di piccoli attacchi apoplettici, così come gli altri segni e sintomi riscontrati durante le crisi, tra cui vertigini, emicranie, paresi, disturbi dell'andatura, deficit sensoriali.[11]

Storiografia successiva[modifica | modifica wikitesto]

Busto di Cesare in uniforme militare.

Tra coloro che ne esaltarono la personalità basterebbe ricordare Theodor Mommsen, Theodore Ayrault Dodge, Ronald Syme, Heberhard Horst, i quali scrissero:

«Così egli operò e creò, come mai nessun altro mortale prima e dopo di lui, e come operatore e creatore Cesare vive ancora, dopo tanti secoli, nel pensiero delle nazioni, il primo e veramente unico imperatore

«Presi in tutte le loro caratteristiche, Cesare risulta il più grande uomo dell'antichità.»

«Una volta morto, Cesare divenne dio e mito, passando dal campo della storia a quello della letteratura e della leggenda, della declamazione e della propaganda.»

«Quello che sopravvive è il fascino della sua personalità che fu grande anche nelle contraddizioni, che si realizzò nelle altezze e bassezze dell'azione politica e continuò ad esercitare il suo influsso nella storia di Roma e d'Europa. Egli fu il fondatore di un nuovo ordine imperiale che fu realizzato, dopo un periodo di transizione, da suo figlio adottivo Ottaviano Augusto e conservò come titolo ed espressione del supremo potere il suo nome: Cesare»

Fu anche secondo altri il vero fondatore del impero romano:

«Cesare in pochi anni aveva posto i principi del principato augusteo. Lo si può considerare come il vero fondatore del regime imperiale. Svetonio non si è sbagliato iniziando con la sua, le Vite dei dodici Cesari

Eredità e reputazione postuma[modifica | modifica wikitesto]

Lo stesso argomento in dettaglio: Giulio Cesare nella cultura di massa.

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ Cesare, 49.
  2. ^ Svetonio, ibidem.
  3. ^ Carmina, 29.
  4. ^ Svetonio, Cesare, 73.
  5. ^ Svetonio, Cesare, 50.
  6. ^ Plutarco, Cesare, 1

    «Una notte, mentre veniva portato in un'altra casa poiché era ammalato, cadde nelle mani di alcuni soldati di Silla.»

    Plutarco, Cesare, 18
    Plutarco, Cesare, 58
    Plutarco, Cesare, 66.
  7. ^ Svetonio, Cesare, 4
    Svetonio, Cesare, 57
    Svetonio, Cesare, 59
    Svetonio, Cesare, 81.
  8. ^ a b Vivere con l’epilessia, notizie utili e possibilità di trattamento chirurgico (PDF), su aots.sanita.fvg.it, Aots sanità.it. URL consultato il 5 agosto 2015 (archiviato dall'url originale il 23 settembre 2015)..
  9. ^ Perché Cesare era epilettico?, su paleopatologia.it. URL consultato il 5 agosto 2015 (archiviato dall'url originale il 24 settembre 2015)..
  10. ^ Giulio Cesare soffriva di mini-ictus, secondo gli esperti, su salute.ilgiornale.it, Salute - Il Giornale.it. URL consultato il 5 agosto 2015..
  11. ^ Has the diagnosis of a stroke been overlooked in the symptoms of Julius Caesar? - Estratto, su link.springer.com. URL consultato il 28 aprile 2015.

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

Fonti primarie
Fonti moderne