Battaglia di Marino

Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
Vai alla navigazione Vai alla ricerca
Battaglia di Marino
Voci di guerre presenti su Wikipedia

La Battaglia di Marino, combattuta il 30 aprile 1379 nella vallata sottostante il predetto castello, all'epoca feudo di Giordano Orsini, segna un'inversione nel rapporto di forze tra Urbano VI e Clemente VII oltre a rappresentare una delle prime e più brillanti vittorie di milizie italiane contro truppe straniere.

L'antefatto: lo Scisma d'Occidente

Gregorio XII morì il 27 maggio 1378, lasciando Roma in tumulto. La Santa Sede era tornata a Roma da Avignone solo da pochissimi mesi, e i prelati francesi erano quanto mai intenzionati a tornare in Francia. Il popolo romano temeva le trame dell’Arcivescovo di Arles, nonché Camerlengo di Santa Romana Chiesa, Roberto di Ginevra, i cardinali temevano il popolo ed i baroni, e la sera del 7 aprile, inizio del conclave in Vaticano, il corteo dei prelati che sfilava in Basilica fu accolto da grida di “lo volemo romano o almanco italiano!”.

I voti si addensarono sull’Arcivescovo di Bari, il napoletano Vice-cancelliere Bartolomeo de Prignano, ovvero un italiano amico degli angioini filo-francesi. L’8 aprile il popolo, alla notizia falsa che i cardinali avessero eletto un Papa romano, nella persona del cardinal Tibaldeschi, irruppero in Vaticano festanti suscitando sgomento nei prelati, che vestirono da Pontefice il Tibaldeschi nascondendo il vero Papa nei Sacri Palazzi. Mentre il popolo osannava l’impacciato finto Papa, i cardinali fuggirono, e 6 ripararono in Castel Sant’Angelo, presidiato da milizie bretoni, 4 fuggirono nell’Agro (a Zagarolo, Vicovaro ed Ardea) ed altri rientrarono indistrurbati nelle proprie dimore. Ma si scoprì l’inganno, ed il 9 aprile alla fine la cittadinanza rese omaggio al nuovo Pontefice, che era almeno un italiano.

Il 18 aprile 1378 Bartolomeo de Prignano saliva al Soglio col nome di Urbano VI. Trovava subito, a causa dei suoi propositi riformatori, nemici nei cardinali stranieri, specie quelli francesi. Così, se i bretoni che presidiavano Castel Sant'Angelo dai tempi di Gregorio XII si rifiutavano di cedere al Papa il castello, i cardinali francesi si erano ritirati ad Anagni dove, con l’appoggio dei Caetani nemici del Pontefice, e di alcune milizie straniere, iniziarono a far guerra ad Urbano, ritiratosi a sua volta Tivoli, che aveva dalla sua i romani. Il 16 luglio 1378 i romani filo-papalini furono sconfitti dai bretoni nella battaglia di ponte Salario. Caddero 500 uomini, e i romani si vendicarono trucidando ogni straniero presente a Roma. Il 6 agosto i tre cardinali italiani fedeli ad Urbano si abboccano a Palestrina con i delegati dei 13 prelati francesi dissidenti, che sostenevano ora l’invalidità dell’elezione del Prignano. Numerosi autorevoli prelati e giuristi però sostennero la validità dell’elezione di Urbano VI, ma i veri motivi della scissione in atto nella Chiesa stava nella frattura tra italiani e francesi. Il 20 settembre 1378 nel Duomo di Fondi il cardinale Roberto di Ginevra saliva al Soglio col nome di Clemente VII, venendo subito considerato dai giuristi un Antipapa.

Frattanto attorno ad Urbano si radunano nuove forze: oltre a Giordano Orsini del Monte, che era passato col Papa, lo sostengono milizie mercenarie italiane guidate da Alberico da Barbiano e Galeazzo Pepoli. Sostengono invece Clemente i Caetani, Conti di Fondi, e gli Orsini: inoltre vagano nell’Agro e presidiano ancora Castel Sant’Angelo truppe bretoni, comandate dal conte di Montoje nipote dell’antipapa e da Bernardo di Sala.

La battaglia di Marino

I miliziani francesi si accampano nell'area dell'attuale Ciampino, lasciando i toponimi di "Mura dei Francesi" e "Casale dei Francesi". Poi però, con l'avanzata delle truppe di Alberico da Barbiano, il Montoje ordina la ritirata verso Marino, retta da Giordano Orsini, imparentato con i Caetani e sostenitore dell'Antipapa Clemente. Alla fine le truppe si troveranno faccia a faccia nella stretta vallata sotto le mura del castello, i bretoni accampati sotto Marino, gli italiani su Colle Cimino, altura fortificata all'epoca da Castel de Paolis.

Lo scontro durerà 5 ore, e la cavalleria francese sarà disfatta dalla Compagnia di San Giorgio fondata dal Barbiano, e dai suoi fanti italiani.

Il Gregorovius, nella sua "Storia della Città di Roma nel Medioevo", esulta a questa vittoria italiana, scrivendo: “per la prima volta le armi nazionali vinsero le compagnie di ladroni stranieri; l’Italia si destò alla fine dal suo letargo, sicché da quella giornata di Marino si può dire che cominci l’era di una nuova milizia italiana e di una nuova arte di guerra”.

Alberico da Barbiano rientrò in Roma trionfalmente, ed ottenne da Urbano VI uno stendardo con scritto in caratteri d’oro “L’Italia dai barbari liberata”.

Conseguenze della battaglia di Marino

Lo stesso giorno in cui a Marino gli italiani vincevano le truppe di Clemente VII, cadeva anche Castel Sant’Angelo, difeso fino ad allora da 75 bretoni. I Romani lo radevano al suolo per la rabbia. Clemente VII così si trovava a mal partito, e fuggiva a Gaeta e di lì a Napoli, ospite della regina Giovanna. Ma il popolo napoletano insorgeva contro lo straniero che cingeva indebitamente una finta tiara, e Clemente ritornò a Gaeta per scappare di lì in Francia, nazione dove aveva l’appoggio del popolo e dei governanti.

Marino invece cadde in mano di Giacomo Orsini, figlio di Giordano e nemico del padre poiché sosteneva il Papa, il 2 giugno 1379, e Giordano fuggì a Torre Astura dal nipote Onorato Caetani, che era anche lui un sostenitore dell’antipapa. Cadono in potere dei pontifici anche Rocca di Papa e, il 4 giugno, Cisterna.

Lo Scisma d'Occidente cesserà solo con il Concilio di Costanza del 1417, che eleverà al Soglio Martino V.

Bibliografia

  • “Memorie Marinesi”, Antonia Lucarelli, Marino, 1997.
  • “Storia della città di Roma nel Medioevo”, Ferdinando Gregorovius, Roma 1872;
  • “Lo vedi ecco Marino”, Giovanni Lovrovich e Franco Negroni, Marino 1981;