Eschilo: differenze tra le versioni

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==Collegamenti esterni==
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*[http://www.perseus.tufts.edu/Texts/chunk_TOC.html#Aeschylus Opere di Eschilo in greco con traduzione in inglese]
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*BIblioteca digitale BEIC: [http://131.175.183.1:1801/webclient/DeliveryManager?pid=2712700&custom_att_2=simple_viewer&search_terms=DTL2&pds_handle= Aeschylus, ''Supplices'', Paris, Les Belles Lettres, 1920.]
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Versione delle 14:54, 2 set 2013

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Busto di Eschilo conservato ai Musei Capitolini
Bronzo rinascimentale di Eschilo, al Museo archeologico nazionale di Firenze

Eschilo (in greco Αἰσχύλος; Eleusi, 525 a.C.Gela, 456 a.C.) è stato un drammaturgo greco antico.

Viene unanimemente considerato l'iniziatore della tragedia greca nella sua forma matura ed è il primo dei poeti tragici dell'antica Grecia di cui ci siano pervenute opere per intero. A lui seguirono Sofocle ed Euripide.

Biografia

Nato a Eleusi (un demo di Atene) intorno al 525 a.C., di famiglia nobile, fu testimone della fine della tirannia dei Pisistratidi ad Atene, nel 510 a.C. Combatté contro i persiani nelle battaglie di Maratona (490 a.C.), di Salamina (480 a.C.) e di Platea (479 a.C.). Secondo Emanuele Severino, Eschilo non è solo un grande drammaturgo, ma anche uno dei primi fondamentali filosofi dell'Occidente.

Si crede che il suo nome derivi da un insolito gesto che era solito fare per ispirarsi prima di comporre le sue tragedie, purtroppo non ci viene detto di preciso cosa l'autore facesse durante il componimento delle sue opere ma alcuni sostengono che ciò aiutasse di gran lunga la sua vena poetica.

A proposito della battaglia navale di Salamina, di cui il poeta dà il resoconto ne I Persiani, è interessante notare come la tradizione assegni lo stesso giorno, sulla stessa isola, alla nascita di Euripide. Nello stesso periodo, si dice, il giovane Sofocle intonava i primi peana.

Dopo la rappresentazione dei Persiani, si recò a Siracusa, rispondendo all'invito del tiranno Gerone, dove fece rappresentare I Persiani e scrisse le Etnee per celebrare la fondazione della città di Aitna[1].

Eschilo fu forse iniziato ai misteri eleusini, come farebbe intendere Aristofane nella commedia Le Rane, e secondo alcune leggende sarebbe stato persino processato per empietà, dopo averne rivelato i segreti, e questa sarebbe la causa del suo secondo esilio a Gela, in Sicilia.

Ottenne il suo ultimo grande successo nel 458 a.C. con l'Orestea. Poco tempo dopo partì per Gela, in Sicilia, dove morì nel 456 a.C. Sul suo epitaffio non furono ricordate le vittorie in ambito teatrale, ma i meriti come combattente a Maratona.

Vuole la leggenda che Eschilo sia morto per colpa di un'aquila, o più probabilmente di un gipeto, che avrebbe lasciato cadere, per spezzarla, una tartaruga sulla sua testa, scambiandola, data la calvizie, per una pietra.

Dopo la sua morte ricevette dai suoi contemporanei molti riconoscimenti, il più grande dei quali fu la rappresentazione postuma delle sue tragedie, all'epoca segno di eccezionale onore. Fu padre di Euforione, anch'egli tragediografo.

Le innovazioni nel dramma tragico

Eschilo viene considerato il vero padre della tragedia antica. A lui viene attribuita l'introduzione di maschera e coturni, inoltre è con lui che prende l'avvio la trilogia, o "trilogia legata". Le tre opere tragiche presentate durante l'agone erano appunto "legate" dal punto di vista contenutistico; nell'Orestea (unica trilogia pervenutaci per intero), ad esempio, viene messa in scena la saga della stirpe degli Atridi, dall'uccisione di Agamennone alla liberazione finale del matricida Oreste.

Introducendo un secondo attore (precedentemente, infatti, sulla scena compariva un solo attore alla volta, come ci testimonia Aristotele, Poetica, 49a), rese possibile la drammatizzazione di un conflitto. Da questo momento fu infatti possibile esprimere la narrazione tramite dialoghi, oltre che monologhi, aumentando il coinvolgimento emotivo del pubblico e la complessità espressiva.

Da notare anche la progressiva riduzione dell'importanza del coro, che prima rappresentava una continua controparte all'attore. Per esempio, in una delle tragedie più antiche che ci siano pervenute, Le supplici, il coro ha ancora una parte preponderante. Nonostante la presenza dei due attori (uno dei quali interpreta in successione due personaggi), l'impianto è ancora quello di un inno sacro, scarno di elementi teatrali.

Facendo un confronto con la più tarda Orestea, notiamo un'evoluzione e un arricchimento degli elementi propri del dramma tragico: dialoghi, contrasti, effetti teatrali. Questo si deve anche alla competizione che il vecchio Eschilo dovette sostenere nelle gare drammatiche: c'era un giovane rivale, Sofocle, che gli contendeva la popolarità, grazie anche a innovazioni come l'introduzione di un terzo attore, trame più complesse, personaggi più umani nei quali il pubblico può identificarsi.

Tuttavia, anche accettando in parte, e con riluttanza, le nuove innovazioni (tre personaggi compaiono contemporaneamente solo nelle Coefore, e il terzo parla solo per tre versi), Eschilo rimane sempre fedele ad un estremo rigore, alla religiosità quasi monoteistica (Zeus, nelle opere di Eschilo, è rappresentato talvolta come un tiranno, talvolta come un dio onnipotente, con qualche somiglianza con il biblico Yahweh). In tutte le sue tragedie, lo stile è potente, pieno di immagini suggestive, adatto alla declamazione. Nonostante i personaggi di Eschilo non siano sempre unicamente eroi, quasi tutti hanno caratteristiche superiori all'umano. Se ci sono elementi reali, questi non sono mai rappresentati nella loro quotidianità, ma in una suprema sublimazione.

Teatro come riflessione sulla società

Nella sua produzione tragica, Eschilo riflette la realtà circostante: ne I persiani e in Sette contro Tebe vi si ritrova resoconto delle battaglie di Salamina e anche una difesa della politica marittima di Temistocle, riferimenti dovuti molto alla sua esperienza nelle guerre persiane. Fu anche il solo testimone tra i grandi poeti greci classici dello sviluppo della democrazia ateniese. Le supplici contiene il primo riferimento che sia giunto fino ad oggi di una forma di governo definita come «potere del popolo». Nelle Eumenidi, la rappresentazione della creazione dell'areopago, tribunale incaricato di giudicare gli omicidi, sembra un implicito sostegno alla riforma di Efialte, che nel 462 a.C. trasferì i poteri politici dall'areopago al consiglio dei cinquecento. Inoltre le sue tragedie affrontano temi come il diritto d'asilo o la nascita dello stato dalle lotte di famiglia.

Colpa e punizione divina

Al centro del teatro di Eschilo è il problema dell’azione e della colpa, della responsabilità e del castigo. Eschilo si chiede perché l’uomo soffra, da dove provenga agli uomini il dolore. Viene solo dalla loro condizione di mortali, come affermavano i poeti arcaici, o da un errore originario, scontato dall’intera umanità, come è l’errore di Prometeo in Esiodo? Oppure all’interno della condizione umana v’è anche la responsabilità del singolo individuo? Tutta la sua tragedia è una tensione alla ricerca di una risposta che arriverà a dare, rivestendo la sua tragedia di forza etica per la polis ateniese del V sec.

A proposito dell’origine della sofferenza, nella mentalità più arcaica e anche contemporanea di Eschilo si definiva hýbris (in greco ὒβρις) quell'accecamento mentale che impedisce all'uomo di riconoscere i propri limiti e di commisurare le proprie forze: chi ha ambizioni troppo elevate e osa oltrepassare il confine posto dagli dei pecca di hýbris e incorre in quella che viene chiamata “invidia degli dei” (in greco φθόνος θεῶν, fthònos theòn), una divinità “invidiosa” del potere umano e, come tale, determinata ad abbatterlo con prepotente capriccio. Da qui, secondo questa teoria, la causa della sofferenza umana. Eschilo però rinuncia a questa teoria e mostra invece come le azioni delle divinità sugli uomini non sono prodotte da semplice invidia, ma sono conseguenze edificanti di una colpa umana, in quanto gli dei sono assoluti garanti di giustizia e di ripristino dell’ordine, e dunque alla hýbris corrisponde sempre il saggio ammaestramento divino, attraverso la punizione. Giustizia (in greco δίκη, dìke), insomma, è la legge che gli dèi impongono al mondo e che spiega la casualità degli avvenimenti, apparentemente inesplicabile, regolando con bilance esattissime la colpa e la punizione, rivelandosi allora come un immanente ingranaggio che non lascia scampo a chi si è macchiato di una colpa o a chi eredita una colpa commessa per prima dai propri antenati (Eschilo mantiene infatti l’antica idea che la condanna del delitto travalichi la colpa immediata dell’individuo che l’ha commessa, propagandosi sull’intera stirpe: così, anche la vittima incolpevole si lega al male ed è costretta a commettere a sua volta una colpa, di cui comunque si rivela cosciente e perciò consapevole e responsabile, seppure dietro lo schermo della “necessità”).

Alla luce della funzione edificante della punizione è chiaro che attraverso il dolore, che ogni uomo è destinato a soffrire, egli matura la propria conoscenza (πάθει μάθος, pàthei màthos). L'uomo si rende conto, scontando la sua pena, dell'esistenza di un ordine perfetto e immutabile che regge il suo mondo.

Lo stile

Lo stile di Eschilo è estremamente complesso. È ricco di espressioni retoriche, neoformazioni linguistiche (fra cui anche degli hapax) e arcaismi molto ricercati. La sintassi è ai limiti dell'ermetismo.

Tragedie

Eschilo scrisse probabilmente una novantina di opere, ma ne sono giunte ai giorni nostri solo sette:

I 73 "titoli" attribuiti a Eschilo si trovano nel cosiddetto Catalogo, contenente la lista dei drammi del tragico greco, che fa parte del manoscritto Mediceo (siglato M).[3]

Di altre dieci opere (tragedie e drammi satireschi) si conosce l'esistenza dai riferimenti presenti in altri autori o attraverso documenti antichi. Questi i loro titoli:

Wartelle ricostruisce un elenco di 88 opere: 73 trasmesse dal catalogo, 10 testimoniate dagli autori antichi e 5 dedotte dagli interpreti moderni.[5]

La morte di Eschilo

Alquanto particolare e conosciuta è la causa della morte di Eschilo. Dopo essersi recato, nel 456 a.C. a Gela, in Sicilia, per riposarsi, si sedette su un sasso fuori dalle mura della città. Proprio in quel mentre un gipeto stava volando sulla zona con una tartaruga nel becco, bottino della sua battuta di caccia. L'avvoltoio, ingannato dalla luce riflessa dal cranio calvo del poeta, scagliò la tartaruga sulla sua testa, scambiandola per una pietra, per aprire la testuggine e mangiarne le interiora. Il povero Eschilo, subìto un trauma cranico, morì in breve tempo e senza dolore. Di tutto ciò narra lo scrittore romano Valerio Massimo.

Note

  1. ^ Italica - Rinascimento
  2. ^ Una parte della critica ritiene che la tragedia sia pseudo-eschilea (cfr. ad es. B. Marzullo, I sofismi di Prometeo, Firenze 1990) e sia stata messa in scena nell'ultimo venticinquennio del V sec. Ne farebbero fede i punti di contatto con i Cavalieri di Aristofane, ma soprattutto una concezione dello spazio scenico e del suo uso particolarmente sofisticato. La parte preponderante della critica crede però alla paternità eschilea di questa tragedia (cfr. ad es. V. Di Benedetto/E. Medda, La tragedia sulla scena).
  3. ^ Il Catalogo delle opere eschilee si trova al folio 189 r. Esso è riportato in André Wartelle, Histoire du texte d'Eschyle dans l'antiquité, Les Belles Lettres, 1971, p. 25.
  4. ^ Questo elenco è riportato da A. Wartelle, o. c., p. 28.
  5. ^ La lista completa delle opere di Eschilo è visibile in A. Wartelle, o. c., pp. 32-34.

Bibliografia

  • André Wartelle, Histoire du texte d'Eschyle dans l'antiquité, Les Belles Lettres, 1971.

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Collegamenti esterni

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